Atto n. 2-00088

Pubblicato il 15 luglio 2021, nella seduta n. 347

BARBARO - Ai Ministri della giustizia e per le pari opportunità e la famiglia. -

Premesso che:

è diritto della madre mantenere l'anonimato al momento del parto; tale diritto è stato accolto dal legislatore nella prospettiva di salvaguardare la salute della partoriente e del neonato in tutti i casi in cui, diversamente, pur di mantenere la segretezza, la donna incinta sarebbe ricorsa ad aborto clandestino o costretta al parto in luoghi inadatti e insicuri. All'uopo, infatti, si possono citare, come ad esempio, l'art. 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000 che, nell'individuare le persone tenute ad effettuare la dichiarazione di nascita del bambino (genitori, curatore speciale, medico ed ostetrica o persona che ha assistito al parto), impone loro, in ogni caso, di rispettare la volontà della madre di non essere nominata; altresì, l'art. 93, comma 1, del decreto legislativo n. 196 del 2003, che consente il rilascio del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica contenenti i dati della madre anonima, solo dopo che siano decorsi 100 anni dalla formazione del documento; in fine l'art. 28, comma 7, della legge n. 184 del 1983, che non consente all'adottato di accedere alle informazioni sulla propria nascita se il genitore ha manifestato la volontà di rimanere anonimo;

pur condividendo la sussistenza di tale diritto, l'interpellante vuole rappresentare, anche, il diritto dell'adottato a ricostruire la propria ascendenza, e non solo per ragioni morali ed esistenziali relative alla ricerca della propria identità personale, ma anche per avere un quadro delle possibili patologie ereditarie, o di prendere coscienza di chi siano gli altri suoi consanguinei. Il diritto al riconoscimento dello status di figlio, in effetti, trova fondamento nell'art. 2 della Costituzione e nell'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e gli artt. 269 e 270 del codice civile, peraltro, stabiliscono che la prova dello status di figlio possa essere data con ogni mezzo, e che l'azione giudiziaria finalizzata al riconoscimento dello status sia imprescrittibile;

in sostanza, nel nostro ordinamento, la ricerca del bilanciamento tra i due diritti, quello della madre di restare anonima e quello dell'adottato di conoscere la propria ascendenza biologica, per quanto siano entrambi di rango primario, vede assolutamente prevalente il diritto all'anonimato della madre rispetto a quello di chi chiede accesso ai dati relativi alle proprie origini;

giova ricordare la sentenza n. 278 del 2013 della Corte costituzionale, che ha riconosciuto il fondamento del diritto di segretezza della madre, tuttavia ha considerato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione, l'art. 28, comma 7, della legge n. 184 del 1983, come sostituito dall'art. 177, comma 2, del decreto legislativo n. 196 del 2003, "nella parte in cui non prevede, attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza, la possibilità per il giudice di interpellare la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi dell'art. 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 sulla richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione". Si è al cospetto di una pronuncia che la dottrina definisce "manipolativa", in quanto il giudice delle leggi è intervenuto nel merito del provvedimento normativo con sentenza additiva, che si considera avere efficacia erga omnes in attesa che il legislatore intervenga con specifica produzione normativa. In senso similare, va citata anche la recente pronuncia della Corte di cassazione (sezione I civile, con la sentenza n. 19824 del 2020) che ha posposto il diritto alla propria identità personale per tutta la durata della vita della madre biologica, a meno che lei stessa non revochi la volontà di segretezza espressa al momento del parto. È quindi evidente che tanto il legislatore quanto l'Esecutivo debbano produrre gli atti necessari al fine di sanare il vizio di costituzionalità dell'attuale previsione normativa, sanato esclusivamente dalle pronunce delle supreme Corti;

la Corte europea dei diritti dell'uomo, con sentenza al ricorso n. 33783/09, ha evidenziato che, se la madre biologica ha optato per l'anonimato, la legislazione italiana non offra alcuna possibilità al figlio adottato e non riconosciuto alla nascita di richiedere l'accesso ad informazioni non identificanti e la reversibilità del segreto. In queste condizioni, la Corte ha affermato che l'Italia non ha cercato di stabilire un equilibrio e una proporzionalità tra gli interessi delle parti contrapposte ed ha dunque ecceduto nel margine di valutazione riconosciuto, con violazione dell'articolo 8 della Convenzione;

pur nella difficoltà di individuare un giusto equilibrio nella ponderazione dei diritti e degli interessi concorrenti, preso atto della necessità indifferibile di una produzione di legge peculiare,

si chiede di conoscere quali siano i mezzi che il Governo ritenga più adatti al fine di un intervento normativo, come sollecitato dalla sentenza della Corte costituzionale e da quella della Corte europea, che assicuri, in modo equo, la conciliazione tra la protezione della madre che vuole mantenere anonimato e la richiesta dell'adottato ad avere accesso ai dati della propria ascendenza biologica, nel rispetto dell'interesse generale, dei principi generali dell'ordinamento, di tutti i diritti garantiti dalla Carta e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo.