Atto n. 3-02407

Pubblicato il 8 aprile 2021, nella seduta n. 313
Trasformato

CORRADO , GRANATO , ANGRISANI - Al Ministro della cultura. -

Premesso che:

risulta alle interroganti che lungo il decumano inferiore di Napoli, lo storico Palazzo del Sacro Monte di Pietà, già proprietà del Banco di Napoli, sia passato da un paio di decenni ad Intesa Sanpaolo e che questa, lungi dall'aprirlo al pubblico, come avveniva negli anni precedenti l'incorporazione del Banco in Sanpaolo Imi (2002) e la fusione con Banca Intesa (2006), vi abbia condotto solo le indispensabili manutenzioni dei tetti e piccoli interventi di messa in sicurezza ma, non avendo interesse al recupero, fin dal 2017 andrebbe in cerca di un acquirente quale che sia, e oggi parrebbe disposta a cederlo per una cifra ancora più modesta dei 10 milioni di cui si sussurrava quattro anni fa;

creato nel 1538 da alcuni nobili napoletani per contrastare l'usura concedendo ai meno abbienti prestiti su pegno senza interesse, il Monte aveva acquistato l'immobile originale nel 1597 dalla vedova di Girolamo Carafa e, grazie ai lavori di ricostruzione condotti fino al 1603 su progetto di Gian Battista Cavagna, lo trasformò nell'edificio in stile manierista che a tutt'oggi si ammira;

l'annessa Cappella della Pietà, la cui facciata, che dà sul cortile interno accessibile da via San Biagio de' Librai 114, s'ispira alla Chiesa di Sant'Andrea sulla Flaminia, opera del Vignola, e ospita due statue di Pietro Bernini (Carità e Sicurezza) e altre tre (la Pietà e due Angeli) di Michelangelo Naccherino e Tommaso Montani, internamente ha la volta affrescata da Belisario Corenzio; ospita tele di Ippolito Borghese e di Fabrizio Santafede, nonché il monumento funerario del cardinale Acquaviva scolpito da Cosimo Fanzago (1617). In sagrestia si conservano allegorie dei primi del '700 su decorazioni in oro e, sulla volta, un dipinto di Giuseppe Bonito, mentre nell'attigua Sala Cantoniere, oltre alle maioliche policrome del piancito, restano affreschi settecenteschi, i ritratti di Carlo III e Maria Amalia di Borbone, e una Pietà in legno del Seicento;

considerato che:

il 3 aprile 2021 è stata pubblicata sul "Corriere del Mezzogiorno" un'intervista di Vanni Fondi a Michele Amoroso, amministratore della società "Generazione vincente" e della "Monte di Pietà di Napoli", dove l'imprenditore rivolge un appello ai colleghi napoletani per investire nella riqualificazione del palazzo, ma ambisce a coinvolgere anche una pletora di altri soggetti: istituzioni, associazioni, intellettuali, cittadini, visitatori, turisti, territorio e lavoratori napoletani;

non meno magmatico e contraddittorio è l'obiettivo che si dà, e che reputa compatibile con i vincoli gravanti sul Palazzo: farne un centro di cultura, ma anche un albergo, ristorante, bar, SPA e, nello storico cortile, subito ribattezzato agorà, la sede di locali, negozi, botteghe artigianali e insieme il teatro di attività gratuite da svolgere in convenzione con il Comune, "il tutto improntato ad una esaltazione della napoletanità"; i rendering proposti traducono in immagini quelle ambizioni e ben si sposano, è il caso di dire, con le intenzioni del wedding planner Enzo Miccio, della medesima cordata, che dichiara di pensare a "eventi culturali e ristorazione" ("la Repubblica", 3 aprile 2021);

quanto all'investimento necessario alla realizzazione dell'ipotesi progettuale, esso ammonterebbe ad un totale di 30 milioni, la cui origine l'Amoroso spiega solo in parte: "10 a carico di Invitalia e altri 10 finanziati con un prestito non oneroso sempre attraverso Invitalia";

la proposta dell'imprenditore è talmente sopra le righe, per non dire conflittuale con l'altissima valenza culturale, ma anche identitaria del Palazzo, da apparire quasi provocatoria e generare il sospetto ("il Manifesto", 2 aprile 2021) che la trattativa con il privato, peraltro condotta senza darle pubblicità, e lo stadio avanzato della stessa dichiarato da Intesa Sanpaolo Group Service, possa essere un espediente per alzare il prezzo in vista della prelazione che ci si aspetta possano esercitare lo Stato o gli Enti locali entro 60 giorni dalla notifica del rogito alla Soprintendenza, che ha in carico la tutela del vincolatissimo edificio e dei suoi tesori d'arte, notifica non ancora arrivata;

che diventi sede museale atta ad ospitare "tutti i beni culturali e artistici del gruppo bancario" è la proposta prioritaria avanzata in un ordine del giorno del Consiglio della seconda municipalità di Napoli, atto che si oppone alla cessione del palazzo ai privati e, indirizzato al Presidente del Consiglio dei ministri, ai vertici istituzionali campani e alla stessa Intesa Sanpaolo, sollecita quest'ultima a farne anche "un luogo per la lotta all'usura e al racket" ("la Repubblica", 3 aprile 2021), istanze entrambe già emerse nel 2017, quando la sezione Gallerie d'Italia di Intesa Sanpaolo fu sollecitata a trasferire nel Monte di Pietà le collezioni ospitate in Palazzo Zevallos Stigliano, che si diceva già venduto e in procinto di essere liberato ("il Manifesto", 29 aprile 2017);

quanto alla destinazione del palazzo del Monte se invece andasse in porto la riacquisizione al patrimonio pubblico, la Soprintendenza Archivistica ha proposto di custodirvi i documenti della storia sociale di Napoli e della Campania nel XX secolo (Italsider, Cassa del Mezzogiorno);

valutato in fine che al disorientamento generato nell'opinione pubblica ha tentato di rispondere il professore di Diritto pubblico della Seconda Università di Napoli Carlo Iannello, spiegando: "Finché è stato all'interno del patrimonio del Banco di Napoli, istituto di credito di diritto pubblico, era garantita la protezione dell'interesse generale alla conservazione del valore artistico e culturale del bene"; in tema di privatizzazioni, ha poi sottolineato che "le ricchezze del sistema bancario meridionale pubblico sono state sacrificate nel processo di concentrazione, di cui ha beneficiato il Settentrione". E ha aggiunto una verità difficile da contraddire per Intesa Sanpaolo, data l'immagine di munifico mecenate che il gruppo bancario vicentino-torinese si è voluto costruire negli anni anche collaborando con il Ministero della cultura: "Al nord le fondazioni bancarie finanziano le attività culturali. Sarebbe il caso che donassero anzi restituissero il Monte di Pietà al pubblico",

si chiede di sapere:

se il Ministro in indirizzo, già destinatario della petizione del 2017 firmata da Italia Nostra, Palazzi di Napoli, CGIL, RAM e F. Masucci di Cappella Sansevero, abbia da allora dato seguito alla richiesta di vincolo di destinazione museale, tesa a rafforzare il provvedimento di tutela esistente;

se non ritenga di voler chiarire che un bene culturale di particolare valenza per la storia, anche sociale, della città di Napoli, com'è il Palazzo del Sacro Monte di Pietà, non possa essere destinato ad usi, quali quelli individuati dagli imprenditori Amoroso e Miccio, che non sono compatibili con la sua valenza monumentale, cioè di luogo della memoria e della identità storica della città, interrompendo la dissennata deriva verso la banalizzazione del patrimonio culturale, le cui testimonianze, anziché essere oggetto di studio e di conoscenza, sono ridotte al rango ancillare di meri contenitori per "eventi" senza memoria e senza storia;

se non voglia sollecitare con fermezza Intesa Sanpaolo a donare o restituire il Palazzo al pubblico e attivarsi poi con le amministrazioni campane, perché l'edificio possa essere destinato a scopi compatibili con la sua dignità, come ospitare strutture di alta formazione universitaria e profilo internazionale, quali la Scuola Superiore Meridionale, così risarcendo, idealmente, il sud Italia, del sistematico depauperamento di risorse di cui è stato vittima prima con l'Unità e poi con le privatizzazioni degli ultimi decenni.