Legislatura 14 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-07584
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Atto n. 4-07584
Pubblicato il 2 novembre 2004
Seduta n. 686
FILIPPELLI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. -
Premesso che:
la legge delega sul riordino dello stato giuridico e del reclutamento dei professori universitari, approvata dal Consiglio dei ministri il 16 gennaio 2004 ed ora all'esame del Parlamento, ha determinato uno stato di agitazione nella maggior parte delle Università italiane. Parimenti la mobilitazione ha investito gli atenei calabresi, con il rinvio dell’inizio degli anni accademici, lezioni bloccate, ricercatori in rivolta, docenti che si attengono al minimo richiesto dalla normativa, rettori e senati accademici che protestano. Di fronte alle questioni che occupano le prime pagine dei giornali – finanziaria, devolution, migrazioni, guerra, condoni, crisi dei rapporti tra Governo ed Unione europea, ecc. – sembra che quella universitaria passi in secondo piano. Essa, invece, al pari e forse più di altre, è nodo critico e riguarda il futuro immediato e prossimo della nostra condizione civile, dei diritti democratici e delle risorse che il nostro paese ha ed avrà a disposizione. In questo caso si tratta di quella fondamentale risorsa, di carattere immateriale, così importante nella nostra epoca, che è la cultura, la capacità di fare ricerca, di produrre innovazione, di formare nuove competenze;
il disegno di legge proposto costituisce, a parere dell’interrogante, un forte arretramento sul piano dell'autonomia universitaria, in quanto sottrae agli atenei importanti momenti decisionali, oggi di loro competenza, che consentono alle Università di rispondere in modo flessibile ed efficace alle esigenze didattiche, scientifiche e della formazione d'eccellenza;
il disegno di legge, non prendendo in considerazione il ruolo della ricerca scientifica, non risponde alle esigenze di formazione, innovazione e sviluppo poste dalla società civile;
un provvedimento legislativo di grande rilevanza per il sistema universitario non prevede, per l'ennesima volta, alcun incremento, ormai indifferibile, delle risorse finanziarie ad esso destinate;
c'è molta preoccupazione che l'abolizione del ruolo del ricercatore determini l'assenza di una fascia iniziale docente (giuridicamente definita), essenziale sia per la formazione del personale docente che per lo svolgimento dell'attività didattica e scientifica;
la proposta di abolizione della distinzione tra "tempo pieno" e "tempo definito" può indurre i professori ad un disimpegno nei confronti dell'istituzione, dal momento che - senza definire chiaramente diritti e doveri - consente a tutti i docenti di assumere impegni esterni, allentando il loro rapporto con l’Università ed allontanandone la ricerca;
sono particolarmente gravi e lesivi dell'autonomia universitaria il blocco delle procedure concorsuali, tanto più se reso operativo all'atto dell'entrata in vigore della legge delega, nelle more dell'approvazione dei decreti delegati, e l'introduzione di quote di idoneità riservate a professori e ricercatori, poiché così si ostacola il reclutamento di studiosi di elevato valore, con particolare riferimento alle nuove generazioni, tanto più in assenza di adeguate risorse finanziarie, e in contrasto con l'esigenza dichiarata di adottare meccanismi concorsuali rigorosi e selettivi;
la riforma dello stato giuridico non è finanziata ed in realtà si basa soltanto sui risparmi ipotizzati in base all’abolizione di incarichi di supplenza, trasformati d’un sol colpo in carichi didattici ordinari di centoventi ore di insegnamento (che possono corrispondere anche a quattro corsi per docente);
la delega sancisce una previsione di precariato destinata ad incidere negativamente sulla qualità della didattica e della ricerca ed introduce forme surrettizie di reclutamento di docenti al di fuori di procedure concorsuali ispirate a principi di trasparenza e imparzialità, tali che, ad esempio, la Conferenza dei Rettori “reputa inammissibili e anche eticamente inaccettabili”;
la precarizzazione della docenza universitaria che il disegno di legge introduce non riguarda soltanto una inaccettabile condizione di insicurezza, protratta per anni, per quanti vorranno accedere alla carriera universitaria nella istituzione pubblica; la lunga serie di verifiche a seguito di contratti a tempo determinato di natura privata, il fatto che il giudizio sulla idoneità dei candidati non sia espresso da commissioni esclusivamente scientifiche, il fatto che le stesse Facoltà – indipendentemente dalla idoneità scientifica dei candidati – possano anche esprimere parere negativo per l’assunzione, tutto ciò implica l’introduzione di un principio di selezione ideologica e di controllo politico che mina le basi stesse dell’università pubblica e democratica. Se – come recita la Costituzione – il sapere, la scienza e l’attività di ricerca sono libere, la delega che chiede il Governo, segna, a parere dell’interrogante, una terribile regressione,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo non ritenga opportuno riconsiderare i punti critici evidenziati, alla luce di una puntuale e attenta valutazione delle conseguenze che le scelte previste dal disegno di legge comportano sui delicati equilibri del sistema universitario;
se il Ministro non ritenga che una riforma significativa dello stato giuridico dei docenti non possa intervenire se non contestualmente ad congruo incremento delle risorse finanziarie e ad una revisione dei relativi meccanismi di attribuzione agli atenei, in un contesto di generale riconsiderazione del reclutamento, delle carriere e dei relativi passaggi, da fascia a fascia e all'interno di ciascuna fascia, basati su una rigorosa valutazione del lavoro scientifico svolto, ovviamente tutelando nel medesimo tempo le aspettative dei giovani più capaci (per i quali il progetto della Commissione parlamentare non fa altro che riproporre la condizione degli attuali assegnisti, senza prospettare alcuna seria e realistica prospettiva di futuro accesso ai ruoli) e i diritti legati all'impegno e al lavoro effettivamente svolto dagli attuali ricercatori;
se il Ministro non ritenga necessario, sulla base di quanto sopra descritto, ritirare il disegno di legge, poiché appare evidentemente improprio il ricorso allo strumento della delega legislativa, in assenza degli indispensabili confronti e di un largo consenso sulle linee d'intervento su un provvedimento così rilevante e complesso, per il quale forti sono le attese del mondo universitario, delle famiglie e dell'intera società.