Atto n. 4-03550

Pubblicato il 27 maggio 2020, nella seduta n. 222

PAPATHEU - Al Ministro della salute. -

Premesso che:

la pandemia da coronavirus risulta alla data del 21 maggio 2020 aver causato in Italia 32.486 decessi, come risulta dai dati diffusi nel bollettino quotidiano del Dipartimento nazionale di protezione civile;

si apprende che secondo uno studio dell'INPS, in Italia tra marzo e aprile ci sarebbero state, invece, circa 19.000 vittime in più, concentrate sopratutto al Nord (con un aumento dell'84 per cento rispetto alla media degli ultimi anni); si tratterebbe di decessi dovuti a COVID-19 sfuggiti alle stime della protezione civile, definite "ormai poco attendibili" dall'INPS. Mancherebbero all'appello soprattutto le persone morte in casa (e non in ospedale) e quelle che non sarebbero state sottoposte a tampone;

nello studio "Analisi della mortalità nel periodo di epidemia da COVID-19", come riportato dal "Corriere della Sera", l'INPS evidenzia come a gennaio e febbraio i decessi in Italia sono stati 124.662, 10.000 in meno rispetto alla baseline (determinata come media dei decessi giornalieri negli anni 2015-2019 ponderata con la popolazione residente). Poi c'è stata un'inversione di tendenza: i morti tra marzo e aprile sono arrivati a 156.429, ovvero 46.909 in più rispetto alle attese. Di questi, solo 27.938 sono stati dichiarati decessi per coronavirus. "Tale quantificazione, condotta utilizzando il numero di pazienti deceduti positivi fornito su base giornaliera dal Dipartimento di Protezione Civile, è considerata, ormai, poco attendibile"; la stima sarebbe influenzata "dalla modalità di classificazione della causa di morte" e dall'esecuzione di un test con esito positivo. Inoltre, "se il decesso avviene in casa è molto difficile il tampone venga fatto"; circa i motivi di un ulteriore aumento di decessi pari a 18.971, di cui 18.412 al Nord, l'Istituto sostiene che "con le dovute cautele si può attribuire all'epidemia in atto una gran parte dei maggiori decessi avvenuti negli ultimi due mesi";

secondo i dati INPS, i decessi tra marzo e aprile nel Nord Italia sono aumentati dell'84 per cento rispetto alla media degli anni precedenti a fronte di un aumento del 11 per cento al Centro e del 5 per cento al Sud. Inoltre, "la distribuzione territoriale dei decessi strettamente correlata alla propagazione dell'epidemia e la maggiore mortalità registrata degli uomini rispetto alle donne è coerente con l'ipotesi che la sovra-mortalità sia dovuta a un fattore esterno, in assenza del quale una eventuale crescita di decessi dovrebbe registrare delle dimensioni indipendenti sia dal territorio che dal sesso". Aggiunge che "il 94% dei deceduti nel 2020 sono soggetti che percepivano una o più tra questi prestazioni: pensione, assegno sociale, invalidità civile, indennità Inail e assegno di accompagnamento";

l'andamento dei decessi tra marzo e aprile "è stato condizionato anche dalle conseguenze del lockdown". Vi sono state conseguenze negative come "persone morte per altre malattie perché non sono riuscite a trovare un letto d'ospedale o non vi si sono recate per paura di contagio", ma anche conseguenze positive come "la riduzione delle vittime di strada o di infortuni sul lavoro". In ogni caso, conclude l'Istituto, "per comprendere al meglio le vere conseguenze dell'epidemia si dovrà aspettare di debellare completamente il virus, con il vaccino o una terapia antivirale efficace",

si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo sia in grado di riferire sulle pesanti discrasie che si registrerebbero tra i dati del Dipartimento della protezione civile sui morti di COVID-19 in Italia e lo studio diffuso dall'INPS.