Pubblicato il 7 febbraio 2019, nella seduta n. 89
MARCUCCI , MALPEZZI , PITTELLA , FEDELI , GINETTI , ALFIERI , CUCCA , D'ARIENZO , GARAVINI , GIACOBBE , IORI , MANCA , MARGIOTTA , STEFANO , PATRIARCA , ASTORRE
Il Senato,
premesso che:
negli ultimi anni, i Paesi europei, in particolare quelli del Mediterraneo, sono stati interessati da una continua e crescente pressione migratoria, soprattutto a causa della forte instabilità socio-politica di alcune aree dell'Africa centrale e della Libia, del protrarsi del drammatico conflitto in Siria, dell'emergere di nuove e differenziate forme di povertà e diseguaglianze sociali, delle persistenti violazioni dei diritti umani e del deterioramento delle condizioni di sicurezza, economiche e umanitarie in Africa e nell'area mediorientale;
i flussi migratori verso l'Europa, secondo le previsioni degli analisti, continueranno ancora, almeno fin quando non si perverrà ad una parziale stabilizzazione politica dei Paesi di origine (migrazioni di profughi) e permarranno divari sensibili di ricchezza e di sviluppo tra le diverse aree a nord e a sud del Mediterraneo (migrazioni per ragioni economiche);
gli stessi fattori di crisi politica e economica, sommati al protrarsi dei conflitti armati, delle persecuzioni e delle tensioni fra Stati e popolazioni, stanno incidendo, peraltro, sulla composizione stessa dei flussi, modificando la "struttura" stessa del complesso processo migratorio nel dato sia "quantitativo" e "direzionale" sia "qualitativo": cambiano non solo i numeri e le rotte dei flussi ma le migrazioni "politiche" si sommano e si affiancano alle migrazioni "economiche", generando flussi di tipo misto, che comprendono sia migranti economici che potenziali richiedenti asilo;
l'Italia, per la sua peculiare posizione geografica che la rende, di fatto, uno degli snodi essenziali di sbarco sul versante meridionale per chi intende raggiungere l'Europa, è una delle aree maggiormente esposte a questo intenso fenomeno migratorio che, per le sue dimensioni, richiede capacità di intervento, efficienza e capacità operativa, nonché coordinamento e condivisione dei medesimi con le istituzioni e gli Stati dell'Unione europea;
considerato che:
il recente rapporto dell'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), pubblicato lo scorso 30 gennaio 2019, rivela che, nel 2018, sono arrivati in Europa 139.300 rifugiati e migranti, il numero più basso degli ultimi cinque anni. Il rapporto conferma il significativo cambiamento nelle rotte seguite dai rifugiati e dai migranti. Per la prima volta in anni recenti, la Spagna è divenuta il principale punto d'ingresso in Europa. Sulla base dei dati dell'UNHCR, nel 2018 sono giunti via mare sulle coste dell'Europa meridionale circa 111.000 migranti; nel medesimo periodo la rotta del Mediterraneo centrale (da Libia e altri Paesi del Nord Africa verso l'Italia) ha registrato circa 23.000 sbarchi (sulla base dei dati del Ministero dell'interno, circa la metà dalla Libia); la rotta del Mediterraneo orientale (dalla Turchia alla Grecia) ha coinvolto oltre 31.000 persone, e quella del Mediterraneo occidentale (ovvero i flussi verso la Spagna) ha riguardato circa 55.000 persone, oltre agli sbarchi a Malta e a Cipro (rispettivamente, 1.000 persone e 600 persone);
per molti immigrati, approdare in Europa rappresenta la fase finale di un viaggio pericoloso durante il quale sono stati esposti a violenze, torture, stupri e aggressioni sessuali, e alla minaccia di essere rapiti e sequestrati a scopo d'estorsione;
secondo il rapporto dell'UNHCR, nel tentativo di attraversare il mar Mediterraneo per raggiungere l'Europa, nel 2018 sono decedute o disperse circa 2.275 persone, ovvero in media circa sei persone al giorno. Il Mediterraneo è allo stato attuale la rotta marittima più letale al mondo. Nonostante la diminuzione degli arrivi, il tasso di mortalità registrato sulle rotte migratorie nel mar Mediterraneo è salito drasticamente nel breve volgere di un anno. Lungo la rotta Libia-Europa si è passati da un decesso ogni 38 arrivi nel 2017 a uno ogni 14 nel 2018. Il bilancio delle vittime è stato altrettanto pesante anche lungo l'altra rotta migratoria del Mediterraneo, quella verso la Spagna, dove il numero dei decessi e dei dispersi è quasi quadruplicato nel 2018 rispetto al 2017;
il cambio delle politiche adottate da alcuni Stati europei, secondo il rapporto dell'UNHCR, ha portato a numerosi incidenti in cui un numero elevato di persone è rimasto in mare alla deriva per giorni, in attesa dell'autorizzazione a sbarcare;
le navi delle organizzazioni non governative e i membri degli equipaggi hanno subìto crescenti restrizioni alle possibilità di effettuare operazioni di ricerca e soccorso, tanto che migliaia di persone, sia migranti "politici" sia "economici", sono state ricondotte in Libia, dove hanno dovuto affrontare condizioni terribili nei centri di detenzione;
il rapporto ha messo in luce le principali criticità della situazione relativa all'immigrazione verso i Paesi europei, esortando gli Stati europei ad adottare politiche nazionali ed europee condivise ed efficaci, a partire dall'urgente istituzione di un meccanismo regionale, coordinato e prevedibile, per rafforzare le operazioni di soccorso in mare, migliorando la capacità di ricerca e di soccorso nel Mediterraneo centrale ed eliminando anche le restrizioni alle organizzazioni non governative;
con particolare riguardo alla situazione della Libia, l'UNHCR sottolinea che gli Stati europei dovrebbero sollecitare le autorità libiche a porre fine alla detenzione arbitraria di rifugiati e migranti intercettati o soccorsi in mare, modificando anche le misure che prevedono i lavori forzati come pena per l'entrata irregolare nel Paese, offrendo una base legale allo sfruttamento di rifugiati e migranti;
visto che:
il diritto di asilo è sancito solennemente dalla Costituzione italiana;
il riconoscimento dello status di rifugiato è entrato nel nostro ordinamento con l'adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata nel 1954, e con la Convenzione di Dublino, sulla determinazione dello Stato competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri della Comunità europea;
la Carta europea dei diritti dell'uomo sancisce il diritto d'asilo con riferimento ai principi e gli standard della Convenzione di Ginevra e del protocollo del 1967;
la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha condannato in più occasioni l'Italia per violazione della Convenzione europea sui diritti dell'uomo in materia d'asilo;
dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo pendono migliaia di casi, il che mette in evidenza come sia urgente procedere ad una rivisitazione delle politiche d'asilo dei Paesi dell'Unione europea;
le crescenti restrizioni alle possibilità di effettuare operazioni di ricerca, soccorso e sbarco dei migranti, tenuto conto dei flussi misti di migranti politici e di migranti economici, impedisce di distinguere e di fatto di riconoscere immediato soccorso ai potenziali richiedenti asilo e di garantire la necessaria tutela legale ai minori non accompagnati. Tali restrizioni avvengono in palese contrasto con i contenuti della Carta europea dei diritti dell'uomo, più volte richiamati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo a fondamento delle sentenze di condanna nei confronti dei Paesi chiamati in giudizio;
preso atto che:
il 4 maggio e il 13 luglio 2016, la Commissione europea ha presentato un insieme di proposte legislative diretto alla riforma del sistema europeo comune di asilo (CEAS), che avrebbe dovuto realizzare il nuovo quadro in cui affrontare e gestire con strumenti più adeguati la complessa questione delle migrazioni;
il "pacchetto" del 2016 comprendeva la revisione del regolamento di Dublino, che individua lo Stato membro competente per l'esame della domanda di asilo, e del regolamento Eurodac, il database europeo per il controllo delle impronte per l'applicazione efficace del regolamento di Dublino, assieme a una proposta di regolamento relativo alla creazione dell'Agenzia europea per l'asilo, che andrebbe a sostituire l'attuale Ufficio europeo per l'asilo, una proposta di regolamento che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nella UE, una proposta di regolamento sulle qualifiche, la rifusione della direttiva sulle condizioni di accoglienza e una proposta di regolamento che istituisce un quadro dell'Unione europea per il reinsediamento;
accanto a ciò, nel settembre 2018, la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento volta a potenziare il sistema della guardia di frontiera e costiera europea, con il rafforzamento dell'Agenzia europea e del suo mandato, nonché con la costituzione di un corpo permanente di 10.000 unità operative; inoltre la Commissione ha presentato una proposta di revisione mirata della direttiva rimpatri volta ad accelerare le procedure di rimpatrio e a controllare i movimenti secondari irregolari;
alcune delle proposte facenti parte del pacchetto sono giunte ad uno stato avanzato nei rispettivi negoziati (in particolare, l'Agenzia UE per l'asilo, il sistema Eurodac, le condizioni di accoglienza, le qualifiche e lo status, il quadro giuridico per il reinsediamento); tuttavia, nonostante i progressi, la riforma complessiva resta bloccata in particolare perché ancorata alla mancata soluzione e al mancato accordo tra gli Stati membri in merito alla revisione del regolamento di Dublino, assieme al mancato raggiungimento di una posizione comune sulla proposta legislativa per una procedura unica di protezione internazionale;
considerato che:
il cosiddetto regolamento di Dublino III (regolamento (UE) n. 604/2013), entrato in vigore il 1° gennaio 2014, stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide;
in base a tale regolamento, i criteri per stabilire la responsabilità dell'esame di una domanda di protezione internazionale sono, nell'ordine, considerazioni di natura familiare, il possesso recente di un visto o permesso di soggiorno in uno Stato membro, l'ingresso regolare o irregolare del richiedente nell'Unione europea, o, altrimenti, è competente il primo Stato membro nel quale la domanda è presentata;
in particolare, poi, qualora sia accertato che il richiedente abbia varcato illegalmente, in provenienza da un Paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, è questo Stato, quello di "primo approdo", ad essere competente per l'esame della domanda di protezione internazionale; di fatto, è quest'ultimo il criterio più applicato: è il Paese di arrivo il responsabile della domanda;
la proposta avanzata dalla Commissione nel 2016 di rifusione del regolamento Dublino III era finalizzata in particolare ad istituire un nuovo sistema di distribuzione delle domande di asilo basato sulla solidarietà fra gli Stati membri e che fosse più equo, più efficiente e più sostenibile, prevedendo un meccanismo di assegnazione correttivo, il "meccanismo di equità", in base al quale nel caso in cui uno Stato membro si trovasse ad affrontare un afflusso sproporzionato di migranti, i nuovi richiedenti protezione internazionale dovrebbero essere ricollocati in altri Stati membri; gli Stati che avessero deciso di non partecipare al ricollocamento avrebbero dovuto versare un "contributo di solidarietà";
la proposta della Commissione prevedeva altri elementi complessivamente migliorativi: un meccanismo di valutazione degli sforzi di reinsediamento; un sistema più efficiente per l'esecuzione dei trasferimenti fra gli Stati membri; obblighi giuridici più chiari per i richiedenti protezione internazionale; maggiori garanzie per i minori non accompagnati e l'ampliamento della definizione di "familiari";
nel novembre 2017, poi, il Parlamento europeo si era espresso sulla proposta della Commissione, con una maggioranza trasversale e molto ampia, prospettando ulteriori miglioramenti: il superamento del criterio del "primo approdo"; un sistema obbligatorio di ricollocazione, da applicare indipendentemente dalla pressione migratoria; la ripartizione dei richiedenti protezione fra tutti gli Stati membri in maniera automatica; inoltre, per gli Stati membri non disponibili ad accogliere la propria quota di richiedenti asilo, limiti all'accesso ai fondi dell'Unione e all'uso dei fondi per i rimpatri;
nel Consiglio europeo del giugno 2018 si sarebbe dovuto affrontare a livello di capi di Stato e di Governo il tema della revisione del regolamento, seppure su una bozza di lavoro, quella presentata dalla Bulgaria che presiedeva il Consiglio europeo, ben meno avanzata sia della proposta della Commissione che di quella del Parlamento europeo, quasi peggiorativa rispetto all'attuale, soprattutto per i Paesi di primo approdo come Italia, Grecia e Spagna;
considerato altresì che:
per una svolta sulle politiche migratorie, l'Italia ha bisogno di una profonda revisione del regolamento di Dublino e contemporaneamente di solidi accordi con i Paesi del Nord Africa; in tale senso si erano conseguentemente mossi i Governi della XVII Legislatura, al fine di garantire che nella revisione del regolamento di Dublino fosse superato il suo principio cardine, che fa ricadere sul Paese di primo approdo la responsabilità di gestire i richiedenti asilo, di fatto scaricando il peso dei flussi sulle spalle dei Paesi maggiormente esposti alle rotte del Mediterraneo, come Spagna, Grecia, e la stessa Italia;
essenziale inoltre, ed assolutamente prioritario per il nostro Paese, per l'elaborazione e l'attuazione di ogni strategia relativa alla gestione degli arrivi, il riconoscimento che la questione delle migrazioni è una questione europea e non riconducibile alla responsabilità di singoli Paesi; da ciò la necessità di garantire strutturalmente il ricollocamento solidale dei migranti che giungono nell'Unione;
la rinegoziazione, ferma come si è visto nella fase di Consiglio europeo, per tutelare il nostro Paese, deve passare necessariamente da una politica di accordi e alleanze con quei Paesi dell'Unione che fronteggiano i nostri medesimi problemi, il gruppo dei "Paesi del Mediterraneo" (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Malta e Cipro, un gruppo di Paesi che rappresentano un quarto della membership europea e contribuiscono al 41 per cento del budget della UE), scelta strategicamente importante per contrastare il gruppo dei "Paesi di Visegrad" che rifiutano l'applicazione del sistema di redistribuzione e delle quote europee per i rifugiati sostanzialmente sfavorendo l'interesse italiano;
per queste ragioni appare incomprensibile e contraria all'obiettivo di una strategia europea condivisa la ricerca da parte del Governo italiano di una controproducente alleanza proprio con i Paesi del gruppo di Visegrad, con l'Ungheria di Orban che finora non ha accolto neanche un richiedente asilo, così come la Polonia, mentre la Repubblica Ceca resta su numeri assolutamente insufficienti;
nel Consiglio europeo di giugno 2018, in particolare, l'introduzione del concetto di volontarietà, accettato dal Presidente del Consiglio dei ministri Conte e sostenuto irresponsabilmente dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Moavero Milanesi, ha rappresentato un deciso passo indietro rispetto ai progressi che si erano fatti dal 2016 e che, su iniziativa dei Governi della XVII Legislatura, favorivano la redistribuzione dei migranti richiedenti asilo in applicazione del principio di solidarietà esplicitamente riconosciuto dai trattati in materia di asilo e immigrazione;
l'azione del Governo italiano nel corso dei Consigli europei tenutisi nell'ultimo semestre, dunque, è stato assolutamente contrario alle esigenze dell'Italia, che con un'avanzata riforma del regolamento di Dublino avrebbe visto, assieme ad una compiuta politica europea in materia di migrazione, realizzarsi automaticamente e strutturalmente la ricollocazione dei migranti, senza dover giungere né allo scontro frontale con gli alleati europei e in particolare con quei Paesi che con l'Italia condividono problematiche ed interessi comuni in materia di gestione dei flussi migratori, né, soprattutto, a quelle politiche sconsiderate ed inumane nei confronti dei migranti che contrastano con i nostri principi fondamentali, con le norme del nostro ordinamento e con i trattati internazionali sottoscritti dall'Italia,
impegna il Governo:
1) a sostenere in ogni sede istituzionale europea, a partire dal Consiglio europeo, le modifiche alle norme del regolamento di Dublino, sulla base della proposta approvata a larga maggioranza dal Parlamento europeo, la quale è fondata sulla redistribuzione permanente e strutturale dei richiedenti asilo e introduce dunque il principio della responsabilità condivisa e solidale, prevedendo (nel rispetto di quanto sancito dall'articolo 80 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) che l'onere di procedere all'esame delle domande di asilo non gravi solo ed esclusivamente sul Paese di primo ingresso, ma riguardi tutti gli Stati membri dell'Unione, sulla base di criteri oggettivi calcolati in relazione al PIL e alla popolazione, stabilendo altresì un meccanismo sanzionatorio, già proposto dall'Italia nel 2016 e fondato su limitazioni all'accesso ai fondi UE per i Paesi che rifiutino di rispettare tale programma;
2) a proseguire nel percorso di equa condivisione delle responsabilità tra gli Stati membri in materia di gestione del fenomeno migratorio, sostenendo altresì le iniziative internazionali per la stabilizzazione della Libia, essenziale per rafforzare la sicurezza e la stabilità nella regione;
3) a sollecitare l'attuazione di un programma europeo di controllo efficace delle frontiere esterne, che implementi gli sforzi per combattere le reti criminali di trafficanti di uomini compiuti dal 2015 ad oggi, rafforzando i poteri e le competenze dell'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera e incentivando le azioni di dialogo e collaborazione messe in campo dall'Italia con le autorità dei Paesi di origine e di transito;
4) a sostenere lo sviluppo dei Paesi africani di origine e di transito mediante la previsione di dotazioni finanziarie adeguate, superando così l'asimmetria contributiva che vede poche centinaia di milioni di euro per contenere i flussi sulla rotta mediterranea a fronte di quelli erogati per contenere i flussi sulla rotta balcanica;
5) a sostenere un maggior coordinamento nelle politiche di accoglienza evitando di utilizzare la pratica della chiusura dei porti come strumento di pressione negoziale e a sostenere la creazione di piattaforme di sbarco regionali (hotspot) gestite a livello europeo, con risorse comunitarie, per procedere alla prima accoglienza ed identificazione dei migranti;
6) a promuovere e sostenere l'apertura di corridoi umanitari per quanti fuggono da guerre e conflitti e a sostenere tutte le iniziative assunte dall'Unione e dalla comunità internazionale per fermare guerre e conflitti armati e costruire soluzioni politiche fondate su dialogo e negoziato;
7) a promuovere ogni forma di collaborazione con l'UNHCR, con l'Organizzazione internazionale per le migrazioni e il Consiglio dei diritti umani dell'ONU, per l'apertura di centri di accoglienza nei Paesi di origine e soprattutto di transito che garantiscano il rispetto dei basilari diritti dei migranti;
8) a promuovere l'adozione di una normativa europea sul diritto di asilo, applicabile in modo omogeneo e uniforme da tutti i Paesi dell'Unione;
9) a sostenere e incentivare programmi nazionali di affidi familiari, con cui dare un focolare e una vita sicura agli stranieri minori non accompagnati;
10) ad accompagnare politiche coordinate e condivise a livello europeo di rimpatri umanitari volontari dei migranti irregolari;
11) a promuovere accordi bilaterali tra l'Unione europea e i Paesi africani per l'apertura di canali legali per la gestione dell'immigrazione economica.