Atto n. 4-01195

Pubblicato il 5 febbraio 2019, nella seduta n. 87

DE PETRIS - Ai Ministri delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. -

Premesso che:

nel nostro Paese la gestione delle presenze faunistiche è affidata esclusivamente alle uccisioni di animali in ambito venatorio e nelle attività di controllo;

la legge 2 dicembre 2005, n. 248, di conversione del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, recante "Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria", ha disposto che gli ungulati, fra i quali sono compresi i cinghiali, siano cacciabili secondo piani di selezione attuabili lungo tutto l'arco dell'anno e in qualsiasi ora del giorno e della notte;

negli ultimi 30 anni il numero di cinghiali uccisi in Italia è in costante aumento, mentre negli ultimi 40 anni il numero di cacciatori italiani risulta in costante diminuzione;

le odierne popolazioni di cinghiali sono il frutto di azioni di ripopolamento e reintroduzione operate dalle associazioni venatorie, anche con il sostegno delle istituzioni;

secondo le più recenti acquisizioni scientifiche presentate al convegno "Verso una gestione sostenibile dei grandi mammiferi in Italia: uno sguardo oltre 'l'emergenza cinghiale'" organizzato dalla Regione Emilia-Romagna: il prelievo di cinghiali non limita le popolazioni che continuano a crescere anche in contesti con prelievo molto intenso a causa di diversi fattori che comprendono approcci gestionali inadeguati o inattuati, contrarietà del mondo venatorio, biologia "sfidante" della specie, cambiamenti ambientali e climatici; la caccia agisce sulle diverse classi di sesso ed età in modo diverso dalla mortalità naturale, con l'effetto di diminuire l'aspettativa di vita media degli animali e ringiovanire le popolazioni; la caccia innesca risposte nella biologia riproduttiva della specie che, unitamente all'aumentata disponibilità trofica, causano un aumento della produttività delle popolazioni; la caccia altera il comportamento spaziale del cinghiale con, tra l'altro, l'effetto di aumentare il rischio di danni all'agricoltura o provocare concentrazioni anomale in aree a divieto di caccia; il foraggiamento finalizzato ad attrarre o legare i cinghiali ad un dato territorio è una pratica utilizzata anche nel resto d'Europa (Francia, Svizzera, Belgio, Polonia, eccetera), sebbene sia da tutti gli autori ritenuta critica in quanto in grado di aumentare il potenziale riproduttivo della specie e la sopravvivenza degli animali; l'adozione delle sole misure gestionali tecniche (prelievo, indennizzo, prevenzione), seppur efficaci, può non essere sufficiente a risolvere i conflitti sociali innescati dalla presenza del cinghiale;

l'ISPRA inoltre afferma che la legislazione e l'iter autorizzativo non sono un ostacolo ad una gestione efficace ma che, piuttosto, le problematiche derivino da conflitti di carattere socio-politico ancora insoluti: piani di gestione di Regioni o Province ancora troppo influenzati dai portatori di interesse e di conseguenza, spesso, tecnicamente "deboli"; il fatto che la gran parte del mondo venatorio miri a massimizzare il prelievo, non collaborando (o boicottando) a strategie gestionali finalizzate alla riduzione drastica delle presenze sul territorio; forti resistenze del mondo agricolo ad applicare misure di prevenzione del danno; eccessivo, e in alcuni casi totalmente ingiustificato, allarmismo sulla pericolosità della specie per l'uomo (sempre più numerose le ordinanze dei sindaci per pubblica incolumità);

oltre alle evidenze scientifiche riportate, la raccolta pressoché quotidiana di informazioni e notizie che danno conto dei conflitti generati dalla presenza di attività umane sui territori frequentati dai cinghiali dimostra il fallimento delle politiche gestionali della specie affidate all'approccio venatorio,

si chiede di sapere se, per risolvere il problema dei danni ascritti alla fauna selvatica (in particolar modo i cinghiali) i Ministri in indirizzo intendano proseguire applicando la fallimentare gestione venatoria, fornendo in tal senso dati e studi che ne dimostrino l'efficacia, o, di contro, se non intendano finanziare progetti di sviluppo che incentivino metodi in grado di agire sul controllo della fertilità degli animali selvatici (che, tra l'altro, risultano avere già dimostrato piena efficacia sui cinghiali in cattività): tali pratiche si configurano infatti come unico sistema che può concretamente ed efficacemente ridurre la presenza degli animali selvatici sul territorio, essendo svincolato dagli interessi del mondo venatorio.