Pubblicato il 6 dicembre 2018, nella seduta n. 68
PELLEGRINI Marco , MORRA , CAMPAGNA , CORRADO , ENDRIZZI , LANNUTTI , URRARO , ACCOTO , DONNO , GALLICCHIO , DELL'OLIO , LOMUTI , LUPO , MAIORINO , NATURALE , PERILLI , PIARULLI , PESCO , PIRRO , PRESUTTO - Al Ministro della giustizia. -
Premesso che, secondo quanto risulta agli interroganti:
dagli anni '70, in provincia di Foggia, operano pericolosi e spietati sodalizi criminosi di stampo mafioso che, nel corso dei decenni, ponendo in essere una serie di attività delittuose sempre più pervicaci e invasive, hanno, di fatto, conseguito il controllo militare di buona parte del territorio della provincia. Queste organizzazioni operano nell'ambito del traffico internazionale degli stupefacenti (in cui sono diventati leader nazionali per ciò che riguarda marijuana e hashish), in quello delle estorsioni, delle rapine (con assalti ai portavalori e alle banche in tutta Italia, rapine a tir, eccetera), dei rifiuti, delle armi, dell'usura, delle truffe alle assicurazioni, eccetera. I clan si dividono le zone di influenza della provincia, operando prevalentemente nelle zone di Foggia, del Gargano, di Cerignola e di San Severo;
dette compagini criminose costituiscono, nel loro insieme, la cosiddetta "quarta mafia" italiana, definita in tal modo dall'ex procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, che nel 2017 dichiarò che in provincia di Foggia si è da tempo radicata «una quarta mafia, con caratteristiche diverse ma altrettanto forte, organizzata e se possibile ancora più impenetrabile» ("la Repubblica" del 7 marzo 2017) rispetto alle altre mafie presenti nel resto d'Italia. Analoghe dichiarazioni sono state espresse dal questore di Foggia, dalla Commissione Antimafia (dopo la missione a Foggia del 27 aprile 2017) e dai magistrati che indagano su questi reati. Questa "quarta mafia" è sconosciuta all'opinione pubblica nazionale, anche perché i principali media l'hanno ignorata per decenni, almeno fino allo scorso anno, quando si sono verificati due gravissimi episodi, uno a San Severo (colpi di arma da fuoco contro mezzi della Polizia di Stato) l'altro a San Marco in Lamis il 9 agosto 2017 (duplice omicidio dei poveri fratelli Luciani, due cittadini innocenti e inermi);
la scia di sangue, purtroppo, non si è interrotta, tanto che nel 2017 si sono contati 20 omicidi. Nel 2018 se ne registrano finora quattro a Vieste (nell'ambito di una guerra di mafia) e, ultimi in ordine di tempo, uno a Foggia e uno a San Severo. Quest'ultimo è avvenuto in pieno giorno, inseguendo la vittima per strada, esplodendo circa 50 colpi, quindi con modalità cruente ed eclatanti, palesemente intimidatorie nei confronti della cittadinanza già prostrata psicologicamente;
si apprende dalla risoluzione in materia di analisi del fenomeno mafioso e criticità per l'amministrazione della giustizia negli uffici giudiziari operanti nella provincia di Foggia nel settore della criminalità organizzata (approvata dal Consiglio superiore della magistratura, CSM, con delibera consiliare del 18 ottobre 2017) che l'ottanta per cento degli oltre 300 omicidi di mafia commessi negli ultimi 35 anni sono rimasti impuniti. E ancora si legge: «In taluni contesti del foggiano il radicamento socio-culturale del sistema mafioso è così forte da produrre una generalizzata e assoluta omertà che, talvolta, trasmoda nella connivenza se non addirittura nel consenso. A riprova di questo deve evidenziarsi che, dal 2007, non si hanno collaboratori di giustizia interni ai circuiti associativi». La risoluzione del CSM, inoltre, evidenzia la «capillare presenza sul territorio dei gruppi organizzati e il ricorso alla estrema violenza come abituale metodo dell'operatività delittuosa, il che ha determinato nella società civile una forte assoggettamento al crimine, che, sul versante giudiziario, si traduce in comportamenti omertosi delle vittime con conseguenti difficoltà investigative e di accertamento giudiziale (...) Le denunce sono pressoché inesistenti e i pochi cittadini che le presentano quasi sempre in sede processuale ritrattano (...) Gli imprenditori, nel corso degli anni, sono passati da un assoggettamento estorsivo di tipo violento, ad un atteggiamento di volontaria sottomissione al sistema mafioso: spesso, infatti, è lo stesso imprenditore che si reca autonomamente dal mafioso per pagare il pizzo, anticipandone in tal modo la richiesta. E all'origine di tali iniziative degli imprenditori non vi è la finalità di lucrare vantaggi, ma la consapevolezza che l'agibilità del percorso esistenziale, economico, sociale e familiare non può affrancarsi dalla protezione mafiosa (...) La mafia garganica si presenta come particolarmente cruenta e non si accontenta di uccidere, usando di norma cancellare anche la memoria della vita soppressa. I cadaveri infatti sono spesso bruciati o buttati nelle grave, veri e propri cimiteri di mafia (...) Il fenomeno mafioso è, quindi, nell'insieme, compatto, feroce, profondamente radicato sul territorio, su cui esercita un vero e proprio controllo militare»;
nonostante tali univoche analisi da parte dei massimi organismi antimafia, circa l'ormai acclarata presenza di pericolosi e violentissimi clan mafiosi in tutta la provincia di Foggia, le condanne definitive comminate ex art. 416-bis del codice penale non sono numerose, nonostante lo sforzo e l'abnegazione profuse dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia (DDA) di Bari (competente per territorio) e dalle forze dell'ordine. Ad esempio, nei confronti di appartenenti alla mafia garganica, che è la più antica e, probabilmente, la più feroce e pericolosa fra quelle operanti in provincia di Foggia, si sono registrate condanne ex 416-bis codice penale solo nel 2006 (poi divenute definitive) per il processo "Iscaro-Saburo". Questo dato, a parere degli interroganti, conferma, da solo, l'insufficiente azione di contrasto messa in atto negli anni passati. Le non numerose condanne definitive, ex art. 416-bis, sono causate anche, o soprattutto, dalla mancanza sul territorio foggiano di sedi (autonome o distaccate) di Corte d'appello e della DDA. A parere degli interroganti, l'istituzione di queste ultime renderebbe più penetranti le indagini e la conoscenza delle attività criminose, meno probabile il mancato riconoscimento di associazione mafiosa, nonché faciliterebbe e velocizzerebbe molto il lavoro dei magistrati che non sarebbero costretti a dover seguire le indagini su ben tre province, ossia Bari, Barletta-Andria-Trani e Foggia, visto che, peraltro, quest'ultima è vastissima, la terza più estesa in Italia e che presenta vaste zone montuose o collinari difficilmente raggiungibili velocemente;
medesime valutazioni pervengono da parte della cittadinanza e degli enti locali, tanto è vero che negli scorsi mesi ben 36 comuni della provincia di Foggia (che rappresentano l'85 per cento circa della popolazione residente), nonché il Consiglio provinciale, pungolati e coinvolti dal Comitato «Appelliamoci! », hanno richiesto all'unanimità di istituire a Foggia sezioni distaccate della Corte di Appello, della DDA, del Tribunale per i minorenni di Bari e, infine, una sezione operativa della Direzione investigativa antimafia (DIA);
le suddette valutazioni circa la necessità della DDA a Foggia coincidono con quelle che emergono dalla citata risoluzione del CSM , in cui si legge: «Il Procuratore» della Repubblica presso il Tribunale di Foggia «ha posto anche l'accento sulla lontananza tra la sede della DDA, nel capoluogo di Regione, distante 140 chilometri da Foggia e oltre 200 dal Gargano, circostanza che determina "la inevitabile assenza di una "aderenza" dei magistrati che ne fanno parte al territorio, così come ai magistrati della Procura Ordinaria e alle Forze di Polizia Locali, intesa con riferimento a questi ultimi, come condivisione di notizie provenienti dal territorio (anche non necessariamente già costituenti notizia di reato)". Ha rappresentato l'opportunità che i magistrati della DDA siano presenti più stabilmente presso le sedi della Procura Ordinaria, al di là degli impegni di udienza. Ciò permetterebbe di avere un costante rapporto con forze di Polizia e con i colleghi della procura ordinaria, di monitorare i fenomeni, di conoscerne meglio la complessità e permetterebbe un più efficace intervento. Anche il Procuratore Generale» presso la Corte di Appello di Bari «ha auspicato una presenza sul territorio foggiano più stringente e più costante da parte della Direzione Distrettuale Antimafia.» E ancora: «Il Procuratore Generale della Corte di Appello» di Bari, «dando atto dell'ottima collaborazione tra il Procuratore Distrettuale Antimafia e il Procuratore di Foggia, ha auspicato una rivisitazione dei modelli organizzativi della DDA fondandoli su una presenza sul territorio da parte della Procura Distrettuale costante e quotidiana, che risolverebbe il problema del flusso immediato delle notizie tra Procura ordinaria e Direzione Distrettuale Antimafia». Infine, il CSM conclude che «per le ragioni sopraesposte va favorito ed incentivato, in linea con la normazione secondaria del CSM, il sistema dell'applicazione di sostituti Procuratori della Procura Ordinaria alla DDA; su tali applicazioni non può non esprimersi una valutazione positiva, in quanto, disponendo le applicazioni o le coassegnazioni in sede, si può concorrere alla formazione di professionalità anche in vista del successivo turn over nella Direzione Distrettuale Antimafia»,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti esposti e, nelle more dell'istituzione a Foggia delle sedi distaccate della Corte di appello, Direzione distrettuale antimafia e Tribunale per i minorenni di Bari, quali provvedimenti intenda adottare, e in che tempi, al fine di dare concreta attuazione a quanto suggerito dal procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Foggia, dal procuratore generale della Corte di Appello di Bari e dal CSM, in merito alla rivisitazione dei modelli organizzativi della DDA, fondandoli su una presenza sul territorio foggiano, da parte della Procura distrettuale, costante e quotidiana;
se intenda attivarsi, e in che tempi, per favorire e incentivare il sistema dell'applicazione di sostituti procuratori della Procura ordinaria alla DDA, considerato che, tra l'altro, con le applicazioni o le coassegnazioni in sede, si può concorrere alla formazione di professionalità anche in vista del successivo turn over nella DDA.