Atto n. 4-08329

Pubblicato il 31 ottobre 2017, nella seduta n. 907

GASPARRI - Al Ministro della giustizia. -

Premesso che:

l'articolo 11, comma 2, lettera m), del decreto del Ministro della giustizia 2 marzo 2016 prevede che "con successivi decreti del Ministro si provvede, entro novanta giorni dalla pubblicazione del presente decreto (...) a definire i criteri e le priorità di assegnazione delle sedi di servizio del personale dell'Amministrazione";

il Ministero competente ha inoltrato, con nota prot. 0333874 del 20 ottobre 2017, alle organizzazioni sindacali di settore, lo schema di decreto recante misure per la definizione dei criteri e delle priorità di assegnazione delle sedi di servizio del personale del Corpo di Polizia penitenziaria;

a parere dell'interrogante, lo schema del decreto sarebbe gravemente lesivo degli accordi, già intercorsi, tra l'amministrazione penitenziaria e le organizzazioni sindacali che, nel procedere alla regolamentazione dell'assegnazione del personale in esubero, hanno individuato una serie di criteri diversi da quelli emersi dallo schema. Così facendo, di fatto, il Ministro ha esautorato i vertici del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria delle proprie competenze e prerogative, ma ha altresì sconfessato un precedente accordo intervenuto tra gli stessi vertici e le organizzazioni sindacali rappresentative del Corpo;

le stesse organizzazioni sindacali con atto di diffida indirizzato al Ministro hanno paventato l'ipotesi di presentare ricorso al giudice del lavoro per comportamento antisindacale;

ad avviso dell'interrogante, lo schema di decreto sarebbe altresì gravemente discriminatorio per il personale di Polizia penitenziaria, rispetto a quello amministrativo, laddove prevede che il primo non possa restare in incarichi extramoenia (dipartimento, provveditorati, scuole) per più di 10 anni, atteso che una simile limitazione non è mai stata prevista per le altre figure professionali (dirigenti penitenziari, ragionieri, educatori);

si impone a quanti abbiano maturato i 10 anni di permanenza in sedi extramoenia di partecipare all'interpello annuale per le sedi vacanti. Qualora nessuno partecipasse a tale interpello, cosa molto probabile, il personale di Polizia penitenziaria verrebbe trasferito d'ufficio ad un istituto penitenziario; tale operazione costerebbe, in totale, circa 10.000.000 euro calcolati moltiplicando il costo di un trasferimento d'ufficio, pari a 20.000 euro, per almeno 500 unità di personale;

secondo l'interrogante lo schema di decreto potrebbe presentare profili di illegittimità laddove prevede effetti retroattivi. Il combinato disposto dei commi 1 e 2 dell'art. 10 sancisce un'applicazione retroattiva di questo nuovo divieto di permanenza in determinate sedi. Infatti, mentre la prima disposizione stabilisce che il limite decennale si applica ai trasferimenti disposti successivamente alla data di pubblicazione del decreto, il comma 2 prevede un'uscita scaglionata in tempi brevi, 6, 12 o 18 mesi, per tutto il personale che, alla data di pubblicazione del decreto, abbia maturato il periodo di 10 anni. Tale iniziativa incide su posizioni giuridiche consolidate;

il decreto, così congegnato, non appare conforme ai principi di efficacia, efficienza e buon andamento dell'amministrazione. Quanto all'interesse pubblico, infatti, il decreto, se verrà applicato, oltre ai possibili costi già evidenziati, andrebbe a mortificare il pluriennale sviluppo della Polizia penitenziaria, verso nuove funzioni gestionali di alto livello, come previsto dalla normativa vigente, e comporterebbe il trasferimento in tempi brevi di un consistente numero di lavoratori. Ciò costituirebbe un unicum nell'intero panorama dei Ministeri, col rischio, quasi certo, di paralizzare parti importanti della macchina amministrativa. Infatti, le sedi dalle quali verrebbero allontanati centinaia di dipendenti sono gli uffici centrali del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e di quello della giustizia minorile e di comunità, gli uffici regionali e interregionali dei provveditorati dell'amministrazione penitenziaria, le scuole e gli istituti di istruzione, le camere di sicurezza e i varchi di accesso di alcuni tribunali. In altri termini, si tratta di personale che svolge compiti pienamente aderenti al mandato della Polizia penitenziaria che, se allontanato in massa dalle attuali sedi di servizio, danneggerebbe e paralizzerebbe il funzionamento di servizi istituzionali e di uffici, di livello nazionale o regionale, anche delicatissimi, competenti in materia di assegnazione, trasferimento e gestione di detenuti, anche sottoposti a regimi speciali, contenzioso relativo al personale e ai detenuti, gestione del personale, coordinamento delle traduzioni di detenuti ed internati su tutto il territorio nazionale, approvvigionamenti e gestione di beni;

risulta, altresì, all'interrogante che la maggioranza del personale impiegato nei provveditorati regionali, a seguito di un accordo tra sindacati ed amministrazione, intervenuto negli anni passati, e su base volontaria, era stato trasferito dalla propria sede di servizio a quella del capoluogo di regione, per essere poi impiegato a prestare servizio presso lo stesso provveditorato, rinunciando, così, alla sede più vicina al proprio domicilio, nonché, i funzionari, ad importanti incarichi di comando;

a parere dell'interrogante, quindi, non si comprende quale sia la ratio che tale iniziativa sottende. Potrebbe trattarsi di un'iniziativa lodevole, rivolta a razionalizzare le risorse di personale da destinare ad incarichi operativi, soprattutto nelle carceri, da dove, ormai, quasi quotidianamente scappano detenuti, ma così non sembra, se si considera che, mentre le parti discutevano di tale decreto, un commissario della Polizia penitenziaria veniva distaccato dal carcere di Roma Rebibbia (dove ci sono state diverse evasioni negli ultimi anni) alla Direzione centrale anticrimine del Ministero dell'Interno, un assistente di Polizia penitenziaria al Tribunale di sorveglianza di Roma e un altro alla Procura della Repubblica di Roma. Incarichi, questi, che sicuramente qualificano la Polizia penitenziaria e la proiettano in una dimensione più ampia di quella strettamente penitenziaria, ma in stridente contrasto con le altre proposte del Ministro e dell'amministrazione penitenziaria stessa;

risulta all'interrogante che, in base alle piante organiche, al Dipartimento ci sarebbero 106 esuberi di personale di Polizia penitenziaria, dei quali circa 20 stanno andando in pensione. Inoltre, circa 80 unità attualmente in servizio parteciperanno al corso per vice ispettori che si svolgerà il prossimo anno. Pertanto, se la ragione di tale intervento fosse stata quella di eliminare gli esuberi, il problema si sarebbe potuto risolvere con due banali operazioni: il pensionamento di 20 persone e il successivo trasferimento di quanti parteciperanno al corso per vice ispettori. Non trovando, quindi, una logica in tutto questo, potrebbe sorgere il sospetto che la sostituzione di tali dipendenti "epurati" possa avvenire tramite personale gradito alla parte politica attualmente ai vertici del dicastero, con grave nocumento per l'imparzialità dell'azione amministrativa;

da informazioni pervenute all'interrogante, inoltre, le organizzazioni sindacali non sono state poste nella condizione di partecipare effettivamente alla ricognizione delle piante organiche, così come stabilito dall'articolo 27 del decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 2002, che l'amministrazione penitenziaria avrebbe già effettuato tramite il decreto ministeriale 2 ottobre 2017 (in corso di registrazione) quale elemento di fondamentale interesse e mai reso noto alle organizzazioni sindacali,

si chiede di sapere quali iniziative il Ministro in indirizzo intenda intraprendere al fine di riesaminare quanto previsto nello schema di decreto recante misure per la definizione dei criteri e delle priorità di assegnazione delle sedi di servizio del personale del Corpo di Polizia penitenziaria, dando seguito a quanto già stabilito negli accordi intercorsi tra l'amministrazione penitenziaria e le organizzazioni sindacali.