Pubblicato il 1 agosto 2017, nella seduta n. 870
ANITORI - Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. -
Premesso che:
l'articolo 3 della legge n. 977 del 1967, modificata dai decreto legislativo n. 345 del 1999 e n. 262 del 2000, afferma: "L'età minima per l'ammissione al lavoro è fissata al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e comunque non può essere inferiore ai 15 anni compiuti";
l'articolo 4, inoltre, precisa: "La direzione provinciale del lavoro può autorizzare, previo assenso scritto dei titolari della potestà genitoriale, l'impiego dei minori in attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario e nel settore dello spettacolo, purché si tratti di attività che non pregiudicano la sicurezza, l'integrità psicofisica e lo sviluppo del minore, la frequenza scolastica o la partecipazione a programmi di orientamento o di formazione professionale";
il lavoro in infanzia, preadolescenza e adolescenza nelle società industriali avanzate sta assumendo molteplici espressioni dal carattere ambiguo e contraddittorio;
accanto alle forme classiche di lavoro minorile ve ne sono alcune più sofisticate e apparentemente meno dannose per la salute fisica e psicofisica dei bambini, accettate senza reazione da parte dell'opinione pubblica e spesso meno socialmente e istituzionalmente poste sotto attenzione;
in particolare, una delle massime espressioni è rappresentata dal fenomeno delle bambine modelle, ormai abitudine commerciale nel mondo della moda-bambino;
a riguardo, secondo quanto emerso anche dal libro inchiesta "Bellissime. Baby miss, giovani modelli e aspiranti lolite (Fandango Libri)" della scrittrice Flavia Piccinni, si evince chiaramente una realtà poco trasparente e preoccupante: le bambine, infatti, sono spesso vittime di un'adultizzazione precoce, vengono truccate e presentate con atteggiamenti, comportamenti, abiti e calzature non in linea con la loro età, particolare che dovrebbe spingere a interrogarsi non soltanto rispetto alla percezione di quello che accade da parte dei minori, soprattutto poiché non è garantito alcun supporto di tipo psicologico, ma anche rispetto alla produzione di immagini, che potrebbero avere utilizzo pedopornografico;
considerato che:
a parere dell'interrogante, la problematica deve essere osservata, valutata e affrontata in una dimensione socialmente e culturalmente più ampia, ovvero con il superamento degli stereotipi di genere, anche in piccola età;
i ruoli di genere si costruiscono e si affermano attraverso una serie di influenze sociali, esercitate in particolare dai mezzi di informazione e dalla società dell'immagine, che prendono forma nelle fasi dell'infanzia e dell'adolescenza e si sviluppano poi per tutta la vita;
molte volte, soprattutto le bambine entrano precocemente in contatto con modelli di genere promossi dalla televisione, dallo spettacolo ludico, dalle pubblicità e dagli atteggiamenti osservati nella società; nondimeno, anche le strategie di marketing rivolte a bambini, bambine e genitori tendono a produrre e rinforzare stereotipi di genere;
tenuto conto che:
il dibattito sull'impiego dei bambini in televisione, nello spettacolo e nelle rappresentazioni al pubblico, nonché il superamento degli stereotipi di genere, è tuttora aperto, lo è in Italia, lo è in Europa, lo è nei Paesi del Sud del mondo;
ad esempio, il Regno Unito ha iniziato la sua campagna culturale contro le pubblicità che sfruttano stereotipi di genere per promuovere i prodotti: nello specifico, l'Advertising standards authority (ASA), ovvero l'organizzazione di autoregolamentazione dell'industria pubblicitaria del Regno Unito, ha deciso di stilare una serie di regole atte a limitare l'uso nelle campagne pubblicitarie di cliché offensivi per le donne o per gli uomini, basandosi su un recente rapporto dal titolo "Rappresentazione, percezione e danno". La motivazione di questa scelta è legato al fatto che, secondo l'ASA, i messaggi veicolati dalle pubblicità hanno un'influenza soprattutto sulle fasce più deboli;
tenuto conto, inoltre, che:
la Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (Convention on the rights of the child), adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, riconosce i diritti civili, sociali, politici, culturali ed economici, di cui sono titolari bambini, bambine e adolescenti;
l'Italia ha ratificato la Convenzione con la legge n. 176 del 1991;
secondo quanto stabilito dall'articolo 19 della convenzione, "gli Stati parti adottano ogni misura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di violenza, di oltraggio o di brutalità fisiche o mentali, di abbandono o di negligenza, di maltrattamenti o di sfruttamento, compresa la violenza sessuale", concetto ribadito anche dall'articolo 37 della nostra Carta costituzionale;
a riguardo specifico del caso citato, la partecipazione dei minori a sfilate di moda o a spot pubblicitari è regolata dalla circolare n. 67 del 1989 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che stabilisce varie prescrizioni in base all'età dei minori e, dunque, si precisa che, se per un bambino fino a 3 anni "deve essere posto a disposizione dei genitori o del tutore un locale idoneo atto a garantire il soddisfacimento delle principale esigenze fisiologiche del bambino" e "l'impegno lavorativo non potrà in alcun modo superare le tre ore giornaliere e deve avvenire in presenza del genitore o del tutore o di persona da questi espressamente delegata", per un minore dai 6 ai 15 anni "le ore lavorative non devono superare complessivamente le 7 ore giornaliere e le 35 ore settimanali";
anche la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, all'articolo 24, comma 2, dispone che: "In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del minore deve essere considerato preminenti";
altra problematica denunciata dall'inchiesta citata, è quella delle baby miss che arrivano dall'estero, prevalentemente da Spagna e Russia, e rispetto alle quali bisognerebbe appurare che le partecipazioni siano in regola rispetto al lavoro minorile, dei Paesi natii e che la gestione fiscale delle partecipazioni si svolga secondo la regolamentazione italiana,
si chiede di sapere:
se il Governo, per quanto di propria competenza, sia a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative intenda intraprendere, affinché i principi costituzionali, comunitari e internazionali sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, vengano garantiti;
se siano previste forme di controllo atte a tutelare l'integrità fisica e psicologica dei bambini impegnati negli ambienti dello spettacolo e della moda;
quali siano le iniziative promosse dal Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri con particolare riferimento alle campagne di sensibilizzazione e comunicazione per istituire specifici corsi di orientamento nelle scuole primarie e secondarie, così da informare i bambini in merito alle conseguenze negative degli stereotipi di genere;
se non sia opportuno rivedere i parametri della menzionata circolare n. 67 del 1989 del Ministero del lavoro;
se sia tra le priorità del Governo intensificare anche i controlli presso le agenzie di spettacolo e moda, affinché sia assicurata una sana e rispettosa immagine del bambino;
quali siano le posizioni circa le sfilate di moda, le pubblicità o spettacoli dal vivo, le cui protagoniste sono bambine spesso indirizzate dall'esibizione del corpo.