Atto n. 4-07350

Pubblicato il 3 agosto 2022, nella seduta n. 459

CORRADO Margherita, ANGRISANI Luisa, GRANATO Bianca Laura, LANNUTTI - Al Ministro della cultura. -

Premesso che:

a novembre 2021 l'editore Castelvecchi ha pubblicato, nella collana "Antipatrimonio", curata da Maria Pia Guermandi e Tomaso Montanari, un saggio intitolato "Decolonizzare il patrimonio. L'Italia, l'Europa e il passato che non passa", scritto dalla stessa Guermandi sulla scia del dibattito internazionale (vivace soprattutto nei Paesi anglofoni e francofoni) teso al superamento del pregiudizio della superiorità culturale dell'Occidente, al quale si sono accompagnati e si accompagnano gesti concreti di alto valore simbolico ma anche iniziative di decolonizzazione assunte sulla spinta di pulsioni a volte non meno cieche e violente di quelle "colonialistiche" del XIX e XX secolo;

storicamente, l'antropologia e l'archeologia sono state le scienze più funzionali alla colonizzazione e ad esse si devono grandi musei "globali" che oggi sono ovunque (anche in Italia) sotto la lente degli studiosi e dell'opinione pubblica, messi in discussione nel loro stesso diritto ad esistere, oltre che nella loro funzione, se non a patto di convertirsi al più presto ai nuovi dogmi e alle mode conseguenti, risultato di forzature persino terminologiche come decolonialismo, intersezionalità, pluriversalità;

considerato che, per quanto risulta agli interroganti:

nel quartiere EUR di Roma, dal 2016 il "museo delle Civiltà" (MUCIV) riunisce in un unico istituto con autonomia speciale l'ex "museo coloniale", il "museo preistorico ed etnografico Luigi Pigorini", il "museo dell'alto Medioevo Alessandra Vaccaro", il "museo dell'arte orientale Giuseppe Tucci" e il "museo delle arti e tradizioni popolari Lamberto Loria", allocati nel complesso progettato per l'esposizione universale del 1942 (i primi 4 nel palazzo delle Scienze e l'ultimo nel palazzo delle Tradizioni) in piazza Guglielmo Marconi (si veda la voce "museo delle Civiltà" sul sito ministeriale). Il 4 febbraio 2022 la direzione del museo è stata attribuita ad Andrea Viliani, nomina che l'ufficio di controllo della Corte dei conti che vigila sugli atti del Ministero della cultura ha ammesso a registrazione solo il 6 aprile, e solo "per correttezza amministrativa", dopo aver formulato rilievi sulla procedura di selezione, invitando inoltre l'amministrazione, per il futuro, "a voler meglio esplicitare il percorso motivazionale che ha condotto alla scelta finale", e a fornire rassicurazioni sul punto;

dopo che nei mesi scorsi si erano diffusi timori circa la permanenza nel museo delle Civiltà del "museo dell'alto Medioevo", di cui si vociferava che le collezioni sarebbero state trasferite al "museo nazionale romano-Crypta Balbi", e l'aula rivestita in opus sectile della domus di porta Marina sarebbe stata riportata ad Ostia, mandando in fumo la cospicua spesa affrontata pochi anni fa per il suo allestimento (con conseguente danno erariale), decisioni entrambe insensate e anti-culturali;

quelle apprensioni sono state rafforzate, di recente, e se ne sono aggiunte di nuove, per il fatto che il direttore Viliani ha annunciato la presentazione, il 26 ottobre 2022, del riallestimento del museo a fini "eversivi" in rapporto ai compiti del museo: far sì che esso "non risulti un luogo di mostra ma di riflessione". Orbene, se farne un luogo di meditazione è certamente lecito e implicitamente già ci si attende che un museo lo sia, contrapporre riflessione ad esposizione, negando che il museo delle Civiltà debba e possa "mostrare", va contro la storia e la missione di qualsiasi museo, tranne che, e sembra proprio questo il caso, non ci si vergogni della natura museale dell'istituto e si faccia di tutto per nasconderlo e farlo dimenticare al pubblico (si veda l'articolo "artribune.com/professioni-e-professionisti/2022/07/andrea-viliani-museo-delle-civilta-roma");

supportato dalla rodata macchina propagandistica del Ministero, il ripensamento del museo delle Civilità come "museo antropologico contemporaneo (…) decoloniale e multispecie", appena preannunciato, è già stato non solo assolto da ogni eventuale difetto ma gratificato di un'istantanea quanto prematura apoteosi di tutte le riaperture e i riallestimenti in programma, nonché degli annunciati ripensamenti delle sezioni ex coloniale e dei materiali organici, lasciando intendere che esso garantirà quello svecchiamento da troppo tempo atteso e sempre rimandato nella speranza che "sorgesse il sole dell'avvenire", ovviamente sorto con l'arrivo alla direzione del dirigente;

autocertificata la validità intrinseca della propria rilettura, il direttore ha svelato qualcosa anche della seconda tappa del percorso che, spalmato su 4 anni, si prefigge di intraprendere nell'ambito del "grande progetto museo delle Civiltà": intende vuotare alcune vetrine "appartenenti a varie epoche della storia del museo" per metterle a disposizione di 6 artisti che saranno "invitati a creare un nuovo programma di lungo termine in cui sviluppare autonomi progetti di ricerca, il cui oggetto saranno le collezioni e gli archivi del museo delle civiltà". In cosa si tradurrà tale affermazione è difficile immaginare ma almeno una conseguenza è certa fin d'ora: il decreto legislativo n. 42 del 2004 non riconosce come beni culturali le opere dei contemporanei se non a precise condizioni, tra cui l'appartenenza a collezioni di musei pubblici. I lavori dei 6 artisti all'interno del museo acquisteranno "automaticamente" la patente di beni culturali, e ciò renderà più "pesante" il curriculum di ciascuno dei 6 soggetti, non si sa ancora come selezionati;

valutato che:

risulta agli interroganti che il progetto di attualizzare le collezioni degli istituti facenti parte del museo delle Civiltà approfondendo l'aspetto antropologico, in omaggio alle tendenze attuali, non sia affatto una novità introdotta da Viliani: l'impegno di organizzare mostre tematiche a soggetto antropologico in atto da diversi anni, con iniziative spesso premiate da un grande successo di pubblico;

per l'Africa, merita ricordare "Aperti per lavori, impressioni d'Africa" (2018), seguita alla mostra sulle donne imprenditrici africane e a "[S]oggetti migranti. Dietro le cose le persone" (settembre 2012-aprile 2013), che vide gli antropologi del museo Pigorini collaborare con quelli del musée royal de l'Afrique centrale di Tervuren, del Museum für Völkerkunde di Vienna e del musée du quai Branly di Parigi. Per il Giappone, si segnalano "Geisha, l'arte, la persona" (luglio 2018-gennaio 2019) e la mostra fotografica di Damiano Rosa "Ichigo ichie, Una volta un incontro" (2019). Per l'America latina, "Qhapaq Non, Il grande cammino delle Ande" (2021); per le tribù canadesi la mostra fotografica di Roberto Vignoli "Fighters, l'altra storia degli Ucwalmicw, dei Sioux e dei Tainos" (dicembre 2016-gennaio 2017). Nel museo dell'alto Medioevo, infine, da aprile a giugno 2019 fu organizzata un'interessante mostra sulla sifilide, intitolata "La malattia della vergogna". Quanto al museo Pigorini, chiuso da tempo, sarà il futuro teatro de "l'avventuroso racconto dell'era dell'Antropocene" (Viliani), destinato agli alunni delle scuole, che, in verità, già lo frequentavano e svolgevano laboratori con guide specializzate,

si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo non voglia rivalutare, usando maggiore prudenza, l'opportunità di assecondare i progetti del direttore Viliani tesi a "scombinare" tutte le esposizioni storiche e spostare finanche i depositi del museo, a parere degli interroganti senza una ragione scientifica patente, ma come mera dimostrazione di un "attivismo contemporaneo" (notoriamente gradito di per sé al vertice amministrativo dei musei) teso a propagandare un'antropologia improvvisata e di spettacolo che per fini personalistici è disposta a sacrificare, senza rispettarne la valenza storica, le collezioni e la qualità della proposta culturale di questo grande museo.