Senato della Repubblica | XVII LEGISLATURA |
Servizio Affari internazionali
"Violenza sulle donne - Una sfida per tutti" (Bruxelles, 5 marzo 2014)
Senato della Repubblica | Camera dei deputati |
XVII LEGISLATURA
Documentazione per le Commissioni
riunioni interparlamentari
Violenza sulle donne – Una sfida per tutti
Bruxelles, 5 marzo 2014
Senato della Repubblica n. 29/AP | Camera dei deputati n. 23 |
3 marzo 2014
Il dossier è stato curato dall’Ufficio rapporti con l’Unione europea della Camera dei deputati ( 066760.2145 - cdrue@camera.it)
Il capitolo “I Sessione: esperienza e legislazione a livello nazionale/regionale” è stato curato dal Servizio Studi della Camera dei deputati, Dipartimento giustizia ( 066760.9148)
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I dossier dei servizi e degli uffici del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari.
Il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati declinano ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
I N D I C E
Le disposizioni applicabili e la più recente attività parlamentare3
La Convenzione di Istanbul e la legge di autorizzazione alla ratifica11
Lo stato dei fondi per il contrasto alla violenza di genere17
I profili di inattuazione della Convenzione di Istanbul19
II Sessione: l’azione strategica a livello europeo21
La dimensione del problema all’interno dell’UE24
Premessa
La Riunione interparlamentare “Violenza sulle donne – Una sfida per tutti”, presso il Parlamento europeo del prossimo 5 marzo (Giornata internazionale della donna) sarà l’occasione, tra l’altro, per la presentazione dell’Indagine sulla violenza di genere contro le donne in Europa, realizzato dall’Agenzia europea dei diritti fondamentali – FRA. Si tratta di uno studio su larga scala, iniziato nel 2011, basato in particolare sull’intervista di oltre 40.000 donne (circa 1.500 per Stato membro) di età compresa tra 18 e 74 anni circa la loro esperienza di violenza fisica, sessuale e psicologica, di vittimizzazione nell'infanzia, di molestie sessuali e stalking, e di abusi subiti via Internet. La raccolta dei dati è stata completata nel settembre del 2012. I risultati dell’indagine saranno altresì presentati nell’apposita Conferenza di lancio: “Violenza contro le donne nell’Unione europea: abusi a casa, sul lavoro, in pubblico e onilne”.
I Sessione: esperienza e legislazione a livello nazionale/regionale (a cura del servizio studi)
Le disposizioni applicabili e la più recente attività parlamentare
L'ordinamento italiano non prevede misure volte a contrastare specificamente ed esclusivamente condotte violente in danno delle donne, ma prevede specifiche aggravanti quando alcuni delitti abbiano la donna come vittima.
Per il nostro diritto penale, se si esclude il delitto di mutilazioni genitali femminili, il genere della persona offesa dal reato non assume uno specifico rilievo (e conseguentemente non è stato fino ad oggi censito nelle statistiche giudiziarie).
La mancanza di dati statistici ufficiali ed aggiornati sul numero di delitti commessi a danno di donne è stata negli ultimi mesi più volte stigmatizzata; ciò che appare evidente è peraltro che i sempre più drammatici, frequenti ed efferati episodi di cronaca, hanno certamente elevato la percezione della violenza nei confronti delle donne come un fenomeno in aumento.
Le disposizioni penali applicabili alle ipotesi di violenza contro le donne
Per quanto l'ordinamento italiano non preveda spefiche aggravanti quando i delitti sono commessi contro le donne (non prevede, ad esempio, il c.d. femminicidio), è indubitabile che vittime di una serie specifica di delitti siano principalmente le donne (si pensi ai reati a sfondo sessuale).
Di seguito si dà dunque conto delle principali fattispecie penali astrattamente applicabili in presenza di una violenza contro le donne.
Si tratta di disposizioni sulle quali è anche recentemente intervenuto il legislatore, proprio con l'intento di rafforzare gli strumenti penali di contrasto della violenza di genere.
I maltrattamenti in famiglia
Essendo la violenza familiare prevalentemente violenza di genere, una rassegna delle fattispecie penali in danno delle donne non può che partire dall'esame degli strumenti di tutela contro la violenza che si sviluppa in ambito familiare, sia attraverso interventi di diritto penale sostanziale (si pensi al delitto di maltrattamenti in famiglia) che mediante misure di protezione della potenziale vittima (come gli ordini di protezione contro gli abusi familiari).
L'articolo 572 del codice penale, Maltrattamenti contro familiari e conviventi, come novellato da ultimo dal decreto-legge 93/2013, punisce con la reclusione da 2 a 6 anni chiunque maltratta una persona della famiglia o un convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità , o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da 4 a 9 anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da 7 a 15 anni; se ne deriva la morte, la reclusione da 12 a 24 anni.
La norma non precisa i soggetti passivi del reato ovvero le persone della famiglia cui l'art. 572 fa riferimento. Secondo la giurisprudenza dominante, tuttavia, per famiglia non deve farsi riferimento al solo coniuge, figli, consanguinei, adottati, ecc. bensì alla famiglia in senso lato ovvero ogni consorzio di persone tra cui, per intime relazioni e consuetudini di vita, siano sorti legami di reciproca assistenza e protezione.
Quanto alle misure di protezione della vittima, la legge 154 del 2001, Misure contro la violenza nelle relazioni familiari, ha introdotto un sistema di tutela contro il fenomeno della violenza domestica basato sull'impiego di strumenti penalistici e civilistici.
In sede penale, il legislatore ha introdotto la misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.): chi subisce la misura (coniuge, convivente o altro componente del nucleo familiare) deve lasciare immediatamente la casa e solo il giudice può concedere l'autorizzazione al rientro. Con lo stesso provvedimento il giudice può prescrivere il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa (il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia d'origine o dei congiunti più prossimi).
L'applicazione della misura cautelare si pone come un'alternativa alla custodia in carcere ma non la esclude: nei casi più gravi, infatti, può anche essere disposta la misura coercitiva privativa della libertà. Come tutte le misure cautelari, anche questa richiede l'esistenza di gravi indizi di colpevolezza, il pericolo di reiterazione di delitti, il criterio della proporzionalità tra gravità del fatto e misura prescelta. La norma è generalmente applicabile ai procedimenti per delitti puniti con pena superiore, nel massimo, a tre anni; tale limite di pena non si applica quando si procede per alcuni particolari delitti in danno dei prossimi congiunti o del convivente (violazione degli obblighi di assistenza familiare; abuso dei mezzi di correzione o di disciplina; lesioni aggravate, delitti di tratta, delitti di sfruttamento sessuale di minori, violenza sessuale e atti persecutori).
Da ultimo, il decreto-legge n. 93 del 2013 ha inserito nel codice di procedura anche art. 384-bis, Allontanamento d'urgenza dalla casa familiare, che consente alla polizia, previa autorizzazione anche per le vie brevi del pubblico ministero, di disporre l'allontamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, di colui che sia colto in flagranza di uno dei particolari delitti in danno dei prossimi congiunti o del convivente (v. sopra), se vi sia pericolo di una reiterazione delle condotte.
In sede civile sono stati introdotti dalla legge 154/2001 gli articoli 342-bis (Ordini di protezione contro gli abusi familiari) e 342-ter (Contenuto degli ordini di protezione) del codice civile: si tratta di misure volte ad ottenere la tutela della vittima anche quando sussista soltanto una accertata situazione di tensione e non necessariamente un reato. Diversamente dalla misura penalistica, le cui condizioni di applicabilità sono fissate in via generale per tutte le misure cautelari, il presupposto positivo che legittima l'adozione dell'ordine in sede civile consiste, infatti, nel "grave pregiudizio all'integrità fisica e morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente". L'ordine di protezione è un provvedimento d'urgenza che il giudice adotta con decreto, su istanza di parte, per una durata massima di un anno (prorogabile su istanza di parte soltanto se ricorrono gravi motivi e per il tempo strettamente necessario), con cui sono ordinati la cessazione della condotta e l'allontanamento dalla casa familiare con eventuale ordine di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall'istante; sono altresì dettate le specifiche modalità di adempimento ed è eventualmente disposto l'intervento dei servizi sociali o di un centro di mediazione familiare nonché il pagamento periodico di un assegno (art. 342-ter c.c.).
Chiunque violi l'ordine di protezione (ma anche analoghi provvedimenti assunti nei procedimenti di separazione e di divorzio) è soggetto alla pena della reclusione fino a 3 anni o della multa da 103 a 1.032 euro, incorrendo nella mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 388 c.p.).
I reati di violenza sessuale
Il codice penale inquadra i reati di violenza sessuale tra i delitti contro la libertà personale. Tali reati sono disciplinati dagli articoli da 609-bis a 609-undecies.
L'art. 609-bis (Violenza sessuale) punisce con la reclusione da 5 a 10 anni chi, con violenza o minaccia o abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali. La stessa pena si applica a chi costringe taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto o traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Nei casi di minore gravità, la pena può essere diminuita in misura non eccedente i due terzi.
Il legislatore non definisce il concetto di "atti sessuali", rimettendo la specificazione della condotta alla giurisprudenza.
L'art. 609-ter disciplina alcune circostanze aggravanti del reato di violenza sessuale, prevedendo la pena della reclusione da 6 a 12 anni nei seguenti casi:
violenza sessuale su minore di 14 anni;
uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa;
fatto commesso da persona travisata o da persona che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio;
fatto commesso su persona sottoposta a limitazioni della libertà personale;
violenza sessuale commessa nei confronti di un minorenne, della quale il colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore;
fatto commesso all'interno o nelle immediate vicinanze di istituti di istruzione o di formazione frequentati dalle persone offese;
fatto commesso nei confronti di persona in stato di gravidanza;
fatto commesso nei confronti di persona della quale il colpevole sia il coniuge, anche separato o divorziato, ovvero colui che alla stessa persona è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza.
La pena è invece della reclusione da 7 a 14 anni se la violenza sessuale è commessa ai danni di persona che non ha compiuto 10 anni.
La violenza sessuale di gruppo è punita dall'art. 609-octies del codice penale, che la definisce come partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale. Mentre è necessario che costoro partecipino all'esecuzione materiale del reato, non occorre che tutti compiano atti di violenza sessuale (Cass., Sez. III, 5 aprile 2000). La pena è della reclusione da 6 a 12 anni ed è aumentata se concorre taluna delle circostanze aggravanti precedentemente descritte, contemplate dall'art. 609-ter. Sono, inoltre, previste alcune circostanze attenuanti specifiche: viene infatti stabilito che la pena è diminuita per il partecipante la cui opera abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell'esecuzione del reato. La pena è altresì diminuita per chi sia stato determinato a commettere il reato in ipotesi di sudditanza psicologica (numeri 3) e 4) del primo comma e dal terzo comma dell'articolo 112 c.p.).
Per quanto riguarda il profilo inerente alla tutela dei minori, l'art. 609-quater (Atti sessuali con minorenne) prevede "al di fuori dei casi di violenza sessuale" la non punibilità del minore che compia atti sessuali con persona che abbia compiuto 13 anni, purché la differenza di età tra i soggetti non sia superiore a 3 anni.
Al di fuori di questa ipotesi, viene mantenuto fermo il principio per il quale si presume che il minorenne sino a 14 anni non possa avere rapporti sessuali consensuali; qualora vi sia violenza, minaccia o abuso di autorità su persona minore di anni 14 si ha un'ipotesi di violenza sessuale aggravata (ai sensi dell'art. 609-ter), mentre se sussiste il consenso del minore di 14 anni si rientra nel reato di atti sessuali con minorenne, punito con le stesse pene previste dall'art. 609-bis.
Per quanto riguarda i minori di 16 anni, il codice penale stabilisce che la punibilià è limitata agli atti sessuali commessi da chi sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, il di lui convivente, il tutore ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore sia affidato o che abbia con il minore una relazione di convivenza. Non sono, quindi, punibili gli atti sessuali con minore di 16 anni consenziente commessi da un soggetto "estraneo" al minore, ossia che non si trovi in quelle relazioni speciali per le quali l'art. 609-quater ritiene che vi sia uno stato di sudditanza psicologica tale da escludere valore al consenso prestato. Costituisce, invece, violenza sessuale aggravata l'ipotesi in cui i fatti di cui all'articolo 609-bis siano commessi nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni 16, della quale il colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore.
L'art. 609-quater specifica, inoltre, che al di fuori dei casi di cui all'articolo 609-bis, l'ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, o il tutore che, con l'abuso dei poteri connessi alla sua posizione, compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni sedici, è punito con la reclusione da tre a sei anni.
Per tutte le fattispecie di atti sessuali con minorenni, la pena è ridotta fino a due terzi nei casi di minore gravità .
L'art. 609-quinquies punisce con la reclusione da 1 a 5 anni la corruzione di minorenne, ovvero il compimento di atti sessuali in presenza di persona minore di anni quattordici, al fine di farla assistere. La disposizione prevede la medesima pena anche a carico di chiunque faccia assistere un infraquattordicenne al compimento di atti sessuali, ovvero gli mostri materiale pornografico al fine di indurlo a compiere o a subire atti sessuali e introduce un'aggravante (pena aumentata fino alla metà) nell'ipotesi in cui il delitto sia commesso da una persona legata da rapporti particolari con il minore: un ascendente, un genitore (anche adottivo), il convivente del genitore, il tutore o chiunque altro al quale il minore sia affidato (per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza o custodia), o chiunque conviva stabilmente con il minore.
L'art. 609-sexies precisa che quando i delitti di violenza sessuale sono commessi in danno di un minorenne il colpevole non puòl invocare, a propria scusa, l'ignoranza dell'età della persona offesa.
L'art. 609-undecies punisce con la reclusione da 1 a 3 anni l'adescamento di minorenni, ovvero la condotta di chiunque adeschi un minore di 16 anni, ovvero compia atti idonei a carpire la fiducia attraverso artifici, lusinghe o minacce, anche attraverso l'utilizzazione della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione. La condotta deve essere finalizzata alla commissione di uno dei seguenti delitti: riduzione o mantenimento in schiavitù (art. 600); prostituzione minorile (art. 600-bis); pornografia minorile (art. 600-ter); detenzione di materiale pedopornografico, anche virtuale (artt. 600-quater e 600-quater. 1); turismo sessuale (art. 600-quinquies); violenza sessuale (art. 609-bis); atti sessuali con minorenne (art. 609-quater); corruzione di minorenne (art. 609-quinquies); violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies).
Dal punto di vista processuale, l'art. 609-septies del codice penale prevede che i reati di violenza sessuale, anche aggravati, e gli atti sessuali con minorenne siano punibili a querela della parte offesa e che la querela, una volta proposta, sia irrevocabile. Si procede, tuttavia, d'ufficio nei seguenti casi:
se il fatto è commesso nei confronti di persona minore di anni diciotto;
se il fatto è commesso dall'ascendente, dal genitore, anche adottivo, dal di lui convivente, dal tutore o da un soggetto cui il minore sia affidato per ragioni di custodia, cura, educazione, vigilanza, istruzione o che abbia con esso una relazione di convivenza;
se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle proprie funzioni;
se il fatto è¨ connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio;
se il fatto è commesso nei confronti di minore di anni dieci consenziente;
se si tratta di violenza sessuale di gruppo.
Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi (secondo comma).
L'art. 609-decies sancisce inoltre che per i delitti di sfruttamento sessuale dei minori e di violenza sessuale in danno di minori, sia data comunicazione, a cura del procuratore della Repubblica, al tribunale per i minorenni. L'autorità giudiziaria procedente cura che il minore, in sede processuale, sia assistito, dal punto di vista affettivo e psicologico, dai genitori o da persona idonea indicata dal minore, da gruppi, fondazioni, associazioni, organizzazioni non governative purché presentino le seguenti caratteristiche: abbiano comprovata esperienza nel settore dell'assistenza e del supporto alle vittime dei reati a sfondo sessuale in danno di minori; siano iscritti in un apposito elenco; ricevano il consenso del minorenne. Peraltro, anche la presenza di questi soggetti dovrà essere ammessa dall'autorità giudiziaria.
Inoltre, la disposizione precisa che quando si procede per un delitto di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale aggravata o stalking, commessi in danno di un minorenne o da uno dei genitori di un minorenne in danno dell'altro genitore, la comunicazione al Tribunale per i minorenni opera anche al fine di consentire all'autorità giudiziaria di valutare le proprie scelte in termini di affidamento del minore e eventuale decadenza dalla responsabilità genitoriale.
Per quanto riguarda le pene accessorie e gli altri effetti penali, di cui tratta l'art. 609-nonies, è previsto che la condanna o il patteggiamento della pena per uno dei reati di violenza sessuale comporti le seguenti pene accessorie:
la perdita della potestà dei genitori, quando la qualità di genitore sia elemento costitutivo del reato o circostanza aggravante;
l'interdizione perpetua dagli uffici di tutore, curatore e amministratore di sostegno;
la perdita del diritto agli alimenti e l'incapacità successoria nei confronti della persona offesa;
l'interdizione dai pubblici uffici se il condannato ha abusato della propria funzione;
la sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte.
La disposizione prevede inoltre che la condanna o il patteggiamento, per alcuno dei delitti di violenza sessuale, anche aggravata, e di violenza sessuale di gruppo, se commessi nei confronti di un minorenne, di atti sessuali con minorenne e di corruzione di minorenne, comporta in ogni caso l'interdizione perpetua da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado nonché da ogni ufficio o servizio in istituzioni o in altre strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori. Con la legge 172/2012, di ratifica della Convenzione di Lanzarote, sono state introdotte in questa disposizione misure di sicurezza personali a carico di colui che sia stato condannato per delitti di natura sessuale in danno di minorenni; in particolare, dopo l'esecuzione della pena e per i successivi 5 anni al reo sono applicate le seguenti misure: restrizioni alla libertà di circolazione; divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati da minori; divieto di svolgere lavori che comportino un contatto abituale con i minori; obbligo di aggiornare le autorità sui propri spostamenti.
Lo stalking
Il decreto-legge n. 11 del 2009 ha introdotto nel codice penale l'articolo 612-bis, che disciplina il reato di "Atti persecutori" (cd. stalking).
Per la sussistenza della nuova fattispecie delittuosa si richiede la ripetitività della condotta, nonché l'idoneità dei comportamento a provocare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero a ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona alla medesima legata da relazione affettiva ovvero a costringere la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è della reclusione da sei mesi a cinque anni (la pena massima è stata portata a 5 anni dal decreto-legge 78/2013, al fine di permettere l’applicazione della custodia cautelare in carcere).
Il delitto è aggravato nelle seguenti ipotesi:
il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è¨ stata legata da relazione affettiva alla persona offesa;
il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici;
il fatto è commesso a danno di un minore;
il fatto è commesso in danno di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità
il fatto è commesso con armi o da persona travisata.
Sul versante processuale, il delitto è punito a querela della persona offesa, che deve essere presentata entro sei mesi dai fatti. Si procede d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità. Dopo un lungo dibattito in sede di conversione del decreto-legge n. 93 del 2013, il Parlamento ha confermato la procedibilità a querela del delitto ed ha negato l'irrevocabilità della querela stessa (originarimente richiesta dal Governo); il legislatore ha però specificato che l'eventuale remissione della querela può essere soltanto processuale e che l'irrevocabilità opera in relazione alle ipotesi più gravi (minacce reiterate da parte del coniuge, anche separato o divorziato, o di persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa; fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici).
Lo stesso decreto-legge n. 11 del 2009 prevede ulteriori misure in materia di stalking. In particolare,
al fine di apprestare tutela nel periodo che intercorre tra il comportamento persecutorio e la presentazione della querela e allo scopo di dissuadere preventivamente il reo dal compimento di nuovi atti, introduce la possibilità per la persona offesa di avanzare al questore richiesta di ammonimento nei confronti dell'autore della condotta e disciplina l'esercizio di tale potere da parte del questore;
modifica il codice di procedura penale, per estendere ai procedimenti per il nuovo reato alcune specifiche regole in materia probatoria;
disciplina la misura coercitiva del divieto di avvicinamento dell'imputato ai luoghi frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa, attraverso l'inserimento nel codice di procedura dell'art. 282-ter. Il divieto può riguardare anche i luoghi frequentati da prossimi congiunti o da persone conviventi o comunque legate alla persona offesa da una relazione affettiva;
prescrive specifici obblighi di comunicazione (nuovo art. 282-quater) all'autorità di pubblica sicurezza competente dei provvedimenti di cui al nuovo art. 282-ter nonché dell'art. 282-bis (allontanamento dalla casa familiare) ai fini dell'eventuale adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni. Tali atti sono altresì comunicati alla parte offesa e ai servizi socio-assistenziali del territorio;
pone a carico delle forze dell'ordine, dei presidi sanitari e delle istituzioni pubbliche che ricevono dalla vittima notizia di reato di atti persecutori l'obbligo di fornire alla medesima tutte le informazioni relative ai Centri Antiviolenza presenti sul territorio ed eventualmente di metterla in contatto con tali strutture;
istituisce, infine, presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio un numero verde nazionale a favore delle vittime degli atti persecutori, con compiti di assistenza psicologica e giuridica, nonché di comunicare gli atti persecutori segnalati alle forze dell'ordine, nei casi d'urgenza e su richiesta della persona offesa.
Le mutilazioni genitali femminili
La legge n. 7 del 2006 detta le misure necessarie per prevenire, contrastare e reprimere le pratiche di mutilazione genitale femminile, quali violazioni dei diritti fondamentali all'integrità della persona e alla salute delle donne e delle bambine.
Tale legge in particolare ha introdotto nel codice penale un'autonoma fattispecie di reato (Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili, art. 583-bis) che punisce con la reclusione da 4 a 12 anni chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili (clitoridectomia, escissione, infibulazione ed altre analoghe pratiche).
Quando la mutilazione sia di natura diversa dalle precedenti e sia volta a menomare le funzioni sessuali della donna, la pena è la reclusione da 3 a 7 anni; una specifica aggravante (pena aumentata di un terzo) è prevista quando le pratiche siano commesse a danno di un minore ovvero il fatto sia commesso a fini di lucro.
L'art. 583-bis - previa richiesta del Ministro della giustizia - stabilisce la punibilità delle mutilazioni genitali femminili, anche se l'illecito è commesso all'estero da cittadino italiano (o da straniero residente in Italia) o in danno di cittadino italiano (o di straniero residente in Italia).
Pesanti pene accessorie sono previste dalla legge (nuovo art. 583 ter c.p.) nei confronti dei medici condannati per mutilazioni genitali: interdizione dall'esercizio della professione per un periodo da 3 a 10 anni; comunicazione della sentenza di condanna all'Ordine dei medici chirurgi e degli odontoiatri.
Attraverso l'inserimento dell'art. 25-quater.1 nel decreto legislativo n. 231 del 2001 (in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche derivante da reato) la legge ha disposto specifiche sanzioni interdittive e pecuniarie (da 300 a 700 quote) a carico degli enti nella cui struttura è commesso il delitto di cui all'art. 583-bis.
La medesima legge, inoltre, ha previsto campagne informative e di sensibilizzazione delle popolazioni in cui tali pratiche sono più diffuse nonché una più adeguata formazione del personale sanitario, oltre che l'istituzione di un numero verde volto sia a ricevere segnalazioni che a fornire informazioni e assistenza ai soggetti coinvolti nella pratica delle utilazioni genitali femminili.
La Convenzione di Istanbul e la legge di autorizzazione alla ratifica
Partendo da un quadro normativo interno già ricco di strumenti di contrasto della violenza di genere, l'Italia ha nella scorsa legislatura firmato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ovvero la cosiddetta Convenzione di Istanbul, aperta alla firma l'11 maggio del 2011.
Si tratta del primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. La Convenzione interviene specificamente anche nell'ambito della violenza domestica, che non colpisce solo le donne, ma anche altri soggetti, ad esempio bambini ed anziani, ai quali altrettanto si applicano le medesime norme di tutela.
Per entrare in vigore, la Convenzione necessita della ratifica di almeno 10 Stati, tra i quali 8 membri del Consiglio d'Europa. L'Italia ha sottoscritto la Convenzione il 27 settembre 2012 e il Parlamento ha autorizzato la ratifica con la legge n. 77/2013 (v. infra). Ad oggi la Convenzione è stata firmata da 32 Stati, ratificata da 8 Stati; non è dunque ancora entrata in vigore.
La Convenzione (art. 3) precisa che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani ed è una forma di discriminazione contro le donne.
I contenuti della Convenzione
La Convenzione si compone di un Preambolo, di 81 articoli raggruppati in dodici Capitoli, e di un Allegato.
Quadro giuridicoIl Preambolo ricorda innanzitutto i principali strumenti che, nell'ambito del Consiglio d'Europa e delle Nazioni Unite, sono collegati al tema oggetto della Convenzione e sui quali quest'ultima si basa. Tra di essi riveste particolare importanza la CEDAW (Convenzione Onu del 1979 sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne) e il suo Protocollo opzionale del 1999 che riconosce la competenza della Commissione sull'eliminazione delle discriminazioni contro le donne a ricevere e prendere in esame le denunce provenienti da individui o gruppi nell'ambito della propria giurisdizione.
Si ricorda che la CEDAW - universalmente riconosciuta come una sorta di Carta dei diritti delle donne - definisce "discriminazione contro le donne" "ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia l'effetto o lo scopo di compromettere o annullare il riconoscimento, il godimento o l'esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato matrimoniale e in condizioni di uguaglianza fra uomini e donne, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile, o in qualsiasi altro campo".
Si segnala che, sempre nell'ambito delle Nazioni Unite, nel 2009 è stato lanciato il database sulla violenza contro le donne, allo scopo di fornire il quadro delle misure adottate dagli Stati membri dell'Onu per contrastare la violenza contro le donne sul piano normativo e politico, nonché informazioni sui servizi a disposizione delle vittime.
Il Preambolo della Convenzione riconosce inoltre che la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi ed aspira a creare un'Europa libera da questa violenza.
Gli Obiettivi della Convenzione sono elencati nel dettaglio dall'articolo 1. Oltre a quanto già esplicitato nel titolo della Convenzione stessa, appare importante evidenziare l'obiettivo di creare un quadro globale e integrato che consenta la protezione delle donne, nonchè la cooperazione internazionale e il sostegno alle autorità e alle organizzazioni a questo scopo deputate.
Di rilievo inoltre la previsione che stabilisce l'applicabilità della Convenzione sia in tempo di pace sia nelle situazioni di conflitto armato, circostanza, quest'ultima, che da sempre costituisce momento nel quale le violenze sulle donne conoscono particolare esacerbazione e ferocia.
Contestualmente alla firma, l'Italia ha depositato presso il Consiglio d'Europa una nota verbale con la quale ha dichiarato che "applicherà la Convenzione nel rispetto dei principi e delle previsioni costituzionali". Tale dichiarazione interpretativa - apposta anche a seguito di quanto chiesto al Governo con le mozioni approvate al Senato il 20 settembre 2012 - è motivata dal fatto che la definizione di "genere" contenuta nella Convenzione - l'art. 3, lettera c) recita: "con il termine genere ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini" - è ritenuta troppo ampia e incerta e presenta profili di criticità con l'impianto costituzionale italiano (si veda, al proposito, la relazione illustrativa al ddl di autorizzazione alla ratifica - A.S. 3654 - presentato dal Governo Monti l'8 gennaio 2013).
L'articolo 4 della Convenzione sancisce il principio secondo il quale ogni individuo ha il diritto di vivere libero dalla violenza nella sfera pubblica e in quella privata. A tal fine le Parti si obbligano a tutelare questo diritto in particolare per quanto riguarda le donne, le principali vittime della violenza basata sul genere (ossia di quella violenza che colpisce le donne in quanto tali, o che le colpisce in modo sproporzionato).
Poiché la discriminazione di genere costituisce terreno fertile per la tolleranza della violenza contro le donne, la Convenzione si preoccupa di chiedere alle Parti l'adozione di tutte le norme atte a garantire la concreta applicazione del principio di parità tra i sessi corredate, se del caso, dall'applicazione di sanzioni.
I primi a dover rispettare gli obblighi imposti dalla Convenzione sono proprio gli Stati i cui rappresentanti, intesi in senso ampio, dovranno garantire comportamenti privi di ogni violenza nei confronti delle donne (art. 5).
L'articolo 5 prevede anche un risarcimento delle vittime di atti di violenza commessi da soggetti non statali, che può assumere forme diverse (riparazione del danno, indennizzo, riabilitazione, ecc.). L'indennizzo da parte dello Stato è disciplinato dall'art. 30, par. 2, della Convenzione ed è accordato alle vittime se la riparazione non è garantita da altre fonti.
Ampio spazio viene dato dalla Convenzione alla prevenzione della violenza contro le donne e della violenza domestica. La prevenzione richiede un profondo cambiamento di atteggiamenti e il superamento di stereotipi culturali che favoriscono o giustificano l'esistenza di tali forme di violenza. A tale scopo, la Convenzione impegna le Parti non solo ad adottare le misure legislative per prevenire la violenza, ma anche alla promozione di campagne di sensibilizzazione, a favorire nuovi programmi educativi e a formare adeguate figure professionali.
Altro punto fondamentale della Convenzione è la protezione delle vittime. Particolare enfasi viene posta sulla necessità di creare meccanismi di collaborazione per un'azione coordinata tra tutti gli organismi, statali e non, che rivestono un ruolo nella funzione di protezione e sostegno alle donne vittime di violenza, o alle vittime di violenza domestica. Per proteggere le vittime è¨ necessario che sia dato rilievo alle strutture atte al loro accoglimento, attraverso un'attività informativa adeguata che deve tenere conto del fatto che le vittime, nell'immediatezza del fatto, non sono spesso nelle condizioni psico-fisiche di assumere decisioni pienamente informate.
I servizi di supporto possono essere generali (es. servizi sociali o sanitari offerti dalla pubblica amministrazione) oppure specializzati. Fra questi si prevede la creazione di case rifugio e quella di linee telefoniche di sostegno attive notte e giorno. Strutture ad hoc sono inoltre previste per l'accoglienza delle vittime di violenza sessuale.
La Convenzione stabilisce l'obbligo per le Parti di adottare normative che permettano alle vittime di ottenere giustizia, nel campo civile, e compensazioni, in primo luogo dall'offensore, ma anche dalle autorità statali se queste non hanno messo in atto tutte le misure preventive e di tutela volte ad impedire la violenza (sui risarcimenti da parte dello Stato si è già detto più sopra).
La Convenzione individua anche una serie di reati (violenza fisica e psicologica, sessuale, stupro, mutilazioni genitali, ecc.), perseguibili penalmente, quando le violenze siano commesse intenzionalmente e promuove un'armonizzazione delle legislazioni per colmare vuoti normativi a livello nazionale e facilitare la lotta alla violenza anche a livello internazionale. Tra i reati perseguibili penalmente è inserito lo stalking, definito il comportamento intenzionale e minaccioso nei confronti di un'altra persona, che la porta a temere per la propria incolumità . Quanto al matrimonio forzato, vengono distinti i casi nei quali una persona viene costretta a contrarre matrimonio da quelli nei quali una persona viene attirata con l'inganno in un paese estero allo scopo di costringerla a contrarre matrimonio; in quest'ultimo caso, è sanzionabile penalmente anche il solo adescamento, pur in assenza di celebrazione del matrimonio.
La Convenzione torna in più punti sull'inaccettabilità di elementi religiosi o culturali, tra i quali il cosiddetto "onore" a giustificazione delle violenze chiedendo tra l'altro alle Parti di introdurre le misure, legislative o di altro tipo, per garantire che nei procedimenti penali intentati per crimini rientranti nell'ambito della Convenzione, tali elementi non possano essere invocati come attenuante.
In materia di sanzioni, la Convenzione chiede alle Parti di adottare misure per garantire che i reati in essa contemplati siano oggetto di punizioni efficaci, proporzionate e dissuasive, commisurate alla loro gravità .
La Convenzione contiene poi un ampio capitolo di previsioni che riguardano le inchieste giudiziarie, i procedimenti penali e le procedure di legge, a rafforzamento delle disposizioni che delineano diritti e doveri nella Convenzione stessa.
Un Capitolo apposito è dedicato alle donne migranti, incluse quelle senza documenti, e alle donne richiedenti asilo, due categorie particolarmente soggette a violenze di genere. La Convenzione mira ad introdurre un'ottica di genere nei confronti della violenza di cui sono vittime le migranti, ad esempio accordando ad esse la possibilità di ottenere uno status di residente indipendente da quello del coniuge o del partner. Inoltre, viene stabilito l'obbligo di riconoscere la violenza di genere come una forma di persecuzione (ai sensi della Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati) e ribadito l'obbligo di rispettare il diritto del non-respingimento per le vittime di violenza contro le donne.
La Convenzione istituisce infine un Gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (GREVIO) costituito da esperti indipendenti, incaricati di monitorare l'attuazione della Convenzione da parte degli Stati aderenti. Il monitoraggio avverrà attraverso questionari, visite, inchieste e rapporti sullo stato di conformità degli ordinamenti interni agli standard convenzionali, raccomandazioni generali, ecc.). I privilegi e le immunità ei membri del GREVIO sono oggetto dell'Allegato alla Convenzione.
Come detto, il Parlamento italiano ha autorizzato la ratifica della Convenzione di Istanbul, approvando la legge 27 giugno 2013, n. 77.
Per una consapevole scelta del legislatore, la legge n. 77 non detta norme di adeguamento del nostro ordinamento interno motivate dal pieno rispetto della Convenzione. Ciò in quanto è prevalsa l'esigenza di privilegiare la rapida ratifica della Convenzione, essenziale a consentirne l'entrata in vigore; rapida ratifica che sarebbe stata ostacolata da un contenuto normativo più complesso. Concluso però questo adempimento, Governo e Parlamento hanno tentato di riempire di contenuti questa ratifica con il decreto-legge n. 93 del 2013 e la sua conversione in legge.
Il decreto-legge 93/2013
Il Governo ha emanato il decreto-legge 93 del 2013 nello scorso mese di agosto. Il provvedimento, come indicato nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione, è diretto anche ad attuare la Convenzione di Istanbul, con riguardo ai principali profili considerati necessari. Dopo una veloce calendarizzazione, il Parlamento ha convertito il provvedimento d'urgenza - che presenta peraltro un contenuto non circoscritto alla sola violenza di genere - con la legge 15 ottobre 2013, n. 119.
Il Capo I del decreto-legge, composto dagli articoli da 1 a 5-bis, è dedicato al contrasto e alla prevenzione della violenza di genere. In particolare, il provvedimento approvato:
interviene sul codice penale, introducendo un'aggravante comune (art. 61, n. 11-quinquies) per i delitti contro la vita e l'incolumità individuale, contro la libertà personale nonchè per i maltrattamenti in famiglia, da applicare se i fatti sono commessi in danno o in presenza di minori;
novella il reato di atti persecutori (art. 612-bis, c.d. stalking), prevedendo un'aggravante quando il fatto è commesso con mezzi informatici o telematici e modificando il regime della querela di parte. In particolare, rispetto alla formulazione originaria del decreto-legge, che qualifica la querela come irrevocabile, la Camera ha circoscritto le ipotesi di irrevocabilità ai casi più gravi, prevedendo comunque che l'eventuale remissione possa avvenire soltanto in sede processuale;
interviene sul codice di procedura penale, consentendo anche quando si indaga per stalking di disporre intercettazioni;
introduce la misura di prevenzione dell'ammonimento del questore anche per condotte di violenza domestica, sulla falsariga di quanto già previsto per il reato di stalking;
sempre per tutelare le vittime, inserisce alcune misure relative all'allontanamento - anche d'urgenza - dalla casa familiare e all'arresto obbligatorio in flagranza dell'autore delle violenze. In merito, la Camera ha introdotto la possibilità di operare anche un controllo a distanza (c.d. braccialetto elettronico) del presunto autore di atti di violenza domestica;
prevede specifici obblighi di comunicazione da parte dell'autorità giudiziaria e della polizia giudiziaria alla persona offesa dai reati di stalking e maltrattamenti in ambito familiare nonchè modalità protette di assunzione della prova e della testimonianza di minori e di adulti particolarmente vulnerabili;
modifica le disposizioni di attuazione del codice di procedura, inserendo i reati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e stalking tra quelli che hanno priorità assoluta nella formazione dei ruoli d'udienza;
estende alle vittime dei reati di stalking, maltrattamenti in famiglia e mutilazioni genitali femminili l'ammissione al gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito;
stabilisce che la relazione annuale al Parlamento sull'attività delle forze di polizia e sullo stato dell'ordine e della sicurezza pubblica debba contenere un'analisi criminologica della violenza di genere;
riconosce agli stranieri vittime di violenza domestica la possibilità di ottenere uno specifico permesso di soggiorno;
demanda al Ministro per le pari opportunità l'elaborazione di un Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere, per il quale è previsto un finanziamento di 10 milioni di euro per il 2013, prevedendo azioni a sostegno delle donne vittime di violenza.
La legge di stabilità 2014
Da ultimo si segnala che la legge di stabilità 2014 incrementa di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016 la dotazione del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità allo scopo di finanziare il ''Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere''.
Lo stato dei fondi per il contrasto alla violenza di genere
La legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007) ha istituito un fondo, presso la Presidenza del Consiglio, per la realizzazione di un piano contro la violenza alle donne (cap. 496), stanziando a tal fine 20 milioni di euro per l'anno 2008.
Nel 2009 all'obiettivo di prevenzione della violenza si è affiancato quello di prevenzione e contrasto agli atti persecutori, con la conversione del decreto-legge 11/2009 che non solo ha introdotto nel codice penale l'art. 612-bis ma ha anche posto a carico delle forze dell'ordine, dei presidi sanitari e delle istituzioni pubbliche che ricevono dalla vittima notizia di reato di atti persecutori l'obbligo di fornire alla medesima tutte le informazioni relative ai Centri Antiviolenza presenti sul territorio ed eventualmente di metterla in contatto con tali strutture. Il provvedimento ha istituito, infine, presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio un numero verde nazionale a favore delle vittime degli atti persecutori, con compiti di assistenza psicologica e giuridica, nonchè di comunicare gli atti persecutori segnalati alle forze dell'ordine, nei casi d'urgenza e su richiesta della persona offesa.
Le somme destinate al Piano nazionale non sono state mai impegnate nel corso degli anni, fino al 2011 quando la Corte dei Conti ha dato il via libera al primo Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking. Nel novembre 2011, quando il Piano diventa operativo, il capitolo 496 del bilancio della Presidenza del Consiglio dei Ministri recava uno stanziamento di 18.659.049 euro.
Per quanto riguarda il 2012, il bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri recava uno stanziamento per il Piano contro la violenza alle donne di soli 1,5 milioni di euro; nel corso dell'esercizio tali somme sono aumentate e il rendiconto consuntivo indica per il 2012 una disponibilità di 5,1 milioni di euro.
Per il 2013 il bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri dedica 1,9 milioni di euro all'implementazione del Piano nazionale contro la violenza alle donne.
Si ricorda che la Presidenza del Consiglio, a differenza delle altre amministrazioni, può esercitare il cosiddetto istituto del «riporto» che consiste nella facoltà di mantenere in bilancio risorse non utilizzate in un determinato anno anche in quello successivo.
Da comunicazioni telefoniche con l'ufficio bilancio della Presidenza del Consiglio è infatti emerso che lo stanziamento di 1,9 milioni di euro per il 2013 è stato integrato con il riporto dell'avanzo dell'esercizio precedente; ad inizio XVII legislatura dunque sul capitolo 496 figuravano 4,5 milioni di euro.
Per il 2014 il bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri dedica al capitolo 496, Somme da destinare al piano contro la violenza alle donne, 18 milioni di euro. Tali somme sono da ricondurre al decreto-legge n. 93 del 2013 (art 5-bis) nella misura di 7 milioni di euro e alla legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013, art. 1, comma 217) nella misura di 10 milioni di euro.
Nella nota preliminare a bilancio di previsione (D.P.C.M. di approvazione del bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, 20 dicembre 2013), si specifica per il capitolo 496 sarà così ripartito:
- 10 milioni di euro per il miglioramento degli interventi delle istituzioni nel contrasto alla violenza sulle donne attraverso l'elaborazione di un piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere (la ripartizione delle risorse sarà approvata dalla Conferenza unificata);
- 7 milioni di euro all'attuazione dell'art. 5-bis del decreto-legge n. 93/2013, relativo ad interventi di assistenza e sostegno territoriale a donne vittime di violenza e ai loro figli (la ripartizione delle risorse sarà approvata dalla Conferenza Stato-Regioni);
- 300.000 euro per la stipula di convenzioni o accordi finalizzati all'aggiornamento di statistiche sulla criminalità contro le donne nonché all'istituzione di una banca dati sui servizi offerti attraverso la rete collegata al numero di pubblica utilità 1522;
- 700.000 euro per la prosecuzione delle attività del servizio 1522 per il contrasto alla violenza di genere e allo stalking.
I profili di inattuazione della Convenzione di Istanbul
A seguito della ratifica della Convenzione di Istanbul, per quanto riguarda specificamente il diritto penale e processuale, è tuttora da valutare se occorra introdurre ulteriori modifiche legislative con riguardo ai seguenti profili:
l'introduizione di specifiche misure per il supporto dei bambini testimoni di violenza (art. 26 della Convenzione);
il diritto della vittima di ottenere un risarcimento dallo Stato, a fronte di comportamenti delle autorità statali che abbiano mancato al loro dovere di adottare le necessarie misure di prevenzione o di protezione nell'ambito delle loro competenze (art. 29), ovvero nei casi un cui un risarcimento non sia garantito dall'autore del reato (art. 30);
la previsione di una specifica fattispecie penale volta a punire le condotte di violenza psicologica (art. 33 della Convenzione), di matrimonio forzato (art. 37) e di molestia sessuale, quando perpetrata in forma esclusivamente verbale (art. 40);
la previsione di aggravanti quando i reati di violenza domestica abbiano provocato gravi danni fisici o psicologici alla vittima, considerazione che nel nostro ordinamento opera esclusivamente per il delitto di lesioni (art. 46 della Convenzione);
l'affermazione della giurisdizione italiana anche nelle ipotesi di reati di violenza commessi all’estero in danno di persona abitualmente residente in Italia nonchè ai casi in cui il presunto autore di uno di tali reati, commesso all'estero, si trovi sul territorio italiano e non sia possibile procedere ad estradizione (art. 44 della Convenzione);
il riconoscimento della violenza contro le donne basata sul genere come forma di persecuzione che possa dare diritto alla concessione dello status di rifugiato (art. 62).
Una autonoma considerazione merita la questione della procedibilità d'ufficio dei delitti riconducibili alla violenza domestica, auspicata dalla Convenzione (art. 55). Sul punto nel corso della conversione in legge del decreto-legge 93/2013, il Parlamento ha confermato la scelta per questo tipo di delitti della procedibilità a querela, aumentando i casi nei quali, nelle ipotesi più gravi, la querela è irrevocabile e inducendo una remissione di querela esclusivamente processuale per il delitto di atti persecutori.
II Sessione: l’azione strategica a livello europeo
Organismi di riferimento
Commissione FEMM del Parlamento europeo
La Commissione Diritti delle donne e equilibrio di genere - FEMM del Parlamento europeo è competente per:
•la definizione, la promozione e la tutela dei diritti della donna nell'Unione europea e le misure adottate dalla Comunità al riguardo;
•la promozione dei diritti della donna nei paesi terzi;
•la politica in materia di pari opportunità, compresa la parità tra uomini e donne per quanto riguarda le opportunità nel mercato del lavoro ed il trattamento sul lavoro;
•l'eliminazione di ogni forma di discriminazione fondata sul sesso;
•la realizzazione e l'ulteriore sviluppo dell'integrazione della dimensione di genere in tutti i settori;
•il seguito dato agli accordi e alle convenzioni internazionali aventi attinenza con i diritti della donna;
•la politica d'informazione riguardo alle donne.
FRA - Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali
L’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, con sede a Vienna, è stata istituita con il regolamento (CE) 168/2007 ed è entrata in funzione il 1° marzo 2007, in sostituzione dell’Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia. L’Agenzia ha lo scopo di fornire alle istituzioni dell’UE e agli Stati membri, nell’attuazione del diritto comunitario, assistenza e consulenza in materia di diritti fondamentali, in modo da aiutarli a rispettare pienamente tali diritti nell’adozione di misure o nella definizione di iniziative nei loro rispettivi settori di competenza.
Il regolamento istitutivo attribuisce all’Agenzia i seguenti compiti:
formulare e pubblicare conclusioni e pareri per l’Unione e per gli Stati membri quando danno attuazione al diritto dell’UE, di propria iniziativa o a richiesta del Parlamento europeo, del Consiglio o della Commissione;
rilevare, registrare, analizzare e diffondere informazioni e dati rilevanti; svolgere o promuovere la ricerca e le indagini scientifiche;
pubblicare una relazione annuale sulle questioni inerenti ai diritti fondamentali che rientrano nei settori di azione dell’agenzia, segnalando anche gli esempi di buone pratiche;
predisporre una strategia di comunicazione e favorire il dialogo con la società civile, per sensibilizzare il pubblico in materia di diritti fondamentali e informarlo attivamente sui suoi lavori;
L’agenzia non può invece esaminare ricorsi di singole persone fisiche o giuridiche.
EIGE
L'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere – EIGE è un’agenzia dell’Unione europea con il mandato di coadiuvare Governi e Istituzioni UE (in particolare la Commissione) nella loro azione per promuovere la parità uomo-donna.
In sintesi i compiti dell’Istituto sono:
•raccogliere e analizzare dati comparabili;
•sviluppare strumenti metodologici, in particolare per integrare l'uguaglianza di genere in tutte le politiche;
•facilitare lo scambio di buone pratiche e il dialogo tra i portatori di interesse;
•sensibilizzare il pubblico.
Principi e linee guida
Il Trattato di Lisbona ha riaffermato il principio di uguaglianza tra donne e uomini (già enunciato agli articoli 2, 3 e 13 del previgente Trattato istitutivo della Comunità europea - TCE), inserendolo tra i valori (art. 2 Trattato sull'Unione europea - TUE) e tra gli obiettivi dell’Unione (art. 3, par. 3 TUE). La dichiarazione n. 19 annessa ai Trattati afferma, inoltre, che l’Unione mira a lottare contro tutte le forme di violenza domestica; la stessa dichiarazione impegna gli Stati membri ad adottare tutte le misure necessarie per prevenire e punire tali atti criminali e per sostenere e proteggere le vittime.
In tale contesto, l’Unione eurooea considera la violenza sulle donne (tipologia predominante di violenza cosiddetta di genere) sia come violazione di più diritti umani/fondamentali, sia come specifica manifestazione (e insieme risultato) di squilibrio/discriminazione di genere.
La violenza contro le donne lede, per vari profili, molti principi contenuti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: oltre al diritto alla parità tra uomo e donna (articolo 23), vengono in considerazione il diritto alla dignità umana (articolo 1), alla vita (articolo 2) e all’integrità della persona (articolo 3), la proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (articolo 4), il diritto alla libertà e alla sicurezza (articolo 6), e alla non discriminazione (articolo 21).
Secondo quanto indicato nella direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI1 (vedi infra) per violenza di genere l’Unione europea intende la violenza diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere o della sua espressione di genere o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere; secondo tale definizione, inoltre, questo tipo di violenza può provocare un danno fisico, sessuale, emotivo o psicologico o perdite economiche alla vittima e può comprendere la violenza nelle relazioni strette, la violenza sessuale (compresi lo stupro, l'aggressione sessuale e le molestie sessuali), la tratta di esseri umani, la schiavitù e varie forme di pratiche dannose, quali i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile e i cosiddetti "reati d'onore".
La particolare natura della violenza sulle donne, quale lesione di diritti umani (ovverosia di un valore fondante l’UE), vincola l’Unione europea, secondo quanto previsto dai Trattati, ad intervenire sia all’interno del proprio territorio con politiche di prevenzione e contrasto rispetto a tale odioso fenomeno, sia sul piano delle relazioni esterne, in particolare nei confronti di quei Paesi terzi in cui sono noti episodi di violenza di genere/sulle donne, per far sì che questi ultimi rientrino nell’alveo del rispetto dei diritti umani.
Tale impegno è stato più ribadito in numerosi documenti di indirizzo politico adottati negli ultimi anni dalle Istituzioni europee. Si ricordano, in particolare:
le Conclusioni sull’eradicazione della violenza contro le donne nell’Unione europea del Consiglio del 2010 (durante la Presidenza spagnola), con le quali tra l’altro la Commissione europea è stata chiamata ad elaborare una strategia di prevenzione e contrasto;
la Dichiarazione di uguaglianza tra uomo e donna del Consiglio dell’Unione europea 2010 - 2011 (trio di Presidenza spagnola, belga, e ungherese), con la quale, tra l’altro, gli Stati membri sono stati invitati a sviluppare strategie nazionali, a dedicare risorse per prevenire e combattere la violenza, a perseguire i colpevoli, a fornire assistenza e sostegno alle vittime, a considerare la violenza sulle donne come una priorità dei loro programmi, e a identificare chiaramente tale materia quale profilo particolare della questione della parità di genere;
i principali documenti programmatici della Commissione europea, in particolare: la Carta delle donne del 2010, la Strategia 2010-2015 per la promozione della parità fra uomini e donne nell’Unione europea; il Programma di Stoccolma per lo Spazio di libertà sicurezza e giustizia, 2010- 2014; da ultimo, la recente Comunicazione “Verso l’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili”;
le Conclusioni del Consiglio dell’Unione europea (dicembre 2012) “Lotta alla violenza contro le donne e servizi di sostegno a favore delle vittime di violenza domestica” adottate nel quadro dell'esame dell'attuazione della Piattaforma d'azione di Pechino;
numerosi documenti di indirizzo politico adottati sul tema dal Parlamento europeo, in particolare:
la risoluzione del 26 novembre 2009 sull'eliminazione della violenza contro le donne;
la risoluzione del 5 aprile 2011 sulle priorità e sulla definizione di un nuovo quadro politico dell'UE in materia di lotta alla violenza contro le donne;
la risoluzione del 6 febbraio 2013 sulla 57a sessione della Commissione sullo status delle donne (CSW) delle Nazioni Unite: prevenzione ed eliminazione di ogni forma di violenza contro le donne e le ragazze;
risoluzione del 24 marzo 2009 sulla lotta contro le mutilazioni sessuali femminili praticate nell'UE e la risoluzione del 14 giugno 2012 sull'abolizione delle mutilazioni genitali femminili.
Gli indirizzi e i principi adottati dall’UE non si sono peraltro tradotti in specifiche inziative normative volte a fronteggiare il fenomeno violenza sulle donne sul piano del diritto penale. Deve al riguardo segnalarsi che tale esigenza è stata di recente evidenziata anche dal Parlamento europeo, che nella risoluzione del 25 febraio 2014 “Lotta alla violenza contro le donne” ha rivolto al Consiglio l’invito ad adottare una decisione (all’unanimità) che inserisca la violenza contro le donne e le ragazze (e altre forme di genere) fra i reati elencati all’articolo 83, paragrafo 1, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, reati cosiddetti a dimensione transnazionale sui quali il Trattato conferisce agli organi legislativi UE il potere di legiferare stabilendo norme minime relative alla descrizione della fattispecie e alla fissazione della relativa sanzione.(vedi infra e in Documenti)
La dimensione del problema all’interno dell’UE
Secondo quanto riportato nello Studio Violenza sulle donne – Supporto alle vittime - Valutazione dell’attuazione della Piattaforma di Pechino negli Stati membri, pubblicato nel 2012 dall’EIGE - Istituto europeo per l'uguaglianza di genere, nei 27 Stati membri più la Croazia (recentemente acquisita all’Unione europea) tra un quinto e un quarto di tutte le donne hanno sperimentato violenza fisica almeno una volta nel corso della loro vita adulta e circa il 12-15% di tutte le donne sopra i sedici anni hanno subìto una qualche forma di abuso domestico. Ancora, la Final Activity Report" della Task Force del Consiglio d'Europa per combattere la violenza contro le donne, compresa la violenza domestica (EG-TFV), (settembre 2008) ha rilevato che almeno una volta nella vita più del 10% delle donne ha subito violenze sessuali che comportano l'uso della forza
Inoltre, secondo la stima contenuta nell’Allegato “Aspetti economici e prospettive giuridiche per l'azione a livello dell'UE” allo Studio “Valore aggiunto europeo di una direttiva sulla violenza combattere contro le donne” commissionato dalla Commissione parlamentare FEMM, il costo annuo per l'UE della violenza di genere contro le donne è stimato a 228 miliardi di EUR nel 2011 (pari all'1,8 % del PIL dell'UE), di cui 45 miliardi di EUR all'anno in servizi pubblici e statali (ad esempio i servizi riconducibili ai sistemi giuridici civili e penali, quelli sanitari, il sostegno specializzato), e 24 miliardi di EUR in perdita di produzione economica (con particolare riferimento ai giorni lavorativi mancati).
La componente residua di tale stima (159 miliardi) consiste nella spesa stimata per alleviare il dolore e la sofferenza delle vittime di violenza.
Inoltre i risultati preliminari dell’indagine europea sulla violenza contro le donne condotta dall'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali, pubblicati nel marzo 2013, mostrano, tra l'altro, che: quattro donne su cinque non si sono rivolte a nessun servizio (sanitario, sociale o di assistenza alle vittime) a seguito degli episodi più gravi di violenza ad opera di persone diverse dal partner; le donne che hanno chiesto aiuto si sono rivolte più spesso ai servizi medici, fattore che sottolinea la necessità di garantire che i professionisti in ambito sanitario siano in grado di affrontare le esigenze delle vittime di violenza; due donne su cinque non erano a conoscenza delle leggi o delle iniziative politiche che tutelano le donne in caso di violenza domestica e la metà ignorava l'esistenza di leggi o iniziative di prevenzione.
Infine, secondo i rapporti di Amnesty International e le relazioni della Commissione europea, la mutilazione genitale femminile, forma estrema di violenza sulle donne, colpisce centinaia di migliaia di donne e ragazze in Europa (ricorre spesso il riferimento a 500 mila vittime); si tratta di un fenomeno che a causa delle divergenze tra le disposizioni giuridiche degli Stati membri potrebbe determinare fenomeni di turismo della mutilazione genitale femminile transfrontaliero nell'UE.
L’attività legislativa
Interventi normativi più recenti
Alle politiche di contrasto nei confronti della violenza sulle donne sono riconducibili (anche se non esclusivamente) alcuni strumenti normativi di cui si è recentemente dotata l’Unione europea: oltre al regolamento (UE) n. 606/2013, in materia di misure di protezione in ambito civile (particolarmente orientato a situazioni patologiche di tensione familiare), devono infatti ricordarsi alcuni strumenti di tutela generale delle vittime (anche potenziali) di reato.
A proposito di quest’ultimo ordine di interventi, viene anzitutto in rilievo la direttiva 2011/99/UE, volta ad istituire l’Ordine di protezione europeo – OPE (per le vittime di reato in genere). L’OPE si fonda sul principio del reciproco riconoscimento nell'ambito della cooperazione giudiziaria in materia penale: rilasciato su richiesta della persona interessata qualora essa stia per lasciare o abbia lasciato il territorio dello Stato membro che aveva originariamente emesso una misura di protezione in suo favore, l’Ordine di protezione europeo (OPE) è riconosciuto nello Stato membro di destinazione che ne darà esecuzione in base alla sua legislazione nazionale. La direttiva stabilisce che l’ordine di protezione europeo possa essere emesso solo se nello Stato di emissione sia stata precedentemente adottata una misura di protezione che imponga alla persona che determina il pericolo uno o più dei seguenti divieti/restrizioni:
a) divieto di frequentare determinate località, determinati luoghi o determinate zone definite in cui la persona protetta risiede o che frequenta;
b) divieto o regolamentazione dei contatti, in qualsiasi forma, con la persona protetta, anche per telefono, posta elettronica o ordinaria, fax o altro; o
c) divieto o regolamentazione dell’avvicinamento alla persona protetta entro un perimetro definito.
Tale disciplina è stata recentemente completata con l’adozione del predetto regolamento (UE) n. 606/2013, relativo al riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile.
Si tratta di strumento parallelo, sul versante della cooperazione giudiziaria civile, al citato Ordine di protezione europeo in materia penale. La disciplina consente alle vittime di stalking, di molestie, o di violenza di genere, e alle vittime di violenza domestica in generale, che abbiano ottenuto dal proprio Stato membro misure di protezione nell’ambito di procedimenti in materia civile, lo spostamento in altro Stato dell’UE senza che ciò determini la perdita di tale protezione.
Il meccanismo è basato sull’emissione di un certificato da parte dello stesso Stato membro (di origine) che ha disposto la misura protettiva in ambito civile, mediante il quale si ottiene l’automatico riconoscimento e l’immediata esecutività della misura di protezione nello Stato membro di destinazione (principio del cosiddetto non exequatur).
Il tema della violenza sulle donne è altresì considerato nell’ambito della citata direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato.
In sintesi, la direttiva mira a garantire che in tutta l’Unione europea:
le vittime siano trattate in modo rispettoso, e polizia, procuratori e magistrati ricevano la necessaria formazione per potersene occupare;
le vittime siano informate dei loro diritti e delle cause che li riguardano in un modo loro comprensibile;
sia garantito in ciascuno Stato membro il sostegno alle vittime;
le vittime possano prendere parte al procedimento, se lo desiderano, e siano aiutate ad assistere al processo;
le vittime vulnerabili come minori, vittime di stupro o persone disabili, siano identificate e adeguatamente tutelate;
le vittime siano protette durante la fase delle indagini e quella del procedimento penale.
Oltre alla definizione di violenza di genere (vedi supra), comprensiva di un elenco non esaustivo di pratiche dannose nei confronti delle donne (in particolare, matrimoni forzati, cd. “reati d’onore“, mutilazione genitale femminile), interessano anzitutto le disposizioni in materia di diritto di accesso ai servizi di assistenza specialistica a favore delle vittime di reato, recanti tra l’altro profili di specificità a favore di vittime di violenza di genere, vittime di violenza nelle relazioni strette, nonché di soggetti esposti a vittimizzazione secondaria e ripetuta (fattispecie particolarmente frequente nei casi di violenza sulle donne).
Si tratta del diritto ai servizi di assistenza specialistica di cui agli articoli 8 e 9 della direttiva citata, i quali (salvo il caso in cui sia diversamente disposto da altri servizi pubblici o privati) devono sviluppare e fornire almeno:
alloggi o altra eventuale sistemazione temporanea a vittime bisognose di un luogo sicuro a causa di un imminente rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni;
assistenza integrata e mirata a vittime con esigenze specifiche, come vittime di violenza sessuale, vittime di violenza di genere e vittime di violenza nelle relazioni strette, compresi il sostegno per il trauma subito e la relativa consulenza.
Simili specificità a favore (tra l’altro) delle vittime della tratta di esseri umani, della violenza di genere, della violenza nelle relazioni strette, della violenza o dello sfruttamento sessuale o dei reati basati sull'odio e le vittime con disabilità, sono altresì previste con riferimento alle norme sulla valutazione individuale delle vittime per individuarne le specifiche esigenze di protezione (articolo 22).
Giova infine ricordare la direttiva n. 2011/36/UE concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime e che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI.
La tratta di esseri umani è considerata uno tra i reati più gravi a livello mondiale. Costituisce una violazione dei diritti umani e una forma moderna di schiavitù. La nuova direttiva adottata dall'Unione europea (UE) definisce norme minime comuni per determinare i reati connessi alla tratta di esseri umani e fissare le relative pene.
Si segnala che secondo i dati in posseso della Commissione il numero totale delle vittime accertate e presunte nel 2008 è stato di 6.309, di 7.795 nel 2009 e di 9.528 nel 2010, con un aumento del 18% nel triennio di riferimento. La distribuzione per sesso ed età delle vittime nel triennio di riferimento è stata: 68% donne, 17% uomini, 12% ragazze e 3% ragazzi. La maggior parte delle vittime identificate e presunte nel triennio di riferimento è stata venduta a fini di sfruttamento sessuale (62%), seguono le vittime della tratta a fini di lavoro forzato (25%) e, con percentuali nettamente inferiori (14%), le vittime di altre forme di sfruttamento.
Interventi all’esame delle Istituzioni europee
Tra i documenti di indirizzo in materia più rilevanti adottati dalle Istituzioni europee, si ricordano le già citate Conclusioni approvate dal Consiglio dell’Unione europea del 6 dicembre 2012 sulla lotta alla violenza contro le donne e i servizi di sostegno a favore delle vittime di violenza domestica;
Il documento impegna gli Stati membri, tra l’altro a:
migliorare raccolta e diffusione di dati amministrativi e statistici comparabili, e disaggregati a vario titolo riguardanti le vittime e gli autori di tutte le forme di violenza contro le donne, in particolare la registrazione e il trattamento delle denunce, ricevute a livello di Stati membri, da parte delle autorità di polizia, giudiziarie, sanitarie e sociali e delle altre autorità, agenzie, istituzioni e ONG competenti;
fornire adeguata formazione per il personale che si occupa delle vittime e degli autori di tutti gli atti di violenza (ad esempio rafforzandole unità speciali e/o le unità di polizia competenti);
rafforzare il servizio sanitario nazionale e le infrastrutture sociali per promuovere la parità di accesso delle donne vittime della violenza all'assistenza sanitaria pubblica;
vagliare la possibilita di creare una helpline europea riservata alle donne vittime di violenze;
designare il 2015 Anno europeo della tolleranza zero nei confronti della violenza contro le donne.
Si segnala inoltre che la risoluzione “Lotta alla violenza contro le donne” adottata il 25 febbraio 2014 dal Palamento europeo contiene numerose raccomandazioni rivolte alle altre Istituzioni europee e agli Stati membri: oltre al citato invito al Consilglio ad inseirire la violenza sulle donne fra i reati elencati all’articolo 83, paragrafo 1, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, al fine di una attività normativa a livello europeo di carattere penale in senso stretto, si ricorda che il Parlamento europeo chiede alla Commissione:
di presentare, entro la fine del 2014 una proposta di atto che stabilisca misure volte a promuovere e sostenere l'azione degli Stati membri nel settore della prevenzione della violenza contro le donne e le ragazze (secondo raccomandazioni contenute nell’allegato alla risoluzione stessa: vedi infra in Documenti);
di presentare una proposta rivista di regolamento sulle statistiche europee relative ai reati violenti di qualsiasi tipo che preveda anche un sistema coerente per la raccolta di statistiche sulla violenza di genere negli Stati membri;
di promuovere le ratifiche nazionali e ad avviare la procedura per l'adesione dell'UE alla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, una volta valutato l'impatto e il valore aggiunto che quest'ultima comporterebbe;
di presentare una strategia paneuropea e un piano d'azione per combattere tutte le forme di violenza contro le donne e le ragazze;
di muovere primi passi verso la creazione di un osservatorio europeo sulla violenza nei confronti delle donne e delle ragazze, basandosi sulle strutture istituzionali esistenti (Istituto europeo per l'uguaglianza di genere - EIGE), guidato da un coordinatore UE in materia;
di proclamare, nei prossimi tre anni, un Anno europeo per la cessazione della violenza contro le donne e le ragazze (soprattutto ai fini della sensibilizzazione dell’opnione pubblica e dei policy maker);
Particolari raccomandazioni sono altresì rivolte agli Stati membri in particolare per quanto riguarda il tema dei delitti d'onore, e la divulgazione di informazioni sui programmi e relativi finanziamenti dell'UE disponibili per combattere la violenza contro le donne.
Strumenti finanziari
Circa il sostegno economico UE per le iniziative dirette al contrasto della violenza di genere, deve ricordarsi il recente Regolamento (UE) n. 1381/2013, che istituisce un Programma Diritti, uguaglianza e cittadinanza per il periodo 2014-2020. Tale Programma include tra gli obiettivi specifici, tra l’altro, la prevenzione e il contrasto a tutte le forme di violenza nei confronti di bambini, giovani e donne, la violenza contro altri gruppi a rischio, in particolare i gruppi a rischio di violenza nelle relazioni strette, nonché la protezione delle vittime di tale violenza (articolo 4, lettera d)). Per quanto riguarda la ripartizione dei finanziamenti, si segnala che tale settore di intervento è incluso in un gruppo più ampio di obiettivi cui è destinato il 43 per cento della dotazione finanziaria generale del Programma di 439.473.000 euro.
Nel gruppo citato sono altresì ricompresi i seguenti obiettivi:
promuovere e tutelare i diritti del minore;
contribuire a garantire il livello più elevato di protezione della privacy e dei dati personali;
promuovere e rafforzare l'esercizio dei diritti derivanti dalla cittadinanza dell'Unione;
fare in modo che le persone, in qualità di consumatori o imprenditori nel mercato interno, possano far valere i loro diritti derivanti dalla legislazione dell'Unione, tenendo conto dei progetti finanziati a titolo del programma per la tutela dei consumatori.
Lotta alla violenza contro le donne
Commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere
PE522.850
Risoluzione del Parlamento europeo del 25 febbraio 2014 recante raccomandazioni alla Commissione sulla lotta alla violenza contro le donne (2013/2004(INL))
Il Parlamento europeo,
–visto l'articolo 225 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE),
–visti gli articoli 2 e 3 del trattato sull'Unione europea (TEU),
–vista la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, in particolare gli articoli 23, 24 e 25,
–viste la sua risoluzione del 24 marzo 2009 sulla lotta contro le mutilazioni sessuali femminili praticate nell'UE(1) e la sua risoluzione del 14 giugno 2012 sull'abolizione delle mutilazioni genitali femminili(2) ,
–vista la sua dichiarazione del 22 aprile 2009 sulla campagna "dire NO alla violenza contro le donne"(3) ,
–vista la sua risoluzione del 26 novembre 2009 sull'eliminazione della violenza contro le donne(4) ,
–vista la sua risoluzione del 5 aprile 2011 sulle priorità e sulla definizione di un nuovo quadro politico dell'UE in materia di lotta alla violenza contro le donne(5) ,
–vista la sua risoluzione del 6 febbraio 2013 sulla 57a sessione della commissione sullo status delle donne (CSW) delle Nazioni Unite: prevenzione ed eliminazione di ogni forma di violenza contro le donne e le ragazze(6) ,
–vista la sua risoluzione dell'11 ottobre 2007 sugli assassinii di donne (femminicidi) in Messico e America Centrale e sul ruolo dell'Unione europea nella lotta contro questo fenomeno(7) ,
–vista la strategia della Commissione per la parità tra donne e uomini (2010-2015) presentata il 21 settembre 2010,
–visto il Piano d'azione per l'attuazione del programma di Stoccolma della Commissione (COM(2010)0171),
–visto il programma Diritti, uguaglianza e cittadinanza per il periodo 2014-2020,
–viste le conclusioni del Consiglio EPSCO dell'8 marzo 2010 sull'eliminazione della violenza contro le donne,
–vista la direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, e che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio(8) ,
–visto il parere del Comitato economico e sociale europeo del 18 settembre 2012 sul tema "Eliminare alla radice la violenza domestica contro le donne"(9) ,
–visti gli orientamenti dell'UE sulle violenze contro le donne e le ragazze e sulla lotta contro tutte le forme di discriminazione nei loro confronti,
–vista la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (convenzione di Istanbul),
–visto l'articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979 con la risoluzione 34/180,
–viste le disposizioni degli strumenti giuridici delle Nazioni Unite in materia di diritti umani, in particolare quelle concernenti i diritti delle donne, quali la Carta delle Nazioni Unite, la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, il Patto internazionale sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali, la Convenzione delle Nazioni Unite per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione altrui, la Convenzione delle Nazioni Unite sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW) e il suo protocollo facoltativo, nonché la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, la Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati e il principio di non respingimento e la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità,
–visti gli altri strumenti delle Nazioni Unite in materia di violenza contro le donne, quali la dichiarazione e il programma d'azione di Vienna del 25 giugno 1993 adottato dalla conferenza mondiale sui diritti umani (A/CONF. 157/23) e la dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne del 20 dicembre 1993 (A/RES/48/104),
–viste le risoluzioni dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 12 dicembre 1997 dal titolo "Misure in materia di prevenzione dei reati e di giustizia penale per l'eliminazione della violenza contro le donne" (A/RES/52/86), del 18 dicembre 2002 dal titolo "Misure da prendere per l'eliminazione dei delitti contro le donne commessi in nome dell'onore" (A/RES/57/179), del 22 dicembre 2003 dal titolo "Eliminazione della violenza domestica nei confronti delle donne" (A/RES/58/147) e del 5 marzo 2013 dal titolo "Intensificare gli sforzi globali per l'eliminazione delle mutilazioni genitali femminili" (A/RES/67/146),
–viste le relazioni dei relatori speciali dell'Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, nonché la raccomandazione generale n. 19 adottata dalla Commissione per l'eliminazione della discriminazione contro le donne (XI sessione, 1992),
–viste la dichiarazione e la piattaforma d'azione di Pechino, adottate durante la quarta Conferenza mondiale sulle donne il 15 settembre 1995, e le risoluzioni del Parlamento del 18 maggio 2000 sul seguito dato alla piattaforma d'azione di Pechino(10) , del 10 marzo 2005 sul seguito della quarta Conferenza mondiale sulla piattaforma di azione per le donne (Pechino +10)(11) e del 25 febbraio 2010 su Pechino +15 – Programma d'azione delle Nazioni Unite a favore dell'uguaglianza di genere(12) ,
–viste la risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 19 dicembre 2006 intitolata "Intensificazione degli sforzi per l'eliminazione di tutte le forme di violenza contro le donne" (A/RES/61/143), e le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite 1325 e 1820 su donne, pace e sicurezza,
–viste le conclusioni della 57a sessione della commissione sullo status delle donne (CSW) delle Nazioni Unite: prevenzione ed eliminazione di ogni forma di violenza contro le donne e le ragazze,
–vista la relazione della relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, le sue cause e le sue conseguenze, Rashida Manjoo, del 16 maggio 2012,
–visto l'articolo 5 del piano d'azione internazionale di Madrid sull'invecchiamento,
–vista la valutazione del valore aggiunto europeo(13) ,
–visti gli articoli 42 e 48 del suo regolamento,
–visti la relazione della commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere e il parere della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (A7-0075/2014),
A.considerando che nella direttiva 2012/29/UE(14) che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, la violenza di genere è definita come "la violenza diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere o della sua espressione di genere o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere"; che questo tipo di violenza può provocare un danno fisico, sessuale, emotivo o psicologico o perdite economiche alla vittima, è considerata una forma di discriminazione e una violazione delle libertà fondamentali della vittima e comprende la violenza nelle relazioni strette, la violenza sessuale (compresi lo stupro, l'aggressione sessuale e le molestie sessuali), la tratta di esseri umani, la schiavitù e varie forme di pratiche dannose, quali i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile e i cosiddetti "reati d'onore";
B.considerando che la violenza di genere coinvolge vittime e autori di ogni età, livello di istruzione, reddito e posizione sociale ed è legata alla ripartizione iniqua del potere tra le donne e gli uomini nonché a idee e comportamenti basati su stereotipi radicati nella nostra società che è necessario combattere fin dalle primissime fasi al fine di cambiare gli atteggiamenti;
C.considerando che sono in aumento forme di violenza contro le donne praticate da mariti, partner o ex mariti o ex partner; che, in alcuni paesi, il numero delle vittime è aumentato rapidamente così come la gravità delle conseguenze, anche mortali, e che, secondo le statistiche, il numero delle donne uccise rappresenta una quota sempre maggiore del totale degli omicidi;
D.considerando che in alcuni paesi le rilevazioni statistiche hanno evidenziato che, anche se non è aumentato il numero totale degli omicidi, è però in aumento la quota delle donne uccise sul totale degli omicidi, confermando un innalzamento della violenza contro le donne;
E.considerando che la povertà estrema aumenta il rischio di violenza e di altre forme di sfruttamento che ostacolano la piena partecipazione delle donne a tutte le sfere della vita e il raggiungimento dell'uguaglianza di genere;
F.considerando che rafforzare l'indipendenza e la partecipazione economica e sociale delle donne consente di ridurne la vulnerabilità nei confronti della violenza di genere;
G.considerando che di recente sono emersi nuovi stereotipi nonché nuove forme di discriminazione e violenza a seguito del crescente utilizzo dei social network, ad esempio pratiche illecite di adescamento online ("grooming") dirette in particolare agli adolescenti;
H.considerando che tra i giovani persistono atteggiamenti sessisti in merito ai ruoli dei due sessi; che le giovani donne le quali subiscono violenza continuano a essere incolpate e stigmatizzate dai loro coetanei e dal resto della società;
I.considerando che, se la violenza è un'esperienza traumatica per qualsiasi uomo, donna o bambino, la violenza di genere è più frequentemente inflitta da uomini a donne e ragazze e riflette, potenziandole, le disuguaglianze tra uomini e donne, compromettendo la salute, la dignità, la sicurezza e l'autonomia delle vittime;
J.considerando che è necessario tener conto e prendersi cura dei minori che hanno assistito alla violenza su un parente stretto, con interventi psicologici e sociali adeguati, e che i minori che hanno assistito alla violenza hanno elevate probabilità di soffrire di disturbi emotivi e di relazione;
K.considerando che le donne vittime della violenza di genere e i loro figli hanno spesso bisogno di una speciale assistenza e protezione, a causa dell'elevato rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, intimidazione e ritorsioni, in relazione a tale violenza;
L.considerando che le donne e i bambini che hanno subito violenza necessitano di luoghi in cui ricevere servizi adeguati di assistenza sanitaria, assistenza giuridica nonché consulenza e terapia psicologica; che i centri di accoglienza per le donne devono essere adeguatamente finanziati dagli Stati membri;
M.considerando che la violenza degli uomini contro le donne altera la posizione delle donne nella società e la loro autodeterminazione in termini di salute, accesso alla vita professionale e all'istruzione, integrazione nelle attività socio-culturali, indipendenza economica, partecipazione alla vita pubblica e politica e al processo decisionale, relazioni con gli uomini e acquisizione della propria dignità;
N.considerando che la violenza contro le donne può lasciare profonde ferite fisiche e psicologiche, danneggiare la salute complessiva delle donne e delle ragazze, compresa la salute riproduttiva e sessuale, e, in alcuni casi, causarne la morte (il cosiddetto "femminicidio");
O.considerando che l'istruzione e la formazione sono necessarie fin dalla più tenera età per combattere la violenza contro le donne e la violenza di genere in generale, poiché forniscono ai giovani le capacità necessarie per trattare il loro partner con rispetto, a prescindere dal sesso, e li rendono consapevoli dei principi di parità;
P.considerando che la violenza sulle donne assume forme sempre più inaccettabili, tra cui l'inserimento delle donne in gruppi che organizzano la tratta di donne a fini di sfruttamento sessuale;
Q.considerando che, in base a studi effettuati sulla violenza contro le donne, una percentuale stimata tra il 20 e il 25% di tutte le donne in Europa ha subito atti di violenza fisica almeno una volta nella vita adulta e più del 10% delle donne ha subito violenze sessuali che comportano l'uso della forza(15) ;
R.considerando che, secondo la valutazione del valore aggiunto europeo, il costo annuo per l'UE della violenza di genere contro le donne è stimato a 228 miliardi di EUR nel 2011 (pari all'1,8 % del PIL dell'UE), di cui 45 miliardi di EUR all'anno in servizi pubblici e statali e 24 miliardi di EUR in perdita di produzione economica;
S.considerando che l'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali ha pubblicato nel marzo 2013 i risultati preliminari della sua indagine europea sulla violenza contro le donne, i quali mostrano, tra l'altro, che: quattro donne su cinque non si sono rivolte a nessun servizio (sanitario, sociale o di assistenza alle vittime) a seguito degli episodi più gravi di violenza ad opera di persone diverse dal partner; le donne che hanno chiesto aiuto si sono rivolte più spesso ai servizi medici, fattore che sottolinea la necessità di garantire che i professionisti in ambito sanitario siano in grado di affrontare le esigenze delle vittime di violenza; due donne su cinque non erano a conoscenza delle leggi o delle iniziative politiche che tutelano le donne in caso di violenza domestica e la metà ignorava l'esistenza di leggi o iniziative di prevenzione;
T.considerando che, nella strategia per la parità tra donne e uomini 2010-2015, la Commissione sottolinea che la violenza di genere è uno dei problemi fondamentali da affrontare onde conseguire un'autentica parità tra i sessi;
U.considerando che il quadro giuridico definito dal trattato di Lisbona offre nuove possibilità per incrementare la cooperazione in materia di politica penale a livello dell'Unione, consentendo alle istituzioni e agli Stati membri di lavorare insieme su basi certe, creando una cultura giuridica comune dell'Unione in materia di lotta contro tutte le forme di violenza e discriminazione nei confronti delle donne, che rispetti, ma non sostituisca, i sistemi e le tradizioni giuridiche nazionali;
V.considerando che la sensibilizzazione e la mobilitazione, anche attraverso i mezzi di comunicazione e i social media, sono elementi importanti di un'efficace strategia di prevenzione;
W.considerando che nessun intervento singolo eliminerà la violenza nei confronti delle donne, ma che un insieme di azioni infrastrutturali, giuridiche, giudiziarie, esecutive, culturali, didattiche, sociali e sanitarie, unitamente a interventi di altro genere nel settore dei servizi, possono contribuire in modo significativo a sensibilizzare la società e ridurre la violenza e le sue conseguenze;
X.considerando che i sei obiettivi indissociabili alla base di qualsiasi misura per combattere la violenza contro le donne sono: politica, prevenzione, protezione, procedimento giudiziario, provvedimenti e partenariato;
Y.considerando che è importante intensificare le azioni contro l'industria che considera le ragazze e le donne oggetti sessuali;
Z.considerando che la protezione garantita alle donne contro la violenza maschile non è omogenea nell'Unione, a causa della diversità di politiche e legislazioni nei vari Stati membri, per quanto riguarda tra l'altro la definizione dei reati e l'ambito di applicazione della legislazione, e che le donne sono pertanto vulnerabili a tale violenza;
AA.considerando che le donne possono avere esigenze particolari ed essere più vulnerabili a discriminazioni multiple, a causa di fattori quali la razza, l'appartenenza etnica, la religione o le convinzioni personali, la salute, lo stato civile, l'alloggio, lo status di migrante, l'età, la disabilità, la classe sociale, l'orientamento sessuale e l'identità di genere;
AB.considerando che in molti casi le donne non denunciano gli atti di violenza di genere subiti, e ciò per motivi diversi e complessi che includono fattori psicologici, economici, sociali e culturali, ma anche per mancanza di fiducia nella capacità della polizia, del sistema giuridico e dei servizi sociali e sanitari di aiutarle concretamente; che in alcuni casi le autorità considerano la violenza di genere un problema famigliare e pertanto risolvibile in famiglia;
AC.considerando che la politica in materia di salute riproduttiva dovrebbe essere al centro di questo dibattito;
AD.considerando che è indispensabile raccogliere dati disaggregati, qualitativi e quantitativi comparabili, che riguardino tutti gli aspetti del problema, per comprendere la reale portata della violenza contro le donne nell'Unione e, dunque, elaborare politiche efficaci;
AE.considerando che il rifiuto da parte del Parlamento europeo, il 12 dicembre 2012, di approvare la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle statistiche europee sulla sicurezza dalla criminalità(16) presentata dalla Commissione ribadisce la necessità di una nuova proposta di normativa dell'UE che istituisca un sistema coerente per la raccolta di statistiche sulla violenza contro le donne negli Stati membri e che il Consiglio, nelle sue conclusioni del dicembre 2012, ha chiesto un miglioramento della raccolta e della divulgazione di dati comparabili, attendibili e regolarmente aggiornati riguardanti tutte le forme di violenza contro le donne, a livello sia nazionale che unionale;
AF.considerando che la mutilazione genitale femminile è internazionalmente riconosciuta come una violazione dei diritti umani e una forma di tortura contro le ragazze e le donne e riflette disuguaglianze profondamente radicate tra i sessi; che la mutilazione genitale femminile costituisce una forma estrema di discriminazione nei confronti delle donne, è quasi sempre perpetrata su minorenni e rappresenta una violazione dei diritti dei minori;
AG.considerando che la prostituzione può essere considerata una forma di violenza contro le donne, a causa delle sue ripercussioni sulla salute fisica e mentale, in particolar modo in caso di prostituzione forzata e di tratta delle donne finalizzata alla prostituzione;
AH.considerando che la pericolosa tendenza a compiere delitti d'onore sta aumentando all'interno dei confini dell'Unione europea e che le ragazze sono le più colpite;
AI.considerando che l'abuso sugli anziani è riconosciuto a livello internazionale come una violazione dei diritti umani delle donne anziane e che è necessario prevenire e combattere l'abuso sugli anziani in tutti i paesi dell'UE;
AJ.considerando che l'adozione degli orientamenti dell'UE sulla violenza contro le donne e le ragazze e sulla lotta contro tutte le forme di discriminazione nei loro confronti, nonché il capitolo specifico sulla protezione delle donne dalla violenza di genere del quadro strategico e del piano d'azione dell'Unione europea per i diritti umani, dimostrano la chiara volontà politica dell'UE di trattare come tema prioritario i diritti delle donne e di intraprendere azioni a lungo termine al riguardo; che la coerenza tra la dimensione interna e quella esterna delle politiche relative ai diritti umani può talvolta evidenziare una divergenza tra retorica e comportamento;
AK.considerando che, secondo i rapporti di Amnesty International e le relazioni della Commissione, la mutilazione genitale femminile colpisce centinaia di migliaia di donne e ragazze in Europa e che ricorre spesso il riferimento a 500 000 vittime; che le divergenze tra le disposizioni giuridiche degli Stati membri stanno conducendo al fenomeno del cosiddetto "turismo della mutilazione genitale femminile" transfrontaliero nell'UE;
AL.considerando che persiste la necessità che l'Unione europea continui a lavorare con i paesi terzi per eliminare la violenta pratica della mutilazione genitale femminile; che gli Stati membri e i paesi terzi la cui legislazione nazionale criminalizza la mutilazione genitale femminile dovrebbero agire conformemente a tale legislazione;
1. chiede alla Commissione di presentare, entro la fine del 2014, sulla base dell'articolo 84 TFUE, una proposta di atto che stabilisca misure volte a promuovere e sostenere l'azione degli Stati membri nel settore della prevenzione della violenza contro le donne e le ragazze, seguendo le raccomandazioni dettagliate figuranti in allegato;
2.chiede alla Commissione di presentare una proposta rivista di regolamento sulle statistiche europee relative ai reati violenti che preveda anche un sistema coerente per la raccolta di statistiche sulla violenza di genere negli Stati membri;
3.chiede al Consiglio di attivare la "clausola passerella", mediante l'adozione di una decisione unanime che inserisca la violenza contro le donne e le ragazze (e altre forme di violenza di genere) fra i reati elencati all'articolo 83, paragrafo 1 TFUE;
4.invita la Commissione a promuovere le ratifiche nazionali e ad avviare la procedura per l'adesione dell'UE alla convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, una volta valutato l'impatto e il valore aggiunto che quest'ultima comporterebbe;
5.chiede alla Commissione di presentare una strategia paneuropea e un piano d'azione per combattere tutte le forme di violenza contro le donne e le ragazze, come previsto nel 2010 dal piano d'azione che attua il programma di Stoccolma, con il fine di una protezione concreta ed efficace dell'integrità, dell'uguaglianza (articolo 2 TUE) e del benessere (articolo 3, paragrafo 1 TUE) delle donne in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, ponendo in particolare l'accento sulla prevenzione rivolta alle donne affinché esse conoscano i loro diritti, sensibilizzando anche gli uomini e i ragazzi fin dalla più giovane età in merito al rispetto dell'integrità fisica e psicologica delle donne, insistendo sulla necessità di una formazione adeguata per i servizi di polizia e di giustizia che tenga conto della specificità della violenza di genere e incoraggiando gli Stati membri a fornire assistenza alle vittime aiutandole a fare un progetto di vita e a ritrovare l'autostima per non ricadere in situazioni di vulnerabilità o di dipendenza; ritiene che detta strategia debba prestare particolare attenzione ai gruppi vulnerabili, come gli anziani, i disabili, i migranti e le persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) e che debba altresì prevedere misure a sostegno dei minori testimoni di atti di violenza e riconoscerli come vittime di reato;
6.invita la Commissione a promuovere la collaborazione tra gli Stati membri da un lato e le ONG e le organizzazioni femminili dall'altro, al fine di predisporre e attuare una strategia efficace per eliminare la violenza contro le donne;
7.esorta la Commissione a muovere i primi passi verso la creazione di un osservatorio europeo sulla violenza nei confronti delle donne e delle ragazze, basandosi sulle strutture istituzionali esistenti (Istituto europeo per l'uguaglianza di genere - EIGE), guidato da un coordinatore UE in materia;
8.esorta la Commissione a proclamare, nei prossimi tre anni, un Anno europeo per la cessazione della violenza contro le donne e le ragazze, con l'intento di sensibilizzare i cittadini e tutti i politici in merito a tale problema diffuso che colpisce tutti gli Stati membri, al fine di presentare un piano d'azione ben definito per porre fine alla violenza contro le donne;
9.invita gli Stati membri a lottare contro i delitti d'onore fornendo istruzione e accoglienza alle potenziali vittime e attivando campagne di sensibilizzazione su questa forma estrema di violazione dei diritti umani e sul numero di morti tragiche causate dai delitti d'onore;
10.invita gli Stati membri e le parti interessate, in collaborazione con la Commissione, a favorire la divulgazione di informazioni sui programmi e relativi i finanziamenti dell'UE disponibili per combattere la violenza contro le donne;
11.conferma che le raccomandazioni rispettano i diritti fondamentali e i principi di sussidiarietà e proporzionalità;
12.ritiene che le incidenze finanziarie della proposta richiesta debbano essere coperte a titolo del bilancio dell'UE, sezione 3 (garantendo la totale complementarietà con la linea di bilancio esistente in relazione all'oggetto della proposta);
13.incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione e le raccomandazioni dettagliate in allegato alla Commissione e al Consiglio, nonché ai parlamenti e ai governi degli Stati membri, al Consiglio d'Europa e all'EIGE.
ALLEGATO ALLA RISOLUZIONE:
RACCOMANDAZIONI DETTAGLIATE SUL CONTENUTO DELLA PROPOSTA RICHIESTA
Raccomandazione 1 sull'obiettivo e sull'ambito di applicazione del regolamento da adottare
L'obiettivo del regolamento deve essere la messa a punto di misure volte a promuovere e sostenere l'azione degli Stati membri nel settore della prevenzione della violenza di genere.
Deve essere considerata violenza di genere (come già indicato nella direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI1) "la violenza diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere o della sua espressione di genere o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere". Questo tipo di violenza può provocare un danno fisico, sessuale, emotivo o psicologico o perdite economiche alla vittima e può comprendere la violenza nelle relazioni strette, la violenza sessuale (compresi lo stupro, l'aggressione sessuale e le molestie sessuali), la tratta di esseri umani, la schiavitù e varie forme di pratiche dannose, quali i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile e i cosiddetti "reati d'onore".
Raccomandazione 2 sulle misure di prevenzione e lotta
Gli Stati membri devono sviluppare una serie di misure per prevenire e combattere la violenza di genere contro le donne e le ragazze. In particolare:
–messa a punto, attuazione e valutazione di strategie e programmi annuali esaustivi, anche nell'ambito della pubblica istruzione e della formazione degli insegnanti e dei professionisti nel settore ricreativo, al fine di rimuovere gli ostacoli che impediscono alle donne e alle ragazze di godere appieno dei loro diritti e di essere libere dalla violenza e con l'obiettivo di promuovere un profondo mutamento dei comportamenti socio-culturali;
–svolgimento di ricerche pertinenti sulla violenza di genere, ivi compreso sulle cause e sulle motivazioni di tale violenza, e raccolta e analisi di dati, pur continuando a prodigarsi per standardizzare i criteri relativi alla registrazione della violenza di genere, in modo da rendere comparabili i dati raccolti;
–organizzazione della formazione per i funzionari e i professionisti che potrebbero trovarsi ad affrontare casi di violenza di genere, compreso il personale incaricato dell'applicazione della legge, dell'assistenza sociale, dell'assistenza ai minori (vittime o testimoni di violenza), della sanità e dei centri di emergenza, onde individuare, identificare e gestire adeguatamente tali casi, incentrandosi particolarmente sulle necessità e sui diritti delle vittime;
–scambio di conoscenze, esperienza, informazioni e migliori pratiche attraverso la rete europea per la prevenzione della criminalità (EUCPN);
–organizzazione di campagne di sensibilizzazione, incluse campagne specificamente destinate a uomini, se opportuno in collaborazione con le ONG, i media, e altri soggetti interessati;
–creazione, ove non già esistenti, e sostegno di linee di aiuto (help line) nazionali gratuite con personale specializzato;
–disponibilità di centri di accoglienza specializzati, concepiti sia come servizi di prima assistenza sia come spazi sicuri e di emancipazione per le donne, dotati di infrastrutture e personale adeguatamente formato, che possano accogliere almeno una donna ogni 10 000 abitanti;
–sostegno alle ONG composte da donne e alla società civile che operano per prevenire la violenza di genere contro le donne e le ragazze.
Raccomandazione 3 sui relatori nazionali o meccanismi equivalenti
Entro un anno dall'entrata in vigore del regolamento, gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per la nomina di relatori nazionali o la creazione di meccanismi equivalenti. Le mansioni affidate a tali meccanismi dovrebbero includere lo svolgimento di valutazioni delle tendenze relative alla violenza di genere, la valutazione dei risultati delle misure adottate per combatterla a livello nazionale e locale, la raccolta di statistiche e relazioni annuali alla Commissione europea e alle commissioni competenti del Parlamento europeo.
Raccomandazione 4 sul coordinamento della strategia dell'Unione per la lotta alla violenza contro le donne
Onde contribuire a una strategia dell'Unione europea per la lotta alla violenza di genere, coordinata e consolidata, gli Stati membri devono trasmettere alla Commissione europea le informazioni di cui alla raccomandazione 3.
Raccomandazione 5 sulla comunicazione
Entro il 31 dicembre di ogni anno e con decorrenza dall'anno successivo all'entrata in vigore del presente regolamento, la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione di valutazione dei passi compiuti dagli Stati membri per l'adozione delle misure a norma del presente regolamento.
La relazione elenca le misure adottate ed evidenzia le buone prassi.
Raccomandazione 6 sulla creazione di un forum della società civile
La Commissione europea mantiene uno stretto dialogo con le pertinenti organizzazioni della società civile e i relativi organismi competenti che operano nel settore della lotta alla violenza di genere a livello locale, regionale, nazionale, europeo o internazionale, e istituisce a tal fine un forum della società civile.
Il forum costituisce un meccanismo per lo scambio di informazioni e la condivisione di conoscenze e assicura uno stretto dialogo tra le istituzioni dell'Unione e i soggetti interessati.
Il forum è aperto ai soggetti interessati ai sensi del primo comma e si riunisce almeno una volta all'anno.
Raccomandazione 7 sul sostegno finanziario
Il regolamento deve indicare la fonte del sostegno finanziario nel quadro del bilancio dell'Unione (sezione III) per le azioni di cui alla raccomandazione 3.
1) GU C 117 E del 6.5.2010, pag. 52.
2) GU C 332 E del 15.11.2013, pag. 87.
3) GU C 184 E dell'8.7.2010, pag. 131.
4) GU C 285 E del 21.10.2010, pag. 53.
5) GU C 296 E del 2.10.2012, pag. 26.
6) Testi approvati, P7_TA(2013)0045.
7) GU C 227 E del 4.9.2008, pag. 140.
8) GU L 335 del 17.12.2011, pag. 1.
9) GU C 351 del 15.11.2012, pag. 21.
10) GU C 59 del 23.2.2001, pag. 258.
11) GU C 320 E del 15.12.2005, pag. 247.
12) GU C 348 E del 21.12.2010, pag. 11.
13) PE 504.467.
14) Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio (GU L 315 del 14.11.2012, pag. 57).
15) "Final Activity Report" della Task Force del Consiglio d'Europa per combattere la violenza contro le donne, compresa la violenza domestica (EG-TFV), settembre 2008.
16) Testi approvati, P7_TA(2012)0494.