SENATO DELLA REPUBBLICA

COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI (1ª)

INDAGINE CONOSCITIVA SUI PROVVEDIMENTI IN ITINERE DI ATTUAZIONE E DI REVISIONE DEL TITOLO V DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE

4º Resoconto stenografico

SEDUTA DI MERCOLEDÌ 9 OTTOBRE 2002

Presidenza del presidente PASTORE

 

 

Audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'indagine conoscitiva sui provvedimenti in itinere di attuazione e di revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione, sospesa nella seduta del 3 ottobre scorso.

È in programma oggi l'audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica.
Ricordo che, ai sensi dell'articolo 33, comma 4, del Regolamento, è stata chiesta l'attivazione dell'impianto audiovisivo e che la Presidenza del Senato ha già preventivamente fatto conoscere il proprio assenso. Se non ci sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
Per quanto riguarda le materie di competenza di cui oggi ci occupiamo, vi è da evidenziare che il percorso scolastico ha una sua strada tracciata con la riforma generale, approdata in Aula proprio in questi giorni. Pertanto, il cosiddetto disegno di legge La Loggia (Atto Senato n. 1545) è interessato soltanto marginalmente dall'audizione odierna, mentre lo è certamente il disegno di legge n. 1187 di revisione costituzionale in materia di devoluzione.

Ringraziando il Ministro per la sua presenza e disponibilità, faccio presente che su argomenti particolarmente tecnici o che richiedono approfondimenti maggiori potrà far pervenire alla Commissione anche note scritte, che potranno essere acquisite agli atti.

MORATTI, ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica. Signor Presidente, l'indagine conoscitiva promossa da questa Commissione investe sostanzialmente il settore della scuola perché è proprio su questo che incidono le specifiche modifiche apportate dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e quelle previste nel disegno di legge costituzionale in materia di devoluzione (Atto Senato n. 1187).

Occorre anzitutto sottolineare che l'università e l'alta formazione artistica e musicale non rientrano in tali problematiche perché la potestà legislativa esclusiva in questo settore è ancora statale: l'articolo 33 della Costituzione (che non ha subito modifiche) attribuisce agli atenei e agli istituti di alta cultura l'autonomia, nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato, non lasciando, di fatto, margini residuali di competenza regionale.
Quando perciò si parla di devoluzione nel settore dell'istruzione, ci si riferisce essenzialmente alla scuola, non alle università, né all'alta formazione artistica e musicale.
Per quanto riguarda la scuola, il Governo si è ispirato alle linee guida discusse in Parlamento in occasione della riforma dell'intero sistema educativo. Gli obiettivi sono quelli di migliorare e qualificare l'offerta formativa e nel contempo, nel quadro della riforma federalista dello Stato e della devoluzione di poteri effettivi di governo alle Regioni, coinvolgere pienamente in questa azione le Regioni e le autonomie locali.
Abbiamo quindi cercato di individuare delle linee di azione coerenti con entrambi gli obiettivi, definendo ruoli distinti articolati essenzialmente su tre livelli: un primo livello, statale, quindi relativo al ruolo dello Stato centrale, che cambia, muta sostanzialmente i propri compiti, passando da compiti gestionali a compiti di indirizzo, di governo e di controllo; un secondo livello, regionale, cui spetta la responsabilità dell'organizzazione del servizio sul territorio; un terzo livello, relativo all'istituzione scolastica, quindi ai singoli istituti che definiscono, in modo flessibile e ampio, l'offerta formativa nell'esercizio della loro autonomia. Questi quindi i tre livelli, delineati come corretti, che rappresentano delle linee guida per gli interventi dello Stato, delle Regioni e delle istituzioni scolastiche.
Questi principi ci hanno guidato nella lettura del Titolo V della Costituzione, così come definito dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, nella definizione del disegno di legge di riforma della scuola (Atto Senato n. 1306), attualmente all'esame dell'Assemblea di questo ramo del Parlamento, e nella definizione del disegno di legge costituzionale (Atto Senato n. 1187), che interviene ulteriormente sul Titolo V della Costituzione, in corso di esame presso questa Commissione.
Ci siamo mossi nell'ottica di pensare ad un percorso certo, ancorché prudente e graduale, che realizzi questo assetto sui tre livelli richiamati.
In particolare, il disegno di legge delega, che dovrebbe fissare le norme generali sull'istruzione e i livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale, individua in primo luogo come norme generali i contenuti fondamentali e comuni del sistema educativo che, in quanto tali, devono restare riservati al livello centrale. In questo ambito rientrano: l'ordinamento degli studi, la valutazione del sistema educativo ed i requisiti professionali degli insegnanti; pertanto, tutto ciò continua a rimanere competenza dello Stato.
Un ulteriore compito riservato allo Stato è quello di definire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Quindi, norme generali da un lato e livelli essenziali di prestazione dall'altro; questi i due cardini all'interno dei quali ci siamo mossi per delineare il progetto di riforma degli ordinamenti.
Mentre la definizione delle norme generali sull'istruzione, nei termini sopra indicati, ha richiesto l'enucleazione dal complesso della normativa preesistente di alcuni aspetti fondamentali (partendo da una base abbiamo rivisto le norme enucleando da tutte queste quelle che si riferivano a concetti essenziali, alle norme generali), per la definizione dei livelli essenziali, il lavoro è stato di tipo diverso. Dovendo esplicitare le garanzie di qualità del servizio erogato, prima gestito in un sistema quasi esclusivamente statale, assicurato attraverso l'organizzazione statale, passato questo alle Regioni, proprio al fine di assicurare livelli essenziali di servizio, si è resa necessaria una rivisitazione in termini di garanzie. Si è trattato quindi di un impegno che ci ha portato ad affrontare praticamente ex novo la materia.
Perché la gestione possa essere devoluta a livello regionale, quindi ad un livello più vicino all'utenza, è chiaro che occorre che lo Stato definisca i requisiti necessari al fine di preservare e migliorare la qualità del sistema nazionale. Questo è il principio che ci ha guidato nell'affrontare il tema relativo alla parte istruzione e formazione professionale, indipendentemente dal soggetto che eroga il servizio.
Per questo motivo, abbiamo voluto e definito nella riforma degli ordinamenti un nuovo strumento, il sistema di valutazione nazionale, per rafforzare la possibilità di verificare la qualità del servizio indipendentemente da chi eroga il servizio stesso.
Riteniamo che il trasferimento di competenze debba essere ispirato al criterio della responsabilità. In effetti, un primo trasferimento delle stesse dallo Stato alle Regioni era stato realizzato dal precedente Governo, che aveva delegato alle Regioni, con il decreto legislativo n. 112 del 1998, la programmazione della rete scolastica, il dimensionamento delle singole scuole, la programmazione dell'offerta normativa integrata tra istruzione e formazione professionale. Abbiamo però potuto notare che ciò ha creato non pochi problemi, soprattutto perché le Regioni si sono trovate a programmare un servizio le cui risorse erano in capo allo Stato. Riteniamo invece che il disegno di legge costituzionale n. 1187, che trasferisce competenze legislative piene su questo punto, abbia una portata più incisiva e risponda meglio a quel criterio di correlazione tra erogazione del servizio e responsabilità nella gestione complessiva delle risorse relative al servizio stesso.
Un altro punto che dobbiamo tenere in considerazione è che il trasferimento dell'organizzazione scolastica richiede la definizione delle norme generali e dei livelli essenziali, la realizzazione di un efficiente sistema di valutazione nazionale e un consistente impegno organizzativo e amministrativo. Mi soffermo un momento sul sistema di valutazione. Tutti i paesi che hanno attuato la devoluzione, quindi che hanno decentrato l'organizzazione scolastica, hanno rafforzato il sistema di valutazione nazionale per accompagnare il sistema di trasferimento alle Regioni o agli enti locali con uno strumento che garantisse qualità omogenea sul territorio nazionale. Ecco, proprio il sistema di valutazione è fondamentale nel nostro disegno di riforma, perché fondamentale nell'accompagnare il processo di devoluzione.
Tornando alla questione dell'impegno organizzativo e amministrativo, vorrei sottolineare che il problema è complesso perché riguarda circa un milione di persone, se consideriamo l'insieme del personale della scuola, cioè sia il corpo docente che il personale tecnico-amministrativo. Quindi, si tratta di una macchina amministrativa complicata, che in questo momento abbiamo rimesso a punto e che sta dando risultati positivi. Voglio solo ricordare che per il secondo anno consecutivo, a differenza di tutti gli anni precedenti, siamo riusciti a chiudere le graduatorie in modo tale da avviare l'anno scolastico con tutti i docenti e tutti i supplenti presenti in classe sin dal primo giorno. Però la macchina non è semplice da gestire, va rivista, va organizzata.
Voglio evidenziare anche altre difficoltà, sempre relative al trasferimento, che si sono evidenziate a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 3 del 2001, relativamente all'istruzione professionale, che è attribuita con competenza esclusiva regionale. Lo Stato conserva come competenza esclusiva, ai sensi dell'articolo 33 della Costituzione, l'esame di Stato, ossia l'esame che dà accesso all'università, quindi al sistema di istruzione superiore. Posto che tutti i corsi degli attuali istituti professionali di Stato si concludono con l'esame di Stato, il trasferimento alle Regioni di questi istituti richiede che vengano definite le condizioni affinché i relativi corsi, pur diventando regionali, continuino a consentire l'accesso all'esame in questione. Questo aspetto è ora disciplinato dall'Atto Senato n. 1306.
Un altro problema che si è posto è quello del personale degli istituti tecnici professionali dello Stato, i quali, ai sensi del nuovo Titolo V della Costituzione, devono passare alle Regioni. In questo momento i dirigenti e gli insegnanti sono dipendenti statali e il loro rapporto è regolato dai contratti collettivi nazionali. Il trasferimento degli istituti professionali dallo Stato alle Regioni, in ossequio della legge costituzionale n. 3 del 2001, comporterebbe anche il contestuale trasferimento del loro personale, il quale teme di perdere le attuali possibilità di mobilità e di passaggio ad insegnamenti di altri ordini o gradi di scuole, essendo il sistema completamente statale, possibilità che invece manterrebbero i dipendenti statali. Questo problema è complesso e delicato. Peraltro, già questa fase di passaggio alle Regioni degli istituti tecnici professionali statali coinvolge una parte non piccola del personale scolastico e va affrontata con la dovuta cautela. In prospettiva, una volta approvata la modifica costituzionale all'esame di questa Commissione, il passaggio riguarderà – lo ribadisco – più di un milione di persone. Riteniamo che questo passaggio possa e debba essere affrontato con la necessaria gradualità e che potrà essere più facile trasferendo l'intera organizzazione, piuttosto che solo una sua parte, così da evitare squilibri, asimmetrie e differenze di personale all'interno di un unico quadro nazionale.
L'esperienza positiva che possiamo prendere in esame è quella della Provincia autonoma di Trento. Il suo modello, conseguenza di un percorso durato anni, funziona molto bene e non presenta problemi particolari. La riorganizzazione è stata completata ed il personale è passato tutto alla Provincia, nella quale – ciò va evidenziato – la dispersione scolastica è peraltro molto ridotta, a testimonianza del buon funzionamento anche dal punto di vista dell'integrazione tra istruzione e formazione professionale, tema che tocca meno i lavori di questa Commissione, ma che è comunque rilevante ai fini della qualità del servizio e del successo formativo degli studenti.
Abbiamo iniziato una preparazione graduale dal punto di vista organizzativo e normativo. Naturalmente, una volta entrata in vigore la modifica costituzionale all'esame di questa Commissione e dunque una volta che le Regioni avranno deliberato, in attuazione di tale modifica, sia l'attivazione della propria competenza esclusiva in materia di organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e formazione, sia la definizione della parte relativa ai programmi scolastici e formativi di interesse specifico delle Regioni, ci sarà poi l'esigenza di attuare tale trasferimento. Cercheremo di farlo sulla base di un percorso certo, anche se graduale, e ricercando ovviamente un'intesa complessiva delle Regioni nell'ambito della Conferenza unificata, come peraltro in questo primo anno di Governo abbiamo sempre fatto con riferimento a tutti i temi trattati con le Regioni. Questo percorso intanto ha reso possibile un'intesa, forse di maggioranza, sul disegno di legge delega degli ordinamenti. Ricordo anche un accordo importante, firmato il 1º agosto di quest'anno, che ha portato ad una semplificazione e riduzione dei profili professionali molto frammentati e diversi da Regione a Regione. Sono stati ridotti da 600 a 37. Tutto ciò è stato possibile grazie ad un lavoro di intesa con le Regioni che ha portato ad una semplificazione dei profili professionali e quindi dei percorsi, che certamente facilita la mobilità degli studenti tra Regione e Regione, anche in relazione alla spendibilità del titolo a livello nazionale.
Voglio ricordare l'importanza in prospettiva dell'accordo non solo ai fini della mobilità nazionale e dunque della spendibilità del titolo, ma anche in un'ottica europea.
In questo settore abbiamo iniziato un lavoro di rilievo in Europa. Come sapete vi sono direttive che già armonizzano alcune professioni. Le prime 26-27 professioni, le cosiddette professioni pregiate, sono quelle per le quali è necessaria la laurea. In questo caso il nostro sistema si presentava non perfettamente allineato alle necessità indicate dalle direttive europee, con la particolarità che per alcuni profili professionali c'era un sottodimensionamento dei percorsi scolastici, nel senso che i nostri studenti non avevano necessità, per ottenere un certo titolo, di completare un percorso universitario, ma potevano limitarsi semplicemente a completare un corso di formazione superiore non universitaria, come nel caso dei geometri. A livello europeo ciò non era consentito.
Noi avevamo necessità di rivedere questo sistema per garantire ai nostri studenti di non essere penalizzati rispetto agli studenti di altri paesi che, con titoli diversi, avevano modo di esercitare la professione in Italia, diversamente dagli italiani che invece all'estero non avevano tale possibilità.
Oltre al problema connesso ad un sottodimensionamento, ve ne era un altro relativo al sovradimensionamento, come nel caso dei chimici, dei biologi e degli ingegneri, per i quali in Italia era necessario aver completato un percorso di laurea quinquennale, mentre analoga professione in altri paesi necessitava di un percorso formativo universitario più breve. Ciò poneva nuovamente i nostri studenti in una condizione di penalizzazione rispetto agli studenti di altri paesi.
Il tema dell'istruzione e della formazione professionale non può quindi essere visto solo in un contesto nazionale, ma necessita di essere armonizzato con un contesto europeo più ampio, che poi è quello con il quale i nostri studenti e futuri professionisti dovranno confrontarsi.
Sono molti i risvolti da considerare per completare questo processo di devoluzione, così come previsto dal Titolo V e dal disegno di legge attualmente all'esame della Commissione. Vi è poi la necessità di operare tenendo in considerazione anche altre necessità, come quelle di creare un mercato e di garantire ai nostri studenti il riconoscimento dei titoli conseguiti in Italia sia nell'ambito nazionale che in quello dell'Unione europea.

PRESIDENTE. Onorevole Ministro, la ringrazio per il suo intervento ed esprimo un apprezzamento sentito per la chiarezza espositiva con cui ha affrontato tutti i problemi, inquadrandoli in un contesto estremamente articolato, compreso quello degli sbocchi professionali a livello europeo, oggi particolarmente avvertito dagli organismi europei nella predisposizione di direttive adeguate con riferimento all'inserimento nel mondo professionale. Inoltre ha evidenziato altri livelli di formazione culturale che costituiscono le basi stesse dell'impegno professionale a livello europeo.
VITALI (DS-U). Anch'io ringrazio il ministro Moratti per la sua presenza odierna, che ci consente di affrontare un tema molto sentito nel mondo della scuola e per il quale c'è anche forte preoccupazione, soprattutto con riferimento al disegno di legge sulla devoluzione. Le rivolgerò cinque domande tese ad approfondire e a chiarire meglio le varie problematiche sul tappeto.

La prima questione attiene alle risorse. Lei ha sostenuto che, in un processo di trasferimento di competenze e funzioni già in atto, si sta registrando una forte contraddizione per l'assenza di risorse adeguate alla gestione di tali competenze.
Come può pensare che l'attuazione di questo nuovo dispositivo costituzionale possa risolvere il problema, quando l'attivazione di competenze legislative esclusive in materia di organizzazione scolastica, di gestione di istituti scolastici e di formazione non è accompagnata da alcun disegno di legge attuativo del nuovo articolo 119 della Costituzione, cioè quello che prevede che le Regioni esercitino le proprie competenze nell'ambito di un coordinamento dei principi della finanza pubblica stabilito in base a legge ordinaria?
La seconda questione: qualora si decidesse di provvedere in qualche modo – anche il Governo si è impegnato a farlo – all'attuazione dell'articolo 119, come pensa sarebbe possibile risolvere il problema della gestione di servizi così fondamentali, delicati e costosi come quelli legati alla scuola, in presenza di un meccanismo di autoattribuzione?
Il disegno di legge n. 1187 usa l'espressione: "Le Regioni attivano". Dunque questa disposizione va intesa nel senso che le Regioni possono attivare indipendentemente da qualunque meccanismo di regolazione centrale. Mi muovo dunque già nell'ottica di una contestuale attuazione del nuovo principio costituzionale indicato dall'articolo 119.
È presumibile che Regioni con una forte base imponibile, come il Piemonte o la Lombardia, possano finanziare il servizio con le risorse che raccolgono sul proprio territorio; altre Regioni invece, come la Calabria, la Puglia e la Basilicata, difficilmente potranno farlo, anzi sicuramente non potranno.
Come è possibile prevedere un flusso di risorse verso queste Regioni se non vi è nessun quadro di carattere generale che preveda, per l'appunto, l'esercizio di queste funzioni in modo omogeneo, su tutto il territorio nazionale?
Inoltre, se l'obiettivo del Governo è arrivare ad una situazione come quella della Provincia autonoma di Trento, che lei ha ricordato e che personalmente ritengo potrebbe rappresentare un obiettivo condivisibile, allora perché non si è agito, molto più semplicemente, sull'attuazione dei principi costituzionali esistenti? Legiferando, ad esempio, in materia di principi fondamentali e livelli essenziali delle prestazioni sociali e civili il Governo avrebbe potuto proporre al Parlamento un meccanismo in base al quale tutte le Regioni, in una fase di transizione, avrebbero potuto giungere alla gestione piena ed autonoma delle proprie risorse (come avviene appunto nella Provincia autonoma di Trento). Sarebbe stato questo un meccanismo molto più garantista della possibilità per tutte le Regioni di raggiungere tale traguardo. Mi chiedo per quale motivo non sia stato fatto. Che non sia stato fatto è evidente, anche perché nel disegno di legge n. 1306, che pure noi abbiamo criticato in quanto ci pare che i principi fondamentali non possano essere fissati con delega al Governo ma con legge ordinaria, tutto ciò non è contenuto.
La quarta domanda si riferisce all'autonomia scolastica. L'attuale testo della Costituzione parla chiaro: l'istruzione è materia di legislazione concorrente, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche, e – come lei, onorevole Ministro, giustamente ha ricordato – con esclusione dell'istruzione e della formazione professionale. Citare in Costituzione l'autonomia è molto importante. Il nuovo testo di devoluzione non fa alcun riferimento a questo. Cosa dobbiamo evincere? Poiché, tra l'altro, entrambi questi riferimenti rimangono in vigore, cosa succede dell'autonomia scolastica, è demandata alla legislazione regionale essa stessa, oppure rimane come principio intangibile per le stesse leggi regionali? Questo è un punto veramente molto importante, al di là delle questioni sostanziali inerenti alle istituzioni, che non è assolutamente chiarito. Non vi è dubbio infatti che, per rendere efficaci e competitive le nostre istituzioni scolastiche, la leva dell'autonomia è una di quelle fondamentali. Se quindi si manomette questo processo che, a mio avviso, positivamente è stato avviato nel nostro Paese, si interviene su un punto davvero molto delicato e in modo negativo.
Concludo il mio intervento con un'ultima domanda. Poiché il progetto di devoluzione si riferisce anche a quella parte dei programmi scolastici formativi che sono di interesse specifico della Regione, chiedo al Ministro se ha avuto modo di valutare il parere autorevolmente espresso dall'associazione degli italianisti che esprime forte preoccupazione su questo punto, in riferimento ai dialetti e alle lingue regionali. È chiaro infatti che la promozione di tutto ciò che attiene al territorio rappresenta un elemento positivo ma non può andare a discapito degli elementi essenziali ed unificanti che dobbiamo acquisire a livello non solo nazionale ma europeo che
attengono, per l'appunto, alla formazione, alla lingua nazionale e agli aspetti nazionali della nostra cultura. Quindi, delegare, demandare alle Regioni la definizione di questa parte dei programmi scolastici, che potrebbe, per esempio, riguardare gli idiomi o i dialetti locali, non potrebbe essere lesivo di quel processo di unificazione culturale cui la scuola ha dato un contributo essenziale, soprattutto negli ultimi 40-50 anni, senza il quale forse questo nostro Paese non sarebbe tra i paesi più sviluppati del mondo?

DEL PENNINO (Misto-PRI). Anch'io ringrazio il Ministro per la sua ampia esposizione. Mi limiterò a porre due domande per avere dei chiarimenti.

Se ho colto bene la sua osservazione, il Ministro ha giudicato positivamente l'ipotesi di trasferimento integrale dell'organizzazione scolastica alle Regioni, contemplato nel disegno di legge n. 1187 all'esame di questa Commissione, per superare asimmetrie attualmente esistenti.
La mia domanda è la seguente e prende spunto dalla considerazione del Ministro. Se si mantiene un meccanismo come quello previsto nel disegno di legge n. 1187, per cui l'attivazione della competenza legislativa esclusiva in materia di organizzazione scolastica è affidata all'iniziativa delle singole Regioni, e domani ci troviamo di fronte alle cosiddette due velocità (le Regioni che attivano tale competenza e quelle che non la attivano), non si rischia di creare altre asimmetrie e di far insorgere nuovi problemi?
La seconda domanda, collegata alla precedente, è relativa al problema dei contratti. Il Ministro ha fatto riferimento alla contrattazione nazionale come punto a cui si deve guardare come elemento unificante. Se domani ci trovassimo di fronte ad un'organizzazione scolastica attivata da alcune Regioni e non da altre, come si risolverebbe il problema dell'unità della contrattazione e come si impedirebbe la creazione di trattamenti differenziati che creerebbe non pochi problemi?

ROLLANDIN (Aut). Anch'io ringrazio il Ministro per la relazione svolta.

Pur non facendo parte organicamente di questa Commissione, come rappresentante di una Regione a statuto speciale, quale la Valle d'Aosta, sono particolarmente interessato a seguire il percorso che definisce quali sono i modelli di devoluzione e a comprendere in che termini e con quali modalità si cerca di attivare dei sistemi che vedano la partecipazione diretta e sempre più responsabile delle Regioni.
A proposito dei cosiddetti modelli – e sono lieto che lei, signor Ministro, abbia citato il modello della Provincia autonoma di Bolzano – vorrei in particolare che lei valutasse attentamente anche il modello Valle d'Aosta che, come lei certamente saprà, diverge dal modello Bolzano per la semplice ragione che nel rispetto dell'autonomia e dell'organizzazione ha un modello integrativo piuttosto complesso citato a livello europeo come modello per quella che potrebbe essere l'educazione plurilingue. Vorrei ricordare che, mentre a Bolzano esiste il patentino, ci sono cioè le due "filiere" da seguire, in Valle d'Aosta è prevista la piena integrazione per tutto il percorso scolastico di 13 anni. Sottolineo questo aspetto perché ritengo importante nell'ambito dell'organizzazione, sia per quanto riguarda il disegno di legge di riforma che quello riguardante la devoluzione, che l'articolo 6 del disegno di legge n. 1306 abbia riconosciuto alle Regioni a statuto speciale la possibilità di mantenere la propria organizzazione. Siamo lieti che le Regioni vadano in questa direzione organizzativa.
Si è poi parlato di due velocità. Vorrei sottolineare che le velocità saranno tre, dal momento che c'è già una velocità delle Regioni a statuto speciale e una delle Regioni che vorranno essere un poco più speciali delle altre o che comunque sapranno interpretare questa nuova opportunità.
Le volevo chiedere quindi come valuta il modello Valle d'Aosta che ha previsto un'integrazione piena e completa su un tema che, rifacendomi a quanto da lei affermato a conclusione del suo intervento, va verso un modello europeo e sempre più plurilingue.
Un altro aspetto che mi interessa particolarmente è la questione relativa al riconoscimento dei titoli. Lei ha giustamente affermato che è necessario un modello scolastico che permetta di agevolare il passaggio successivo al lavoro. Lei certamente saprà che il problema del riconoscimento dei titoli è ancora molto complesso.
L'ultima notazione, che credo sia molto interessante, tenuto conto del contesto europeo nel quale ci inseriamo, è legata ai dialetti e alle lingue. Io ritengo che lo studio e la conoscenza delle lingue, italiana e straniere, sia perfettamente compatibile con il mantenimento dei dialetti, che possono trovare la loro giusta collocazione e che rappresentano un importante patrimonio culturale. Cosa pensa in proposito?

MORATTI, ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica. Signor Presidente, mi riservo di fornire solo alcune risposte di carattere generale, mentre su certi temi più specifici, soprattutto in relazione ad alcuni riferimenti costituzionali, preferisco prima condurre degli approfondimenti e poi fornire, nel più breve tempo possibile, una risposta scritta.

In generale credo che su questo tema sia molto difficile pensare di avere già delle risposte, perché siamo in presenza di un cambiamento di grande portata che richiede molta prudenza. È necessario avere un obiettivo certo, ma anche muoversi con la gradualità necessaria per poter avviare un percorso, e poi sperimentarlo, metterlo a punto e verificarlo.
Voglio solo ricordare che su questo tema tutti i paesi che hanno avviato – alcuni l'hanno già completata – la riforma federalista o, comunque, del decentramento, hanno impiegato moltissimi anni per completarla. Un esempio per tutti è quello del Belgio, un paese piccolo, che presenta però alcune peculiarità che derivano dalla coesistenza di diverse etnie: per completare il trasferimento alle Regioni di tutta l'organizzazione scolastica, il Belgio ci ha messo vent'anni. Quindi, credo che dobbiamo avere in mente l'obiettivo essenziale di migliorare la qualità complessiva del sistema. Purtroppo, dobbiamo partire dalla constatazione che i livelli di apprendimento attuali del nostro sistema educativo non sono ottimali, con una situazione che nel tempo si è anche rapidamente deteriorata. Cito il caso della scuola elementare, considerata a livello OCSE una dei punti di eccellenza del nostro sistema, ma che negli ultimi dieci anni è retrocessa in graduatoria. Secondo l'indagine PISA sui livelli di apprendimentoper quanto concerne la propria lingua, matematica e scienze, noi ci troviamo tra il ventunesimo e il ventiseiesimo posto.
Lo strumento della devoluzione deve portare ad un miglioramento della qualità del servizio. Credo che questo sia possibile proprio perché per le peculiarità del servizio scolastico la vicinanza al territorio è sinonimo di maggiore vicinanza alle esigenze degli utenti. Se il percorso di devoluzione verrà effettuato con la necessaria gradualità e avendo ben chiaro l'obiettivo del miglioramento della qualità del servizio, si potranno avere risultati positivi. Non a caso ho citato il sistema di valutazione nazionale come strumento importante per accompagnare il processo di devoluzione.
Circa i diversi modelli, va fatto anche un accenno all'Europa, la quale non offre certo un quadro omogeneo. Prima si è citato il caso delle lingue. Il commissario Reading si è sempre impegnato al fine di non creare una loro gerarchizzazione. La posizione della Commissione è che ogni paese dovrebbe prevedere lo studio di tre lingue, la propria, più altre due di prossimità. Ma all'interno dei singoli paesi assistiamo a situazioni assai diverse. Faccio l'esempio della Germania, che non è ancora riuscita ad andare nella direzione che ci siamo dati all'interno del Consiglio dei ministri, in accordo con la Commissione, che è quella di studiare due lingue comunitarie oltre alla propria. La Germania non è ancora riuscita a perseguire questo obiettivo, perché il fenomeno dell'immigrazione è molto forte. Noi abbiamo solo il 2,36 per cento di studenti stranieri (dato che negli ultimi anni si è accentuato, perché fino a dieci anni fa era pari a 0,36), ma la Germania presenta percentuali molto più alte, tanto che deve insegnare il tedesco come seconda lingua. Dico questo perché credo sia difficile avere un modello. È più di buon senso cercare di capire quali siano le diverse realtà, anche nel nostro Paese. Il modello della Valle d'Aosta è diverso da quelli di Trento e Bolzano.
Credo che le diversità vadano rispettate, perché costituiscono una ricchezza del nostro Paese, e che ci si debba preoccupare delle due velocità, non in maniera fine a se stessa, ma affinché non portino ad un abbassamento della qualità del servizio. Poi le due velocità potranno attivarsi, ma se ciò si verificherà in un quadro che avrà stabilito in maniera chiara e precisa gli standard di qualità di servizio che le Regioni dovranno darsi per poterne garantire una omogeneità su tutto il territorio nazionale, si potrà ragionevolmente pensare che non si avrà una diminuzione, ma un potenziamento del servizio stesso. È un lavoro da fare non a tavolino, ma insieme con le Regioni e le Province autonome. Siamo protagonisti diversi di una nuova Repubblica, nella quale lo Stato ha un ruolo, le Regioni un altro, gli enti locali un altro e le istituzioni scolastiche, che sono state elevate a rango costituzionale, un altro ancora.
È una questione che va in ogni caso affrontata con il concorso di tutti. Non mi sento di dire che il Governo ha una ricetta per attuare la devoluzione. È un percorso da studiare insieme alle Regioni, alle autonomie locali, naturalmente nel rispetto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche che rappresentano un grande valore.
Come ricordava il senatore Del Pennino, ciò riguarda anche la necessità di non creare squilibri all'interno del corpo docente. Se le Regioni attivano la propria competenza in maniera differenziata, bisognerà studiare un sistema unificante – magari prevedendo una lista di idoneità nazionale – che non consenta differenziazioni che comportino una mobilità, una differenza della qualità dei docenti, ma garantisca una chiara definizione degli standard a livello nazionale.
Le domande emerse nel corso dell'audizione testimoniano la difficoltà, la complessità di questo processo, peraltro già avviato nella precedente legislatura e rispetto al quale l'attuale Governo ha proposto alcune modifiche. Si tratta di un processo che va in ogni caso governato con la necessaria gradualità perché l'obiettivo deve essere quello di assicurare e migliorare comunque la qualità del servizio.

VITALI (DS-U). La questione dell'autonomia e dunque delle risorse farà parte delle risposte che ci darà successivamente?
MORATTI, ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica. In linea generale, sull'autonomia ho fatto qualche accenno. Credo che le risorse vadano invece rese coerenti con i centri di responsabilità. Questa è la risposta di principio. Per attuare tale obiettivo credo che si debba lavorare nell'ambito della cabina di regia che si prevede con l'attuazione della devoluzione. Lo scopo dovrebbe essere quello di attuare un sistema al quale corrispondano centri di responsabilità e di risorse chiari e precisi.
VITALI (DS-U). Signor Ministro, in alcune Regioni l'istruzione costa più dell'intero gettito fiscale a disposizione delle Regioni stesse. Questa è la vera difficoltà.
MORATTI, ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica. Lei tocca un problema al quale non posso ovviamente dare una risposta perché correlato ad un discorso fiscale.
VITALI (DS-U). Proprio per la condivisione dell'obiettivo che lei ha posto, cioè quello di non determinare comunque un declassamento dei livelli dell'istruzione ma piuttosto di incrementarne la qualità, ritengo che non possiamo procedere al buio in una materia del genere. O queste risposte vengono date oppure diventa difficile per il Parlamento decidere una modifica costituzionale che può avere conseguenze devastanti.
PRESIDENTE. L'articolo 119 della Costituzione contiene la norma sulla perequazione delle risorse per situazioni di questo tipo.
VITALI (DS-U). Non so se la perequazione sia possibile con l'attivazione.
PRESIDENTE. La situazione va inquadrata nel complesso del futuro ordinamento. Ritengo che anche queste norme siano flessibili.

Ringrazio il Ministro per i chiarimenti che ha voluto dare alla Commissione e rinnovo l'apprezzamento già espresso per la chiarezza espositiva nell'affrontare temi così difficili, che tuttavia sta trattando con tanta passione e competenza. Molta è la strada da fare, ma credo che tutto il Parlamento sia disponibile nel sostenerla in questo percorso, onorevole Ministro, al di là delle diverse posizioni politiche. Ritengo infatti che la scuola rappresenti il cuore stesso del Paese.
Dichiaro conclusa l'audizione odierna e rinvio il seguito dell'indagine conoscitiva ad altra seduta.

  

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