SENATO DELLA REPUBBLICA
COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI (1ª)
INDAGINE CONOSCITIVA SUI PROVVEDIMENTI IN ITINERE DI ATTUAZIONE E DI REVISIONE DEL TITOLO V DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE
2º Resoconto stenograficoSEDUTA DI GIOVEDÌ 26 settembre 2002
Presidenza del presidente PASTORE
Audizione dei rappresentanti della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'indagine conoscitiva sui provvedimenti in itinere di attuazione e di revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione, sospesa nella seduta del 19 settembre.
È in programma oggi l'audizione dei rappresentanti della Conferenza dei Presidenti
delle Regioni e delle Province autonome.
Ricordo che, ai sensi dell'articolo 33, comma 4, del Regolamento, è stata chiesta
l'attivazione dell'impianto audiovisivo e che la Presidenza del Senato ha già
preventivamente fatto conoscere il proprio assenso. Se non ci sono osservazioni, tale
forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
Ringrazio i nostri ospiti per avere accolto il nostro invito, in particolare il professor
Luciano Vandelli, assessore per gli affari istituzionali della Regione Emilia-Romagna e
coordinatore per la stessa materia nell'ambito della Conferenza dei Presidenti delle
Regioni e delle Province autonome, accompagnato dal dottor Paolo Alessandrini,
responsabile per i rapporti con il Parlamento, dalla dottoressa Iaia Pasquini e dalla
signora Teresa Tramonti, nonché il dottor Paolo Bonaccorsi, assessore all'urbanistica
della Regione Calabria, il dottor Michele Bove, dirigente della Regione Campania e
l'avvocato Giovanni Carapezza, dirigente dell'ufficio legislativo della Regione Sicilia.
Abbiamo già avuto occasione di incontrarci proprio in relazione alla necessità di
compiere un'analisi della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione e dare
risposta ai molti problemi interpretativi che essa pone. Si tratta ora di focalizzare la
nostra attenzione su due distinti provvedimenti, il disegno di legge n. 1187 ed il disegno
di legge n. 1545. Si tratta di due provvedimenti di diversa natura e contenuto, che
interessano in maniera significativa l'assetto ed i poteri nei rapporti fra lo Stato e le
Regioni, quindi le autonomie.
Cedo ora la parola al professor Vandelli per una esposizione introduttiva sui temi oggetto
della nostra indagine.
VANDELLI. Signor Presidente, onorevoli senatori, l'odierna audizione cade in un momento particolarmente opportuno e rilevante perché complessivamente si sta ponendo con urgenza il tema dell'attuazione del Titolo V della Costituzione e dell'assetto complessivo dei rapporti tra Stato e autonomie in questa fase.
Proprio questa mattina, in sede di Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle
Province autonome, abbiamo compiuto un'analisi dello stato dei ricorsi del Governo nei
confronti delle leggi regionali dopo l'entrata in vigore del nuovo Titolo V. Ne è emerso
un segnale molto problematico: i ricorsi sono all'incirca 26-27 (ma gli ultimi deliberati,
nel Consiglio dei ministri di pochi giorni fa, non abbiamo ancora potuto esaminarli). In
questi ricorsi è evidente una estensione ed una utilizzazione che ricalca molto di più
la prassi precedente dei rinvii che non la prassi precedente dei ricorsi alla Corte
costituzionale. Essi si estendono sostanzialmente all'intero arco delle competenze
regionali, nuove o vecchie che siano, e dominano nettamente i temi relativi al riparto di
competenze. Parliamo prevalentemente delle competenze esclusive dello Stato o delle
Regioni, che sono assunte come motivo centrale di ricorso in circa 18 casi, oltre ai
ricorsi dello Stato nei confronti delle Regioni per le questioni riguardanti le competenze
concorrenti, vale a dire il tema della presunta violazione da parte di una legge regionale
di principi fondamentali, che vengono sollevate soltanto in 7 casi, ed alcuni di questi
casi portano questo come motivo subordinato rispetto ad un altro motivo principale. Siamo
poco al di sopra del 20 per cento; i rimanenti casi riguardano prevalentemente altri
principi costituzionali.
Dunque, emerge con urgenza l'esigenza di disporre di una delimitazione corretta in
proposito. Segnalo anche (ma lo segnaleremo formalmente come posizione unanime della
Conferenza al Presidente del Consiglio ed al Ministro per gli affari regionali) il fatto
che molto spesso questi ricorsi si basano su interpretazioni di materie ormai superate
dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Valga per tutte la materia
"ambiente", citata in molti casi, della quale la Corte ha già detto con
nettezza, in base peraltro ad una giurisprudenza non recente, che si tratta, più che di
una materia, di un valore, che si connette pure alle materie della tutela della salute e
del governo del territorio, di competenza regionale. Non mi dilungo su questi aspetti,
però mi pareva opportuno dare questo segnale sul quadro entro cui ci troviamo su questo
specifico fronte.
Sui due temi di cui trattiamo oggi dobbiamo assumere un taglio di esposizione diverso.
Infatti, mentre nel caso del disegno di legge di attuazione del Titolo V della
Costituzione siamo in grado di portare una posizione sostanzialmente concorde della
Conferenza, nel caso invece del disegno di legge costituzionale sulla devoluzione la
Conferenza si è divisa, esprimendo dunque due pareri di segno profondamente diverso.
Cercherò quindi di dare atto distintamente delle due voci punto per punto.
Per quanto concerne in primo luogo il cosiddetto provvedimento La Loggia, noi, come
Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, avevamo espresso due
tipi di suggerimenti e di istanze. Un primo livello era costituito da tre punti, tre
emendamenti, condivisi da tutto il sistema delle autonomie, quindi con l'assenso di ANCI,
UPI, UNCEM e Conferenza delle Regioni. Questi tre punti riguardavano la regolazione delle
potestà normative, cioè i rapporti tra i diversi livelli di potestà normativa, l'avvio
dell'attuazione del trasferimento delle funzioni e delle relative risorse, ed infine il
tema della soluzione del vuoto costituzionale creatosi con l'abrogazione dell'articolo
130, in materia di controlli.
I primi due punti sono stati sostanzialmente accolti nel cosiddetto disegno di legge La
Loggia, e questo costituisce per le Regioni un dato rilevante e significativamente
positivo.
Il terzo punto non è stato accolto ma non per obiezioni di merito, tenuto conto che si è
raggiunta un'equilibrata soluzione tra le posizioni delle autonomie locali e delle Regioni
stabilendo, in particolare in materia di controllo sostitutivo, che quest'ultimo, salvo il
potere del Governo ex articolo 120 della Costituzione, dovrebbe essere esercitato
nelle modalità stabilite dal singolo statuto dell'ente locale o, in assenza di esso, in
base alla legge regionale. Sul terzo punto non vi è stato un dissenso del Governo ma
piuttosto un problema di metodo, giacché esso avrebbe dovuto essere incluso nell'allora
progettando disegno di legge Scajola, che avrebbe dovuto trattare i temi delle funzioni
fondamentali degli enti locali, della delega alla revisione del testo unico e della
soluzione dei problemi relativi al regime dei controlli.
Riguarda ancora un problema di sede della materia tutta la tematica relativa alla
partecipazione delle Regioni ai procedimenti di rilievo comunitario. Esisteva incertezza
di rapporto tra i contenuti di tale disegno di legge e quelli del cosiddetto disegno di
legge Buttiglione, di revisione della legge La Pergola. Sono state rilevate alcune
sovrapposizioni ma, al di là della sede, il dato di fondo è che, dopo la modifica del
Titolo V, le Regioni ritengono di avere il titolo più elevato per partecipare, a tutti i
livelli, a quest'elaborazione. Sostanzialmente, è stato chiesto l'adeguamento alla prassi
che già accomuna i Länder tedeschi alle Regioni belghe e alla Scozia. Questa
posizione, che comporterebbe l'inclusione di rappresentanti regionali nelle delegazioni
trattanti a livello comunitario, è stata formalmente accolta dal ministro Buttiglione in
sede di Conferenza. Non sappiamo quale sarà l'esatto confine di materia tra i due
progetti, ma confidiamo sul fatto che questo problema sia risolto nella maniera migliore
con il consenso del Governo.
Sempre in materia adiacente, abbiamo sollevato un problema sulle attività di mero rilievo
internazionale. Riassumo rapidamente: nel precedente sistema, una vecchia giurisprudenza
costituzionale, che partiva dalla cosiddetta sentenza Cheli, aveva distinto le attività
che riguardano la sfera internazionale delle Regioni in tre fasce. Di queste tre fasce
l'attività di mero rilievo internazionale era considerata, già allora, pienamente libera
da parte delle Regioni. Poiché oggi quest'ipotesi non compare, mettendo in discussione
quello che era un dato acquisito, è per noi importante che tale aspetto risulti
formalmente ribadito. In tal senso, infatti, abbiamo proposto un emendamento.
Un'altra proposta emendativa riguarda la previsione concernente la Corte dei conti. Le
Regioni non hanno affrontato il merito della soluzione adottata ma si è ritenuto che il
tema dei controlli di questo tipo dovesse essere collegato all'attuazione dell'articolo
119 della Costituzione. Si è quindi chiesto di espungere tale argomento da questa sede
per trattarlo in modo coordinato allorquando si darà corpo all'intera attuazione
dell'autonomia finanziaria. In subordine, rispetto alla proposta di prevedere dei membri
della Corte di designazione regionale relativamente a determinate funzioni, si è proposto
con un emendamento più limitato di assumere detti membri come componenti a
pieno titolo e quindi con compiti estesi all'intero arco delle funzioni esercitate dalla
Corte stessa.
Le Regioni hanno poi chiesto di espungere la parte relativa all'organizzazione periferica
dello Stato, vale a dire gli effetti dell'avvenuta abrogazione della disposizione
costituzionale che prevedeva il commissario di Governo, ritenendo che sia materia che
riguarda ormai un'organizzazione interna dello Stato che non ha un diretto impatto
sull'ordinamento regionale. Le Regioni a statuto speciale, poi, hanno chiesto un
adeguamento esplicito del disegno in modo da riconoscere, in maniera più compiuta,
l'automatica estensione delle parti che riconoscono maggiori forme di autonomia in base
all'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
Questa è la parte complessiva; qualche diversità di opinione si è registrata su punti
specifici in relazione soprattutto alla definizione dei principi fondamentali. Fermo
restando che tutte le Regioni hanno considerato di rilievo essenziale questa definizione,
alcune di esse hanno ritenuto che questa funzione dovesse rimanere in capo al Parlamento e
che al di sotto della legge parlamentare fosse ammissibile solo una sorta di
concertazione, in via d'intesa, tra Governo e Regioni per stabilire il reciproco
atteggiamento rispetto a questo tema. Altre Regioni, invece, hanno ritenuto opportuno
aderire e confermare il percorso previsto nel disegno (quindi con la previsione di una
delega), richiedendo semmai di prevedere che la proposta del Governo fosse elaborata con
il pieno coinvolgimento e la piena intesa delle Regioni stesse.
Questo è il panorama delle posizioni, anche se sulla materia relativa ai principi
fondamentali effettivamente vi era e vi è tuttora consenso in relazione all'importanza
del tema che, comunque, in via concertativa o legislativa, come si evidenziava anche da
alcuni dati, richiede una precisazione.
Per quanto riguarda il disegno di legge costituzionale sulla devoluzione, come già
accennato, devo dare atto di due posizioni diverse, anche se vi è una convergenza da
parte delle Regioni sull'esigenza che si consideri l'approvazione e l'attuazione del
Titolo V non come la pagina conclusiva del percorso delle riforme ma che si prosegua
toccando vari aspetti del sistema (con una azione, quindi, di completamento); entrambi i
pareri fanno preciso riferimento agli assetti del Parlamento. Uno dei pareri, in
particolare, aggiunge e specifica i termini della Corte costituzionale, dell'articolo 119
e di Roma capitale.
VILLONE (DS-U). Può fornirci qualche elemento più specifico su questi pareri?
VANDELLI. Cercherò di trattarli per punti.
Il punto preliminare di divisione tra questi due pareri riguarda proprio la
considerazione del disegno di devoluzione rispetto al Titolo V, vale a dire la concezione
che sta alla base del disegno di devoluzione ed i suoi rapporti in concreto con il
meccanismo previsto già dall'articolo 116 della Costituzione, cioè il meccanismo di
flessibilità attualmente vigente.
Indicherei il primo parere come "positivo", quindi a supporto del disegno di
legge, e il secondo come "negativo", per essere chiari anche se forse un po'
troppo sintetici.
Nel parere positivo si considera il meccanismo immaginato per la devoluzione come un dato
di forte valorizzazione dell'autonomia regionale e si considera che non si sovrapponga e
non contraddica ma completi il meccanismo previsto dall'articolo 116, meccanismo
quest'ultimo che viene censurato in quanto calato dall'alto, mentre invece il nuovo, che
sarebbe assimilabile al percorso avviato in Spagna, consentirebbe una adeguata
flessibilità.
Il parere negativo, invece, considera che questa autoattribuzione di potestà legislativa
esclusiva sia non un completamento ma una contraddizione; che in sostanza, cioè, sia il
contrario di quanto prevede l'articolo 116 e la filosofia che ne sta alla base, un
meccanismo cioè concertato di intesa, un'iniziativa della Regione che vede poi la parola
definitiva pronunciata dal Parlamento. Nel meccanismo previsto dalla devoluzione, invece,
lo Stato, in tutte le sue espressioni, è completamente lasciato al di fuori e ogni
Regione è libera di autoattribuirsi tali competenze esclusive.
Questo parere rileva che il meccanismo di autoattribuzione, in realtà, non ha alcun
precedente al mondo, tanto meno nel caso spagnolo dato che la flessibilità nella realtà
spagnola, e nel caso delle comunità autonome, è determinata da statuti che vengono
approvati dalle Cortes costituenti di Madrid, vale a dire dal Parlamento nazionale,
e non dalle singole assemblee regionali. Si tratta, quindi, di un meccanismo molto più
simile a quello contenuto nell'articolo 116 dell'attuale Titolo V di quanto non lo sia,
invece, quello previsto nel progetto di devoluzione. Il parere rileva quindi che, se
l'obiettivo è quello di dare flessibilità al sistema allora la via più utile e più
agile sarebbe quella di dare attuazione alla Costituzione e non di riformarla.
Ulteriore punto di diversità (i due pareri sono di dimensioni molto diverse quindi nel
primo caso i riferimenti sono piuttosto sintetici) riguarda la rilettura delle singole
materie. Infatti, mentre il parere positivo, in riferimento anzitutto alla sanità, la
ritiene molto opportuna per adottare i modelli di organizzazione sanitaria maggiormente
efficaci e meglio adatti al singolo territorio, il parere negativo rileva invece che, se
si tratta solo di aspetti organizzativi, questa flessibilità è già ottenibile
nell'attuale quadro costituzionale, tutt'al più rivedendo la legislazione cornice che
regge, per così dire, la materia oggi in competenza concorrente. Al contrario,
l'inclusione nelle materie di devoluzione comporterebbe il sostanziale smantellamento del
sistema sanitario nazionale, per di più deciso non a livello generale da un disegno
unitario ma da ciascuna singola Regione: evidentemente il discorso non potrebbe che
riguardare le Regioni più ricche e organizzativamente più attrezzate a danno delle
altre.
Un discorso analogo viene fatto per l'istruzione, appena accennata nel parere positivo;
mentre il parere negativo rileva, tra l'altro, come il disegno di devoluzione
comporterebbe una centralizzazione delle competenze oggi demandate alle autonomie
scolastiche. L'ultimo punto riguarda la polizia locale, cioè la terza materia, riferita
dal parere positivo al fenomeno dei cosiddetti piccoli crimini. Questa viene ricondotta ad
un principio di democraticità e sussidiarietà verticale, dal momento che consente
all'amministrazione più vicina ai cittadini di cogliere meglio le esigenze ed i bisogni
della collettività.
Il secondo parere, quello negativo, rileva la totale ambiguità della materia nel senso
che, nei termini presentati dallo stesso Ministro per la devoluzione, viene a toccare in
maniera netta la stessa materia penale ed altre che devono rimanere riservate ad un'ottica
unificante. D'altra parte, se si tratta anche in questo caso di intervenire sugli assetti
esistenti, meglio e più utile sarebbe attuare la Costituzione, in particolar modo laddove
in relazione alla sicurezza prevede dei meccanismi di coordinamento ritenendo dunque che
di coordinamento ci sia bisogno e non di creazione di ulteriori polizie, che
aumenterebbero e non risolverebbero i poteri di coordinamento.
In definitiva, la conclusione del parere positivo era la richiesta di un emendamento,
accolto dal Governo, che sostituiva le parole: "ciascuna Regione può attivare"
con le altre: "le Regioni attivano".
Il parere negativo rileva che questa modifica non cambia assolutamente nulla visto che
sotto il profilo costituzionale niente impedisce a qualche Regione di attivare e a qualche
altra di non attivare, dato che non esiste alcun meccanismo sostitutivo. Quindi, questa
asimmetria nella rottura di alcuni sistemi nazionali si verificherebbe comunque in un
sistema che viene definito "egoistico".
PRESIDENTE. Ringrazio il professor Vandelli in particolare per l'esposizione a tutto
campo e per aver esaurito in termini relativamente brevi, considerata la materia, le
tematiche che ci ha voluto esporre.
BASSANINI (DS-U). Signor Presidente, vorrei rivolgere alcuni quesiti ai
rappresentanti della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome.
Il primo riguarda il rilievo iniziale del professor Vandelli sui ricorsi regionali. Se
ho capito bene, le Regioni, esaminato lo stato del contenzioso, ritengono che questo
attenga raramente e marginalmente al problema dei rapporti tra legislazione di principio e
legislazione concorrente regionale, invece attenga quasi sempre alla definizione delle
competenze legislative e quindi ai confini tra competenze legislative statali e regionali.
Se è così, mi chiedo se con questo si intende anche sottolineare che il problema di
un'eventuale riforma o revisione del Titolo V non riguarda tanto l'eliminazione della
categoria della legislazione concorrente, ma caso mai una più precisa, razionale e
puntuale definizione dei confini tra le sfere di competenza regionale e statale.
La domanda naturalmente presuppone, almeno da parte mia, l'osservazione che molti
ordinamenti federali, non solo quello tedesco, prevedono una larga attribuzione di
competenze legislative ai Länder o agli Stati conservando, ai fini di
coordinamento, un potere legislativo di principio o quadro da parte dello Stato. Quindi,
questo non è uno strumento contrario alla struttura propria degli ordinamenti federali.
La seconda questione riguarda il disegno di legge La Loggia e si articola in due domande.
La prima: mi chiedo se le Regioni non ritengano che sia estremamente urgente
l'approvazione di questo disegno di legge per dare certezza nell'attuazione del Titolo V
della Costituzione. La seconda: vorrei sapere se le Regioni ritengono possibile trovare
una via d'intesa sulla delicata questione della delega per la ricognizione dei principi
sulla linea che ha cominciato a essere oggetto di qualche confronto in sede parlamentare
sia in questa Commissione sia nella Commissione affari regionali.
Sembra pacifico per l'opposizione, ma forse anche per il Governo, a giudicare dal disegno
di legge La Loggia, che la definizione di nuovi principi fondamentali, ai sensi del terzo
comma dell'articolo 117 della Costituzione, non può essere oggetto di delega. Il
Parlamento non può delegare al Governo la definizione di principi della legislazione dal
momento che la delega al Governo presuppone che sia il Parlamento a definire i principi e
a delegare al Governo, eventualmente, lo svolgimento degli stessi; ma nelle materie di
competenza concorrente lo svolgimento dei principi non è competenza dello Stato, quindi
non può essere per ciò stesso delegato al Governo.
Quindi il rapporto tra gli articoli 76 e 117 della Costituzione esclude che sia possibile
delegare al Governo la definizione di nuovi principi; ma qui si tratterebbe di delegare
un'altra attività, cioè la ricognizione dei principi già stabiliti dal Parlamento in
passato nella pienezza dei suoi poteri legislativi e l'identificazione, nel corpus vigente,
delle norme che abbiano carattere di principio ai sensi dell'articolo 117, terzo comma
della Costituzione.
Da questo punto di vista, con qualche correzione del testo per eliminare ambiguità, si
tratterebbe sostanzialmente della delega come diceva il collega Villone per
definire un testo unico ricognitivo e non innovativo delle disposizioni di principio
esistenti o come è capitato di dire a me per dare certezza anzitutto alle
Regioni dei criteri che saranno seguiti dal Governo nell'impugnare le leggi regionali per
violazione delle norme di principio, elemento sicuramente utile sia ai legislatori
regionali sia allo stesso Governo sia al Parlamento, che nel momento in cui decidesse di
fissare nuovi principi avrebbe chiaro il punto di partenza costituito da quelli esistenti.
Definita l'operazione in questo modo, ci sarebbe la garanzia per le Regioni e per lo
stesso Parlamento che comunque un domani, in caso di contestazione, sarebbe la Corte
costituzionale a stabilire se si è rispettato il limite della ricognizione dei principi
esistenti o si è andati oltre.
Con qualche modesta correzione, sulla quale a quanto ho capito lo stesso ministro La
Loggia sarebbe disposto a ragionare, si potrebbe accettare la soluzione della delega
dandogli questa configurazione, non contraddicendo il dato costituzionale che a me
pare certissimo per cui la determinazione di principi come attività, per così
dire, originaria è comunque materia non delegabile.
Vorrei capire se le Regioni potrebbero convenire su questa linea e così consentire anche
al Parlamento di procedere abbastanza rapidamente nell'approvazione di questo
provvedimento.
L'ultima questione riguarda il disegno di legge sulla devoluzione. Qual è la vostra
opinione, la vostra interpretazione e quali sono le vostre valutazioni in ordine al
rapporto tra la nuova disposizione costituzionale che il disegno di legge Bossi vorrebbe
introdurre e le preesistenti disposizioni dell'articolo 117, in particolare quelle del
secondo comma?
Il punto è stato oggetto di dichiarazioni diverse e spesso abbastanza contraddittorie da
parte del Governo. Evidentemente una cosa è affidare alla potestà legislativa esclusiva
delle Regioni la disciplina dell'organizzazione sanitaria, ferma restando la competenza
statale a definire i livelli essenziali delle prestazioni, altra cosa è farlo senza
quest'ultima. Un conto è attribuire competenze in materia di istruzione, fermo restando
che l'ordinamento generale dell'istruzione resta di competenza statale, un altro conto è
farlo senza quest'ultima.
Però, nel testo attuale manca un'esplicita definizione di questo rapporto. Ovviamente
tale definizione non risolverebbe tutti i problemi, per esempio quello sollevato dal
professor Vandelli del limite del rispetto delle norme sull'autonomia scolastica, che il
terzo comma dell'articolo 117 costituzionalizza, però consentirebbe di definire meglio la
portata dell'innovazione del disegno dell'articolo 117, che, nel primo caso, a noi pare
eversiva e, nel secondo caso, potrebbe essere oggetto di un confronto molto serrato sul
merito, ma non avrebbe la stessa portata radicalmente eversiva.
Infine noi gradiremmo avere alcune indicazioni sul rapporto tra l'attuazione del Titolo V
e le norme finanziarie, in attesa e in assenza della legge di attuazione dell'articolo 119
della Costituzione, in particolare quelle che si delineano per effetto della prossima
legge finanziaria.
MAGNALBÒ (AN). Egregio professor Vandelli, in relazione al suo riferimento alla
Corte dei conti, so che essa non è sfavorevole all'impianto di questa norma, così come
è stata concepita. Si ritiene, infatti, che un controllo unitario da parte di un
organismo terzo sia più favorevole ad andare incontro a quelle norme che devono regolare
il Patto di stabilità, in modo da dare una coerenza globale a tutto il sistema. E so
anche che alla Corte dei conti si prospettano in una funzione collaborativa, non in una
funzione sanzionatoria. Tutto questo per evitare che il regime dei controlli venga fuori
dai vari statuti regionali in maniera frammentaria e differenziata, e comunque anche per
evitare che vengano congegnati degli autocontrolli, e cioè che l'organo che deve essere
controllato poi nomini il suo controllante, cioè designi anche in via statutaria il suo
controllante. Lei che cosa ne pensa di tutto questo?
VITALI (DS-U). Il senatore Bassanini ha introdotto nella discussione una novità
molto rilevante, che sta intervenendo nel nostro dibattito in relazione al disegno di
legge La Loggia. Egli ha fatto riferimento all'ipotesi di considerare in un certo modo il
tema della delega al Governo sui principi fondamentali, perché non c'è dubbio che anche
dall'esposizione molto puntuale e precisa del professor Vandelli la questione della delega
per le funzioni fondamentali al Governo è senz'altro la questione più critica, più
discutibile, nel provvedimento del Governo, che per il resto mi pare accolga un parere
sostanzialmente positivo da parte delle Regioni.
Io vorrei introdurre l'altro elemento di novità, che sta emergendo nel dibattito sul
disegno di legge concernente la devolution. Noi stiamo discutendo su quel testo in
modo molto serrato, vi sono molti emendamenti; ma, al di là di questo, si sta sviluppando
in Commissione una discussione che va oltre la mera contrapposizione, perché sappiamo
tutti che al riguardo esistono opinioni molto diverse. La novità è che, anche per
autorevole riconoscimento da parte del relatore di maggioranza, senatore D'Onofrio, sta
emergendo il tema della giustapposizione tra il testo di devolution così come è
stato presentato dal Governo e l'attuale articolo 117 novellato della nostra Costituzione.
Ieri sera il senatore D'Onofrio in questa sede ha detto che a suo parere è evidente che
il testo del Governo è stato scritto come se non ci fosse il nuovo 117, e che quindi
sarà comunque necessario operare un intervento anche sul 117, così come è uscito
confermato dal referendum popolare. Il senatore D'Onofrio ha parlato di raccordo.
Ora, è evidente che ciò costituisce una novità rilevante, perché dire questo senza
alcuna smentita significa, a mio modo di vedere, riconoscere che è comunque necessario un
intervento complessivo sull'articolo 117 e, sempre a mio modo di vedere, è opportuno che
questo esame avvenga contestualmente. Quindi è sbagliato procedere come si sta
procedendo, cioè con un emendamento aggiuntivo al 117 che non prende in esame il tema
complessivo.
Mi rendo conto, signor Presidente, che mi sto avventurando su un terreno un po' scivoloso,
ma cerco di farlo nel modo più corretto possibile. Circa i rapporti tra le istituzioni,
infatti, si potrebbe obiettare che in questa sede interessano poco le modalità di
discussione parlamentare con l'opinione, pure autorevole, della Conferenza delle Regioni,
che è un'entità autonoma. Circa le modalità di discussione parlamentare, ovviamente,
noi siamo assolutamente sovrani.
Ma c'è un problema: l'intesa interistituzionale che è stata sottoscritta il 30 maggio
con decreto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 20 giugno di quest'anno, con la
quale non il Parlamento, ma il Governo si impegna nei confronti di Regioni, comuni e
province in un certo modo. In particolare, tutti questi soggetti si impegnano "ad
addivenire a soluzioni condivise in ordine alle rilevanti questioni interpretative di
attuazione poste dalla riforma istituzionale del Titolo V". Questo, tra l'altro, è
avvenuto dopo la presentazione da parte del Governo del disegno di legge Bossi, perché
quel disegno di legge è del 23 febbraio dell'anno in corso.
E allora, non ritengono i rappresentanti delle Regioni che una attuazione coerente delle
intese interistituzionali richiederebbe da parte del Governo (cioè da parte del soggetto
che si è impegnato in questa intesa) di procedere sulle questioni sulle quali c'è
indubbiamente consenso (il disegno di legge La Loggia), richiedendo un approfondimento su
tutto ciò che attiene a modifiche all'attuale articolo 117, così come è diventato
novella costituzionale? Non mi sto riferendo ad opinioni, sto semplicemente chiedendovi se
a vostro avviso l'intesa interistituzionale non richiederebbe questo.
Voglio aggiungere poiché sono convinto che in queste materie procedere per
divisione, anche del mondo delle autonomie, sarebbe molto grave un'altra domanda
ancora più precisa. Non ritengono le Regioni, indipendentemente dalle opinioni di merito
che hanno espresso sul disegno di legge Bossi (indipendentemente perché ci sono due
pareri diversi), che la novità che sta emergendo nel dibattito di questa Commissione
richiederebbe una valutazione attenta e un'opinione che, espressa in un certo modo e
portata al Governo, potrebbe anche influire sull'andamento del dibattito in questa sede?
VILLONE (DS-U). Signor Presidente, mi rifaccio alle argomentazioni già svolte dai miei colleghi del Gruppo dei Democratici di Sinistra, che sostanzialmente condivido, aggiungendo solo qualche notazione ulteriore.
Per quanto riguarda la prassi dei ricorsi, come su tanti altri punti, sembra che tutto
continui come prima, nel senso che è come se il Titolo V della Costituzione non ci fosse
mai stato, o magari anche peggio. Infatti, come ricordava il professor Vandelli, è come
se si guardasse alla prassi non dei ricorsi, ma dei rinvii, quindi c'è un di più. Però,
se da un lato ci viene comunicato che i ricorsi attengono poco ai principi, dall'altro
sembra nascere una spinta a ridefinire il grande corpo centrale di potestà concorrente,
che si dice sia un elemento di confusione, di blocco, eccetera. Questo pone una apparente
contraddizione ed io vorrei invitare il professor Vandelli a spiegarci perché vi sono
così poche questioni relative ai principi. Magari è perché qui si fanno poche leggi di
principio, può darsi; o può dipendere dalla qualità della legislazione nazionale e
regionale insieme, cioè ci possono essere motivi vari, per quello che le cifre ci
mostrano.
Il problema che ci si pone e che ci si porrà politicamente tra non molto è se
intervenire sull'articolo 117 della Costituzione così com'è formulato. Un'ipotesi
potrebbe essere quella di asciugare la lunga elencazione delle potestà concorrenti, di
separare, per quanto possibile, da un lato e dall'altro il crinale delle potestà e di
introdurre magari qualche clausola generale che consenta una certa flessibilità e, nel
contempo, l'integrazione di un'elencazione più asciutta. Ciò, partendo ovviamente dalla
premessa che nessun'elencazione potrà mai essere esaustiva. A mio giudizio questo dato
merita una maggiore riflessione in quanto si tratta di un problema che, anche se non
nell'immediato, comunque si presenterà.
Con riferimento alla delega sui principi, come i miei colleghi hanno già rilevato,
ribadisco la convinzione che non si possa fare la delega della delega; insomma, la strada
della delega al quadrato non è percorribile. In tal senso, sbagliano le autonomie nel
sostenere che la delega sui principi è accoglibile perché ci sono loro.
Quest'atteggiamento è comprensibile dal punto di vista politico ma irrilevante da quello
tecnico-giuridico e quindi, come tale, nemmeno recepibile da parte delle persone che
rivolgono la propria attenzione al quadro tecnico dei problemi. Per questo motivo, a
partire da me, abbiamo formulato diverse ipotesi per superare questa difficoltà. A nostro
parere, anche nella prospettazione regionale, non è risolutiva la soluzione: facciamo le
intese sui principi e poi indichiamo noi quali contenuti abbiano. Francamente, considero
questa risposta assolutamente insoddisfacente.
Sulla devolution vorrei formulare qualche domanda specifica. Professor Vandelli, in
questa materia vi è stato qualcuno che si è preoccupato di effettuare un'analisi delle
risorse? Come cittadino della Repubblica a me importa poco se una cosa sia fatta dal
comune, dalla Provincia, dalla Regione o dallo Stato, ciò che m'interessa invece è che
qualcuno la faccia e al meglio. In questo caso, il meccanismo ci interessa perché la
questione non è a costo zero. Se si legge l'ipotesi di devolution alla luce del
quarto comma dell'articolo 119 della Costituzione, laddove prevede che le risorse devono
consentire alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite
e si considera che con la devolution si entra nell'ambito di tali funzioni, mi
domando se ciò non renda a tutti evidente il conseguente trascinamento di risorse.
Vi è poi un altro aspetto che mi preoccupa molto. Professor Vandelli, si prevede
effettivamente un automatismo con riferimento all'articolo 116 della Costituzione? Come si
fa a non rendersi conto dell'impossibilità di un ragionamento del genere? È lunare
pensare che se una Regione attiva l'articolo 116 della Costituzione, l'applicazione di
quest'ultimo sia automaticamente estesa alle altre Regioni. Mi auguro sinceramente di aver
capito male.
VANDELLI. Senatore Villone, ha capito male.
VILLONE (DS-U). Bene, ho capito male e ciò mi conforta e rallegra molto.
Professor Vandelli, ritiene necessario affrontare, prima della devolution, non
tecnicamente ma concettualmente, anche dal punto di vista politico, l'articolo 119 della
Costituzione? Come si può discutere di qualsiasi cosa che abbia a che fare con meccanismi
di quel genere, automatici o semiautomatici che siano, se non vi è chiarezza sulle
risorse, sul come, sul dove, sul chi e sul quanto?
A mio giudizio, l'iter del disegno di legge La Loggia può concludersi rapidamente
avendo, oserei dire, un carattere epidermico: opera solo un piccolo lifting sulla
materia senza introdurre contenuti normativi di particolare incisività; in sintesi, non
fa male e può essere tranquillamente varato. Il disegno di legge sulla devolution,
invece, rischia di fare male perché introduce un contrasto di interessi reali che
a quanto mi sembra di capire le Regioni hanno colto. Professor Vandelli, anche in
questo caso ho capito male o questo contrasto è stato effettivamente colto? In caso
affermativo, in che misura lo è stato? Le Regioni hanno specificamente analizzato il
profilo dei costi e delle risorse che attengono ad ulteriori trasferimenti di competenza,
sia ex devolution sia ex articolo 116 della Costituzione?
Se non sbaglio un'analoga richiesta è stata avanzata anche dal collega Bassanini: alla
luce dell'articolo 119 della Costituzione è stata effettuata un'analisi della legge
finanziaria, che poteva essere tranquillamente predisposta prima del nuovo Titolo V?
Peraltro, anche da quel punto di vista, sarebbe stata in ogni caso tra le peggiori mai
scritte. Ad ogni modo, è una legge che trascura del tutto l'innovazione costituzionale
sopravvenuta: e pensare che doveva essere la prima legge finanziaria che avrebbe dovuto
dare conto del nuovo articolo 119 del Titolo V della Costituzione! Sinceramente, ho
l'impressione che in essa non vi sia nulla di tutto questo. Ebbene, vorrei sapere se le
Regioni hanno analizzato questo aspetto e, in caso affermativo, in che modo e con quali
eventuali conseguenze.
PRESIDENTE. Prima di cedere la parola al professor Vandelli, vorrei anch'io porre qualche domanda e sollecitare qualche approfondimento. Non parlerò del percorso parlamentare del provvedimento concernente la devoluzione né di quello del disegno di legge La Loggia, giacché gli atti parlamentari di questa Commissione abbondano dei relativi dibattiti. Pertanto, credo sia opportuno in questa sede lasciare al rappresentante delle Regioni le valutazioni di carattere tecnico-politico, evitando però di riprendere temi che già hanno formato oggetto di dibattito in questo consesso.
Con riferimento al disegno di legge La Loggia, il n.1545, il dato importante è quello
di una sostanziale condivisione (a parte alcuni aspetti di carattere minore), da parte sia
della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome sia, in linea di
massima, di tutte le componenti parlamentari, opposizioni incluse, salvo poi gli
aggiustamenti, le integrazioni e le ulteriori riflessioni che andranno sviluppati. A mio
giudizio, non è un disegno di legge minore perché contiene alcune norme di notevole
importanza. Con ciò mi riferisco non solo all'individuazione di principi fondamentali che
consentirebbero alle Regioni di legiferare in una serie di materie che fanno parte di un
elenco probabilmente sovrabbondante ma senza dubbio estremamente articolato, ma anche ad
un'altra serie di disposizioni che fanno venir meno alcune preoccupazioni dello Stato,
delle Regioni e delle autonomie locali di fronte a difficoltà di attuazione. Se non si
fosse fatto nulla sicuramente il contraente forte di questo rapporto, cioè lo Stato,
avrebbe continuato ad usare la sua situazione di privilegio per non dare seguito alla
riforma. Con il disegno di legge di attuazione vi è la dimostrazione concreta che si
vuole attuare la riforma. Naturalmente alcuni aspetti importanti necessitano ancora di
approfondimenti ma certo è che con essa si compie un enorme passo avanti.
Indubbiamente, ancora adesso vi è una mancanza di piena consapevolezza del diverso
sistema legislativo, sia da parte dello Stato, sia, probabilmente, da parte delle Regioni
che hanno dato una lettura della nuova formulazione frammentaria. Abbiamo avuto occasione
in questa sede, anche con il contributo delle stesse Regioni, di approfondire l'argomento
relativo alla riforma del Titolo V e abbiamo maturato delle opinioni, delle certezze ed
orientamenti diversi da quelli che avevamo un anno fa, all'epoca dell'entrata in vigore
della riforma.
Indubbiamente, una riflessione è necessaria da parte di tutti (l'intesa
interistituzionale è estremamente importante e positiva). Credo però che occorra, come
emerge dall'intesa, un grande senso di responsabilità da parte di tutte le componenti; le
Regioni, oltre alla grave questione delle risorse (è infatti evidente che senza risorse
non si può fare nulla), hanno anche necessità di strumenti legislativi, normativi, di
statuti, di uomini e strutture che gli consentano di iniziare ad operare concretamente.
In merito al disegno di legge n. 1545 cui si è fatto riferimento, vorrei soffermarmi,
anche per acquisire l'opinione del professor Vandelli, che in questa sede rappresenta le
posizioni delle Regioni, sulla questione contenuta nell'articolo 1, cioè l'individuazione
dei principi fondamentali di legislazione concorrente.
Il senatore Bassanini ha espresso un suo orientamento circa il fatto che l'articolo 76
della Costituzione, relativo alla delega legislativa, sia quasi non utilizzabile per i
principi fondamentali (la maggioranza, o almeno gran parte di essa, credo sia di
orientamento contrario). Il problema, però, non nasce tanto da questo ma dal fatto che
l'articolo 1 del disegno di legge sopra citato è un articolo direi omnibus,
che non individua materie specifiche; non tratta nessuna delle materie. Esso si limita ad
indicare regole che forse riguardano più i criteri ed i limiti che non i principi in
senso stretto. Tale difficoltà è limitata dal fatto che si tratta di una forma di delega
con contenuto ricognitivo. Naturalmente, anche se di tipo ricognitivo, sarà necessario
verificare quale sarà il suo livello di compatibilità con i principi già esistenti.
Ricordo che nel diritto privato esiste la polemica sul negozio di accertamento.
In questo campo mi sembra si possa intravedere una contrapposizione tra le due tesi
perché anche nella ricognizione possono esservi principi non dico nuovi ma che non
vengono ritenuti tali e principi che invece assurgono al rango di principi fondamentali.
Quindi, vi è sempre una possibilità di selezione. Penso pertanto che lo strumento sia
necessario, senz'altro utile, ma che vada, nella sostanza, meglio calibrato, magari con un
maggiore coinvolgimento (mi rivolgo ai colleghi parlamentari ma, visto che ne abbiamo
l'opportunità, anche ai rappresentanti delle Regioni) della componente parlamentare, ad
esempio attraverso i pareri delle Commissioni, oppure attribuendo a queste deleghe una
forza normativa maggiore di quella che potrebbero avere se il percorso fosse
esclusivamente governativo.
Dico questo perché anche le Regioni hanno necessità di essere certe che quei principi
fondamentali rimarranno tali, che non potranno essere stravolti, altrimenti alle
incertezze contenute nel testo costituzionale, o normalmente contenute per nostra
sfortuna nella legislazione statale e regionale, si aggiungerebbe anche
l'incertezza sulla tenuta della ricognizione dei principi.
A mio avviso, quindi, occorre compiere uno sforzo per individuare una forma di
coinvolgimento del Parlamento più pregnante di quella prevista in modo che si possa
rendere tale ricognizione, dal punto di vista della forza normativa, più efficace.
Queste mie più che domande sono forse delle annotazioni ma sentivo di doverle fare
perché voi che cortesemente siete intervenuti oggi possiate rendervi conto dei problemi
che anche noi incontriamo nell'elaborazione di questo disegno di legge, nel tentativo di
far sì che l'impianto di essa risponda ad esigenze fortemente condivise.
VANDELLI. Cercherò di toccare gli argomenti specifici su cui sono stati chiesti chiarimenti precisando che su alcuni di questi non vi è alcuna posizione definita da parte delle Regioni. Su taluni punti, pertanto, potrò riferire soltanto impressioni personali.
Per quanto riguarda il tema delle competenze concorrenti, vorrei iniziare rispondendo
alla domanda posta dal senatore Villone, il quale chiedeva come mai così poche questioni
si pongono sui principi. Ho l'impressione, senatore Villone, che da una parte esistano
materie molto rilevanti collocate in competenza concorrente che corrispondono ad una
consolidata elaborazione (a partire dalla tutela della salute, che subentra alla vecchia
assistenza sanitaria, o dal governo del territorio, che subentra, nell'interpretazione
evolutiva, alla materia urbanistica), dall'altra, fino ad ora credo si possa registrare
una notevole cautela da parte delle Regioni ad avventurarsi nei settori completamente
nuovi (ad esempio in materie quali le professioni o le comunicazioni). In questa fase vi
è stata un'elaborazione ed è stata compiuta una riflessione ponendo grande attenzione
però ad utilizzare lo strumento legislativo su questi terreni soltanto a maturazione
avvenuta.
Come operare ai fini dell'esigenza di arrivare ad una chiarezza dei principi fondamentali?
Da questo punto di vista le Regioni, nella diversità di opinioni sopra accennata, hanno
espresso semplicemente una viva sensibilità ed un vivo interesse ad avere tale quadro.
Detto ciò, posso aggiungere qualche mia sensazione personale.
Concordo pienamente sul fatto che questa definizione sia non soltanto utile ma anche
necessaria. Credo che effettivamente la distinzione tra la proiezione sul sistema a
funzionamento ordinario, in cui ai principi fondamentali dovranno spettare anche quelle
funzioni di innovazione dell'ordinamento che già il Costituente del 1948 volle, e
un'esigenza più limitata, circoscritta, attuale e forse urgente di operare in quella
chiarezza corrisponda ad una logica precisa.
Credo allora che un testo unico di questo tipo possa rappresentare per le Regioni un punto
di riferimento utile al fine di risolvere molti problemi pratici e consentire di muoversi
su tutte le materie di competenza concorrente con la necessaria serenità istituzionale.
VILLONE (DS-U). Un testo unico puramente ricognitivo?
VANDELLI. Sì, puramente ricognitivo e, a mio avviso, con precise caratteristiche
transitorie fino al momento dell'intervento del Parlamento con una legge per la
definizione.
BASSANINI (DS-U). Va da sé, rientra nel sistema di successione delle fonti.
VANDELLI. Però in questo caso alle regole giuridiche di successione delle fonti mi
pare possa corrispondere anche un impianto proprio di metodo che può aiutare ad impostare
i contenuti del sistema.
BASSANINI (DS-U). Mi sembra che lei ritenga e si potrebbe convenire in
questo caso che sarebbe utile che poi il Parlamento si attivasse per definire
principi coerenti con il nuovo ordinamento di tipo federale non limitandosi a quelli che
derivano da un passato, invece, di ordinamento non federale. Quindi sarebbe utile che in
seguito il Parlamento non si accontentasse di lasciare in vita per anni semplicemente i
principi derivanti dalla ricognizione dell'esistente, ma riflettesse sui nuovi.
VANDELLI. È un terreno molto interessante sul quale non vorrei avventurarmi con
affermazioni inesatte. Tuttavia, mi piacerebbe che, ad esempio, nel momento in cui
entrasse in Parlamento una iniziativa di legge in materia di professioni, scattasse
non so se il comitato per la legislazione in questo momento lo faccia una sorta di
allarme che ricollegasse al Titolo V e che quindi impegnasse il Parlamento a trattare
questa materia nell'individuazione dei principi fondamentali, in modo tale che
l'elaborazione di tali principi diventasse un metodo a regime nel modo di procedere del
Parlamento.
Mentre però credo che questo tipo di interevento possa riguardare alcune materie su
cui si pongono problemi e impostazioni specifiche, rimarrebbe il problema a tutto campo e
con un obiettivo meno ambizioso di incominciare a individuare ciò che oggi ci consente di
operare senza temere di incorrere in conflittualità e in definitiva in disagi per i
destinatari delle norme.
A proposito della legislazione concorrente, il senatore Bassanini desumeva, dalla
rilevazione operata dalle Regioni, conseguenze su quello che il ministro La Loggia
definisce il restyling del Titolo V, domandandosi, in sostanza, se questa
rilevazione non comporti un'inversione o un'attenuazione di quella esigenza di rilettura
delle materie attraverso una nuova collocazione, cioè puntando sostanzialmente ad
un'eliminazione o forte riduzione delle materie concorrenti distribuite, di volta in
volta, nella competenza esclusiva dello Stato o in quella delle Regioni.
Su questo posso fornire solo una mia personale opinione, se può interessare la
Commissione. Ritengo che vada fatto esattamente il contrario. Ad esempio, in materia di
ambiente, credo sia opportuno che ci siano delle dinamiche di competenza concorrente, con
una potestà legislativa statale in materia di principi unificanti e poi una competenza
espressamente riconosciuta da parte delle Regioni nella disciplina.
Temo invece che l'impostazione tendente alla soppressione delle competenze concorrenti
possa portare a un complessivo riaccentramento in capo allo Stato di una lunga lista di
materie attualmente incluse in questa categoria.
VILLONE (DS-U). Le Regioni hanno valutato questo punto?
VANDELLI. La "riforma della riforma" non è mai stata portata
all'attenzione della Conferenza dei Presidenti delle Regioni. Cerco di precisare quando
parlo per conto delle Regioni, del Nord o del Sud, di destra o di sinistra, o quando
invece esprimo le mie opinioni personali.
Quella che ho espresso è un'opinione decisamente personale, perché la questione della
riforma della riforma non è mai stata esaminata. Ho potuto leggere precisamente
l'impostazione che il ministro La Loggia ha fornito in sede parlamentare, ma in ambito
regionale non se n'è mai parlato e quindi non vi è alcuna espressione di parere da parte
delle Regioni.
Nel parlare del progetto La Loggia forse non sono stato chiaro e ho dimenticato di
trattare un punto importante che si ricollega fortemente a quanto detto. Tra quanto sono
autorizzato a dire a nome dei Presidenti delle Regioni vi è precisamente la
sottolineatura dell'importanza del disegno di legge di attuazione del Titolo V rispetto ad
ogni altro intervento sulla stessa materia. Pertanto, i Presidenti delle Regioni sarebbero
favorevoli a che il Parlamento procedesse con priorità all'esame di questo testo, anche
rispetto a ogni ipotesi di revisione della Costituzione.
Per quanto riguarda le risorse, purtroppo, non ho portato con me i dati riguardanti
l'entità complessiva dell'ipotesi di devoluzione. Per quello che ho potuto verificare,
esistono poche e generiche valutazioni. In particolare, mi pare ci siano alcune stime
dell'università Bocconi che recano cifre davvero cospicue che non voglio qui riportare
perché non vorrei cadere in macroscopici errori.
Come è stato rilevato, si tratta di un aspetto determinante.
Diverso è il caso dell'articolo 116 della Costituzione. Secondo me l'impatto finanziario,
pure nella sua flessibilità, è completamente diverso, nel senso che l'articolo 116
presuppone un meccanismo e un percorso di concertazione nell'ambito del quale l'aspetto
finanziario diventa una componente imprescindibile.
VILLONE (DS-U). Non è che gli interventi costano di meno perché ci si accorda
a farli. Di solito costano lo stesso.
VANDELLI. È l'oggetto che è molto diverso. L'articolo 116 consente a una Regione
che abbia una particolare sensibilità nei confronti di un ambito di acquisire alcune
competenze concertate con lo Stato. Può darsi che tali competenze comportino delle spese,
ma può darsi anche di no.
Prendiamo ad esempio qualche primo caso di candidatura all'utilizzazione dell'articolo
116, in materia di tutela dei beni culturali. A mio avviso, considerando tutta la
valorizzazione come gestione, allora la tutela potrebbe consistere in alcune misure di
tutela ulteriore rispetto ad un nucleo centrale valido a livello nazionale che potrebbero
anche di per sé non comportare particolari spese.
L'articolo 116 ha una grandissima flessibilità, che va valutata caso per caso, ma
soprattutto va valutata insieme agli organi dello Stato e con una decisione precisa del
Parlamento.
A proposito della questione dell'attuale articolo 117 della Costituzione, per quanto
riguarda la devoluzione il rapporto è assolutamente diverso, quindi le risposte al
senatore Bassanini sono due. In base al parere positivo, la lettura è estremamente
serena, tranquillizzante e conforme all'attuale articolo 117, quindi la devoluzione si
collocherebbe in quel quadro inalterato. In base al parere negativo, c'è invece un grido
di allarme nel timore che, indipendentemente dalle volontà dei proponenti, due norme
costituzionali così contraddittorie non vengano interpretate nel senso che la nuova norma
ha valore derogatorio rispetto all'impianto del 117, ed io credo che in questo momento non
lo possa escludere nessuno.
Per quanto riguarda il tema della Corte dei conti, non vi è alcun pregiudizio da parte
delle Regioni, che apprezzano in senso sostanziale il ruolo della Corte. Tra l'altro,
posso dirlo come Regione Emilia-Romagna, visto che abbiamo avuto in questa fase ottime
valutazioni, in particolare per quanto riguarda la sanità, proprio da una verifica
comparata da parte della Corte. Il problema che si è sollevato è piuttosto quello di una
coerenza complessiva del sistema dei controlli e di una diversa impostazione, che si è
discussa tra le Regioni, tra un ruolo della Corte che, per così dire, stia nelle retrovie
(è un discorso che la dottrina aveva già fatto da tempo, come una sorta di verifica che
si basa sui controlli che vengono già svolti dall'interno di ogni amministrazione), e
invece una visione che immette direttamente la Corte dei conti a gestire quei controlli. E
allora si è ritenuto che, in una fase in cui gli statuti sono ancora aperti, in cui
ancora si sta riflettendo tra controlli interni, controlli strategici, controlli di
gestione, eccetera, fosse più opportuno rinviare il problema ad un quadro più
complessivo.
MAGNALBÒ (AN). Approfitto per porre una domanda di interlocuzione. Passando al
sistema della devolution, non c'è il pericolo di un neocentralismo da parte delle
Regioni? Cioè, una volta che sono le uniche detentrici di certe materie, come la sanità,
non si corre il rischio che possano raccogliere tutto il potere presso l'organo centrale
della Regione, superando gli enti locali e tutti gli altri soggetti interessati? Noi
abbiamo un esempio concreto: nelle Marche stanno abolendo tutte le ASL per farne una unica
centralizzata, e questo sconvolge tutto il regime territoriale. C'è questo pericolo in
più con la devoluzione?
VANDELLI. Questo, senatore Magnalbò, è probabilmente un dubbio a cui gli enti
locali daranno una risposta netta. Per quanto riguarda i due pareri delle Regioni, nel
primo questo aspetto non è toccato, mentre nel secondo, quello negativo, si solleva il
problema nel senso che certamente, ad esempio per quanto riguarda le autonomie
scolastiche, il rischio di accentramento è, con la devolution, netto. Infatti,
proprio la quota di programmi scolastici verrebbe a spostarsi, in definitiva, nonostante
il problema di coordinata lettura, in capo alle Regioni. Sugli enti locali occorrerebbe
fare un forte sforzo di salvaguardia del principio sancito nell'articolo 118 della
Costituzione per evitare che la devolution si traduca in questo accentramento. Ma
il pericolo viene segnalato con forza nel parere negativo.
Per quanto riguarda il rapporto con il vigente contesto costituzionale, si è sollevato
anche il tema di una lettura in qualche modo storica. Ma la devoluzione non nasce
sull'impianto del nuovo articolo 117, e quindi prescinde nella sua formulazione da questo.
Infatti, tre giorni prima del referendum del 7 ottobre, "La Padania"
pubblicò un testo di devoluzione che aveva l'attuale disegno di legge in coda al vecchio
articolo 117. Quindi, non c'è dubbio che la genesi dell'articolo sia quella, cioè che
sia stato concepito in quel disegno oggi abrogato e di quel disegno risenta.
Sono pienamente d'accordo con la considerazione svolta dal senatore Vitali, nel senso che
si tratta di un terreno nuovo. Su questo non posso portare una posizione delle Regioni, ma
credo che ci sarebbe un forte interesse ad avviare questo percorso, anche intendendolo
come attuazione dell'intesa istituzionale, che purtroppo in questo momento sta languendo.
VILLONE (DS-U). Nell'esposizione del professor Vandelli pensavo di aver colto il
richiamo alla richiesta di innestare automatismi sull'articolo 116, sulle nuove e speciali
forme di autonomia. Ho capito male?
VANDELLI. Non riesco a cogliere il passaggio.
VILLONE (DS-U). Cioè, se una Regione chiede, poi le altre chiedono a seguire.
Avevo capito così.
VANDELLI. Credo che l'articolo 116 si ispiri al sistema spagnolo perché nel
sistema spagnolo è avvenuto esattamente questo. Si è mosso prima un certo gruppo di
Regioni e poi, consolidato un certo livello di autonomia, hanno fatto seguito tutte le
altre. Quindi si è verificato un effetto di trascinamento, ed è possibile che questo
possa avvenire, ma non vi è alcuna richiesta, né alcun automatismo in questo.
BONACCORSI. Signor Presidente, naturalmente mi riconosco integralmente nella
relazione del collega Vandelli. Mi premeva sottoporre alla meditazione della Commissione
la circostanza che la Conferenza dei Presidenti delle Regioni, a proposito della devolution,
ha anche raccomandato che, in parallelo o quanto prima, venisse data attuazione,
sottoponendolo anche ad un processo di adeguamento, anche al testo dell'articolo 119, in
particolare del terzo comma. Esso, infatti, va letto alla luce della disciplina cui sono
assoggettate le Regioni dell'Obiettivo 1, la quale prevede dei meccanismi di
cofinanziamento che, se modificati da processi di devolution non coordinati con
l'attuazione del penultimo comma dell'articolo 119, potrebbero determinare la
vanificazione del quadro comunitario di sostegno.
Anzi, su questo punto mi permetto di preannunciare alla Presidenza che le Regioni dell'Obiettivo 1 consentitemi di chiamarle con la terminologia comunitaria vorrebbero sottoporre alla meditazione della Commissione, nei primi giorni della prossima settimana, un testo scritto su questo argomento, identificandone gli aspetti di criticità rispetto all'attuazione sia dei sette Piani operativi nazionali (PON) sia dei sei Piani operativi regionali (POR).
VILLONE (DS-U). Si teme forse che con la devolution non vi siano risorse
per cofinanziare? È questa la vera paura?
BONACCORSI. È qualcosa di lievemente più sofisticato: si teme che un'alterazione
degli equilibri già raggiunti nei PON e nei POR possa determinare l'incolpevole perdita
di quote rilevanti di risorse comunitarie.
VILLONE (DS-U). In altre parole che i soldi vadano a qualcun altro!
BONACCORSI. Vadano ad altri partner comunitari e non ad altre Regioni
italiane, nel qual caso ci si potrebbe anche stare.
VILLONE (DS-U). Questa precisazione è utile e la ringrazio per averla data.
PRESIDENTE. Questa preoccupazione sarà certamente motivata in modo più dettagliato nel
contributo scritto che gradiremmo ricevere e che utilizzeremo quando esamineremo
l'articolo 119 della Costituzione.
Nel ringraziare i nostri ospiti e i colleghi, dichiaro conclusa l'audizione odierna.
Rinvio il seguito dell'indagine conoscitiva ad altra seduta.
I lavori terminano alle ore 16,45.