SENATO DELLA REPUBBLICA
COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI (1ª)
INDAGINE CONOSCITIVA SUI PROVVEDIMENTI IN ITINERE DI ATTUAZIONE E DI REVISIONE DEL TITOLO V DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE
6º Resoconto stenografico
SEDUTA DI GIOVEDÌ 17 OTTOBRE 2002
Presidenza del presidente PASTORE
Audizione di rappresentanti della Conferenza dei Presidenti dell'Assemblea, dei Consigli regionali e delle Province autonome
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'indagine conoscitiva sui
provvedimenti in itinere di attuazione e di revisione del Titolo V della Parte II
della Costituzione.
E' in programma oggi l'audizione di rappresentanti della Conferenza dei Presidenti
dell'Assemblea, dei Consigli regionali e delle Province autonome.
Ricordo che, ai sensi dell'articolo 33 comma 4, del Regolamento, è stata chiesta
l'attivazione dell'impianto audiovisivo e che la Presidenza del Senato ha già
preventivamente fatto conoscere il proprio assenso. Se non ci sono osservazioni, tale
forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
Sono presenti, per la Conferenza dei Presidenti dell'Assemblea, dei Consigli regionali e
delle Province autonome, il presidente coordinatore Riccardo Nencini, accompagnato dalla
dottoressa Manuela Turini e dal dottor Giacomo Di Iasio, il segretario generale Stefano
Rolando, il responsabile per le relazioni esterne e comunicazioni Paolo Pietrangelo,
nonché la dottoressa Sandra Torricini e il dottor Marco Zanini dell'Ufficio
giuridico-istituzionale.
Ringrazio i nostri ospiti per essere intervenuti e do senz'altro la parola al dottor
Nencini.
NENCINI. Signor Presidente, ringrazio lei e i membri della Commissione per averci
concesso questa occasione.
Preannuncio che verrà consegnata alla Commissione la relazione che mi accingo ad
illustrare, nella quale i due disegni di legge oggetto di questa audizione, il n. 1545 (il
cosiddetto disegno di legge La Loggia), ed il n. 1187, sulla devolution, vengono
trattati separatamente.
È interesse delle Regioni e di tutto il sistema della autonomie che si arrivi il più
presto possibile all'approvazione di una normativa che adegui l'ordinamento della
Repubblica alla legge costituzionale n. 3 del 2001. Ciò non significa, però, accettare de
plano il disegno di legge La Loggia e rassegnarsi anche ai suoi aspetti dubbi. Al
riguardo, faccio rilevare che vi è una novità degna di nota. Ieri infatti si è svolto
un incontro con il Presidente del Senato, al quale abbiamo comunicato il raggiunto accordo
consigli regionali-governi regionali. Tale aspetto è stato comunque inserito nella
relazione che verrà consegnata, perché una delle lamentazioni che sarebbero state
presentate, e che trovano comunque ancora conferma, a una motivazione precisa: la
Conferenza ha una sua sede assolutamente opportuna e formale, all'interno della quale
avvengono le giuste valutazioni, le quali tuttavia rimangono fuori da una serie di
consultazioni relative al disegno di legge La Loggia. Da ieri i consigli regionali ed i
governi regionali, raggiunto questo accordo, consegnato nella mani del presidente Pera,
sono nelle condizioni di svolgere compiutamente il loro lavoro e di mettere la fretta
istituzionalmente dovuta nel procedere nei lavori di costituzione definitiva della
cosiddetta "Bicameralina". Questo viene salutato come fatto assolutamente
positivo.
Dobbiamo innanzi tutto rilevare che l'esame di questo disegno di legge, come pure quello
del disegno di legge di attuazione dell'articolo 122 della Costituzione e del disegno di
legge n. 1187 sulla devolution, si svolge senza che si sia ancora proceduto
all'integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali, secondo quanto
previsto dall'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Si stanno infatti
decidendo punti fondamentali della riforma e si sta discutendo della "riforma della
riforma", senza che vi sia un coinvolgimento istituzionale delle Regioni e, in
particolare, delle assemblee regionali, nel procedimento legislativo. A tale proposito,
ricordiamo che gli esecutivi regionali hanno una sede di intervento, istituzionale e
forte, nella Conferenza Stato-Regioni.
Tornando al disegno di legge La Loggia, esprimiamo una valutazione complessivamente
positiva circa il meccanismo che regola l'appropriarsi progressivo da parte delle Regioni
delle materie loro spettanti, sia come competenza esclusiva sia come nuova competenza
concorrente. Mi riferisco in particolare al principio della "cedevolezza" della
normativa statale di fronte al subentrare della normativa regionale, un principio che non
dovrebbe comportare usurpazioni e che evita vuoti normativi. Occorre tuttavia che nel
frattempo Governo e Parlamento non procedano ad occupazioni di territori, sia pure
provvisorie, non strettamente indispensabili, altrimenti la "cedevolezza" si
trasformerebbe in vischiosità, che potrebbe palesemente arrecare danni al processo
conseguente. Soprattutto nelle materie di competenza concorrente è auspicabile
un'assoluta sobrietà di interventi statali, per evitare che si allarghi il coacervo delle
leggi dalle quali si dovranno desumere i principi fondamentali.
Appunto il modo con cui il disegno di legge affronta il nodo dei principi fondamentali
nelle materie di competenza legislativa concorrente appare, anche a nostro parere, uno dei
punti controversi. Lo dico anche per aver avuto modo di leggere la relazione svolta presso
questa Commissione dal professor Vandelli. Ricordiamo che i giuristi ascoltati dalla
Commissione affari costituzionali del Senato, nel corso delle audizioni sugli effetti
della riforma del Titolo V della Costituzione, avevano pressoché unanimemente escluso che
la questione dei principi fondamentali potesse essere riproposta nei termini in cui venne
proposta e risolta agli inizi dell'attività legislativa regionale.
La riforma del Titolo V della Costituzione non presenta più i principi fondamentali come
un limite al potere regionale concorrente; fa invece di tali principi una vera e propria
materia "trasversale" di competenza statale. I principi fondamentali diventano
così non più limiti, ma indicazioni ed orientamenti per il potere legislativo regionale.
Accettando invece l'ipotesi di desumere i principi fondamentali dalle leggi oggi vigenti,
si compie in realtà un'operazione di mummificazione dell'ordinamento regionale o, in
alternativa (o cumulativamente), si apre una prospettiva di interminabile contenzioso
costituzionale Stato-Regioni (come in talune materie si sta già verificando). Considerare
la legislazione vigente come fonte di principi fondamentali validi anche nel nuovo
assetto, significa racchiudere il potere legislativo regionale concorrente nei vecchi
confini di ieri.
La via maestra, sicuramente più rispondente allo spirito della riforma, sarebbe quella di
una legislazione statale che, ex novo, e nella nuova ottica, indicasse sobriamente
gli indispensabili principi generali di riferimento, visti non tanto come una gabbia, ma
piuttosto come un insieme dinamico. Ma i tempi, come dicevamo, sono stretti, e sembra
imporsi, almeno in via transitoria, una soluzione più rapidamente attuabile. Il disegno
di legge propone una delega al Governo per la "ricognizione", tramite uno o più
decreti legislativi, dei principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti nelle
materie previste dall'articolo 117, terzo comma, della Costituzione. La delega dovrebbe
essere esercitata entro un anno. Ma l'articolo 76 della Costituzione sembra non consentire
che il Parlamento deleghi al Governo la definizione di principi della legislazione: il
meccanismo della delega richiede che sia il Parlamento a definire i principi. Dato che
giuridicamente non esiste la categoria dei "principi sui principi", non si può
pensare ad una delega al quadrato, per cui il Parlamento indica i massimi principi per
l'individuazione, da parte del Governo, dei principi secondi. Lo stesso disegno di legge,
quando passa ad indicare i principi cui la legislazione delegata dovrebbe attenersi,
finisce per indicare non dei principi, ma degli obiettivi generici e privi di una
verificabile effettività giuridica. È quindi una delega che lascia piuttosto perplessi.
Parecchi giuristi la ritengono inammissibile. Noi, pur con tutte le riserve sopra esposte,
riteniamo che una forma di delega possa essere praticata, sia pure in termini diversi da
quelli prospettati nel disegno di legge in esame.
Si dovrebbe arrivare a delegare l'identificazione, nel complesso della legislazione
vigente, delle sole disposizioni che abbiano natura di principio nel senso e nello spirito
della nuova formulazione dell'articolo 117 della Costituzione. Cioè la ricognizione dei
principi già indicati in passato dal Parlamento nell'esercizio del suo potere
legislativo.
Insomma, occorrerebbe delegare al Governo la redazione di una specie di testo unico
meramente ricognitivo, senza margini di innovazione o di interpretazioni estensive, che
indichi con sicurezza alle Regioni i riferimenti da cui il Governo sarà guidato nel
valutare la necessità di impugnare le leggi regionali per violazione delle disposizioni
di principio esistenti. Un atto del genere, tra l'altro, renderebbe pienamente funzionale
l'accordo quadro intercorso tra Governo e presidenti delle Regioni. Questa ipotesi, che è
pur sempre un compromesso, richiederebbe qualche modificazione o qualche precisazione al
disegno di legge, per rendere inequivoco il carattere compilativo della legislazione
delegata e per confermarne il carattere transitorio. Fatta partire in questo modo empirico
la riforma, il Parlamento dovrebbe procedere a definire nuovi e diversi principi
fondamentali, coerenti con il nuovo ordinamento di tipo federale.
Il tema dei principi fondamentali si collega a sua volta con quello della precisazione
delle competenze concorrenti, che peraltro attiene più propriamente ai discorsi sulla
"riforma della riforma". Su questo aspetto vorrei fare una sola osservazione. Si
è parlato, anche da parte del Governo, della necessità di rivedere le materie di
competenza concorrente, sfoltendone l'elenco. Non vogliamo negare a priori che qualche
verifica possa essere opportuna, ma in linea generale crediamo che la vera necessità sia
quella di una precisa e ragionata "actio finium regundorum", cioè di
un'identificazione dinamica di principi di armonizzazione delle scelte politiche che
sottostanno all'esercizio del potere legislativo nelle varie materie, lasciando alle
Regioni le competenze già oggi attribuite. Le competenze concorrenti non devono dunque
diventare, come rischiano oggi, un tiro alla fune. Ma la soluzione non può essere nemmeno
quella di tagliare la fune, visto che probabilmente alle Regioni resterebbe in mano il
capo più corto e sfrangiato, e comunque di dubbia certezza.
Vorrei poi fare un cenno a quanto previsto dall'articolo 2, secondo comma del disegno di
legge n. 1545. Si segnala che, a proposito delle "forme di controllo, anche
sostitutivo", il comma in esame stabilisce che queste siano disciplinate negli
statuti degli enti stessi. Questa materia - ove si intenda nell'accezione di "forme
di controllo, anche sostitutivo" sugli enti locali - sembrerebbe invece più
correttamente da attribuire alla disciplina della legge regionale, per evitare il caso che
il soggetto controllato disponga in merito al controllo su se stesso.
Circa i limiti della potestà legislativa, il disegno di legge (articolo 1, comma 1)
introduce una categoria indeterminata e indeterminabile di limiti "derivanti
dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea e alle Comunità europee". Questa
costituzionalizzazione automatica e "in bianco" di tutto quanto si decida in
sede europea costituisce ed è parere corale della Conferenza - uno dei punti più
criticabili. Non si può infatti dimenticare che la normativa europea soffre di un forte deficit
di democraticità e che la partecipazione regionale alla sua determinazione è
assolutamente carente.
La partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti comunitari risulta debole e
imprecisa. Ricordo che il 2 settembre scorso è stato presentato il disegno di legge di
modifica alla legge La Pergola sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo
comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari. L'intento enunciato
è quello di potenziare la partecipazione delle Regioni e delle Province autonome sia alla
fase di formazione del diritto comunitario, la cosiddetta fase ascendente, che a quella
discendente, cioè di attuazione del diritto comunitario. Ci riserviamo comunque, come
Conferenza dei presidenti dei consigli regionali, di esprimere anche su questo disegno di
legge un nostro parere. In via generale ci preme sottolineare invece che, dopo la riforma
del Titolo V, le Regioni hanno nuove e più forti ragioni per reclamare una diversa
partecipazione ai procedimenti comunitari.
Interessante è il comma 2 dell'articolo 3, secondo il quale: "Nelle materie di
competenza legislativa delle Regioni e delle Province autonome, il Governo può proporre
ricorso dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee avverso gli atti normativi
comunitari, anche su richiesta di una delle Regioni e delle Province autonome".
Preliminarmente va notato che non esisterebbero impedimenti a riconoscere direttamente
alle Regioni ed alle Province autonome la legittimazione a ricorrere dinanzi alla Corte di
giustizia, proprio in virtù della particolarità dell'ordinamento delle Comunità
europee. Va poi notato che non c'è alcuna garanzia che la richiesta delle Regioni abbia
seguito; né è indicato come il Governo decida (a maggioranza? All'unanimità? Con la
partecipazione di rappresentanti delle Regioni?) sul seguito da dare alla domanda. Nel
dubbio resta anche da precisare quale sia l'organo regionale competente a deliberare sulla
presentazione della richiesta al Governo. Su questi punti sarebbero decisamente opportune
precisazioni e chiarimenti.
L'articolo 4 disciplina l'attività delle Regioni in materia internazionale, senza
discostarsi significativamente dalle norme vigenti. Sembra anzi che vi sia
un'interpretazione molto prudente del nuovo testo costituzionale. L'articolo 117, nono
comma, prevede che le Regioni possano, nelle materie di loro competenza, "concludere
accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato". Il disegno
di legge La Loggia distingue molto più analiticamente i vari tipi di intese e di accordi,
recuperando anche quelle "attività di mero rilievo internazionale" il cui
effettivo significato è tutto da ridimensionare. Questi accordi sono poi preceduti,
accompagnati e seguiti da una sorveglianza statale che si conclude, per gli "accordi
esecutivi ed applicativi di accordi internazionali regolarmente entrati in vigore, o
accordi di natura tecnico-amministrativa, o accordi di natura programmatica" in una
vera e propria autorizzazione preventiva alla firma. Aggiungo che il Governo può
segnalare alle Regioni l'inopportunità politica di tutte le forme di attività
internazionali: in caso di dissenso, lo ricordo, "il Governo delibera sulla
questione" con la presenza del presidente della Regione interessata. È evidente che
questa impostazione mira a salvaguardare il principio che unico soggetto di diritto
internazionale è lo Stato e che le Regioni e le Province autonome quando agiscono in
campo internazionale lo fanno come organi dello Stato (da qui, per esempio, la previsione
del conferimento, da parte del Ministero degli affari esteri, dei "pieni poteri di
firma" alla Regione). Si tratta di un'impostazione conforme al diritto internazionale
- lo riconosciamo - che però può risultare in contrasto o almeno in distonia con
l'eventuale previsione negli Statuti regionali di una ratifica con legge regionale degli
accordi e delle intese di cui stiamo parlando. È consigliabile anche sul punto un
adeguato approfondimento.
A proposito del riassetto delle funzioni amministrative, viene introdotta una
"verifica" da parte della Corte dei conti sugli equilibri di bilancio delle
Regioni, oltre che degli enti locali, senza che si dica come, con quali effetti, a quali
finalità e con quali conseguenze, anche sanzionatorie, si svolga. L'introduzione di tale
verifica, anche se può risultare giustificata dal patto di stabilità e dal coordinamento
della finanza pubblica, suscita più di una perplessità, in quanto non direttamente e
necessariamente collegata alla riforma del Titolo V. Sarebbe necessario nel caso indicare
i fondamenti costituzionali.
L'articolo 7 riguarda i ricorsi alla Corte costituzionale.
Nel nuovo testo introdotto come articolo 31 della legge n. 87 del 1953 è previsto che
"La questione di legittimità costituzionale è sollevata, previa deliberazione del
Consiglio dei Ministri, anche su proposta della Conferenza Stato-Città e Autonomie
locali". L'innovazione è importante per molti aspetti ma è resa monca dalla
mancanza di alcuni dettagli, che possono essere assunti come significativi. Manca, in
particolare, l'indicazione se la proposta della Conferenza abbia valore obbligatorio per
il Governo o costituisca semplicemente un atto di impulso liberamente valutabile.
Soprattutto non è chiarito se la proposta della Conferenza possa riguardare anche
l'impugnazione degli statuti regionali.
Il comma 2 dello stesso articolo 7 sostituisce il secondo comma dell'articolo 32 della
legge sopra citata, che riguarda il ricorso delle Regioni alla Corte costituzionale,
introducendo il seguente testo: "La questione di legittimità, previa deliberazione
della Giunta regionale, anche su proposta del Consiglio delle autonomie locali, è
promossa dal Presidente della Giunta".
La possibilità di proposta di impugnazione da parte del Consiglio delle autonomie locali
costituisce una innovazione rilevante perché va ad incidere su una materia (la disciplina
delle funzioni del Consiglio delle autonomie locali) che l'articolo 123, quarto comma,
della Costituzione sembrerebbe riservare allo statuto regionale. Inoltre, il potere di
proporre alla Giunta di sollevare la questione di legittimità delle leggi statali esula
dalle funzioni del Consiglio delle autonomie come "organo di consultazione fra la
Regione e gli enti locali", così come disegnato dal citato articolo 123. Insomma, vi
è qualche dubbio sulla perfetta legittimità costituzionale della norma.
La parte del disegno di legge riguardante l'organizzazione periferica dello Stato non ha
un impatto diretto sull'ordinamento regionale: potrebbe quindi essere stralciata.
L'articolo 9 del disegno di legge n. 1545 non affronta in alcun modo, neppure sotto
l'aspetto procedurale, il problema di individuare quali siano le ulteriori materie
spettanti alle Regioni ad autonomia speciale ed alle Province autonome in base
all'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001: un problema piuttosto complesso,
che investe anche la nuova configurazione dei limiti del potere legislativo regionale.
Il disegno di legge - lo ricordo - si limita ad affidare alle "Commissioni
paritetiche previste dagli statuti delle Regioni a statuto speciale e delle Province
autonome" il compito di proporre "l'adozione delle norme di attuazione che
definiscono i beni e le risorse strumentali, finanziarie, umane ed organizzative da
trasferire, occorrenti all'esercizio delle ulteriori funzioni amministrative". A
nostro giudizio, resta irrisolta l'individuazione dei contenuti di più ampia autonomia da
riconoscersi alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome.
Per quanto riguarda il disegno di legge n. 1187, riguardante la cosiddetta devolution,
la Conferenza dei presidenti delle assemblee delle Regioni e delle Province autonome non
ha maturato una convinzione unanime e definitiva. Le considerazioni che riporto rientrano
nella categoria delle enunciazioni condivise coralmente dalla Conferenza.
In primo luogo, riteniamo che un intervento di "riforma della riforma" dovrebbe
avere un orizzonte più vasto di quello considerato dal disegno di legge in questione:
dovrebbe considerare anche l'istituzione di una Camera delle Regioni e la partecipazione
delle Regioni alla formazione della Corte costituzionale. Continuare a procedere solo per
via di parziali aggiustamenti appare non corretto sotto il profilo dei rapporti
istituzionali Stato-Regioni.
Circa le materie oggetto della devolution, vi è in molti giuristi la fondata
impressione che una di esse, la polizia locale, appartenga già alla competenza esclusiva
delle Regioni, visto che non rientra nelle materie di competenza esclusiva dello Stato e
che non è elencata tra le materie di competenza concorrente. Semmai, dalla relazione che
accompagna il disegno di legge, sembra che ci sia qualche equivoco sui contenuti di questa
materia, almeno rispetto a quanto dottrina e leggi intendono per polizia locale. Sarebbe
quindi opportuno che nel corso della discussione sul disegno di legge si determinasse cosa
si intende esattamente per polizia locale.
Il disegno di legge lascia poi nell'ombra alcune serie questioni di coordinamento
normativo. Non va dimenticato, per esempio, che il potere esclusivo statale di
"determinazione dei livelli delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale" si pone come una
competenza capace di incidere anche sulle materie devolute, quanto meno per l'assistenza e
l'organizzazione sanitaria ed anche per quanto riguarda l'organizzazione scolastica e la
gestione degli istituti scolastici e di formazione. Altrettanto potrebbe accadere, sempre
per la materia scolastica, in virtù della competenza statale esclusiva (articolo 117,
secondo comma, lettera n), ed articolo 33, secondo comma) a dettare con
legge le norme generali sull'istruzione. La presenza di queste norme costituzionali può
servire da contrappeso ai paventati danni che la devolution porterebbe alla
coesione nazionale ed all'uguaglianza tra Regioni; la devolution stessa però va
adeguatamente coordinata con le norme ora citate.
Ci sono poi i rapporti tra il disegno di legge e il terzo comma dell'articolo 116, che
aprono alla possibilità di "Regioni a due velocità".
Tra devolution ed articolo 116 vi è una parziale coincidenza di materie
("istruzione" e "tutela della salute" per l'articolo 116,
"assistenza ed organizzazione sanitaria", "organizzazione scolastica,
gestione degli istituti scolastici e di formazione" e "definizione della parte
dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione" per la devolution).
Quindi per tali materie, intese nel loro contenuto sostanziale, al di là delle diverse
denominazioni, sembra che alle Regioni vengano offerte dunque due possibilità: o la
contrattazione delle "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia"
previste dall'articolo 116, che tuttavia potrebbe arrivare fino alla competenza
legislativa esclusiva; oppure l'attivazione diretta, per via di devolution, della
competenza esclusiva. È opportuno che il disegno di legge faccia chiarezza su questa
alternativa, anche perché, mentre nell'articolo 116 sono previste norme procedimentali e
richiesti requisiti, nel disegno di legge sulla devolution mancano le une e gli
altri.
In sostanza, l'attivazione della "seconda velocità", di cui all'articolo 116,
terzo comma, potrebbe apparire non un diritto pieno della Regione, ma una
attribuzione-concessione concordata con lo Stato, con una procedura partecipata.
A fronte di ciò, vi è da dire che la disposizione di cui all'articolo 116 si inserisce
armonicamente nelle prospettive delineate dalla riforma. Coinvolge tutte le istituzioni
interessate nella considerazione circa l'opportunità di accedere a forme maggiori e
particolari di autonomia; lascia ad ogni Regione margini ampi di valutazione e di scelta,
in applicazione realistica e duttile del principio di sussidiarietà. Infine, non presenta
risvolti che possano, quanto meno in via di principio, mettere a rischio la coesione
nazionale.
Circa l'aspetto delle risorse, rimane da chiarire come esse si attivino con la devolution.
Il disegno di legge n. 1187 non ne fa cenno, a differenza di quanto prevede l'articolo 116
della Costituzione. Sarebbe invece necessario considerare anche questo profilo e
precisarne i riflessi ed i condizionamenti sulla proposta.
Mentre il federalismo a più velocità previsto nell'articolo 116 ha, come dicevamo,
indicazioni procedurali precise che prevedono un bilanciamento ottimale degli interessi e
delle esigenze e che garantiscono la tutela della solidarietà nazionale sul versante
delle risorse, la devolution ne è priva.
Di più, l'articolo 116 ipotizza un concorso di tutti gli attori istituzionali, e
soprattutto si configura come una scelta, discrezionale e verificata, di ciascuna Regione
su un ventaglio di materie ampio e significativo. La devolution invece riguarda
obbligatoriamente poche materie, rispetto alle quali è più incombente il contrasto con
quanto resta dell'interesse nazionale.
PRESIDENTE. La ringrazio dottor Nencini per la chiarezza espositiva e per la completezza
delle informazioni fornite. Certamente, nello svolgimento dei nostri lavori terremo conto
di queste sue osservazioni.
Prima di dare la parola ai senatori che intendono porre quesiti ai nostri ospiti ed
intervenire io stesso, vorrei rivolgere un saluto particolare al senatore Vizzini,
presidente della Commissione bicamerale per le questioni regionali, il quale, come sapete,
è coinvolto quanto e più di me in questo processo che si dovrebbe concludere (e mi fa
piacere che il presidente Nencini abbia voluto confermarlo in questa sede), anche secondo
gli auspici del Presidente del Senato, in tempi ragionevoli seguendo le linee esposte
dallo stesso presidente Pera, che credo rappresentino un equilibrio tra l'esigenza di una
Commissione allargata e quella di consentire al Parlamento di procedere nell'attività
legislativa, nel rispetto dei canoni costituzionali.
Vorrei poi svolgere una considerazione di carattere generale. Gli altri punti lo
ripeto verranno presi in considerazione in sede emendativa. Ricordo che sul disegno
di legge La Loggia vi è un'ampia disponibilità da parte di tutte le forze politiche a
farlo approdare al più presto in Aula.
Sulla questione della sovrapposizione fra i principi della delega e quelli fondamentali
della legislazione concorrente si registra qualche divergenza, almeno per quanto riguarda
l'opinione di chi vi parla e di altri colleghi, soprattutto della maggioranza. In realtà,
a ben vedere si tratta di due oggetti ben diversi. I principi della delega sono tali per
definizione e quindi tracciano i binari e gli obiettivi fondamentali che deve realizzare
il legislatore delegato, mentre i principi fondamentali sono quelli puntuali che il
legislatore delegato può poi individuare nell'ambito discrezionale che i principi della
legge di delega gli hanno conferito. Desideravo fare questa puntualizzazione per lasciare
agli atti una valutazione diversa su una questione che, lo ripeto, è ancora aperta.
Una seconda questione riguarda la ricognizione. Sull'articolo 1 del disegno di legge n.
1545, che conferisce la delega ricognitiva, vi è la volontà politica comune di arrivare
ad una definizione in termini e in tempi ragionevoli. Anche se auspicabile, è difficile
però che si possa realizzare il ricorso a leggi puntuali, nell'ambito di un ventaglio
così ampio di competenze regionali, in tempi ragionevoli, per evitare la conflittualità.
Ma sul fatto che il legislatore non possa ricavare dal sistema i principi forse si insiste
un po' troppo, se è consentito, dato che è stato riconosciuto dalle leggi di attuazione
costituzionale e, prima ancora, dalla Corte costituzionale, che le Regioni possono
ricavare principi fondamentali dalla legislazione ordinaria, nell'ambito di certi
indirizzi.
Desideravo solo puntualizzare che ci riteniamo in coerenza e in aderenza almeno con il
disegno di legge La Loggia. Ci rendiamo comunque conto che si tratta di problemi che
certamente daranno luogo a questioni non solo di diritto ma anche politiche, che vorremmo
cercare di risolvere, d'intesa con tutte le forze presenti in Parlamento, o almeno con la
maggior parte di quelle disponibili, evitando che con la ricognizione si possa arrivare ad
una modifica dei principi. La funzione ricognitiva va in qualche modo disciplinata e
insieme a me, che sono relatore, anche i colleghi dell'opposizione, come il senatore
Bassanini, si sono impegnati per consentire lo svolgimento di tale funzione in maniera
corretta, senza prevaricazioni, senza la creazione di nuovi principi, naturalmente
cercando di individuare quelli esistenti.
VIZZINI (FI). Ho letto che all'ordine del giorno c'era questa audizione e sono
venuto con piacere a salutarvi. Purtroppo però non posso restare perché devo recarmi in
Commissione bilancio. Al riguardo, devo far presente che il rapporto con le Regioni,
proprio sotto il profilo delle vicende finanziarie, non è in questo momento dei migliori.
Comunque, anche come Presidente della Commissione bicamerale per le questioni regionali
ringrazio la Commissione per il vostro contributo dato.
BASSANINI (DS-U). Signor Presidente, nel ringraziare la delegazione che oggi è
intervenuta ai nostri lavori, vorrei fare alcune osservazioni.
Prescindendo dalle questioni legate all'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione -
che, per altri versi, è anch'essa una priorità assoluta, dal momento che riguarda le
risorse necessarie per far fronte ai nuovi ma magari anche ai vecchi compiti e funzioni
delle Regioni, quindi prescindendo dall'attuazione dell'articolo 119 stesso - mi è
sembrato di capire che la priorità assoluta sia a vostro avviso l'approvazione della
legge di attuazione della legge costituzionale n. 3 del 2001, di riforma del Titolo V
della Costituzione. Se ho capito bene - e la mia è una richiesta di precisazioni - voi
ritenete che la riforma della riforma, in particolare quel pezzo di "riforma della
riforma", che è all'esame del Parlamento, cioè il cosiddetto disegno di legge n.
1187 sulla devolution, meriterebbe di essere riconsiderato, sia per comprendere
parti mancanti e da tutti considerate necessarie, come il Senato federale o il Senato
delle Regioni, sia, quanto meno, per precisare l'inserimento delle disposizioni proposte
nel contesto del Titolo V e il rapporto con le disposizioni costituzionali esistenti. Da
un lato, quindi, vi è l'indicazione della priorità, dall'altro, l'esigenza di una
ulteriore riflessione che consenta al Parlamento di esaminare un progetto di "riforma
della riforma" completo ma anche non equivoco nelle sue formulazioni.
NENCINI. Esattamente.
BASSANINI (DS-U). Vi è poi una seconda richiesta di precisazioni. Mi sembra di
aver capito, ed in gran parte lo condivido (ma non voglio polemizzare con il presidente
Pastore) che voi riteniate che il combinato disposto degli articoli 76 e 117 della
Costituzione non consenta di delegare al Governo la definizione e la determinazione di
nuovi principi fondamentali che vincolano la legislazione regionale, ma non impedisce,
tuttavia, di delegare al Governo una funzione ricognitiva di principi già esistenti nella
legislazione. Si suppone quindi che siano decisi dal Parlamento senza violazione del
combinato disposto degli articoli 76 e 117. Mi sembra di capire che voi riteniate che
questo comporti qualche rischio sostanziale, anche perché l'attività di ricognizione è
limitata alla legislazione del passato e quindi non è dinamica. Ma, tutto sommato, questa
costituisce l'ipotesi compromissoria migliore per avere rapidamente un quadro di certezze.
Questa è anche la ragione per cui, nella prospettiva di una rapida approvazione del
disegno di legge La Loggia, siamo addivenuti a tale conclusione. Tuttavia, mi pare di aver
capito, anche se è stato solo un accenno, che fra i criteri della delega ricognitiva si
possa secondo voi inserire un criterio che spinga il Governo a fare un uso appropriato di
questa ricognizione, fermo restando che non può riconoscere principi che non esistono
nella legislazione vigente. Si può procedere ad un'elencazione sobria di questi principi,
in relazione al nuovo quadro costituzionale -, che tenga conto che il rapporto fra
competenza legislativa statale e competenza legislativa regionale con il Titolo V è
cambiato - attraverso un'opportuna formulazione di un criterio che al momento ancora non
abbiamo, ma sulla cui formulazione potreste fornirci un aiuto. Questo potrebbe
rappresentare un modo interessante per procedere su questa strada, riducendo gli effetti
sostanziali negativi.
Ci avete dato un'altra indicazione affermando che il Parlamento dovrebbe rapidamente
mettersi al lavoro sui nuovi principi fondamentali, contemporaneamente abrogando quelli
che sono effetto della ricognizione, settore per settore, materia per materia. Vi chiedo
se non sia possibile pensare a qualche forma di collaborazione istruttoria e propositiva
tra Parlamento e consigli regionali, basandosi sulla seguente idea. Fermo restando che la
definizione dei principi spetta al Parlamento nazionale, tuttavia è nell'attività
legislativa ordinaria regionale - che non dovremmo più chiamare di dettaglio, perché
sarebbe una definizione molto limitativa e restrittiva rispetto al nuovo quadro
costituzionale e quindi nelle materie di competenza concorrente che emergono i
problemi, i nodi ed anche l'esigenza di definire nuovi principi o di ridefinire quelli
vecchi, in modo più adeguato, più moderno e più rispettoso del nuovo quadro federale
che si è venuto delineando.
È proprio nel lavoro che normalmente svolgono i consigli regionali, non il Parlamento, il
Governo o le giunte regionali, che può emergere l'ipotesi di sostituzione, materia per
materia, di un certo quadro di principi in senso più moderno, più adeguato ad un assetto
di tipo federale e non più di puro decentramento regionale. Da questo punto di vista, il
tema che vi pongo, e sul quale non so se abbiate già riflettuto, è il seguente: non si
dovrebbe prevedere un canale di collaborazione tra consigli regionali e Parlamento, tale
da aiutare quest'ultimo nel futuro lavoro di sostituzione dei principi fondamentali emersi
dalla mera ricognizione della legislazione passata, con un nuovo quadro di principi
fondamentali più adeguato ai mutamenti intervenuti?
La penultima domanda riguarda l'osservazione sull'articolo 1, comma 1, del disegno di
legge La Loggia. Avete qualche ipotesi di formulazione alternativa a quell'articolo o per
il momento avete solo individuato il problema, ma non sapete ancora come risolverlo con
una formulazione più adeguata?
Infine, i rilievi espressi dai consigli regionali sull'attuale formulazione del disegno di
legge n. 1187 sono, almeno per la parte politica che rappresento e, più in generale, per
L'Ulivo nel suo insieme, largamente condivisibili. Tuttavia, mi chiedo se abbiate provato
a formulare un'ipotesi diversa, un'ipotesi che consenta di trovare un punto di accettabile
mediazione e di armonizzazione tra principio di coesione nazionale, principio di
solidarietà (anche il presidente Pera ci ha richiamato al modello del federalismo
cooperativo e solidale) e principio di una reale autonomia regionale.
Faccio l'esempio più semplice. Non c'è dubbio che l'interpretazione data in passato di
una competenza legislativa che le Regioni già avevano, sia pure nei termini del vecchio
articolo 117, in materia di assistenza sanitaria, è stata estremamente riduttiva della
reale autonomia legislativa regionale. Basta ripercorrere le norme sulla sanità di tutte
le finanziarie degli anni passati, che contenevano molte disposizioni di estremo
dettaglio. Ecco allora la comprensibile preoccupazione che anche la nuova competenza
legislativa concorrente, pur diversamente formulata nell'articolo 117, comma terzo,
finisca per essere interpretata in maniera restrittiva. Mi chiedo: ci può essere una
funzione, anche propositiva, dei consigli regionali tale da aiutare a raggiungere
convergenze tra le forze politiche sul proseguimento della riforma federale e a trovare
soluzioni accettabili che armonizzino queste diverse preoccupazioni?
NENCINI. Signor Presidente, le devo un ringraziamento perché si conferma il
tentativo in corso e la disponibilità da parte sua a vedere il disegno di legge La Loggia
anche con una serie di controluci, per così dire, che sono state segnalate oggi
pomeriggio in questa audizione.
Alle prime due questioni poste dal senatore Bassanini circa un'interpretazione delle prime
due parti dell'oggetto dell'audizione, più che delle risposte, debbo dare delle conferme.
La sua comprensione è assolutamente chiara.
Quanto alla collaborazione tra Parlamento e consigli regionali, sono ben lieto di
accogliere la sua proposta.
BASSANINI (DS-U). Al momento è solo un'ipotesi, perché per diventare una proposta
effettiva occorre che sia sostenuta dal Presidente e dalla maggioranza.
NENCINI. Conosco i meccanismi e lo so benissimo, ma la prendiamo come una proposta
di una parte politica importante che siede in questa Commissione, nel Senato e nel
Parlamento italiano.
Trovo un punto di congiunzione interessante sull'argomento. Qualche competenza potremmo
averla, ma qualche altra l'abbiamo di sicuro perché, sulla parte relativa ai principi,
anche per altre ragioni, stiamo lavorando. Ci sono quindici Regioni a statuto ordinario
che stanno non modificando, ma riscrivendo i loro statuti. Lo stanno facendo in una fase
di transizione (le ragioni le conoscete meglio di chi vi parla), tenendo conto di un
orizzonte nazionale non ancora definito e di un obbligo in tal senso. Cito solo un
esempio. Gli attuali statuti ricalcano, addirittura nell'articolato, i modelli della
Toscana e dell'Emilia Romagna. Ma i prossimi non saranno così: ci saranno differenze
sostanziali tra statuto e statuto. L'essere parte integrante e sinergica in un luogo
istituzionale nel quale si lavora per definire una griglia di principi condivisi e di
riequilibrio, è proposta che accolgo con felicità.
Sulle ultime due domande, rispondo dicendo che non ci sono, né sull'articolo 1 né sul
disegno di legge sulla devolution, ipotesi alternative. Questo per una ragione, che
illustro rapidamente. Per ora, abbiamo avanzato a tappe.
Una prima tappa è stata una valutazione all'interno della Conferenza, dove la divisione
politica, che per certi versi potrebbe apparire prevalente, non è stata assolutamente
significativa in questa occasione. In secondo luogo, vi è l'accordo che ho ricordato
all'inizio del mio intervento, perché il lavoro da svolgere non riguarda soltanto la
Commissione bicamerale per le questioni regionali: è un lavoro da compiere in sinergia
con i governi regionali. Il disegno di legge riguarda noi, ma soprattutto loro; anzi,
riguarda entrambi. In particolare con le Regioni che potrebbero giocare dalla stessa parte
del campo, noi siamo pronti a scrivere, anche da domani (è un'ipotesi da valutare),
qualcosa congiuntamente, il che avrebbe naturalmente un effetto maggiore. A proposito di
un caso specifico, può intervenire più dettagliatamente la dottoressa Torricini.
TORRICINI. Signor Presidente, marginalmente volevo riallacciarmi a quanto proposto
dal senatore Bassanini sulle forme di collaborazione, ricordando quanto avvenne in un caso
analogo negli anni 1976-77, quando la Commissione Giannini preparava lo schema di decreto
che è poi diventato il decreto legislativo n. 616 del 1977. In alcune Regioni, tra cui la
Toscana, dove allora lavoravo, già veniva svolto in collaborazione con la Commissione
Giannini - e probabilmente il senatore Bassanini lo ricorderà - questo lavoro di ricerca
dei principi cui fare riferimento nelle varie materie e di scrittura, in qualche modo
congiunta, allo stesso tavolo, tra Regioni e Parlamento, dello schema di decreto che poi
diventò appunto il decreto legislativo n. 616. Quella fu sicuramente un'ottima palestra
per i consigli regionali, probabilmente anche per il Parlamento. Forse sarebbe opportuno
ripetere questa esperienza.
PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente i nostri ospiti.
Comunico che prima dell'arrivo del disegno di legge finanziaria, provvederemo ad
incardinare in Aula i provvedimenti che interessano gli assetti regionali sotto il profilo
della "riforma della riforma", almeno parziale, e sotto il profilo
dell'attuazione. Credo che si aprirà un capitolo relativo al Titolo V piuttosto ampio,
che dovrebbe poi concludersi, almeno per le tappe che possiamo intravedere, con
l'allargamento della Commissione bicamerale, salvo prendere un nuovo cammino di attuazione
delle riforme.
Il lavoro da fare è assai complesso ed impegnativo; gran parte lo stiamo svolgendo, ma
quello che ci aspetta da fare è ancora più notevole ed importante.
Dichiaro conclusa l'audizione e rinvio il seguito dell'indagine conoscitiva ad altra
seduta.
I lavori terminano alle ore 16.