SENATO DELLA REPUBBLICA

COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI (1ª)

INDAGINE CONOSCITIVA SUI PROVVEDIMENTI IN ITINERE DI ATTUAZIONE E DI REVISIONE DEL TITOLO V DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE

5º Resoconto stenografico

SEDUTA DI GIOVEDÌ 10 OTTOBRE 2002

Presidenza del presidente PASTORE

 

 

Audizione del Ministro per le politiche comunitarie

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'indagine conoscitiva sui provvedimenti in itinere di attuazione e di revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione, sospesa nella seduta di ieri.

È in programma oggi l'audizione del Ministro per le politiche comunitarie.
Ricordo che, ai sensi dell'articolo 33, comma 4, del Regolamento, è stata chiesta l'attivazione dell'impianto audiovisivo e che la Presidenza del Senato ha già preventivamente fatto conoscere il proprio assenso. Se non ci sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
Ringrazio il ministro Buttiglione per essere intervenuto e gli do senz'altro la parola.

BUTTIGLIONE, ministro per le politiche comunitarie. La modifica del Titolo V della Costituzione ha posto il problema di adattare non solo la legislazione, ma anche la mentalità delle pubbliche amministrazioni, e in genere degli operatori, ad un nuovo sistema che non prevede più – e questo è positivo a giudizio del Governo – uno Stato come soggetto che riassume in sé la comunità nazionale. Nell'ordinamento precedente, comunità nazionale e Stato erano in qualche modo equivalenti, secondo un'antica tradizione giacobina ("la Repubblica è una ed indivisibile e si ripartisce in 90 dipartimenti"; in Italia abbiamo oggi qualche provincia in più). Nel moderno sistema coesistono diversi enti, i quali traggono ognuno la propria legittimazione dai cittadini e devono coordinarsi fra di loro senza che si possa dire che l'uno è ricompreso all'interno dell'altro. Questo pone evidentemente problemi gravi di raccordo e di costruzione dell'unità dell'ordinamento. Tali problemi, tuttavia, all'interno della modifica del Titolo V, possono trovare un inizio di ragionevole soluzione partendo dal fatto che non esistono competenze esclusive. Benché lo Stato non abbia la possibilità di riassumere in sé la totalità della realtà giuridica del Paese, il fatto che non esistano aree escluse dal suo intervento rende in qualche modo possibile una funzione di coordinamento.

Sono molto preoccupato dalla prospettiva delineata dal disegno di legge n. 1187 sulla devoluzione. La devoluzione è in sé positiva ed è un potente elemento di semplificazione, riducendo l'ambito della legislazione concorrente (che poi è quello della legislazione conflittuale); tuttavia, ambiti esclusivi di legislazione non accompagnati dai due pilastri dell'ordinamento federale (che nella riforma non riesco a vedere), che sono da un lato il diritto di indirizzo e coordinamento dello Stato e dall'altro il dovere di leale collaborazione delle Regioni, rischiano di determinare una situazione ingovernabile, perché viene meno la possibilità di interferire per ragioni di materia e manca una base su cui condurre una effettiva azione di indirizzo e coordinamento.
Qualcuno ha sostenuto che il potere di indirizzo e coordinamento è di per sé immanente alla natura dello Stato federale per cui è inutile scriverlo, ovvero potremmo aspettare che sia la Corte costituzionale a farlo valere in qualche modo. Mi pare questa una soluzione precaria: credo che dobbiamo fare uno sforzo per avviare una revisione della riforma, una riforma della riforma, prevedendo regole chiare che consentano di mantenere l'unità dell'ordinamento giuridico. Il rischio è che non ci sia più l'unità dell'ordinamento giuridico, la possibilità di avere diverse norme che scaturiscono da fonti non più sovraordinate o sottordinate ma indipendenti all'interno di una unità di sistema. Su questo primo problema credo di dover attirare l'attenzione del Governo e del Parlamento.
La riforma varata nella scorsa legislatura da qualche parte zoppica: varrebbe la pena, nel momento in cui ci accingiamo ad estenderla e a rafforzarla, di ritoccarla in quelle parti che risultano maggiormente problematiche.
Per quanto riguarda in modo particolare l'ordinamento comunitario, come sapete, stiamo provvedendo ad articolare la legislazione in materia per tenere conto della riforma federale. Abbiamo assunto nuovi obblighi di informazione verso le Regioni che intendiamo adempiere attraverso l'istituzione di una banca dati per tutto ciò che riguarda il rapporto fra l'Italia e l'Unione europea: una banca dati in cui far confluire tutti gli atti normativi, anche quelli in fase di preparazione, completi di tutta la documentazione relativa alla parte ascendente.
Vorrei però che la banca dati contenesse anche tutto quanto attiene ai rapporti fra il sistema Italia e la Commissione europea (penso alle notifiche e ai contenziosi), in modo che ordinatamente, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, tutti gli enti verso i quali abbiamo un dovere di informazione o che hanno a qualunque titolo un interesse legittimo a conoscere lo stato della situazione possano avervi accesso. Questo è fondamentale sul versante del contenzioso, perché buona parte di esso avviene con le amministrazioni locali. Spesso siamo colti di sorpresa (la comunicazione non è facile all'interno dell'amministrazione centrale, meno che mai tra questa e le Regioni) da situazioni che avrebbero potuto essere più facilmente affrontate se tempestivamente conosciute.
Tutto questo non è facile da realizzare perché l'informazione è potere; da parte di qualcuno vi è l'illusione che mantenere segretata l'informazione aiuti ad evitare l'intromissione di altri. In questo modo non si riesce ad interagire come sistema con la Commissione e con le istituzioni europee. In proposito ricordo due mozioni della XIV Commissione della Camera dei deputati, la mozione Rossi e la mozione Conti, che ci spingono ad andare in tale direzione. Mi auguro che nella finanziaria di quest'anno ci siano provvedimenti che consentano, nell'ambito della generale riorganizzazione e informatizzazione dello Stato, di affrontare organicamente il problema, che non è certo secondario.
Abbiamo affrontato e risolto, penso in modo pionieristico, il problema dell'indirizzo e coordinamento; lo abbiamo fatto senza usare espressamente queste parole, ma il fatto che l'ordinamento europeo non abbia punti di contatto diretti con gli ordinamenti regionali e degli enti locali e che sia comunque responsabile lo Stato verso l'Unione europea ci ha consentito di adottare alcune misure che ci garantiscono una certa possibilità di indirizzo e coordinamento o quanto meno di mettere lo Stato e i contribuenti al riparo dalle possibili inadempienze delle Regioni. Dove esiste competenza legislativa delle Regioni, abbiamo affermato una competenza dello Stato di per sé non concorrente ma pensata per mantenere l'unità dell'ordinamento e una unità di indirizzo politico; abbiamo affermato un potere sostitutivo, da esercitare in occasione della trasposizione delle direttive nel nostro ordinamento, il quale è tuttavia flessibile e cedevole. In altri termini, la norma predisposta dallo Stato non entra in vigore (in questo senso è flessibile) se la Regione provvede tempestivamente a fare uso del proprio potere legislativo, ed è sostituita dalla norma regionale (in questo senso è cedevole) qualora la Regione, anche in una fase successiva, faccia uso della competenza propria. Ciò vale nella situazione attuale di competenze concorrenti e penso varrà anche in una situazione successiva di competenze esclusive.
Abbiamo inoltre provveduto a coinvolgere le Regioni nella rappresentanza, all'interno di una posizione generale che si va affermando anche in sede di Convenzione europea. L'idea di fare un passo decisivo verso l'Europa delle Regioni con questa Convenzione europea non credo che si realizzerà, in parte anche perché l'Europa delle Regioni viene talora intesa come un'Europa capace di superare il ruolo degli Stati nazionali, e non crediamo che ciò avverrà mai. Esistono fattori, come la lingua, la cultura, la storia, che permangono e definiscono un ruolo specifico degli Stati nazionali, che non potrà mai venire meno in un'Europa delle Regioni. In un senso più moderato, l'Europa delle Regioni si afferma come concezione di un federalismo dei federalismi: sistemi federali all'interno dei quali gli stati federati cedono una parte delle loro competenze ad un livello superiore, mentre sulle competenze originarie si interfacciano direttamente con il sistema europeo. Tale modello non riuscirà a sfondare in questa Convenzione perché alcuni paesi hanno strutture con un carattere centralistico; non intendendo rinunciare a tali strutture, esse si oppongono a che abbiano rilievo in sede europea enti substatuali.
Questa preoccupazione è forte specialmente in alcuni sistemi che hanno problemi di minoranze con un loro nazionalismo, che mirano a staccarsi dagli Stati di appartenenza e che fanno uso di strumenti terroristici per perseguire tali finalità. Pensiamo all'ETA, ai gruppi terroristici dell'Irlanda del Nord o ad alcuni gruppi terroristici corsi. È comprensibile che gli Stati che affrontano questi problemi non vogliano dare rilievo europeo agli ordinamenti regionali. Si aggiunge poi il fatto che alcuni Stati non li hanno: è difficile pensare che una contea inglese corrisponda ad una Regione italiana.
La linea che va passando è quella di distinguere tra Regioni che hanno potestà legislativa e Regioni che non hanno tale potestà. Come noi non possiamo imporre a Stati centralistici di interfacciarsi con l'Unione europea sulla base di un modello federale, così Stati centralistici non possono imporre a noi di interfacciarci con l'Unione europea secondo un modello centralistico. Pensiamo ad una valorizzazione del ruolo delle Regioni in sede europea per quelle Regioni che hanno potestà legislativa, vale a dire le Regioni degli Stati federali.
Con il disegno di legge La Loggia intendiamo coinvolgere a fondo le Regioni nel processo europeo attraverso una loro partecipazione ai gruppi di lavoro, che sono il vero punto di partenza di tutto il processo normativo europeo, anche a livello di delegazione di Governo. Intendo dire che, quando la delegazione di Governo tocca temi di preminente interesse regionale, nulla osta a che Presidenti di Regione o assessori regionali facciano parte della delegazione e prendano la parola quando quei temi arrivano all'ordine del giorno, con particolare intensità, quando si tratta di competenze esclusive; comunque nulla osta a che ciò avvenga anche quando vi sono competenze concorrenti.
Vorrei fare una breve osservazione proprio sul tema delle competenze concorrenti. Mi sembra che nel dibattito cui si è assistito fino ad oggi non sia stata molto evidenziata la questione del raccordo delle competenze. Il potenziamento del federalismo è stato cercato lungo la via delle competenze esclusive, che ha certamente i suoi vantaggi; via che noi sosteniamo se non altro perché è in linea con il programma del Governo. Tuttavia vi è un altro percorso di rafforzamento delle autonomie finora non adeguatamente valutato, costituito dal tema del raccordo. Laddove esistono competenze concorrenti, esiste infatti l'opportunità, con notevole vantaggio, di fare in modo che l'interlocutore del cittadino sia uno solo e che lo Stato deleghi a livello regionale l'esercizio delle proprie competenze (credo che il primo a formulare questa teoria sia stato Alexander Hamilton nei Federalist Papers). Pertanto il cittadino che ha un problema (ad esempio per un'impresa che deve realizzare un insediamento produttivo) può parlare direttamente con il presidente della Regione, il quale dirà di sì o di no. Per la parte di sua competenza lo farà in quanto rappresentante del popolo; per la parte di competenza dello Stato centrale, lo farà in quanto rappresentante del Governo, cui renderà conto della propria pronuncia.
Questo è forse più efficace dell'idea delle conferenze di servizio, se vogliamo unificare l'interlocutore ed accelerare i processi. È un sistema che in alcuni Stati federali europei a noi vicini funziona abbastanza bene, per cui forse varrebbe la pena di studiare la possibilità di introdurlo nel nostro ordinamento, combinando decentramento (perché questa è una misura di decentramento) e federalismo al fine di ottenere il massimo di semplificazione ed anche di chiarezza nell'attribuzione di responsabilità. Questo è ciò di cui forse un'amministrazione che vuole essere più vicina ai cittadini ha soprattutto bisogno.
Chiedo scusa se mi sono dilungato troppo ed anche per il carattere un po' confuso della mia esposizione, che dipende peraltro dal fatto che ho dovuto scegliere alcuni temi nel mare di questioni poste dalla riforma che stiamo portando avanti con il disegno di legge predisposto dal ministro per gli affari regionali La Loggia e con la revisione della cosiddetta legge La Pergola (la legge n. 86 del 1989), nonché, in un'ottica di sistema, guardando oltre questi due provvedimenti, con altri provvedimenti di rango costituzionale che sarà opportuno prima o poi assumere per dare omogeneità al sistema stesso.

PRESIDENTE. Onorevole Ministro, prima di dare la parola ai senatori che intendono porre quesiti, vorrei io stesso fare una piccola notazione e chiedere un chiarimento. Il coordinamento in diritto dovrebbe partire dalla novella dell'articolo 114 della Costituzione, cioè da come è strutturato oggi il nostro ordinamento. Però in quella norma lo Stato è parificato a tutti gli altri soggetti, per cui occorre fare riferimento all'articolo 5 della Costituzione per quanto concerne i rapporti non comunitari. Per quanto si riferisce ai rapporti comunitari, probabilmente il discorso è più facile.
BUTTIGLIONE, ministro per le politiche comunitarie. Sì, è così.
PRESIDENTE. In tal caso, a suo avviso, occorrerà affrontare veramente una revisione delle norme contenute nel Titolo V della Costituzione attraverso una legge costituzionale definitiva di chiarimento?
BUTTIGLIONE, ministro per le politiche comunitarie. Non sono autorizzato ad esporre la posizione del Governo, ma questa è la mia personale convinzione ed il Governo sta discutendo – come è giusto che faccia – su quale sia la soluzione più opportuna.

MANZELLA (DS-U). Signor Presidente, ringrazio il ministro Buttiglione per la sua relazione, che non è stata affatto accidentata, ma di esemplare chiarezza nell'esporre i veri nodi della questione. Dico subito che uno dei nodi, anzi forse il nodo dei nodi, è a mio avviso quello che definirei del doppio federalismo. Mi riferisco al processo federativo in corso in Europa che si accompagna a processi federativi di varia natura nelle realtà nazionali: cioè il subnazionale richiama l'infraeuropeo, se così posso esprimermi. Quindi la virtù del legislatore costituzionale europeo e dei legislatori costituzionali nazionali è quella di trovare punti di raccordo tra l'uno e l'altro processo federale. Si tratta di processi federali inarrestabili, d'altronde, nella loro sincronia: proprio perché, quando si ampliano e si travalicano i confini degli Stati nazionali, vi è sempre più l'esigenza di raccordi nelle comunità di destino, come si diceva un tempo, cioè i comuni, le province e le Regioni.

Da questo punto di vista, un momento unificante è l'articolo 10 della legge La Pergola, che fu veramente di grande avanguardia nella nostra legislazione, direi anzi nella legislazione europea: contenendo l'idea di una sessione comunitaria che vedeva presenti Stato, Regioni e province. E vedo come elemento fortemente positivo il fatto che sull'articolo 10 si sia posata l'attenzione del progetto di legge presentato dal Ministro per le politiche comunitarie (Atto Camera n. 3123), che con l'articolo 13 introduce l'articolo 10-bis, per meglio strutturare la sessione comunitaria. Questa rappresenta veramente un grande momento di unità nazionale profonda, come definirei l'unione tra i due processi, sovranazionale e subnazionale.
Da questo punto di vista, ritengo che le polemiche contro la legislazione concorrente cui ogni tanto si dà la stura riguardino il passato. Il ministro Buttiglione lo ha detto nella seconda parte del suo intervento, quando ha affermato che la modernità è rappresentata dal raccordo, dal coordinamento. Gli Stati federali più avanzati, dalla Svizzera al Canada, agli Stati Uniti, fanno dell'ironia quando si parla di legislazione esclusiva. Nel nostro ordinamento di legislazione esclusiva si parla soltanto nello Statuto della Regione siciliana, che fu approvato dieci giorni prima del referendum del 2 giugno 1946. Recentemente c'è stato anche un intervento del presidente della Regione Cuffaro che in un certo senso prendeva le distanze da questo aggettivo rimasto isolato dal 1946 ad oggi nell'intero sistema legislativo italiano e riportato a novella luce dal disegno di legge sulla devolution.
Quindi, se diciamo che quello del raccordo, del coordinamento, è il vero momento di modernità degli Stati federali, che operano appunto in ordinamenti multilivellari in cui occorre trovare meccanismi efficaci di coordinamento e quindi di responsabilizzazione delle varie funzioni, ne discende, anche per questo aspetto, un giudizio negativo sul disegno di legge sulla devolution, che è in rotta di collisione con i disegni di legge La Loggia e Buttiglione, che in realtà sono di implementation.
Questo è il punto, e non mi lascerei scoraggiare dal fatto che nel testo della nuova Costituzione non esiste l'espressione "indirizzo e coordinamento". Mi riferisco anche a quanto ha detto poco fa il presidente Magnalbò: noi abbiamo l'articolo 114 della Costituzione. Questo articolo intanto consente a questo ramo del Parlamento di conservare il nome di Senato della Repubblica. Infatti, poiché stabilisce che la Repubblica è costituita da Regioni, province, comuni e Stato si può continuare ad utilizzare tale nome, che anzi viene legittimato per l'eternità, senza dover fare riferimento a denominazioni come Camera delle Regioni, Senato federale, e così via.
L'articolo 114 contiene peraltro una divaricazione netta tra il primo ed il secondo comma. Nel secondo comma si parla esplicitamente, per le Regioni, le province, i comuni e le città metropolitane, di enti dotati di autonomia; non si fa parola dello Stato, il che significa che lo Stato è sovrano. La sovranità qualche espressione ed esplicazione giuridica la deve pur conservare. Secondo me, una delle conseguenze giuridiche è proprio quella dell'implicito indirizzo e coordinamento che, con la prudenza dei virtuosi, il ministro Buttiglione ha inserito nel suo provvedimento, a parte il richiamo giustamente fatto dal Presidente all'articolo 5 della Costituzione, che rimane una pietra angolare di tutto il nostro sistema delle autonomie, anche perché usa una terminologia appropriata. I nostri Padri costituenti sapevano quello che facevano quando scrivevano, all'articolo 5 della Costituzione: "La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali". Ora, si riconosce una cosa che già esiste e non c'è bisogno di conferire a qualcosa o a qualcuno, dall'alto verso il basso, dei poteri, delle funzioni o delle risorse. Ci saranno poi atti di applicazione, esecutivi, ma concettualmente la nostra Costituzione del 1948 dice appunto – lo ripeto – che la Repubblica "riconosce" le autonomie locali. Le autonomie sono riconosciute dalla Costituzione, non create attraverso la devolution.
Credo quindi che se noi, come dobbiamo fare, ci convinciamo della necessità di tale unità ordinamentale, senza attendere riforme costituzionali, possiamo ritenere impliciti questi poteri di coordinamento anche dopo la stesura del nuovo testo costituzionale.
D'altra parte, se andiamo a ricercare le espressioni di unità ordinamentale negli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, le troviamo nell'attribuzione allo Stato del compito di assicurare il livello delle prestazioni essenziali in materia di diritti civili e sociali, senza distinzione di frontiera – come dice il testo costituzionale – tra un soggetto territoriale e l'altro. Lo vediamo nell'articolo 119, nel fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale, e lo vediamo infine in quei principi comuni dell'Unione europea che non a caso presiedono, con una innovazione confermativa rispetto all'articolo 11 della Costituzione, all'intero articolo 117: i vincoli comunitari. E non a caso – come ci ha riferito nel corso della sua audizione in questa Commissione il ministro Bossi – i vincoli comunitari che il Ministro per le riforme voleva far saltare sono stati reintrodotti mediante l'intervento del Presidente della Repubblica.
Siamo nel campo di un'unità ordinamentale strutturata attraverso l'attribuzione allo Stato del controllo su principi fondamentali, principi comunitari e perequazione fiscale. Da questo punto di vista pongo due domande di tecnica legislativa. La prima è: come si intende procedere nel parallelismo tra il disegno di legge La Loggia e quello di revisione della legge comunitaria, contenendo essi materie analoghe? Su quale dei due provvedimenti dovremo condurre il confronto?
Intendiamoci: non c'è contraddizione tra i due, ma è opportuno che il Parlamento si pronunci su una sola formulazione, anche se non ci sono contraddizioni vere tra l'una e l'altra norma.
La seconda questione attiene alla distinzione tra potere comunitario delle Regioni e potere internazionale. Recentemente si è registrata un'azione internazionale di promozione commerciale ed economica di alcune Regioni. So di qualche presidente di Regione che ha chiesto che vi sia presso di sé un vero e proprio ufficio di consigliere diplomatico e la Farnesina mi pare che abbia accolto la richiesta in un quadro di unitarietà di azioni. In proposito vorremmo un parere del Ministro per le
politiche comunitarie, anche se la questione riguarda pure il Ministro degli affari esteri, che speriamo tra poco non sia più ad interim, per sapere qual è la linea di confine, almeno nella sua visione.

BUTTIGLIONE, ministro per le politiche comunitarie. Signor Presidente, vorrei fare prima un'osservazione: l'idea delle competenze esclusive non è poi così malvagia e fuori dalla realtà. Noi difendiamo la cosiddetta devoluzione (io preferisco parlare italiano) e crediamo che l'attribuzione di una competenza esclusiva alle Regioni sia un modo potente per incentivare la responsabilità delle classi dirigenti locali e anche un nuovo tipo di politica, in cui il cittadino sa che l'uomo che egli ha eletto è pienamente responsabile dei livelli dei servizi che gli offre e dei costi che gli fa pagare. È chiaro che questo concetto va collegato con il tema, non ancora affrontato, del cosiddetto federalismo fiscale, che a mio parere dovrebbe essere costruito in modo da creare una piena responsabilità dell'autorità regionale per livelli di servizi e livelli di costo. Questa è una condizione importante per sottrarre la politica italiana alla chiacchiera e ricondurla ad un dibattito limpido sulle forme migliori di servizio nell'interesse dei cittadini.

Non condivido quindi il giudizio negativo sulla devoluzione, anche se non è propriamente parte di ciò di cui stiamo discutendo adesso, riguardando altro disegno di legge. Credo che il problema sia invece quello di assicurare l'unità di indirizzo e coordinamento, e – per la verità – l'equiparazione tra Stato e Regioni da un certo punto di vista non toglie che ci sia un diritto-dovere di coordinamento. Non si tratta di imporre la propria volontà – non ho usato la parola "controllo", che pure mi ha affascinato e per certi aspetti continua a tentarmi – ma di un coordinamento e di un indirizzo politico.
Capisco le argomentazioni eleganti del senatore Manzella e ho anche la speranza che esse possano essere fatte proprie dalla Corte costituzionale quando investita del problema (e lo sarà perché non sono pacifiche nel clima politico attuale); la possibilità che questa lettura passi de plano mi pare ridotta. Una classe politica responsabile dovrebbe dire che esplicita ciò che, in qualche modo, è già implicitamente contenuto nel necessario raccordo tra l'articolo 114 e i seguenti, ovvero nel Titolo V della Costituzione, anche perché così facendo avremmo strumenti meglio identificati e più facili da utilizzare nei rapporti istituzionali, per evitare o ridurre al minimo il contenzioso.
Vado anche oltre: è mia convinzione che esistono principi ordinamentali attinenti alla natura stessa dello Stato federale i quali implicano che, anche qualora non richiamati, siano da ritenere comunque validi. Se leggete la Costituzione degli Stati Uniti farete fatica a trovare simili principi, che ritrovate però nelle sentenze della Suprema corte. Non è stato facile giungere a quel risultato, frutto di un lungo processo: non vorrei che, in attesa che si svolga anche in Italia detto processo, ci trovassimo non con uno Stato che si sfascia – ho molta fiducia nella tenuta dello Stato italiano e nella coscienza nazionale degli italiani – ma con la gente che dice "Viva Napoleone, torniamo ai prefetti!". Il rischio di riforme mal fatte è una successiva domanda di centralismo; il cittadino vuole partecipare, ma ancor prima vuole essere servito, vuole che lo Stato gli offra rapidamente quei servizi cui ha diritto.
Sono quindi d'accordo sull'argomentazione teoretica, in disaccordo sul tema delle competenze esclusive; sottolineo l'importanza di un'attività di indirizzo e coordinamento anche per le competenze esclusive: dove esistono competenze concorrenti – non riusciremo a tagliare esattamente a metà il tema delle competenze; rimarrà una sfera ampia di competenze concorrenti – dovremo cercare un efficace raccordo il più vicino possibile al cittadino, se vogliamo ottenere il massimo di democraticità e di efficacia.
Una breve osservazione storiografica. Premessa la mia assoluta stima e ammirazione per Carlo Azeglio Ciampi (che Dio ce lo conservi!), finora credevo che il vincolo comunitario non fosse stato reintrodotto ma che fosse rimasto nell'ordinamento per una limpida battaglia politica data da me in Consiglio dei ministri. Non ho mai avuto dubbi che il Capo dello Stato la pensasse come me, ma in Consiglio dei ministri il tema è stato affrontato e il Consiglio, non solo per l'influenza del mio intervento ma anche per l'ampia maggioranza che lì si è determinata, ha deciso che il vincolo comunitario era comunque prioritario. Il vincolo internazionale si può discutere ma il vincolo comunitario no; anzi, per certi versi è meglio togliere il vincolo internazionale perché fa risaltare meglio il fatto che il diritto comunitario non è diritto internazionale e i rapporti comunitari non sono rapporti internazionali.
Di fatto l'Unione europea è già un'entità cui l'Italia è legata non per mero vincolo pattizio tradizionale, come previsto dal diritto internazionale generale, ma attraverso un vincolo assai più penetrante che rende il cittadino italiano già titolare della cittadinanza europea, che si raccorda con quella nazionale con modalità in parte chiare e in parte no, ma pregnanti e tali da non poter essere semplicemente ricondotte al diritto internazionale.

MANZELLA (DS-U). Signor Ministro, credo che le sue considerazioni arricchiscano questa audizione. Come anche il presidente Magnalbò ricorda, devo far presente che mi sono limitato a riferire quanto il ministro Bossi ebbe a dirci "in diretta", per così dire. Ovviamente non voglio entrare negli interna corporis del Governo.
BUTTIGLIONE, ministro per le politiche comunitarie. Senatore Manzella, come lei sa, tutti gli avvenimenti, in genere, hanno più di una causa.

Per quanto concerne il parallelismo tra i due disegni di legge richiamati, provvederemo ad eliminare qualche area di sovrapposizione nella consapevolezza che il primo disegno di legge che vedrà il varo definitivo dovrà necessitare della minore integrazione possibile. Per questa stessa ragione, i principi che saranno stati approvati nel primo verranno espunti dal secondo. Ciò anche per dare ampia garanzia alla Conferenza Stato-Regioni, che in qualche caso ci ha chiesto di reiterare alcune norme proprio per avere certezza che, se per malaugurata ipotesi uno dei due provvedimenti non dovesse andare in porto, l'altro non si trovi a funzionare con modalità tali da ridurre gli ambiti di autonomia e di cooperazione che volevamo riconoscere. Repetita iuvant: è vero che il proverbio continua dicendo nec nimis repetita, ma abbiamo ripetuto riservandoci di togliere dal disegno di legge che verrà esaminato per secondo ciò che sarà stato approvato con il primo.
Il potere comunitario e il potere internazionale delle Regioni: siamo favorevoli alla valorizzazione del ruolo delle Regioni in sede europea, anche al di là dei ruoli consultivi; l'ho detto parlando della specificità delle Regioni dotate di potere legislativo. Proprio l'altro ieri sono stato a Bruxelles ad un importante convegno organizzato dalle Regioni Sicilia e Friuli-Venezia Giulia e ho visitato anche la sede che le Regioni del Centro hanno preso in comune: sono stato lieto di visitarla, soprattutto perché è in comune. Dobbiamo infatti resistere alla tentazione delle Regioni di pensare ad una loro presenza a Bruxelles del tutto autonoma e non coordinata. Ho detto che Bruxelles è una foresta piena di lupi e di orsi: le Regioni di buona famiglia, per così dire, non ci vanno da sole ma in gruppo e possibilmente accompagnate dalla legazione del Governo italiano. Allora sì che facciamo sistema, che il moltiplicarsi di queste presenze ci rafforza. Un giornalista ieri mi chiedeva cosa ne pensassi del fatto che, con tutti i problemi che ha, la Regione Sicilia apra una sede a Bruxelles ed io gli ho risposto che sono favorevole.
Infatti, il primo problema che ha la Regione Sicilia è di non riuscire ad utilizzare a fondo le risorse che le derivano da Bruxelles. Se riuscisse ad utilizzarle a fondo si pagherebbe, non una, ma molte volte i costi che dovrà sostenere per quella sede. Però bisogna lavorare in modo coordinato, avere un'idea di sistema Paese, far passare l'idea di coordinamento. Da noi per lungo tempo vi è stato forse un modello fondato sull'idea di sottoposizione gerarchica: chi è in posizione gerarchicamente sopraordinata, fa quello che vuole. Ora, deve passare un'idea diversa, un'idea di governo attraverso il consenso. Non esiste più chi può dare ordini; ognuno può influire sulla realtà attraverso le sue funzioni, ma influisco meglio se so quale effetto le mie decisioni avranno sulle decisioni degli altri. Se ci consultiamo prima, e quindi so come reagirai in rapporto alla mia decisione, forse possiamo realizzare un concerto efficace.
Parlare di sistema Paese significa, tra l'altro, che tutti gli uffici di rappresentanza a Bruxelles dovrebbero lavorare in stretta unità con la delegazione, come fanno i tedeschi. Questo sarebbe un grande passo in avanti. Ma se facciamo il contrario, avremo per un po' una illusoria sensazione di libertà, per poi scoprire di tornare a casa senza avere ottenuto alcun risultato, e questo non sarà piacevole per nessuno. Quello che vale a livello comunitario vale in misura ancora maggiore a livello internazionale. Qui è più difficile individuare dei plessi di interessi così forti a livello regionale da determinare l'opportunità di presenze politiche; talvolta è possibile. Esistono aree geografiche che vanno formando una specie di unità economica, che necessita di essere adeguatamente curata. Vi è ad esempio il sistema Baviera-Tirolo-Nord Est italiano-Slovenia-Ungheria-Carinzia che ha una sua logica, pur essendo sempre dentro l'Unione europea. Ma non escludo che possa esserci qualcosa del genere anche fuori dai confini dell'Unione europea. Pensate, ad esempio, al distretto di Timisoara.
Il nostro sistema, soprattutto a livello di piccole aziende, interloquisce meglio con i sistemi economici stranieri se lo fa a livello di distretto industriale. E allora questo genera anche l'opportunità di rapporti per i quali il coordinamento è ancora più indispensabile. Questo fa parte di un nuovo modo di intendere il governo, come potere di guidare, che è cosa diversa dal potere di comandare. Questo Governo è intenzionato, negli ambiti di cui stiamo trattando, a sperimentare uno stile di guida che abbia tali caratteristiche.

PRESIDENTE. Quindi, come dice il senatore Manzella, all'orizzonte abbiamo un riconoscimento dell'autonomia, a fronte di un federalismo improprio, auspicabile per quanto riguarda l'Europa delle Regioni. Tuttavia a Bruxelles già da vari anni le Regioni del Centro hanno riunito i loro uffici in un'unica sede ed hanno anche delineato i confini di quella macro Regione che è stata chiamata "Centronia".
BUTTIGLIONE, ministro per le politiche comunitarie. Proprio dove sono stato in visita ieri.
PRESIDENTE. Quindi – lo ribadisco – penso che tutto questo sia auspicabile.

Ringrazio nuovamente il Ministro per essere intervenuto ed averci consentito di svolgere questa interessantissima audizione.
Dichiaro conclusa l'audizione odierna e rinvio il seguito dell'indagine conoscitiva ad altra seduta.

 

I lavori terminano alle ore 16.

  

torna all'indice