SENATO DELLA REPUBBLICA

312a SEDUTA PUBBLICA

RESOCONTO STENOGRAFICO

MERCOLEDÌ 22 GENNAIO 2003

(Pomeridiana)

Presidenza del presidente PERA,

indi del vice presidente DINI

e del vice presidente CALDEROLI

 

 

PRESIDENTE. La seduta è aperta (ore 16,03).

(…)

Seguito della discussione del disegno di legge:

(1545) Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3

 

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 1545.

Ricordo che nella seduta antimeridiana i relatori, senatori Pastore e Magnalbò, hanno integrato la relazione scritta.

Ha chiesto di parlare il ministro La Loggia. Ne ha facoltà.

 

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Signor Presidente, se mi è consentito, all’inizio di questa discussione vorrei fare, per così dire, da cerniera con il dibattito precedente, sicuramente di grande utilità per tutti noi (senatori e, per la parte che mi riguarda più specificatamente, membri del Governo), esprimendo il mio compiacimento per il suo esito, per il clima - che mi pare si sia respirato - di forte volontà di arrivare a conclusioni costruttive e positive, a cambiamenti nell’ambito del nostro assetto costituzionale che mettano il nostro Paese nelle migliori condizioni per corrispondere alle esigenze dei cittadini, per essere maggiormente competitivo nei confronti degli altri partner europei e per meglio esercitare funzioni così radicalmente modificate già nel corso della scorsa legislatura a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione.

Siamo dinanzi ad un percorso a tappe, per segmenti. Quello che ci accingiamo ad affrontare è un segmento di una certa rilevanza, che non modifica, come è ovvio, alcuna parte della Costituzione, ma tiene conto della riforma approvata, delle diverse situazioni di disagio che quella stessa riforma ha prodotto, del forte contenzioso che si è sviluppato tra Stato e Regioni, e viceversa, e soprattutto della necessità di rimuovere alcuni ostacoli all’esercizio delle funzioni dalla stessa riforma attribuite alle Regioni e alle istituzioni locali.

È stato uno sforzo particolarmente robusto, impegnativo, che ha visto diverse proposte migliorative rispetto a quella originaria. Proposte migliorative in gran parte accolte per quanto è stato possibile inserirle in un progetto organico, nella ricerca, sempre faticosa e difficile, di un equilibrio tra le esigenze dello Stato, delle Regioni e delle istituzioni locali.

Non posso che dare volentieri atto alla Commissione affari costituzionali di aver svolto un lavoro di grandissimo rilievo, qualità ed impegno in un clima di assoluta armonia, senza contrapposizioni ideologiche o di schieramento. Questo va sottolineato, proprio a conclusione del dibattito precedente e in concomitanza e con quello che sta per iniziare.

Per questo disegno di legge la Commissione affari costituzionali ha colto una grande opportunità: nel corso dell’esame si è potuto sviluppare, con serenità, un confronto che ha portato ad alcuni significativi miglioramenti del testo proposto; di questo non posso non dare atto all’opposizione, oltre che ovviamente ai colleghi della maggioranza, e lo faccio veramente volentieri e con piacere.

Avviandomi a concludere, mi auguro, pertanto, che il dibattito possa proseguire in questo clima di collaborazione, che mi è sembrato condiviso sinceramente e lealmente, e che anche nell’esame degli emendamenti, in gran parte già valutati in Commissione, come avranno occasione di riferire i relatori, si possano trovare posizioni condivise.

Da ultimo, consentitemi di rivolgere un ringraziamento sentito, sincero e convinto al Presidente della 1a Commissione permanente per l’impegno realmente straordinario che ha profuso in questo lavoro e per le soluzioni di incontro individuate - realizzate nelle migliori condizioni - con proposte pregevoli anche dal punto di vista tecnico e non solo da quello sistematico, nell’ambito di una - lo confesso - difficilissima materia.

Non si realizza qualcosa che fa sognare, come pure i nostri cittadini avrebbero il diritto di aspettarsi, ma si realizza qualcosa che consente di aspettare con un minimo di calma e di serenità in più le vere riforme che abbiamo in programma di realizzare e che certamente i nostri cittadini sentono maggiormente perché incideranno più profondamente sulla loro vita di tutti i giorni.

Ringrazio il Presidente e tutti i colleghi. (Applausi dai Gruppi FI, AN, UDC:CCD-CDU-DE e LP e del senatore Carrara).

 

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro La Loggia.

Dichiaro aperta la discussione generale.

È iscritto a parlare il senatore Manzella. Ne ha facoltà.

 

MANZELLA (DS-U). Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, il progetto di legge che attende ed avrà la nostra approvazione è un’interpretazione autentica, ancor più che attuazione, della revisione costituzionale del 2001: quella revisione che, con la spinta unanime del sistema organizzato delle autonomie territoriali e con la conferma popolare del primo referendum costituzionale in esperienza repubblicana, ha dato coerente e moderno seguito all’originario disegno regionalista del 1948.

Tutti sappiamo che il processo federalista di segno inverso - quello che procede per scomposizione e ricomposizione in nuova unità di uno Stato centrale - è il più difficile di tutti. Basti vedere le procedure, le tensioni e l’andamento aritmico di quello stesso processo nella Francia dei nostri giorni, nella stessa Francia storicamente emblematica dello Stato nazionale.

Tutti sappiamo, infatti, che si annida in quel particolare tipo di processo federalista la tentazione secessionista. Non mi riferisco alle piccole confuse cose italiane, ma ad un orizzonte più largo. Mai come in questo momento sono infatti all’opera nel mondo movimenti di secessione che accampano ragioni politiche e culturali. La vera spinta, però, che li porta avanti è determinata dal venir meno oggi della ragione costituente di Stati costruiti per fare grandi mercati. Oggi, con la globalizzazione, anche piccole nazioni omogenee hanno facile accesso ai mercati più estesi e piccole nazioni omogenee costano di meno del grande Stato, che deve conciliare nel suo seno contrasti ed eterogeneità.

Come, però, ci ammonisce Pierre Rosanvallon, il grande politologo francese, questo secessionismo ha un terribile prezzo: l’impoverimento della solidarietà, "solidarietà di umanità, solidarietà di cittadinanza".

Ebbene, ogni operazione di scomposizione dell’assetto statuale deve avere ben presente il rischio di perdere questo valore della solidarietà, di lasciare allo sbando pezzi di Stato. Le ragioni dell’unità repubblicana, così splendidamente racchiuse nell’articolo 5 della Costituzione, muovono da questa pratica considerazione e non da un retorico seppure comprensibile nazionalismo.

Noi crediamo che la revisione del 2001 si sia mantenuta fedele a quel valore, la cui centralità è evidente nell’ambito dei pericoli da evitare proprio per assicurare la competitività di un nostro Stato in Europa che deve essere solido e non sfrangiato al suo interno in un equilibrio lontano sia dalle fughe in avanti della devolution, sia dai piagnistei sul vecchio Stato che non c’è più.

Questo equilibrio si è tradotto nel linguaggio scarno di norme costituzionali, che hanno creato meccanismi di unità nel nuovo contesto pluralistico; meccanismi che incorporano il vero e sostanziale interesse nazionale degli italiani, al di là di ogni richiamo formale. Ora il disegno di legge ordinaria che è davanti a noi sviluppa in precisi raccordi procedurali, legislativi e amministrativi, quei meccanismi di unità, rispettando con rigore - lei lo ha sottolineato, signor Ministro - talora persino troppo colmo di zelo, i termini della Costituzione.

Noi ritroviamo questo sforzo unitario innanzitutto nelle procedure di legislazione concorrente, dove risulta giustamente valorizzato il ruolo della Commissione bicamerale per le questioni regionali, la cui integrazione con rappresentanti di Regioni, Province, Comuni risulta, anche da questa legge nascente, un non più rinviabile atto costituzionalmente dovuto; punto di passaggio verso il nuovo Senato della Repubblica, nel senso pregnante che l’articolo 114 della Costituzione dà al termine "Repubblica", ora evocato dal Presidente della suddetta Commissione.

Lo ritroviamo poi nei meccanismi di controllo sostitutivo e di ricorso "rafforzato" dalla Corte costituzionale. Lo ritroviamo nelle ampie competenze del "Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie". Questo nuovo prefetto, come ha di recente rilevato il presidente Ciampi, è figura ben diversa da quella contro cui l’Einaudi, non ancora presidente, scagliò il suo famoso "via i prefetti". È questo un prefetto amicus delle autonomie.

Autonomie che nella potestà normativa degli enti locali e nell’esercizio delle funzioni amministrative, hanno un’articolazione tutta tesa ad evitare i rischi del neocentralismo regionale, in uno Stato come il nostro in cui la municipalità è uno storico, perdurante valore.

Ecco perché sarebbe auspicabile che, in questo spirito di coerenza, il progetto fosse completato con norme di attuazione della lettera p) dell’articolo 117 della Costituzione: l’articolo che riserva allo Stato di legiferare sulle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane. Il complesso emendamento del collega Bassanini, a cui si è aggiunto quello presentato dal relatore, sono lucida espressione di questa idea di completamento che spero venga accolta.

Certo, signor Ministro, non c’era bisogno di questo progetto attuativo per scoprire concetti e valori ben presenti nella revisione costituzionale del 2001. E tuttavia la maniera tecnicamente agevole, l’accoglienza politicamente unanime di questo disegno sono di per sé prova che quella revisione ha costituito una vera e giusta riforma. Questo disegno di legge coglie perciò il senso naturale di uno sviluppo coerente, la definizione di un disegno organico rispetto a cui la devianza della devolution sarebbe un irrimediabile strappo.

Che poi sia toccato elaborare questo disegno ad un Ministro di una parte politica che, per ragioni rispettabili ma assai lontane dai veri contenuti della riforma, accanitamente l’avversò, ebbene questa è una prova della vitalità della nostra democrazia, della sua capacità di ritrovare alla fine, quando è necessario, il senso unitario della Repubblica contro ogni artificiosa rottura. (Applausi dai Gruppi DS-U e Mar-DL-U. Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Sodano Tommaso. Ne ha facoltà.

 

SODANO Tommaso (Misto-RC). Signor Presidente, il disegno di legge in discussione rappresenta un tassello fondamentale di una riforma avviata da tempo, riforma alla quale Rifondazione Comunista si è sempre opposta fortemente per l’assoluta contrarietà ai suoi princìpi base che si piegano alle esigenze di una politica economica improntata a un disegno neoliberista.

Rifondazione Comunista si è dichiarata contraria, non appartenendo né all’area politica che promuove questa ventata neoliberista, né, tanto meno, sentendosi vicina a chi, nel centro-sinistra, cerca illusoriamente di gestirne e temperarne gli effetti più devastanti. La nostra è una critica che muove dal concetto stesso di federalismo, così come emerge nei processi di riforma attuati, o in itinere.

La modifica del Titolo V, varata dal Governo di centro-sinistra nella scorsa legislatura, rappresentava in qualche modo il completamento di una riforma già avviata e da noi contestata che ha introdotto l’elezione diretta del presidente della Regione, che ha concesso una autonomia statuaria alle Regioni, che arriva addirittura a determinare in ogni Regione una forma di governo ed anche una legge elettorale.

Quindi, già si era introdotto un elemento a nostro avviso di grande pericolosità, cioè la possibilità di adottare diverse leggi elettorali regionali, attuate e realizzate da maggioranze neppure qualificate, individuate soltanto rispetto al numero assoluto dei voti.

Ora, il primo elemento che giudichiamo gravissimo e pericoloso è l'individuazione di un istituto assolutamente nuovo nel nostro ordinamento, cioè la concessione di una potestà legislativa concorrente alle Regioni. È importante sottolineare che potestà legislativa concorrente significa che due istituzioni diverse hanno pari poteri di intervento legislativo.

Non basta dire che lo Stato potrà introdurre princìpi fondamentali perché - si sa - i princìpi fondamentali non hanno mai una efficacia precettiva. Quando introduciamo una potestà legislativa concorrente, allora concediamo alle Regioni il potere di intervenire su quelle materie, con legislazioni assolutamente differenziate tra loro.

Ci chiediamo con preoccupazione che cosa significherà questo in materie come il lavoro, l'istruzione, le professioni, la tutela della salute, la distribuzione nazionale dell'energia, la previdenza complementare integrativa. Assisteremo a legislazioni differenziate Regione per Regione in materia di tutela del lavoro, per cui, ad esempio, si prevederanno orari di lavoro diversi da una Regione all'altra? Si introdurranno forme diversificate di tutela, o addirittura si cancelleranno in alcune Regioni forme di tutela vigenti altrove? Appunto, si determina la rottura dell'unitarietà dei diritti universali, valevoli per tutti i cittadini.

Così, rispetto all'istruzione, assisteremo forse a normative di accesso alla prestazione scolastica differenziate Regione per Regione? Assisteremo a legislazioni regionali che favoriscono più o meno la scuola privata, come sta accadendo oggi in Lombardia, laddove si viola la normativa nazionale introducendo un buono scuola soltanto per coloro che accedono alla scuola privata? Assisteremo forse a legislazioni diversificate sull'ordinamento, sulla struttura e sulla regolamentazione delle professioni? E per la tutela della salute, assisteremo a livelli di produzione di prestazioni diversificati da Regione a Regione? Ecco, sono queste alcune delle nostre preoccupazioni.

Storicamente il federalismo, come abbiamo detto anche nel dibattito sulla devoluzione, ha rappresentato un tentativo di unire sul terreno istituzionale popoli ed etnie diverse su princìpi di solidarietà ed uguaglianza sociale; un tentativo, a volte riuscito, a volte no, di creare vincoli di unione e di solidarietà anche sul terreno delle politiche economiche.

Ebbene, questi princìpi di solidarietà ed eguaglianza sociale non solo scompaiono in questo disegno di legge, e più in generale nelle riforme proposte dal Governo, ma sono sostituiti da linee guida che si collocano all'estremo opposto. Non si fa fatica a ravvisare dietro le proposte del Governo princìpi di divisione e competizione tra le Regioni; princìpi che sanciscono il primato del privato sul pubblico, con l'unica garanzia del rispetto dei livelli assistenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali; ed ancora, princìpi che tendono ad accentrare sempre più poteri nelle mani degli esecutivi locali a discapito di organismi democratici quali sono quelli elettivi.

Bisogna sottolineare, inoltre, che il disegno di legge dà attuazione a delle modifiche del Titolo V della Costituzione che hanno creato grossa confusione su competenze e funzioni attribuite. Su molti punti è dubbia la piena titolarità regolamentare tra Stato e Regioni, e l'incerta indicazione dei confini darà inevitabilmente luogo a continue risse tra i diversi enti.

Spettano alla competenza esclusiva dello Stato le norme in materia di istruzione, ma spetta alla competenza concorrente delle Regioni la materia istruzione.

Spetta allo Stato la materia dei rapporti internazionali che quest'ultimo intrattiene con gli altri Stati, ma spetta anche alle Regioni concludere accordi o intese con gli Stati nelle materie di loro competenza.

Ci troveremo in una situazione di indeterminatezza, quindi, i cui unici frutti saranno togliere poteri di controllo e garanzia allo Stato e generare confusione procedurale e vizi di legittimità di competenze con aggravi dei ricorsi.

Tuttavia, poiché è evidente che i problemi non riguardano la sola interpretazione di funzioni e competenze, il disegno di legge necessita di proposte emendative sostanziali, che ne ribaltino l'impostazione generale, come cerchiamo di fare con gli emendamenti che abbiamo predisposto.

Si pensi, ad esempio, ai problemi di funzionalità e democrazia istituzionale che sorgono con l'attuazione dell'articolo 117 della Costituzione, così come è stato modificato nella precedente legislatura: il potere legislativo è stato rovesciato a tutto vantaggio delle Regioni, senza che questo abbia alcuna forma di garanzia, che nazionalmente viene esercitata dal Capo dello Stato.

La verità è che stiamo intervenendo su una normativa che divide profondamente le Regioni ricche dalle più povere, le Regioni forti dalle più deboli; né si dica che l'introduzione di un fondo perequativo potrà rappresentare uno strumento adeguato a sanare le differenze. Secondo noi, le differenze si accentueranno.

Certo, nel contesto di questa normativa, il fondo perequativo diventa uno strumento necessario, ma noi riteniamo che non sarà sufficiente a modificare le diversità e i differenti gradi di sviluppo tra le Regioni, perché l'intervento legislativo e anche finanziario sull'arretratezza di alcune Regioni non può rappresentare un intervento di tipo straordinario da parte dello Stato, con concessione di risorse in più. Questo è un compito ordinario dello Stato, che esso deve perseguire quotidianamente attraverso una legislazione costante. Rimuovere le diversità di sviluppo tra le Regioni è un compito primario e ordinario dello Stato.

La Costituzione assegna allo Stato il compito di stabilire i princìpi fondamentali e universali rispetto ai diritti sociali e civili, in modo uniforme sull'intero territorio nazionale.

Con gli emendamenti che presentiamo chiediamo innanzitutto il rispetto del dettato costituzionale, imponendo forme di rigidità all'autonomia legislativa regionale, sia concorrente sia residuale, che non potrà mai esercitarsi al di fuori dei vincoli dei diritti universali sanciti dalla Carta costituzionale; riproponiamo la piena titolarità del Parlamento nella legislazione generale di indirizzo sui princìpi fondamentali; affidiamo al Capo dello Stato la facoltà di promulgare le leggi regionali che, a nostro parere, non possono essere promulgate dallo stesso proponente; ridimensioniamo infine i poteri della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza Stato-città, attribuendo ad esse funzioni puramente ispettive e consultive nell'ambito della sola Conferenza unificata e attribuendo un parere consultivo ai consigli regionali. (Applausi dal Gruppo Misto-RC. Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Vitali. Ne ha facoltà.

 

VITALI (DS-U). Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, giunge finalmente all'esame dell'Assemblea il disegno di legge di attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione, cioè di un'importante e vera riforma federalista approvata dal Parlamento nella scorsa legislatura.

Ho detto finalmente perché il ministro La Loggia e i colleghi sanno che l'opposizione, in Aula e in Commissione, ha richiesto a lungo che si giungesse all'esame di questo provvedimento. Abbiamo più volte avanzato l'istanza per cui la discussione di questo provvedimento anticipasse l'esame di altri disegni di legge di modifica costituzionale, come quello della cosiddetta devolution.

Questo purtroppo non è accaduto ed è stato un male perché si sarebbe potuto dimostrare, procedendo come noi avevamo proposto, che sull'attuazione della riforma, così come proposta dal Governo ed emendata secondo un'ottica largamente condivisa in Commissione, c'era e c'è un'ampia convergenza parlamentare. Questo è un valore importante quando si tratta di riforme costituzionali così rilevanti per l'assetto dei poteri dello Stato e per la vita dei cittadini.

Voglio ricordare che lo stesso Governo, nel giugno scorso, ha sottoscritto con il sistema delle Regioni e delle autonomie locali un accordo interistituzionale con il quale si è impegnato ad adottare provvedimenti di attuazione di questa riforma, d'intesa con il sistema delle autonomie. Il modo con cui si è proceduto nella predisposizione del testo in esame, nella discussione e nell'esame in Assemblea rispetta quell'intesa e di ciò voglio dare atto al ministro La Loggia.

Non posso dire altrettanto del provvedimento sulla devolution che si è voluto imporre all'esame del Senato, senza tenere conto di quell'intesa, con il parere contrario dell'Associazione dei Comuni italiani, delle Province e della metà delle Regioni italiane, come ebbe modo di ricordare all'inizio di quella discussione il senatore Andreotti.

È un peccato quindi che non si sia potuto procedere come avevamo proposto perché ciò non avrebbe impedito alla maggioranza e al Governo, che hanno i numeri per farlo, di esaminare il provvedimento sulla devolution.

Noi ci saremmo ugualmente opposti, ma avremmo dimostrato che attuando prima la riforma costituzionale e poi, semmai, intervenendo su di essa vi sarebbe stato un filo istituzionale di convergenza possibile in Parlamento, il solo che può garantire che riforme come queste non vengano fatte in una legislatura per cambiarle in quell’altra.

Condivido quanto il presidente Pera ha detto alla conclusione del precedente dibattito; d’altra parte, il fatto che la discussione del cosiddetto disegno di legge La Loggia avvenga in un momento immediatamente successivo alla conclusione del dibattito sulle riforme istituzionali è positivo. Ripeto, condivido quello che il presidente Pera ha detto a conclusione del dibattito precedente: non si può cambiare Costituzione ad ogni legislatura a seconda del cambiamento delle maggioranze.

Proprio per questo, allora, sarebbe stato - a mio modo di vedere - necessaria una maggiore riflessione sul tema della devolution, perché è pur vero che il nuovo Titolo V non è stato approvato a larga maggioranza nella scorsa legislatura, ma aveva comunque avuto un consenso pressoché unanime nella Commissione bicamerale e aveva anche ottenuto il parere positivo del sistema delle Regioni e delle autonomie locali.

Io non sono tra quelli che considerano intoccabile il Titolo V. Lo voglio dire perché ancora nel corso del dibattito precedente abbiamo ascoltato interventi, sia di maggioranza che di opposizione, che hanno richiamato l’esigenza di ritornare sul Titolo V, così come configurato. Non condivido però la tendenza a svalutare quella riforma; ritengo che interventi anche correttivi - il ministro La Loggia ha annunciato una riforma della riforma - debbano essere meditati e avvenire dopo aver, come si sta facendo adesso, coerentemente predisposto provvedimenti attuativi della riforma in vigore. Mi riferisco ad alcuni aspetti che sono stati citati nel corso della discussione.

Il collega Nania, ad esempio, ha sostenuto che l’articolo 116 dell’attuale Costituzione, così come approvato nella riforma del Titolo V al termine della scorsa legislatura, costituirebbe uno scardinamento dell’unità nazionale ben superiore alla devolution proposta dal ministro Bossi.

Mi permetto di contraddire questa opinione. So che è stata autorevolmente sostenuta, non solo dal senatore Nania, anche in altre occasioni. Ma vedete, Presidente e colleghi, quell’articolo, così come in altre Costituzioni europee, come ad esempio quella spagnola, prevede che possano essere attribuite alle Regioni ulteriori forme di autonomia rispetto a quelle stabilite dall’articolo 117, ma con legge del Parlamento, d’intesa con la Regione interessata. E’ qui il punto di garanzia dell’unitarietà dello Stato e dei livelli delle prestazioni, punto rispetto al quale il senatore Sodano Tommaso è estremamente e giustamente preoccupato. Ma a me sembra che nel Titolo V vi siano queste garanzie, non invece per l’appunto, un’autoattribuzione, così come prevista dalla devolution.

Esprimo inoltre - il ministro La Loggia lo sa, perché lo abbiamo detto in Commissione - un ulteriore rammarico, ma non lo faccio nei suoi confronti perché so che titolare di queste materie è un altro Ministro. Quando si parla di attuazione del Titolo V non ci si può dimenticare il pilastro su cui si fonda ogni ordinato processo di trasferimento di funzioni dallo Stato centrale alle autonomie e alle Regioni.

Il pilastro si chiama ordinamento finanziario e fiscale dello Stato, in linguaggio tecnico, articolo 119 della Costituzione, che prevede, per l’appunto che vi sia un coordinamento dei princìpi di finanza pubblica e che vi sia l’istituzione di un fondo perequativo per le Regioni e i territori con minor capacità fiscale e che tale trasferimento di poteri venga ordinato da un determinato assetto finanziario-fiscale.

So che non è il ministro La Loggia che può provvedere a questo, ma un altro Ministro, cioè quello dell’economia, ma è pur sempre il Governo. Noi questo lo abbiamo detto in Commissione; ci siamo rammaricati e abbiamo gravemente criticato il fatto che il Governo non abbia pensato di presentare alcuna proposta su questo punto.

Ciò è molto grave perché significa allora che non si crede davvero, non dico nel Titolo V, così come è, ma in un processo reale di attribuzione di competenze alle Regioni.

Ma quando la devolution sarà approvata - se lo sarà - dalla Camera dei deputati (penso che questo avverrà perché ogni giorno c'è un'intervista del ministro Bossi che afferma che per la Lega la devolution è fondamentale, quindi immagino che nonostante i mal di pancia, i malumori della maggioranza prima o poi la devolution supererà anche il vaglio della Camera), con il meccanismo di autoattribuzione delle competenze, senza un ordinamento finanziario e fiscale che assicuri le risorse necessarie perché tutte le Regioni abbiano le stesse opportunità, sarà inevitabile che accada ciò che il collega Nanìa ha attribuito alla riforma del Titolo V approvata nella scorsa legislatura, che invece è tutto interno alla devolution.

Con l'autoattribuzione e senza un ordinamento finanziario e fiscale adeguato, è inevitabile che le Regioni povere vengano gravemente penalizzate e solo le Regioni ricche, più forti potranno accedere a competenze come la scuola, come la sanità, come la polizia locale, questioni essenziali e fondamentali per la vita dei cittadini, che verranno disarticolate rompendo il principio fondamentale dell'unitarietà dei diritti sociali e civili su tutto il territorio nazionale.

Ma voglio adesso entrare nel merito del provvedimento ed esprimere apprezzamento - l'ho già fatto - e condivisione per il lavoro cui è giunta la Commissione, anche per la capacità dimostrata dal Governo di tener conto delle osservazioni delle opposizioni, che è il sale stesso del principio parlamentare, del funzionamento di una democrazia quando vi sono princìpi che si intendono perseguire insieme. Sulle modalità può esserci una discussione, alla fine si perviene - come in questo caso - a soluzioni condivise.

Mi riferisco al punto che mi pare fondamentale di questo disegno di legge, quello della definizione delle funzioni fondamentali, che riguardano le materie di legislazione concorrente, che spettano allo Stato centrale, quindi agli organi dello Stato.

Nel testo iniziale vi era il dubbio che la delega al Governo per definire le funzioni fondamentali potesse essere una espropriazione del Parlamento rispetto ad un qualcosa che la Costituzione non consente venga attribuito all'Esecutivo, perché è chiaro che le funzioni fondamentali sono di pertinenza esclusiva del Parlamento. Nel lavoro che è stato compiuto in Commissione, a cui i senatori dell'opposizione Bassanini, Villone, Petrini, Mancino e tutti gli altri hanno fornito un contributo essenziale, si è pervenuti ad una soluzione convincente, cioè che la delega al Governo - è ben chiarito e precisato - è limitata alla mera ricognizione dei princìpi fondamentali attuali; per quanto riguarda nuovi princìpi, è evidente che il compito di stabilirli spetterà al Parlamento.

All'articolo 1 del disegno di legge La Loggia è stato presentato un emendamento che ritengo importante, sostenuto anche dalla Conferenza delle Regioni. Guardo il collega Vizzini perché riguarda anche il ruolo della Commissione per le questioni regionali. Potrebbe essere questo l'organo demandato ad esercitare la verifica successiva sui decreti legislativi.

Effettivamente non si capisce perché dovrebbe essere costituito un comitato ad hoc quando quella Commissione spero verrà finalmente allargata, come abbiamo sostenuto insieme con il collega Vizzini nel dibattito che ha preceduto l'esame di questo disegno di legge. Con l'allargamento alle Regioni e alle autonomie locali, la Commissione può perfettamente svolgere questa funzione.

Guardo anche ai colleghi che poi interverranno successivamente nel dibattito. Un'osservazione è stata formulata da parte delle Regioni sull'articolo 2, relativo ai testi unici. Ricordo la genesi di questo articolo, se non sbaglio proposto dal senatore Villone. Condivido pienamente l'esigenza di dare un quadro organico di certezze che evitino il più possibile il contenzioso per quanto riguarda il rapporto tra Regioni e Stato centrale.

Le Regioni, però, ritengono che così come formulato questo articolo lasci sostanzialmente un eccesso di delega, che non precisi abbastanza - ad esempio - se il testo unico è un testo ponte che abroga le norme legislative nella loro originaria collocazione o solo un testo unico compilativo. Mi pare che questo sia il punto.

Io penso che se c'è, da parte del Governo e, naturalmente, da parte dei relatori, la volontà, anche nel corso della discussione di questo provvedimento, su questo si potrebbe arrivare ad un chiarimento.

Per contribuire con un intervento di carattere generale alla discussione che però dovremo fare successivamente, da parte, questa volta, dei Comuni vi è la preoccupazione che nell'articolo 6, quello relativo all'esercizio delle funzioni amministrative, il meccanismo di attribuzione alle autonomie locali avvenga in modi che concentrano eccessivamente sulle Regioni funzioni amministrative.

Qui ci sono colleghi, come i senatori Baratella e Battafarano, che insieme con me hanno condiviso esperienze amministrative locali: ebbene, chi è stato amministratore, in particolare sindaco, sa quanto il centralismo regionale non sia da meno del centralismo statale. Vorrei quindi che questa preoccupazione fosse tenuta ben presente e, se possibile, alcuni emendamenti proposti dall'Associazione dei comuni su questo punto venissero accolti.

Per tornare alle Regioni, viene richiesto - secondo me giustamente - che, sempre all'articolo 6, si torni al meccanismo delle leggi Bassanini, cioè che l'attribuzione delle risorse conseguente ad un trasferimento di funzioni e di personale avvenga non con leggi ordinarie, ma con leggi delega. Al riguardo, sono stati presentati emendamenti specifici. Effettivamente il meccanismo del disegno di legge ordinario è talmente lungo e farraginoso che sarebbe sicuramente meglio, naturalmente con dei meccanismi di controllo, di verifica, anche da parte delle Commissioni parlamentari, riadottare il metodo delle cosiddette leggi Bassanini.

Infine, purtroppo c'è un punto, che è stato sollevato con una certa forza dalle Regioni, che non trova una sua traduzione in emendamenti presentati in Aula, ma che viene da queste ritenuto rilevante. Il Ministro lo sa sicuramente: mi riferisco all'articolo 8, laddove, nel caso di impugnativa di una legge regionale da parte del Governo presso la Corte costituzionale, vi è la possibilità, da parte di quest'ultima, di interrompere l'esecuzione della legge. Al riguardo le Regioni chiedono, con una certa forza, che almeno si delimitino maggiormente i casi nei quali questo può accadere. È un po’ nelle mani del Governo questo argomento; evidentemente da parte nostra non si possono più presentare emendamenti.

Lo dico perché, ministro La Loggia, se riuscissimo, nella discussione che mi pare si stia avviando con grande disponibilità reciproca, a risolvere una serie di questi problemi, forse eviteremmo anche il ritorno del testo al Senato, si potrebbe approvare un testo che la Camera potrebbe varare nella stessa formulazione che noi qui andiamo definendo.

Mi sono voluto soffermare su questi aspetti (e poi concludo, perché sulle questioni di carattere generale ha detto molto bene il senatore Manzella) poiché credo che sia molto importante, appunto, che il nostro reciproco dialogare su un tema di questo genere possa produrre un risultato di larga convergenza.

Mi sembra che vada anche sottolineato, signor Presidente - sarebbe la prima volta in questa legislatura - che, su un provvedimento di natura istituzionale, si arriva ad un voto di larghissima unità. È un valore, questo, che io credo in materie di questo genere dovrebbe essere sempre tenuto presente, perché è molto prezioso. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e dei senatori Guzzanti e Vizzini. Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Bassanini. Ne ha facoltà.

 

BASSANINI (DS-U). Signor Presidente, cercherò di essere breve, perché sono già intervenuti alcuni colleghi del mio Gruppo, ma non si può dimenticare che qui siamo di fronte ad un fondamentale provvedimento di carattere istituzionale e forse non è un caso se, a seguire rispetto al dibattito sull'impianto delle riforme istituzionali, affrontiamo questo tema.

Lo affrontiamo, diciamo, in condizioni di serenità. C'è stato in Commissione un dibattito costruttivo, credo che sia stato merito di tutti, innanzitutto del Governo e di chi lo rappresentava, che si è dimostrato aperto al confronto e al dialogo, e poi delle forze di maggioranza e di opposizione, che questo dialogo hanno intessuto.

Nel giungere all'esame dell'Aula del Senato di questo provvedimento, vanno notati alcuni aspetti sicuramente positivi ed alcune lacune.

Il primo aspetto positivo è che conveniamo insieme sul fatto che la Costituzione vada attuata. Non si tratta di un punto irrilevante perché stiamo attuando una parte della Costituzione, il nuovo Titolo V, che fu oggetto, sul finire della scorsa legislatura, di un duro scontro parlamentare.

Chi parla in questo momento - come è noto - espresse allora pubblicamente in alcune interviste qualche perplessità in merito all'opportunità di approvare la riforma del Titolo V in carenza di una larga intesa; questo proprio per le ragioni a cui il Presidente del Senato poco fa accennava e cioè che le riforme costituzionali richiedono larghe convergenze dal momento che la Costituzione, in qualche modo, è la casa di tutti, la tavola delle regole che devono valere per tutti.

E tra le ragioni per cui non è opportuno procedere a riforme costituzionali senza larghe intese vi è anche il fatto, signor Presidente, signor Ministro, che se poi cambiano maggioranze e Governi, com'è nella fisiologia dei sistemi democratici, c'è il rischio che la nuova maggioranza e il nuovo Governo si sentano meno impegnati nell'attuazione di queste riforme. Il che sotto il profilo giuridico, costituzionale ed etico è certamente inammissibile (anche se psicologicamente comprensibile) perché la Costituzione va comunque attuata, chiunque sia la parte politica che si è assunta la paternità delle modifiche.

Devo aggiungere, anche per non essere equivocato, che non ritengo che l'approvazione del Titolo V possa rappresentare un precedente per altri casi di approvazione di riforme costituzionali a stretta maggioranza. Questo per una serie di ragioni sulle quali credo si debba pacatamente riflettere.

La prima ragione è che quella riforma del Titolo V, in realtà, non era l'imposizione di una maggioranza ad una minoranza; essa era stata discussa ed approvata sia in seno alla Commissione bicamerale per le riforme istituzionali, sia dall'Aula della Camera dei deputati a larghissima maggioranza, con una maggioranza bipartisan. Lo era stata, anche se questa intesa era venuta meno nella fase finale della legislatura, ma non perché fosse cambiato sostanzialmente il testo della riforma.

In secondo luogo, essa era sostenuta fortemente dall'intero sistema delle autonomie e delle istituzioni regionali e locali, indipendentemente dagli orientamenti politici degli organi di Governo, delle Regioni, delle Province e dei Comuni, quindi aveva nel sistema delle istituzioni un sostegno bipartisan. Indubbiamente aveva un sostegno bipartisan. Ricordiamo le delegazioni guidate dal presidente Ghigo e dal presidente Formigoni che intanto chiedevano l'approvazione della riforma del Titolo V in attesa di completare la riforma federale.

La terza ragione, ancora più rilevante, è che l'opposizione di centro-destra - signor Ministro, su questo attiro per un momento la sua attenzione - non contestava la direzione di marcia di tale riforma, cioè non la riteneva radicalmente avversa alle proprie convinzioni, ma ne contestava l'insufficienza nel senso che la giudicava insufficiente a realizzare una compiuta e radicale riforma in senso federale. E questo cambia i termini della questione perché una cosa è quando una maggioranza impone una riforma ad una opposizione che vuole l'opposto, altra è quando vara una riforma che va in una direzione tutto sommato condivisa, ma che è giudicata insufficiente o inadeguata.

Dico questo perché quindi non si stabilì un precedente e tuttavia è assolutamente legittimo oggi affermare da parte di una nuova maggioranza la necessità di apportarvi aggiustamenti e correzioni.

Peraltro, anche dai nostri banchi, non si nega questa esigenza. Una cosa è dire che una parte importante del testo costituzionale vigente può essere sospesa nella sua applicazione; altra cosa è dire: "non sospendiamo, la attuiamo, con l’arrivo in Aula di questo provvedimento dimostriamo che siamo d’accordo su questo e tuttavia insieme ragioniamo anche su aggiustamenti, integrazioni e più ancora completamenti", signor Ministro.

Tutti sapevamo e sappiamo che la struttura dell’organizzazione del nostro Parlamento va adeguata al nuovo assetto costituzionale della forma dello Stato e questa è un’integrazione necessaria, senza quale noi rischiamo di andare anche ad un’applicazione ed interpretazione distorta dello stesso Titolo V.

Non c’è dubbio, signor Ministro, che una cosa sono le leggi statali che definiscono i princìpi approvate con il concorso di un Senato federale; un’altra cosa sono le leggi statali che definiscono i princìpi approvati da un Parlamento che resta nella configurazione prevista in correlazione al previgente Titolo V. Vi è quindi una differenza fondamentale.

Dunque, noi auspichiamo che, insieme a questo primo provvedimento di attuazione del Titolo V si riapra prestissimo il dibattito in quest’Aula non solo sugli aggiustamenti ad esso necessari, ma anche sulle integrazioni e sui completamenti della riforma del Titolo V medesimo.

Detto questo, a mio avviso, la principale lacuna è costituita dal sistema del federalismo fiscale. So che un mio collega del precedente Governo sostiene che il federalismo fiscale è già stato fatto con leggi che il Parlamento, su sua proposta, ha approvato nella precedente legislatura.

Sicuramente quelle leggi sono andate anch’esse nella direzione giusta e tuttavia siamo lontani dall’avere oggi un sistema tributario e fiscale (lo dico senza alcuna particolare verve polemica nei confronti del mio collega Vincenzo Visco), un sistema di finanza regionale e locale coerente con l’articolo 119 della Costituzione.

Questo articolo ha cambiato molto, come noi sappiamo. Esso, infatti, prevede alcune cose, la prima delle quali è che con i meccanismi e gli strumenti ordinari di provvista delle risorse delle Regioni e degli enti locali (cioè i tributi propri, la compartecipazione al gettito dei tributi erariali e il fondo perequativo) le risorse che pervengono agli enti locali devono essere adeguate e sufficienti al finanziamento integrale delle funzioni ad essi attribuite.

Siamo lontani da questo. Noi, anzi, rischiamo che l’intero processo di progressiva trasformazione in senso federale della nostra forma di Stato crolli inopinatamente perché Regioni, Province e Comuni hanno già ottenuto o cominciano ad ottenere nuovi compiti e nuove funzioni senza avere i mezzi per farvi fronte.

A questo punto il rischio è che i cittadini, utenti dei servizi pubblici e clienti delle amministrazioni, comincino a pensare che si stava meglio in uno Stato molto più accentrato, di fronte alla realtà (poi è difficile che riescano a capire il perché) di enti locali, di amministrazioni locali che non riescono ad assicurare la qualità dei servizi e delle prestazioni.

Abbiamo detto che la sussidarietà, la prossimità consente di dare ai cittadini risposte più adeguate e servizi di migliore qualità, più adeguati alla varietà e concretezza dei bisogni che nascono nelle collettività locali sul territorio. Se poi mancano le risorse per far fronte a tutto questo, il risultato è negativo: qualcuno penserà, se non provvediamo, che è meglio uno Stato fortemente accentrato.

Purtroppo, questo disegno di legge - lo ripeto anch’io - certamente non era competenza primaria del ministro La Loggia; è competenza primaria di chi oggi, dopo le riforme della scorsa legislatura, ha in mano tutti gli strumenti di Governo della finanza pubblica, cioè il Ministro dell’economia e delle finanze. Purtroppo questa parte non c’è ed è una lacuna seria.

Una seconda lacuna c’era, anche qui per la differenziazione delle competenze, ma - se vogliamo - possiamo porvi rimedio. È la parte che attiene alla definizione delle funzioni fondamentali degli enti locali: un altro elemento importante di certezza.

Badate, cari colleghi, che non potevamo e non possiamo chiedere a questo provvedimento la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, perché essa richiede da parte del legislatore e, quindi, innanzi tutto del Parlamento, anche su proposta del Governo, l’identificazione degli standard essenziali di qualità di ciascun servizio e di ciascun intervento, materia per materia e settore per settore. Quindi, non potevamo pensare di inserire anche la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni. Potremmo, invece, con una delega al Governo, identificando i princìpi, inserire in questo testo le funzioni fondamentali degli enti locali.

Devo dire che non ho capito la ragione per cui la 5a Commissione permanente si oppone a questo, se è vero ciò che mi è stato riferito, perché in questo caso non si tratta in alcun modo di prevedere nuove e maggiori spese, ma di identificare, nell’ambito del complesso delle funzioni del sistema pubblico (Stato, Regioni, Province, Comuni e comunità montane), le funzioni fondamentali dei diversi livelli di istituzioni locali.

Quindi, non c’è nessuna nuova spesa di fronte alla quale si deve identificare la copertura. Mi pare che vi sia soltanto una fortissima diffidenza della 5a Commissione permanente di fronte a qualunque innovazione istituzionale e forse - non voglio neanche pensarlo - la difesa di un qualche proprio potere di controllo sulle innovazioni che si ha attraverso lo strumento del controllo delle coperture, anche quando - per la verità - non c’è e non ci può essere istituzionalmente un problema di copertura.

Detto questo, però, mi sembra che per tutto il resto il disegno di legge al nostro esame, certamente con la necessità di qualche ulteriore perfezionamento (a cui spero perverremo durante questa stessa giornata, con l’esame degli emendamenti) risolva alcuni dei principali problemi di attuazione del Titolo V, almeno quelli risolvibili in sede di attuazione e non, invece, in sede di aggiustamenti, integrazioni e completamenti, come si sottolineava poc’anzi.

Vorrei terminare il mio intervento, evidenziando quello che poteva essere (e ho l’impressione che non sia più), anche in questo caso con qualche piccolo aggiustamento, la questione più controversa: quella della delega per l’identificazione dei princìpi fondamentali, previsti dall’articolo 117, terzo comma, della Costituzione.

Si poneva una questione teorica di grande spessore, perché non c’è dubbio (anche se so che alcuni colleghi la pensano diversamente) che è difficile concepire una delega al Governo per la definizione di nuovi princìpi fondamentali, ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, nel momento in cui la delega al Governo non è mai ad una legislazione di principio.

L’articolo 76 della Costituzione, infatti, consente al Parlamento di delegare funzioni legislative al Governo solo predeterminando e quindi riservando al Parlamento la definizione dei princìpi e dei criteri direttivi. Di talché è evidente che, al di là di qualunque considerazione, se i principi fondamentali sono qualcosa di diverso e di ancora superiore ai princìpi e ai criteri direttivi (e certamente non sono qualcosa di inferiore, di più dettagliato), si delega al Governo predeterminando i princìpi e i criteri direttivi la funzione legislativa in qualunque delle materie del terzo comma e l’esercizio delle funzioni legislative che invece spettano alle Regioni.

Tuttavia c’è un’esigenza di certezza su quali siano i princìpi fondamentali nell’ambito della legislazione vigente, nella quale per anni il Parlamento ha legiferato determinando princìpi e criteri direttivi o ha approvato deleghe al Governo definendo però i princìpi e i criteri direttivi.

Questa esigenza c’è ed esiste proprio per consentire una fluida entrata in funzione del nuovo sistema. Quello che qui si è definito e che forse potrebbe essere marginalmente perfezionato - come dirò tra breve - è l’idea di precisare chiaramente una distinzione tra la nuova legislazione di principio - a cui certamente il Parlamento dovrà porre mano, perché quella previgente è stata spesso concepita in un quadro istituzionale completamente diverso da quello delineato dal nuovo Titolo V - e la nuova legislazione previgente.

Quest’ultima va identificata nell’ambito dell’amplissimo corpus della legislazione; tale identificazione può essere delegata al Governo come attività meramente ricognitiva, sapendo che in ogni caso, una volta definito il contenuto della delega al Governo e nell’eventualità di una controversia circa il rispetto da parte del Governo dei confini della delega, sarà la Corte costituzionale a decidere di fronte ad una Regione che legifera ritenendo che una parte dei princìpi non siano stati correttamente identificati dal Governo nell’ambito di un’attività ricognitiva.

Si tratta di quello che sarebbe successo anche in assenza di questa delega, ma non avendo quell’elemento di certezza dato dalla identificazione dei princìpi della legislazione attraverso la delega legislativa. In tal modo, quest’ultima potrebbe rappresentare anche - e ciò costituirebbe un piccolo completamento utile di questa normativa - la tavola dei criteri a cui il Governo è tenuto ad attenersi nella eventuale impugnazione di leggi regionali per violazione dei princìpi della legislazione dello Stato.

Credo che ciò sarebbe utile - anche se forse è implicito - scriverlo espressamente. In questa fattispecie, il Governo, se l’impugnazione riguarda la violazione dei princìpi fondamentali, e naturalmente non del limite delle materie, si deve attenere all’elenco di princìpi che esso stesso ha identificato nell’ambito della delega. Mi pare che su questo punto, sia pur eventualmente con queste limitate modifiche, il testo possa essere condivisibile. Così come riteniamo che siano state ben definite le norme attuative del Titolo V sotto il profilo dei rapporti tra le Regioni e gli Stati esteri e tra le Regioni e l’Unione europea.

Qualche problema, e concludo, che è residuato dall’esame in Commissione e che è stato rinviato all’Aula, concerne l’attribuzione alla Corte dei conti di una funzione di controllo sulle attività delle Regioni e degli enti locali. Al riguardo abbiamo lavorato con spirito molto costruttivo e la nostra convinzione di fondo è che la Corte dei conti debba intervenire soltanto nella verifica del rispetto del Patto di stabilità e quindi degli equilibri di bilancio.

Tuttavia, ripeto, con spirito costruttivo, abbiamo cercato di identificare un ulteriore ruolo in termini di collaborazione tra la Corte dei conti e gli enti locali. Dico subito che però questa proposta ha due condizioni molto precise. La prima è che il controllo sulla gestione in termini collaborativi deve avere come unico effetto la presentazione di referti agli stessi enti locali, quindi deve servire per controllare l’operato degli esecutivi degli enti locali e non diventare uno strumento per attivare forme improprie di procedimenti di responsabilità contabile che molto spesso hanno paralizzato l’attività delle amministrazioni locali. E questo non perché venissero violate le leggi, ma in quanto venivano violate interpretazioni assai discutibili delle leggi, effettuate da organi che operavano con criteri legalistici e formalistici.

In secondo luogo, se è così, la Corte dei conti deve essere attrezzata a svolgere un controllo sulla gestione, e quindi dobbiamo porre rimedio alla vicenda tutta italiana che vede i giudici della Corte dei conti scelti unicamente tra i laureati in giurisprudenza. Per svolgere un'attività di controllo sulla gestione occorrono altre professionalità, economiche, gestionali, e di queste dobbiamo dotare la Corte dei conti. (Applausi dai Gruppi DS-U e Mar-DL-U).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Turroni. Ne ha facoltà.

 

TURRONI (Verdi-U). Signor Presidente, credo che il signor Ministro sia un uomo fortunato: lo stato delle mie corde vocali mi costringerà ad un intervento brevissimo. Già i colleghi Manzella, Vitali e Bassanini, nei loro pregevolissimi interventi hanno messo in evidenza le questioni che abbiamo esaminato in Commissione e i punti di vista comuni alle nostre forze politiche di opposizione.

Non posso però, nonostante la voce, non far rilevare come noi abbiamo lavorato perché un progetto di legge come questo vedesse la luce, perché si facesse finalmente. Non abbiamo avuto quell'atteggiamento di duro contrasto che abbiamo sempre mantenuto in questa legislatura tutte le volte che ci siamo trovati di fronte a provvedimenti per noi intollerabili, come quello della devolution, che invece ci è stato proposto in luogo di questo provvedimento.

Abbiamo presentato numerosi emendamenti; abbiamo criticato talune delle parti del provvedimento; siamo qui a cercare di migliorarlo. È stato un ben strano modo di legiferare questo, su materie che sono tante e delicate, come la Costituzione, i poteri, i compiti di Comuni, Regioni, Province, Città metropolitane, mettendo in discussione altre riforme assai rilevanti, altra carne al fuoco, si potrebbe dire usando un luogo comune.

Non voglio esprimere un giudizio sulle qualità di queste riforme aggiunte, rispetto a quelle che già avevamo all'esame, messe in campo insieme con le norme che stiamo discutendo con così tanto ritardo. Sono norme relative all'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica al nuovo Titolo V della Costituzione. Sono passati due anni, e sono stati due anni perduti.

Se oggi abbiamo esaminato le diverse ipotesi di riforma della nostra Costituzione, nel dibattito che abbiamo appena svolto, nel corso della discussione sul disegno di legge della devolution ci siamo espressi su quel tipo di riforma. In entrambe le circostanze la nostra opinione è stata piuttosto chiara a proposito della riforma effettuata sul Titolo V della Costituzione. Abbiamo detto chiaramente che non ne avevamo apprezzato i contenuti e avevamo votato quel provvedimento solo per vincoli di maggioranza.

Non voglio dilungarmi. Ora, finalmente, arriva al nostro esame questo testo, che possiamo tranquillamente approvare. Dico "finalmente" perché in questo periodo si sono verificati numerosi conflitti tra le Regioni e lo Stato su tante questioni, da quelle più rilevanti a quelle di portata più limitata. Ebbene, questo è un aiuto per potere, credo, anche risolvere questo tipo di questione.

Mi dispiace che il Ministro se ne sia andato, perché volevo ritornare su una questione che avevamo accantonato durante la discussione in Commissione. Questa, come altre due questioni che riguardano il testo, vorrei sottolinearle perché sono tre elementi da cui dipenderà nelle prossime ore il nostro atteggiamento nei confronti del provvedimento.

Quanto alla prima questione, noi siamo stati abituati ahimè la (cosa non ci è mai piaciuta e la vediamo riproporre nel corso di questa legislatura in provvedimenti giacenti presso altre Commissioni) alla istituzione di organismi per dare pareri al Governo su materie della più diversa natura. Ebbene, nel testo in esame, all'articolo 1, comma 4, si prevede che un parere definitivo sia reso da un nuovo Comitato parlamentare.

Le Commissioni affari costituzionali della Camera e del Senato operano bene, non è necessario inventare altri strumenti. Apprezzo le modalità dei pareri, definite nella prima parte del comma 4: il doppio passaggio del provvedimento in Commissione con un nuovo esame, dopo la prima espressione del parere, per verificare se è stato recepito il parere espresso, mi pare adeguato e sufficiente, senza la necessità di istituire un nuovo organismo. La questione non è rilevantissima ma è di pulizia e di rispetto del Parlamento e delle Commissioni così come definite.

La seconda questione è rilevante e nodale. Abbiamo contestato, nel federalismo -privo di qualsiasi riferimento agli interessi generali delle imprese, dei cittadini e degli operatori - la diversificazione dei sistemi autorizzativi da Regione a Regione, come se le modalità con cui si rilascia, per esempio, una carta d'identità o qualsiasi altro documento di questa natura possano essere diverse a seconda del luogo.

Noi riteniamo che tra i princìpi fondamentali, di cui all'articolo 1, cioè le disposizioni statali rilevanti per garantire l'unità giuridica ed economica, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, il rispetto delle norme dei trattati internazionali e della normativa comunitaria, la tutela dell'incolumità e della sicurezza pubblica, debba essere inclusa l'unificazione dei procedimenti amministrativi e degli atti autorizzativi e concessori di competenza di Comuni, Province e Regioni.

Si sta verificando un fatto che trovo assolutamente contrario al buon funzionamento di un Paese avanzato, e cioè che vi siano procedure, strumenti e meccanismi diversi a seconda del luogo. Avevamo operato nella scorsa legislatura per istituire gli sportelli unici, in modo da garantire semplificazioni amministrative identiche. Credo si possa e si debba introdurre una correzione di questo tipo al testo, poiché abbiamo la necessità di unificare. I sistemi di unificazione sono stati difficili da adottare nel nostro Paese in taluni settori. Il sistema delle autorizzazioni, dopo l'esperienza che abbiamo appena fatto, è da riportare a nuova unitarietà.

La questione sospesa, signor Sottosegretario, riguardava l'articolo 3, comma 2, laddove si prevede che lo statuto deve stabilire i princìpi di organizzazione e funzionamento dell'ente, le forme di controllo, anche sostitutivo, nonché le garanzie delle minoranze e le forme di partecipazione popolare.

Il nostro Paese ha aderito alla Convenzione di Aarhus; non solo, ne è stato protagonista, addirittura avevamo il chairman della Convenzione. Poi il Ministro dell’ambiente nella sua frenesia "spoils sistemica" ha deciso di cacciare quel direttore generale perdendo così addirittura anche la possibilità di governare una Convenzione internazionale, ma questa è un’altra storia.

Ebbene, nelle modifiche che sono state apportate alla legge n. 241 del 1990, nonostante noi abbiamo aderito alla Convenzione di Aarhus, nonostante fin dal 1990 abbiamo cercato di garantire nel modo più esteso possibile i diritti di partecipazione dei cittadini, sono state man mano introdotte forme di riduzione di tali diritti.

Quindi, volevo chiedere al Ministro di propormi di riformulare l’emendamento 3.103, in modo tale che venga garantito a chiunque abbia interesse il diritto di accesso ai documenti amministrativi, superando il limite imposto oggi dalla legge n. 241, che stabilisce che ciò può essere fatto solamente da parte di coloro che devono tutelare proprie situazioni giuridicamente rilevanti.

Questo riguarda, ad esempio, le associazioni di tutti i tipi, quelle dei consumatori, degli ambientalisti e così via. E’ una esclusione del diritto di partecipare e di conoscere; quindi vorrei che si ritornasse alla originaria impostazione del diritto di accesso, del diritto di conoscere, sottolineando che in materia ambientale le norme, anche internazionali, precisano che è diritto dei cittadini in ogni circostanza conoscere le questioni ambientali.

Arrivo alla terza ed ultima questione. Ho accennato prima alle questioni che riguardano i conflitti che si sono aperti tra Regioni e Stato. Ebbene, le Regioni hanno presentato ricorsi alla Corte costituzionale, in nome e per conto anche delle amministrazioni comunali, e molti di questi conflitti hanno riguardato in particolare le prerogative dei Comuni, degli enti locali e delle Province. Faccio solamente due esempi: pensiamo alle limitazioni ai diritti costituzionalmente riconosciuti ai Comuni messe in atto della legge obiettivo, conosciuta anche come legge Lunardi, oppure pensiamo a quei diritti e doveri delle amministrazioni locali che sono stati negati dal decreto Gasparri sulle antenne.

Ecco, in questi casi, dal momento che il nuovo assetto del Titolo V della Costituzione riconosce allo Stato, alle Regioni, alle Province ed ai Comuni uguale dignità, pensiamo che sia opportuno stabilire anche in questa legge, all’articolo 8 (là dove si parla di questione di legittimità costituzionale che può essere sollevata dal Consiglio dei ministri e così via), che anche i Comuni possano, qualora siano lesi i loro diritti costituzionali e le loro prerogative, fare ricorso alla Corte costituzionale.

Ecco, dalle risposte su queste tre questioni - ne ho illustrate quattro, in realtà sono tre quelle rilevanti - dipende anche il nostro atteggiamento nei confronti di un provvedimento che, ripeto, ha ottenuto il nostro contributo costruttivo.

Intendiamo mantenere questo atteggiamento fino alla sua definitiva approvazione.

 

PRESIDENTE. Senatore Turroni, circa la proposta di modifica dell'emendamento 3.103, potrà presentarla quando arriveremo ad esaminare gli emendamenti riferiti all'articolo 3.

È iscritto a parlare il senatore Villone. Ne ha facoltà.

 

VILLONE (DS-U). Signor Presidente, non toccherò stasera le questioni generali che sono state peraltro già esaminate dai colleghi senatori che hanno preso parte alla discussione, in modo che condivido per quanto riguarda gli esponenti del mio Gruppo che hanno preso la parola.

Sui temi generali, dirò soltanto in brevissima sintesi che considero questa legge certamente utile, ma non decisiva. Noi compiamo una parziale opera di manutenzione ordinaria con questa legge; indubbiamente male non fa, sciogliamo qualche nodo, smussiamo qualche angolo, ma non possiamo certamente aspettarci di più di quello che può dare.

Sono tra quelli che ritengono che sul Titolo V bisogna compiere una riflessione aperta, nel senso di una rivisitazione, cogliendo anche quello che la maggioranza per una parte, credo a giusta ragione, sottolinea; non in tutto, ma in parte sì. Il federalismo fiscale, l'attuazione dell'articolo 119: queste sono le vere questioni, però anche con questa legge un risultato utile si può ottenere.

Voglio soffermarmi stasera su un punto specifico. Con il consenso del Presidente vorrei tornare al mio antico mestiere di giurista, perché c'è stato un punto dell'articolo 8 che in Commissione mi ha trovato in forte dissenso. Poiché stiamo svolgendo la discussione generale unitamente all'illustrazione degli emendamenti, illustrerò anche l'emendamento 8.104, che ho presentato a tale proposito.

Nell'articolo 8 in sede di Commissione è stata introdotta una innovazione apparentemente marginale, ma secondo me tale da meritare una riflessione particolarmente attenta, cioè la possibilità della sospensiva, da parte della Corte costituzionale, delle leggi regionali. Può sembrare una cosa banale e minima, in realtà non lo è, anche perché il nostro sistema giuridico non conosce la sospensiva della legge; si tratta di una innovazione radicale dal punto di vista concettuale.

La legge è un atto particolare, un mattone che ha caratteristiche assolutamente proprie nel sistema delle fonti. E' un atto tipico che ha effetti tipici, come i giuristi sanno bene. Quindi prevale nella gerarchia delle fonti, si impone a tutti i destinatari, se ne presume la conoscenza, deve essere applicata dal giudice e dalla pubblica amministrazione, può essere invalidata solo nei modi appositamente previsti.

Ciò che si intende per legge sotto il profilo della tipologia, in particolare dei contenuti tipici, non è scritto in Costituzione, ma certamente questa assume un concetto di legge quando usa questo termine sia per lo Stato sia per la Regione. Quindi, già qui sorge in me un primo dubbio di costituzionalità: se possiamo o no, con legge ordinaria, modificare il regime giuridico dell'atto fondamentale del sistema delle fonti, non avendo alcuna sponda costituzionale per farlo. Ho un dubbio molto forte su questo aspetto.

Ma se anche volessimo superare questo dubbio, credo che ci dovrebbero fermare i problemi pratici, proprio quelli che poi incontreranno i cittadini, gli avvocati, i giudici, gli amministratori di fronte ad una disposizione di questo genere.

Infatti, la legge formalmente è il momento più alto di quel tanto di certezza del diritto che esiste nel sistema, poca o molta che sia. La certezza del diritto è una cosa che nessuno sa esattamente se esista o no e in che misura, ma, se esiste, la legge ne è elemento fondamentale.

È su questo atto che si fondano gli effetti, soprattutto effetti che si propagano a catena. Nel precedente sistema, l'impugnativa bloccava la formazione della legge regionale, e dunque essa non veniva in essere come tale. Il sistema al nostro esame formalmente è più rispettoso della posizione costituzionale della Regione, perché non c'è il blocco della formazione della legge, però poi si introduce questo strumento, per fini che sono astrattamente condivisibili (perché, come si scrive nell'articolo 8, appunto, si collega al pregiudizio all'interesse pubblico o all'ordinamento giuridico della Repubblica, valori che sono sicuramente preminenti).

Tuttavia quando noi parliamo di legge facciamo riferimento ad un atto che, per definizione, esplica effetti erga omnes; quindi, quando c'è una legge in gioco, noi quasi mai possiamo in concreto, e in teoria non dovremmo mai, sapere chi sono i destinatari. Non è come l'atto amministrativo, che si dirige a Tizio o a Caio, salvo alcuni casi precisi, come un bando di concorso o qualcosa del genere: la legge per definizione si indirizza a una platea indeterminata di destinatari. Questo è il primo punto.

Poi, la legge si impone su tutti i rapporti per i quali rileva, determinando cambi nella normativa applicabile, ad esempio nel rapporto con un regolamento preesistente o nei casi in cui, come noi scriviamo spesso, la legge statale si applica fino a quando la legge regionale non subentri; tutti questi effetti, quando la legge entra in vigore, si determinano comunque, a prescindere per così dire, per il solo fatto che essa entra in vigore.

Cosa accade, allora - questo è il problema - di tutti gli effetti che si sono prodotti, che noi non possiamo conoscere tutti da prima (perché, appunto, approvare la legge è come gettare il sasso nello stagno: uno vede le onde che si allontanano, ma non vede dove arrivano)? Come facciamo a sapere cosa accade, se sospendiamo la legge dopo che è entrata in vigore?

Vedete, sospendere la legge non significa sospendere la fattispecie; mentre con l'atto amministrativo si sospende l'atto e quindi si blocca il prodursi degli effetti in capo a quel destinatario, se si sospende la legge non si sospende la fattispecie, che semplicemente andrà avanti con un'altra normativa: non si applicherà più quella legge, se ne applicherà un'altra.

Facciamo un esempio banale. La legge sospesa prevede, per una certa procedura, un termine più breve o più lungo della legge preesistente. Se si sospendono gli effetti, si sospende quella procedura? Si applica l'altro termine? Si applica quello lungo? Si applica quello breve? La pubblica amministrazione si ferma? Il giudice che fa? Questo determina un'incertezza insolubile. Cosa accade, per esempio, se si sono prodotti prima della sospensione effetti non reversibili? Scompaiono? Rimangono in essere? Fino a che punto? Ci vorrebbe a quel punto una legge ad hoc per disciplinarli, cosa che, per esempio, si ritiene per alcune ipotesi, anche per quanto riguarda il diritto statale.

Inoltre, durante la sospensione, quale diritto si applica? E che succede dopo? Se la sospensione si chiude con la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge, si verifica il caso semplice; ma se si chiude con il rigetto della questione, che succede alle norme che si sono applicate nel corso della sospensione perché quella legge era stata sospesa? E se c'è un rigetto parziale, per cui per una parte si applica e per una parte no?

Credo che questo dovrebbe farci riflettere perché poi si tradurrebbe in feroci mal di testa dei cittadini e dei loro avvocati, nonché delle pubbliche amministrazioni e dei giudici. Non a caso la Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome (con la quale non sempre, forse nemmeno spesso, mi trovo d'accordo) in merito all'articolo 8 ha affermato, questa volta giustamente, che la formulazione attuale della norma appare poco chiara e si presta ad interpretazioni diverse.

Ha affermato che, in particolare, si rappresenta la necessità, anche al fine di prestare idonea garanzia ai cittadini che possono trovarsi nella difficoltà di scelta tra l'applicazione di una norma statale e regionale, di procedere ad un confronto per una più puntuale formulazione.

Ha assolutamente ragione. Si tratta di una previsione che moltiplicata per venti legislatori può diventare un incubo giuridico di proporzioni non marginali, soprattutto se si tratta di questioni abbastanza complesse. Capisco il senso della norma e condivido l'obiettivo. Infatti, in Commissione il Ministro ricorderà che concordai sull'opportunità di immaginare un meccanismo che ponesse in qualche modo soluzione al problema reale di un legislatore regionale che improvvisamente assume una determinazione palesemente e immediatamente lesiva di valori fondamentali. Ma non è questo il sistema.

Su tale punto ho presentato un emendamento che a causa di un mio errore al momento della presentazione risulta essere mal formulato. Ho già provveduto ad una sua riformulazione che se il Governo e la Presidenza sono d'accordo si potrà discutere. Esso traduce l'esigenza di arginare possibili iniziative legislative fortemente lesive dell'interesse pubblico e dell'ordinamento giuridico della Repubblica abbreviando essenzialmente i termini del procedimento davanti alla Corte, ma non introducendo la sospensiva. Se la Corte ritiene che vi sia un pregiudizio grave decide entro 30 giorni. In sostanza, deve decidere subito, lasciando però intatto l'impianto sistematico e senza toccare la natura dell'atto formalmente legislativo perché se partiamo da lì non riusciamo più a governare tutte le conseguenze in termini di sistema.

Come vede, signor Ministro, questa non è una critica politica di nessun genere, bensì una seria preoccupazione che da giurista ho sul funzionamento di un meccanismo legislativo che abbiamo introdotto per la giustezza degli obiettivi, senza però svolgere un'adeguata riflessione sugli strumenti. Pertanto, mi permetto di suggerire una correzione della norma nel senso che ho indicato, riconoscendo l'esigenza e rispondendo semplicemente con un procedimento che potremmo definire in via d'urgenza davanti alla Corte costituzionale, senza toccare gli elementi di sistema. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e del senatore Amato).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Stiffoni. Ne ha facoltà.

 

STIFFONI (LP). Signor Presidente, onorevoli colleghi, il presente disegno di legge di iniziativa governativa reca le norme di attuazione della riforma costituzionale relativa all'ordinamento delle Regioni e degli enti locali di cui alla recente legge costituzionale n. 3 del 2001.

Il provvedimento in esame, quindi, intende dare attuazione e risolvere i problemi applicativi derivanti dalla riforma costituzionale voluta dal precedente Governo di centro-sinistra che aveva visto la Lega Nord contraria. In particolare, detta riforma è da noi ritenuta insufficiente ad attuare l'auspicata riforma federale nel nostro ordinamento e scarsamente corrispondente agli interessi del sistema delle autonomie.

L'iniziativa legislativa, che ha il consenso della Lega Padana, è volta quindi a modificare ulteriormente le norme costituzionali già interessate dalla legge n. 3 del 2001 nel senso di dare piena attuazione al principio del pluralismo autonomistico.

In questa ottica si inseriscono il disegno di legge del ministro Bossi sulla devoluzione, già approvato dal Senato, e le iniziative in via di elaborazione dirette alla trasformazione del Senato in Camera delle Regioni e alla modifica della composizione della Corte costituzionale, in modo da assicurare una rappresentanza delle Regioni stesse, nonché il progetto di attuazione del federalismo fiscale.

L’esame da parte della Commissione affari costituzionali del Senato ha evidenziato come dunque la riforma abbisogni di correzioni e di integrazioni in armonia con le esigenze delle autonomie locali e in aderenza al principio di sussidiarietà, attesa soprattutto la mancanza di norme transitorie volte a realizzare un’efficace attuazione della riforma.

Al fine di rendere completo il quadro delle riforme del Titolo V della Costituzione, in riferimento anche alle richiamate proposte legislative in itinere, la Commissione ha svolto una serie di audizioni: sono stati ascoltati i Ministri per le politiche comunitarie e dell’istruzione, dell’università e della ricerca scientifica, il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri, rappresentanti della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e Province autonome, della Conferenza dei Presidenti dei consigli regionali e dell’Associazione nazionale dei Comuni e dell'Unione delle Province d’Italia.

Anche alla luce degli elementi conoscitivi così acquisiti, la 1a Commissione permanente del Senato ha pertanto apportato delle modifiche migliorative finalizzate a rendere più incisivo il ruolo delle autonomie locali, in un’ottica di coordinamento e collaborazione con lo Stato.

Concludendo, per le ragioni sin qui illustrate, la Lega Padana non farà certamente mancare il proprio consenso a questo tassello di una più generale riforma dello Stato che vede ormai incardinati alcuni passaggi fondamentali, sopra richiamati. (Applausi del senatore Carrara).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Maffioli. Ne ha facoltà.

 

MAFFIOLI (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, la Commissione affari costituzionali ha esaminato il disegno di legge in esame, il n. 1545, rispondendo all'esigenza di emanare un provvedimento quanto mai necessario, a seguito anche delle valutazioni fatte dalla Commissione ed emerse nel corso delle audizioni svolte, circa l’inadeguatezza della riforma del Titolo V della Costituzione: sono risultate diverse lacune e soprattutto alcune difficoltà applicative.

Il provvedimento all’esame si inserisce in tale quadro e sono stati ascoltati, come ricordato dal senatore Stiffoni, i Ministri delle politiche comunitarie, dell’istruzione, dell’università e della ricerca scientifica, il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri, nonché i rappresentanti della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province.

I lavori in Commissione hanno introdotto importanti modifiche al testo proposto dal Governo. Vi è però una questione che è rimasta irrisolta e che si è preferito rinviare all’Assemblea, al fine di trovare una soluzione di equilibrio ad opera dei relatori e con il contributo del Governo. Si tratta della questione relativa ai controlli sugli enti territoriali, per ciò che concerne gli equilibri di bilancio, in relazione al patto di stabilità e ai vincoli comunitari, nonché alla verifica della sana gestione finanziaria degli enti locali e del funzionamento dei controlli interni.

Si contrappongono due tesi, in proposito: l’una con un controllo di natura economica, tale da favorire l’efficiente gestione delle risorse; l’altra assai critica sulla stessa possibilità e legittimità costituzionale di un controllo esterno, salvo quelli propri della giurisdizione, che sarebbe lesivo del principio di autonomia e non utile all’efficienza amministrativa, nel presupposto che i controlli di tale natura siano necessariamente interni e inoltre che le competenze della Corte dei conti non siano adeguate allo scopo.

Personalmente ritengo che sia stato un grave errore sopprimere il controllo sugli atti di bilancio, poiché soprattutto per le piccole realtà locali (e voglio ricordare per l’ennesima volta che esse sono di fatto la stragrande maggioranza all’interno del nostro Paese) ciò rappresenta una sorta di certificazione sulla regolarità delle gestioni.

Non dobbiamo dimenticare, infatti, che spesso il personale preposto non è sufficientemente esperto e, d’altra parte, non ci si può appellare al fatto che esistono i revisori dei conti, poiché non sarebbe altrimenti spiegabile il possibile intervento della Corte dei conti.

Questo è un disegno di legge di grande importanza, che favorisce l’attuazione del Titolo V della Costituzione, evitando inutili conflitti tra gli enti. Vorrei elogiare il lavoro svolto dalla Commissione, dalla maggioranza e dall’opposizione che, con grande spirito costruttivo, hanno condotto i lavori in Commissione; mi auguro che si possa procedere nello stesso modo anche in Aula.

Vorrei brevemente riprendere una richiesta avanzata dal senatore Turroni, relativamente alla possibilità di approvare un suo emendamento circa il libero accesso ai documenti. Personalmente sono contrario a questa richiesta, perché di fatto la legge n. 241 del 1990 prevede che possa richiedere l’accesso ai documenti chi ha un interesse diretto e attuale; semmai si potrebbe dire, anziché diretto e attuale, concreto e non attuale.

Mi sembra eccessivo dare addirittura libero accesso a tutti i documenti, anche perché non dobbiamo dimenticare che l’attuale legge urbanistica già permette a chiunque di chiedere le concessioni. Ciò provoca di fatto molti problemi alle amministrazioni e io aggiungerei anche un problema di privacy. Infatti, molto spesso queste richieste vengono presentate - io dico, purtroppo - non per iniziative che possono rivestire anche un carattere lecito, ma per attivare azioni che veramente non hanno nulla a che vedere con la difesa del territorio o di quant’altro. Ripeto, quindi, che sono contrario a tale richiesta.

Ribadisco che esprimeremo un voto favorevole sul disegno di legge in esame, perché esso finalmente va a dirimere parecchie questioni e mi auguro che possa introdurre anche maggiore chiarezza nell’attuazione del Titolo V della Costituzione. (Applausi dal Gruppo UDC:CCD-CDU-DE e del senatore Carrara. Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Petrini. Ne ha facoltà.

 

PETRINI (Mar-DL-U). Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, non posso non condividere le parole di compiacimento, di distensione e di serenità pronunciate dal Ministro nel ripercorrere l’iter positivo che questo disegno di legge ha avuto in Commissione; esso è stato positivo per il clima di collaborazione che si è creato e per l’arricchimento che al tema hanno saputo dare le rilevanti competenze di molti colleghi, nell’ambito - appunto - di una proficua collaborazione con il Governo.

Ciò detto, signor Presidente, bisogna anche aggiungere che, mentre tessevamo questo idillio in Commissione, numerosi altri eventi si accavallavano in modo contraddittorio e irrazionale fino alla schizofrenia, e guastavano quel clima di collaborazione che avevamo instaurato.

Questo disegno di legge è stato presentato dal Governo il 26 giugno 2002, con un colpevole ritardo - diciamo così - rispetto all’approvazione dei referendum avvenuta nell’ottobre 2001. La Commissione vi ha lavorato in modo non particolarmente sollecito, ma neanche con particolari ritardi perché, al netto della pausa estiva, constatiamo che la relazione della Commissione è stata comunicata alla Presidenza del Senato il 20 novembre 2002.

A quel punto, signor Ministro, era assolutamente prioritario ottemperare a quello che era un dovere del Governo e del Parlamento: dare attuazione ad una legge di riforma costituzionale approvata attraverso referendum. Tuttavia, questo dovere è stato eluso, perché si è voluto imporre all’attenzione dell’Assemblea, in fase di esame dei documenti di bilancio, il disegno di legge in materia di devolution.

Che cosa accadeva in buona sostanza signor Presidente e signor Ministro? Ebbene, accadeva che mentre noi, lavorando in Commissione, ci rendevamo sempre più conto, insieme a quelle stesse persone - ricredersi è sicuramente un merito - che nella precedente legislatura avevano svilito quella riforma qualificandola come una "riformetta", di quanto approfondita, sostanziale e anche ambiziosa fosse stata la riforma del Titolo V e di quanto impegnativa sarebbe stata la sua attuazione, nella stessa Commissione un altro Ministro ci imponeva a tappe forzate il superamento di questa stessa riforma, sostenendo che quello - e soltanto quello - avrebbe saziato l’appetito autonomista della Padania.

È evidente che in tutto ciò c’è qualcosa che non funziona! Ed è altrettanto evidente, signor Ministro, che quello cui dovremo assolvere nel prosieguo del nostro lavoro per attuare questa riforma è un impegno assai rilevante. Pertanto, è assolutamente necessario saper riportare anche in quest’Aula quella serenità di discussione, al fine di armonizzare questo impegno con le richieste di ulteriori riforme.

Signor Ministro, si è sostenuto - e anche su questo sarebbe il caso di fare chiarezza - che quella che nella scorsa legislatura era stata definita una "riformetta", in realtà avrebbe già prodotto ampiamente quei danni che noi paventiamo possa fare invece la devolution. Sicché non ci sarebbe da preoccuparsi in quanto il danno è già stato fatto e quindi invece di porvi rimedio lo si consolida con la devolution.

Ma questo non è assolutamente vero! Infatti, è reale che l’articolo 116 della Costituzione - che è stato autorevolmente citato in quest’Aula e che è stato richiamato anche nella primigenia della rivendicazione dal capogruppo di Alleanza Nazionale, senatore Nania, - afferma che "Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s)," - ossia le norme generali sull’istruzione e quelle in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali - "possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata".

Tuttavia, sostenere che questa rappresenti la prima devolution, cioè quella che avrebbe già fatto il danno che verrà provocato dalla seconda devolution, non è obiettivamente sostenibile. Innanzitutto, perché nell’articolo che ho letto poc'anzi si fa riferimento a "Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia…" il che significa che non è automatico che l'intera materia debba essere trasferita alla competenza regionale, ma che lo saranno soltanto alcune competenze interne a queste materie.

Quindi, si tratta di poteri che possono essere più o meno limitati. Questa è una prima e sostanziale differenza rispetto alla devolution, che invece trasferisce in toto quelle materie.

In secondo luogo, questo trasferimento avviene con legge dello Stato e sulla base di un'intesa tra lo Stato e la Regione interessata. È allora assolutamente evidente che quell'intesa, che deve intervenire tra lo Stato e la Regione che promuove questo trasferimento, potrà contenere elementi di indirizzo e di limite all'esercizio di quel potere; limite e indirizzo che sono definiti nell'intesa e approvati con legge dello Stato. Ed è assolutamente logico che lo Stato, nel momento in cui delega questi poteri alla Regione con una sua legge approvata a maggioranza qualificata, ha il diritto-dovere di esercitare un controllo sull'esercizio di quel potere e ha comunque la potestà di avocare nuovamente a sé quel potere, nel momento in cui l'esercizio di quest'ultimo dovesse rivelarsi elemento di distruzione del tessuto di omogeneità e di solidarietà della nazione. È cioè evidente che esiste una differenza fondamentale tra un potere statuito in Costituzione e attribuito alla Regione e un potere che lo Stato delega con legge alla Regione nell'ambito di un accordo che lo definisce nei limiti e negli indirizzi. Pertanto, questa polemica è assolutamente speciosa.

Fondata è invece un'altra polemica - e lo debbo riconoscere - relativa al fatto che questa riforma costituzionale sia stata fatta con un voto di maggioranza, senza il coinvolgimento dell'opposizione. Nella scorsa legislatura ricoprivo un ruolo istituzionale che mi suggeriva di astenermi dalla polemica politica, ma non voglio nascondermi dietro a quel ruolo, perché - debbo ammetterlo - ho condiviso quell'errore; l'ho condiviso perché sono stato sostanzialmente ingannato da numerose attenuanti che quell'errore aveva ed ha.

In primo luogo, quella riforma era stata elaborata congiuntamente tra maggioranza e opposizione nell'ambito della Commissione bicamerale. In secondo luogo, quella riforma era già giunta all'attenzione dell'Assemblea della Camera e approvata con voto unanime di maggioranza e opposizione, con l'eccezione della Lega Nord. In terzo luogo, voi condividevate la riforma federalista, e la vostra contrarietà ebbe ad esprimersi solo successivamente, nel momento in cui noi, proprio per quelle premesse e per l'appoggio sostanziale dei rappresentanti delle autonomie locali, avevamo inteso riportare all'attenzione dell'Assemblea; voi condividevate questo progetto di riforma nelle sue linee di indirizzo; non ne condividevate la definizione normativa, così come era stata redatta, ritenendola insufficiente.

Questi tre elementi ci facevano ritenere legittimo quell'errore, che però oggi riconosco essere tale perché c'era un altro elemento che non avevamo valutato, e cioè che la nostra, sulla base dell'articolo 138, è una Costituzione particolarmente flessibile. Altre Costituzioni europee prevedono quorum molto più elevati per poterle modificare. Il quorum della maggioranza assoluta è basso e rende flessibile la nostra Costituzione; però, quel quorum era rapportato ad un sistema proporzionale. Quel quorum trasferito in un sistema maggioritario, ove cioè la maggioranza assoluta dei seggi non corrisponde a una maggioranza assoluta dei voti ma è il frutto di un premio di maggioranza, rende non già flessibile ma friabile la nostra Costituzione.

Non l'avevamo calcolato, ma dobbiamo calcolarlo oggi; voi ci rinfacciate quell'errore e noi lo riconosciamo, non è però accettabile che vi riteniate in diritto di ripeterlo per pareggiare il conto. La responsabilità che abbiamo tutti è quella di trasferire il clima di collaborazione e di serenità, che abbiamo sperimentato nella stesura del testo e nell'esame della complessa tematica dell'attuazione della riforma del Titolo V, ad ogni altro discorso che riguardi le nostre riforme costituzionali.

Sono parole che pronuncio non casualmente in coda ad un dibattito che, come ha detto il Presidente, è stato interessante, articolato e ricco ma che - ahimè! - si è concluso con un'affermazione da parte del Ministro per le riforme istituzionali che ha ribadito l'assoluta volontà di portare avanti il disegno di legge della devolution, un'affermazione che è parsa stonata nel contesto che avevamo condiviso. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U e DS-U).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Bongiorno. Ne ha facoltà.

 

BONGIORNO (AN). Signor Presidente, onorevoli senatori, non posso non iniziare il mio breve intervento facendo riferimento ad una sorta di polemica, garbata e corretta nei confronti di un'affermazione fatta dal presidente del mio Gruppo parlamentare, senatore Nania, nel dibattito precedente, in ordine al contenuto dell'articolo 116 della Costituzione.

L'inciso è stato richiamato dai senatori Vitali e Petrini, i quali hanno giudicato speciosa l'argomentazione del presidente Nania. Con lo stesso garbo e con lo stesso spirito costruttivo che ho riscontrato diffusamente questa sera in Aula, debbo confermare la preoccupazione del presidente Nania riguardo all'articolo 116 della Costituzione.

Infatti, quando si prevede che nuove forme di autonomia possano essere accordate alle Regioni che ne fanno richiesta nelle materie tassativamente indicate dalla Costituzione e si dice che questa decisione viene assunta dal Parlamento con legge da approvare a maggioranza assoluta, si deve pensare ad un rischio: la richiesta può essere avanzata da Regioni ricche che possono assolvere alle competenze che deriverebbero dall'approvazione della legge. In un eventuale momento di scadimento politico generale, potrebbero essere soddisfatte le istanze avanzate da Regioni che possono contare su maggioranze parlamentari amiche.

Poiché ritengo che nell'opinione e nello spirito di tutti il federalismo è volto ad assicurare un equo sviluppo, diffuso su tutto il territorio nazionale e interessante tutte le Regioni, una norma siffatta potrebbe comportare una degenerazione come quella che ho prospettato.

Chiarito questo aspetto, non mi soffermerò sulle singole e specifiche parti del disegno di legge stasera in discussione; rinvio a tal uopo alle relazioni ampie ed esaustive dei relatori. Rilevo soltanto che il disegno di legge proposto dal Governo, grazie all'impegno qualificato e decisivo del ministro La Loggia, con le modifiche introdotte in Commissione affari costituzionali, nella quale si è operato con obiettività e senso dello Stato, va condiviso, nella consapevolezza che si sta determinando un adeguamento normativo indispensabile dopo la riforma costituzionale del 18 ottobre 2001.

Giova puntualizzare comunque a questo punto alcuni aspetti.

In primo luogo, si è fatto un gran parlare, e il dibattito politico si è acceso al riguardo, in ordine alla priorità di assicurare e garantire al disegno di legge La Loggia, piuttosto che al disegno di legge Bossi-La Loggia, l’introduzione della devoluzione, provvedimento che in prima lettura è stato esitato dal Senato lo scorso mese di dicembre.

 

Presidenza del vice presidente CALDEROLI

 

(Segue BONGIORNO). Si sta dimostrando questa sera che c’è l’impegno politico formale e forte del Governo e della maggioranza di andare avanti contemporaneamente sia sull’adeguamento dell’ordinamento per l’applicazione della prima riforma costituzionale del Titolo V della Parte II della Costituzione, sia evidentemente per la continuazione del processo di riforma dello Stato in senso federalista.

In secondo luogo, con questo disegno di legge si fa chiarezza e si eliminano i presupposti di un contenzioso costituzionale che cominciava e - purtroppo - continua a destare notevoli preoccupazioni per la sua entità.

In terzo luogo, si stanno mettendo in campo tutta la capacità e l’impegno del Governo nel condurre su due binari distinti, ma necessariamente correlati, l’azione di ulteriore riforma costituzionale e quella di applicazione della legge di riforma già adottata.

Desidero ora svolgere talune brevi considerazioni su punti che ritengo importanti nell’ambito della tematica in questione: innanzi tutto, il trasferimento delle funzioni amministrative e il conseguente trasferimento di beni e risorse strumentali dal centro verso la periferia, le Regioni, le Province e i Comuni; in secondo luogo, le autonomie speciali; infine, il ruolo della Commissione bicamerale per le questioni regionali. E veniamo ad esaminare partitamente questi tre punti.

Va innanzi tutto regolato il trasferimento di beni, di risorse e di personale in uno con le competenze, in modo da evitare un nuovo onere finanziario, magari sulle Regioni, sui Comuni e sulle Province, che comporterebbe il collasso economico-finanziario di questi enti. Al riguardo, il parere espresso dalla 5a Commissione permanente e la conseguente nuova formulazione del comma 2 dell’articolo 5, ora divenuto articolo 6, del testo definitivo della Commissione, sull’attuazione dell’articolo 118 della Costituzione in materia di esercizio delle funzioni amministrative, si evidenzia a mio modo di vedere puntuale e necessario e importa e impone un’accelerazione nell’adozione di norme relative al nuovo sistema finanziario attuativo dell’articolo 119 della Costituzione.

Occorre avviare un ripensamento delle autonomie speciali (questo è il secondo punto). Le condizioni storiche presupposto della specialità purtroppo permangono: marginalità geografica, precarietà economica, emergenze culturali speciali giustificano ampiamente non il mantenimento, ma addirittura l’ampliamento di un autonomismo non compiutamente realizzato.

In tal senso, per la verità, questo disegno di legge, così come modificato in Commissione, introduce o conferma un principio assolutamente interessante da questo punto di vista; basta fare riferimento all’articolo 4 in ordine all’attuazione dell’articolo 117, quinto comma, della Costituzione sulla partecipazione delle Regioni in materia comunitaria, laddove si tiene in particolare attenzione una specificazione allorché si dice "tenendo conto della particolarità delle autonomie speciali", con questo sottolineando e confermando l’attualità e la modernità di questo istituto.

Il trasferimento delle competenze e delle responsabilità, la devoluzione, non deve preoccuparci, ma anzi può casomai esaltarci. Nei sessant’anni di storia repubblicana sono stare trasferite risorse in maniera disorganica, senza un preciso modello di sviluppo, né locale, né centrale. Oggi si obbligano le classi dirigenti locali a programmare le spese e le entrate, a pensare allo sviluppo, a condurre da protagonisti i rapporti economici con lo Stato e, con i vincoli imposti dall’ordinamento, con l’Unione europea e con altri Paesi.

E’ finalmente il tempo della responsabilità; non è un paradosso, ma forse è il più grande intervento straordinario che lo Stato ha fatto, ad esempio, in Sicilia dal 1860.

Ora, però, bisogna dare sfogo e spazio alla responsabilità e alla creatività delle Regioni speciali e in sede di applicazione del federalismo fiscale il tema deve essere affrontato con coraggio e senza pregiudizi, pensando, quando si parla soprattutto di Sicilia e di Sardegna, al ruolo che esse dovranno assolvere nell’area di libero scambio mediterranea nel 2010 come a quello che le Regioni speciali del Nord assolvono nei rapporti con i Paesi confinanti.

Dobbiamo porci comunque il problema di come assorbire definitivamente un certo fenomeno, talvolta riemergente, di disunificazione e di sfilacciamento delle aree periferiche.

E vengo al terzo e ultimo punto. Va affrontato subito il nodo del ruolo e della funzione della Commissione bicamerale per le questioni regionali, in attesa del compimento della riforma costituzionale, a stabile garanzia della corretta applicazione della riforma in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale.

Questa è un'istituzione fondamentale nell'attuale momento di transizione, non per rendere eterno quanto si pensa essere soltanto provvisorio. Tuttavia, l'integrazione e l'attivazione della Bicamerale può essere utile ad impedire che la fase di avvio della riforma possa tradursi in una ripida e insidiosa salita.

Per conto del Gruppo di Alleanza Nazionale, desidero rassegnare all'Aula queste considerazioni e queste osservazioni, affinché se ne tenga conto nel prosieguo del dibattito e relativamente all'esito del disegno di legge al nostro esame. (Applausi dai Gruppi AN, FI, UDC:CCD-CDU-DE e LP).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Passigli. Ne ha facoltà.

 

PASSIGLI (DS-U). Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, la proposta di legge che abbiamo al nostro esame dà attuazione alla riforma del Titolo V votata al termine della scorsa legislatura.

Devo dare atto al ministro La Loggia di essersi fatto carico di questa attuazione, malgrado le note riserve che il centro-destra aveva espresso in sede di approvazione finale al Senato, dopo peraltro aver approvato la legge in altre sedi in precedenza.

Il senatore Bassanini ha già ricordato che il centro-destra espresse voto contrario non perché non condividesse la direzione della modifica in senso federalista dello Stato, nella quale la proposta di legge si muoveva, ma perché giudicava insufficiente la proposta di modifica del Titolo V. Quel voto a maggioranza non può essere oggi giudicato un precedente; si può giudicare quella riforma insufficiente e inadeguata, ma non si può accusare quel voto di aver stabilito il precedente che si modifica la Costituzione in un senso opposto a quello desiderato anche dall'opposizione. L'insufficienza e l'inadeguatezza nel percorrere un cammino - non entro nel valore di questo giudizio di merito - che ha una direzione che si condivide non vuol dire camminare in senso opposto, su una strada diversa.

Ciò detto, negato, quindi, qualsiasi precedente a quel voto, possiamo e dobbiamo chiederci se quel voto e la legge che oggi dà attuazione a quella riforma esauriscano il problema di dar vita ad un corretto federalismo.

E' evidente che la risposta non può che essere negativa e che rimane il problema di por mano ad una riscrittura del Titolo V della Costituzione. Ci auguriamo che ciò possa avvenire nell'ambito di un condiviso processo di più ampia riforma della nostra forma di Stato, ma noto che il progetto di devoluzione che il Governo e la maggioranza sostengono non va certo in quella direzione.

Quali sono dunque gli interventi che noi riteniamo necessari? Occorre porre mano ad una riscrittura dell'articolo 116, per fugare quei dubbi, espressi anche in questa sede dal presidente Pera, che sicuramente una migliore scrittura di quell'articolo avrebbe potuto evitare e potrebbe, in sede di riscrittura, fugare.

Occorre rivedere anche, a mio avviso, il regime dei poteri concorrenti, individuato dall'articolo 117, attribuendo alcune ulteriori materie alla competenza esclusiva delle Regioni, ma recuperandone altre alla competenza esclusiva dello Stato.

Io credo sia saggia politica costituzionale, in qualsiasi Costituzione, limitare al massimo l'area dei poteri concorrenti, che è sempre fonte di contenzioso costituzionale. A titolo personale, aggiungo che riterrei opportuno, anche al fine di evitare l'insorgere futuro di un contenzioso vasto, introdurre anche una norma di salvaguardia che, in materia di poteri concorrenti, preveda la prevalenza della legislazione statale, quando ciò sia richiesto da un superiore interesse nazionale; questo esiste in tutti i sistemi federali, non è una novità, e introdurlo non sarebbe certo lesivo di una corretta e più ampia attribuzione di poteri esclusivi alle Regioni. (Brusìo in Aula. Richiami del Presidente).

È appena il caso, credo, di aggiungere che una piena attuazione della logica che ha presieduto alla modifica del Titolo V non può non contemplare la futura creazione di una Camera delle Regioni. Parlo di Camera delle Regioni e non di Senato delle Regioni non perché ritenga che la rappresentanza dei livelli subnazionali di governo debba avvenire in sede di Camera dei deputati e non di Senato della Repubblica, ma perché ritengo che debba avvenire in quel ramo del Parlamento che abbia competenza sul bilancio dello Stato.

Se, come ritengo necessario e opportuno, ci indirizzassimo in futuro verso un bicameralismo funzionale, l'individuazione del ramo del Parlamento, Camera o Senato che sia, dove rappresentare le Regioni dipenderà, in ultima analisi, dall’allocazione di funzioni che il legislatore costituzionale vorrà fare. In questo senso credo si debba parlare oggi di Camera delle Regioni, piuttosto che di Senato delle Regioni.

Un'ultima annotazione. Credo che anche l'articolo 119 debba trovare rapida attuazione. Non è entrato nell'ambito di questa legge, ma credo sia urgente dare attuazione al federalismo fiscale. Ritengo però urgente anche prevedere norme di attuazione dell'articolo 119 che non penalizzino le aree deboli del nostro Paese, cioè sostanzialmente le Regioni meridionali. In tutti gli Stati federali esistono meccanismi - grants in aid, fondi perequativi, regimi fiscali differenziati - che si pongono come obiettivo il riequilibrio delle condizioni economiche sul territorio. Credo che questo sia un principio al quale dovremmo, in sede di riscrittura eventuale del Titolo V, dare esplicito riconoscimento.

Signor Presidente, in conclusione non posso non notare che questa legge, sulla quale confermo un giudizio positivo, è solo un passo intermedio, anche se necessario, in attesa di una necessaria, credo, e ben più radicale rivisitazione del Titolo V. Questa legge però è importante, perché essa, oltre a dare immediata attuazione, com'è doveroso, al nuovo Titolo V, fissa, anche per merito del ministro La Loggia, al contrario del disegno di legge sulla devoluzione, un metodo di confronto tra maggioranza e opposizione che mi auguro possa trovare riscontro anche se e quando affrontassimo la riforma della forma di Governo e dei temi che ad essa sono, nel contesto italiano, intimamente connessi.

E qui so di toccare nervi scoperti: mi riferisco ai temi del conflitto di interessi e dell'informazione. È difficile pensare - lo dico al termine di una giornata dedicata al dibattito sulle riforme istituzionali - ad un confronto a tutto campo sulla forma di governo senza valutare anche il regime delle incompatibilità e, in generale, il regime che regola il sistema dell'informazione.

Auspico in altre parole, signor Presidente, signori del Governo, che questa legge non rimanga un fatto isolato, una rondine che non fa primavera, l'eccezione che conferma la regola che questa maggioranza preferisce, anche in materia costituzionale, essere autosufficiente e rifiutare un reale confronto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Falcier. Ne ha facoltà.

 

FALCIER (FI). Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, il secondo dei cinque grandi progetti che la Casa delle libertà aveva indicato nel proprio programma per le elezioni del 13 maggio 2001 (il primo era la riorganizzazione di tutti gli apparati dello Stato) è la riforma dell'architettura istituzionale dello Stato, con la devoluzione alle Regioni della responsabilità per la scuola, per la sanità e per la difesa dei cittadini dalla criminalità urbana.

Cosa sta facendo questo Governo - e la maggioranza che lo sostiene - sull'argomento? Sta, piaccia o non piaccia, realizzando il programma presentato agli elettori. Pretendere che tutti collaborino all'attuazione di quel programma, o meglio del programma della Casa delle libertà sarebbe troppo, ma riconoscere che la maggioranza ha il diritto e il dovere di realizzarlo appare altrettanto logico.

La Casa delle libertà, quindi, vuole mantenere il patto con gli italiani e dimostrare che la fiducia data è stata ben riposta; desidera, soprattutto, evidenziare che non si è trattato solo di un impegno elettorale, ma di un programma da realizzare.

Dopo la riduzione delle imposte, l'aumento delle detrazioni fiscali, l'aumento delle pensioni minime, l'emanazione di numerose norme per dare maggiore fiducia alle forze dell'ordine, l'avvio delle grandi opere pubbliche con l'eliminazione di poteri di veto, è arrivato il momento della riforma dello Stato, della scuola e dei servizi pubblici.

La riforma dello Stato è la più complessa e complicata, ma ha certamente ragione il ministro Bossi quando pretende l'attuazione degli impegni assunti con gli italiani. È ormai lontana, direi, la cosiddetta "riforma Bassanini", ovvero - a mio avviso - l'obiettivo, attraverso una mole enciclopedica di norme, di decentrare a Comuni e Province materie prima gestite dallo Stato, tentando di conquistare l'alleanza degli enti locali nel confronto con le Regioni, che erano e restano, invece, l'unica via possibile per realizzare il federalismo e un vero decentramento dei poteri.

Non si sono avuti, probabilmente, in passato il coraggio e la coerenza di usufruire pienamente delle deleghe ricevute dal Parlamento e il tutto si è risolto in un "vorrei ma non posso".

Un complesso di norme, quello della "riforma Bassanini", che ha probabilmente stuzzicato l’appetito riformista e che è stato forse – permettetemi - l’ultimo tentativo per non realizzare il federalismo, che, ricordo, è fattibile solo con l’accordo con le Regioni, gli unici enti, oltre allo Stato, a poter approvare leggi e ad avere autonomia completa in alcuni settori.

Esaurito il tentativo, fallita successivamente l’attività della Bicamerale, con la campagna elettorale già iniziata, si è approvata la riforma del Titolo V della Costituzione, che il referendum del 7 ottobre 2001 ha ratificato, nell’indifferenza della maggioranza degli italiani.

La Casa delle Libertà si è trovata e si trova ora a dare attuazione ad una riforma della Costituzione, pur non avendola condivisa ed essendovisi a suo tempo opposta; al tempo stesso, ha l’obbligo di attuare il proprio programma, avviando un federalismo possibile e solidale che preveda uno Stato autorevole e ben organizzato, ma anche Regioni autonome con propria specialità.

Il Governo ha quindi proposto ed il Parlamento sta esaminando alcuni disegni di legge. Quello al nostro esame, l’Atto Senato n. 1545 (cosiddetto La Loggia, dal nome del Ministro per gli affari regionali), attua la riforma del Titolo V della Costituzione laddove necessario, inevitabile e probabilmente opportuno, incaricando il Governo di inventariare le norme statali che restano valide e quelle provvisoriamente utilizzabili, in accordo con le Regioni e gli enti locali, quasi a firmare un armistizio che riduca l’enorme massa di ricorsi alla Corte costituzionale che la riforma - occorre riconoscerlo - ha provocato.

Vi è una tale confusione, una tale incertezza interpretativa, unitamente all’eliminazione di ogni "controllo esterno" nelle attività degli enti locali, che siamo vicini all’anarchia gestionale, facendo credere a molti amministratori che una maggiore autonomia consista in maggiori risorse trasferite dallo Stato; vi sono Regioni che ricordano che la protezione civile e il settore industriale sono di loro competenza, salvo dimenticarsene in occasione di calamità naturali o della crisi della FIAT.

La riforma La Loggia è il tentativo di stabilire - a mio avviso - una tregua, ricorrendo al buon senso e alla corresponsabilità istituzionale, quasi "regolando il traffico agli incroci", in attesa di una riforma che almeno riduca l’elenco delle materie concorrenti nelle quali il conflitto è garantito e in cui lo Stato può solo fissare dei princìpi.

L’altra normativa, anch’essa già approvata dalla 1a Commissione e inserita nel calendario dei lavori dell’Aula, è in adempimento del nuovo articolo 122, primo comma, della Costituzione e fissa i princìpi fondamentali in materia di incompatibilità, ineleggibilità, sistemi elettorali, durata dei mandati che ogni Regione, in sostituzione di ogni altra norma esistente ed in grande autonomia, andrà ad attuare e disporre. Fissati i princìpi, cioè, ogni Regione stabilirà le regole.

Un’ulteriore norma riguarda la forma di governo, per la quale esistono alcune proposte parlamentari, la cui discussione è iniziata in 1a Commissione e sulle quali, mi pare di poter dire, sono individuate possibili intese.

La realtà è che la "dissoluzione" che qualcuno cita, il pericolo cioè di un conflitto permanente tra le istituzioni, è il frutto di una riforma affrettata, fatta da una maggioranza che voleva attribuirsi la paternità della riforma dello Stato in senso federalista e che ora, divenuta minoranza, non dovrebbe creare allarmismi di fronte al tentativo di rimettere ordine e di fare chiarezza nell’attuazione di quella riforma.

Nel merito, è da ricordare che le norme del nuovo Titolo V vanno certamente lette nell’ambito dell’intera Costituzione ed interpretate unitamente alle altre rimaste immutate.

Sullo specifico disegno di legge n. 1545, giova porre in evidenza che vengono chiarite ed avviate a soluzione alcune incertezze e si precisa che gli obblighi internazionali costituenti vincolo sono solo quelli che trovano riscontro nell’ordinamento costituzionale; che la normativa statale esistente su materie di competenza regionale resta applicabile fino a quando le Regioni non avranno ad intervenire in materia; che le Regioni, nelle materie a legislazione concorrente, possono legiferare anche in assenza di norme statali che dovranno fissare i princìpi fondamentali, che possono quindi, in mancanza di tali nuove norme, essere ricercati nella legislazione vigente; che si disciplinano competenze regionali in materia di rapporti internazionali e la modalità delle intese (a tale proposito, credo sia stata certamente utile l’audizione in 1a Commissione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, senatore Antonione); che introduce un controllo esterno finalmente - starei per dire - non preventivo non sugli atti, ma sul conseguimento degli obiettivi e sulla gestione finanziaria degli enti; che si regola il potere sostitutivo dello Stato, ai sensi dell’articolo 120 della Costituzione.

Si tratta - e mi avvio a concludere il mio intervento - di uno sforzo notevole volto a dettare regole nell’attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione. Sono state d’aiuto e determinanti nel raggiungimento di tale obiettivo la collaborazione con la Conferenza unificata Stato-Regioni ed enti locali, la pazienza, l’esperienza e la tenacia del ministro La Loggia.

È certamente un buon risultato, con la certezza di portare un aiuto al difficile percorso di creare un nuovo, diverso e migliore rapporto tra Stato, Regioni ed autonomie locali. (Applausi dai Gruppi FI, UDC:CCD-CDU-DE, AN, LP e del senatore Carrara. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale.

Ha facoltà di parlare il relatore, senatore Magnalbò.

 

MAGNALBO', relatore. Signor Presidente, non ho nulla da aggiungere alla relazione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore, senatore Pastore.

 

PASTORE, relatore. Signor Presidente, mi limiterò a sottolineare un passaggio per ragioni di completezza, dato che il dibattito non richiede repliche particolari.

Per quanto riguarda l’attuale difficoltà nell’attuazione del Titolo V della Costituzione, al di là delle scelte di merito, vorrei evidenziare che il Titolo V - come è emerso e credo sia condiviso da tutti, sia nei lavori in Commissione che nei dibattiti svolti al di fuori della Commissione di merito e di quest’Aula - manca di due pilastri fondamentali: le norme transitorie e la Camera delle Regioni.

Questi due elementi creano una difficoltà che, al di là della condivisione di una impostazione, abbiamo sempre fortemente criticato. Ripeto, quindi, che si tratta delle norme transitorie, cosa di cui soffriamo tutt’oggi, e della Camera delle Regioni: ci rendiamo tutti conto, infatti, che, in assenza della Camera delle Regioni, il federalismo è assolutamente zoppo.

 

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

 

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Signor Presidente, non ho nulla da aggiungere.

 

PRESIDENTE. Do lettura dei pareri espressi dalla 5a Commissione permanente sul disegno di legge in esame e sugli emendamenti:

"La Commissione programmazione economica, bilancio, esaminato il disegno di legge in titolo ed i relativi emendamenti trasmessi, ad eccezione dell'emendamento 6.150, per quanto di propria competenza, esprime parere di nulla osta sul testo, osservando che, difformemente dal parere reso alla Commissione di merito sul testo iniziale, nel comma 2, dell'articolo 6 non è stato previsto il concerto del Ministro dell'economia e delle finanze per la presentazione al Parlamento dei disegni di legge ivi indicati.

Esprime, altresì, parere contrario, ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, sugli emendamenti 1.0.100, 1.0.101, 1.0.102, 1.0.104, 1.0.105, 1.0.106, 6.116, 6.138, 6.119 (limitatamente ai commi 6 e 7), 6.134, 6.135, 6.136, 6.123, 9.104, 9.105 e 10.0.108, nonché limitatamente al comma 6-bis degli emendamenti 6.145, 6.146 e 6.147.

Esprime, inoltre, parere di nulla osta sugli emendamenti 6.143 e 6.144 a condizione che, ai sensi della medesima norma costituzionale, dopo le parole: "a tal fine" vengano aggiunte le altre: "con oneri a carico della Regione" e nel presupposto che si tratti di personale collocato in posizione di disponibilità o mobilità ai sensi dell'articolo 101 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

Esprime, infine, parere di nulla osta sui restanti emendamenti".

"La Commissione programmazione economica, bilancio, esaminati gli emendamenti 6.150 (testo 2), 9.108 (testo 2), 1.0.200 e 9.105, per quanto di propria competenza, esprime parere contrario, ai sensi dell’articolo 81 della Costituzione, sugli emendamenti 6.150 (testo 2) (limitatamente al comma 2-bis) e 1.0.200.

Esprime, altresì, parere di nulla osta sugli emendamenti 9.108 (testo 2) e 6.150 (testo 2) (limitatamente al comma 2).

A parziale rettifica del parere precedentemente reso, la Commissione esprime infine parere di nulla osta sull'emendamento 9.105, a condizione che, ai sensi dell’articolo 81 della Costituzione, vengano resi comunque indisponibili, nei relativi organici, un numero corrispondente di posti di funzione equivalente".

Do ora lettura dei pareri espressi dalla 1a Commissione permanente sul disegno di legge in esame e sugli emendamenti:

"La Commissione, esaminati gli emendamenti riferiti al disegno di legge in titolo, di cui al fascicolo n. 1, esprime parere contrario sui seguenti emendamenti: 1.102, 1.103, 1.106 e 1.115, che configurano l'adozione di norme statali di indirizzo che non coincidono con i princìpi fondamentali di cui all'articolo 117, comma terzo, della Costituzione, la cui determinazione spetta allo Stato nelle materie di competenza concorrente, né con le norme di competenza statale esclusiva, di cui all'articolo 117, comma secondo, lettera m), della Costituzione, volte alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; 1.105, che configura il riconoscimento di "norme quadro" per la legislazione regionale che non appaiono corrispondere ai princìpi fondamentali di cui all'articolo 117, comma terzo della Costituzione; 1.25, che determina una incongruenza del comma 3 configurando la possibilità che princìpi fondamentali possano essere determinati dallo Stato con fonte diversa dalla legge statale; 1.113, che pone un vincolo temporale alla potestà legislativa regionale che non risulta appropriato; 8.103, che prevede il ricorso diretto dei Comuni alla Corte costituzionale, in contrasto con l'articolo 134 della Costituzione; 9.109, che appare in contrasto con l'articolo 121, comma quarto, della Costituzione, che prevede che le leggi regionali siano promulgate dal Presidente della Regione.

La Commissione esprime inoltre un parere non ostativo con osservazioni sui seguenti emendamenti: 1.109 e 1.110, che pongono vincoli al procedimento normativo che andrebbero più opportunamente riformulati come eventuali integrazioni dei criteri direttivi di esercizio della delega di cui al comma 5 dell'articolo 1; 1.122, che determina una soppressione del parere della Conferenza Stato-Regioni che non appare opportuna; 1.142, che configura un obbligo di uniformare i procedimenti amministrativi di cui appare necessario approfondire la congruità rispetto alle competenze riconosciute a Regioni ed enti locali in merito all'esercizio di funzioni amministrative 1.0.100, 1.0.101, 1.0.102 e 1.0.104 che, ai rispettivi commi 8, configurano l'esercizio di poteri sostitutivi da parte dello Stato in materia di trasferimento di risorse regionali agli enti locali, che andrebbero riformulati al fine di individuare, in proposito, una procedura atta a garantire che i suddetti poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà e di leale collaborazione; 2.101, che, in luogo della Conferenza Stato-Regioni, prevede una procedura di consultazione di ciascuno dei consigli regionali la cui attuazione potrebbe risultare difficoltosa; 4.101, che prescrive il coinvolgimento dei consigli regionali nel procedimento volto a consentire la partecipazione di Regioni e province autonome alla fase formativa di diritto comunitario, che non appare rispettoso dell'autonomia organizzativa riconosciuta alle Regioni dall'articolo 123, comma primo, della Costituzione; 4.105 e 4.106, la cui formulazione appare restrittiva rispetto alle competenze riconosciute alle Regioni dall'articolo 117, comma quinto, della Costituzione, in merito alla loro partecipazione al procedimento normativo comunitario; 5.108, la cui formulazione appare restrittiva rispetto alle competenze riconosciute alle Regioni dall'articolo 117, comma nono, della Costituzione, in merito alla conclusione di accordi e intese internazionali; 6.123, 6.137 e 6.142, che configurano la creazione di un organismo di controllo di cui occorre verificare la compatibilità con l'autonomia organizzativa riconosciuta alle Regioni; 10.0.109, in relazione al quale appare opportuno precisare, al secondo periodo, che la determinazione dei princìpi fondamentali riguarda le materie di competenza concorrente.

Si segnala altresì che gli emendamenti 1.131 e 1.134 conferiscono al parere parlamentare un effetto che non appare congruo rispetto alle disposizioni sulla delega della funzione legislativa di cui all'articolo 76 della Costituzione.

La Commissione esprime, infine, parere non ostativo sui rimanenti emendamenti".

"Sull'ulteriore emendamento riferito al disegno di legge in titolo 1.0.200 la Sottocommissione esprime, per quanto di competenza, parere non ostativo".

Onorevoli colleghi, comunico altresì che gli emendamenti 10.0.100, 10.0.103. 10.0.104, 10.0.106, del senatore Pedrini e 10.0.101, 10.0.105, del senatore Eufemi, riguardano la durata del mandato del sindaco e del presidente della provincia.

L'emendamento 6.114, del senatore Del Pennino, riguarda disposizioni in materia di protezione civile.

L'emendamento 10.0.108, del senatore Eufemi, concerne l'istituzione di nuovi Comuni.

Tali emendamenti risultano estranei al contenuto del disegno di legge al nostro esame che riguarda esclusivamente l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge 18 ottobre 2001, n. 3, recante "Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione".

Le proposte in questione sono pertanto improponibili ai sensi dell'articolo 97, comma 1, del Regolamento.

Procediamo all'esame degli articoli, nel testo proposto dalla Commissione.

Passiamo all'esame dell'articolo 1, sul quale sono stati presentati emendamenti che invito i presentatori ad illustrare.

 

TURRONI (Verdi-U). Signor Presidente, intendo illustrare tutti gli emendamenti da noi presentati all’articolo 1, a cominciare dall’1.105 il quale prevede espressamente che: "Le leggi statali vigenti costituiscono norme quadro per la legislazione regionale".

Questo emendamento, come gli altri da noi presentati, cerca di contribuire a rendere più efficace una normativa che abbiamo lungamente atteso; riscontriamo però adesso, nell’atteggiamento del Ministro e del relatore, un’aprioristica chiusura rispetto a norme di assoluto e totale buon senso che abbiamo sollecitato e che vengono rifiutate perché provenienti da altre formazioni politiche, pur essendo state in altri momenti largamente accolte.

Per quanto ci riguarda, pur avendo sollecitato l’attenzione solo su un paio di questioni, riteniamo a questo punto di dover riproporre tutti i nostri emendamenti. È pertanto per questa ragione che riteniamo opportuno aggiungere alla fine del primo periodo del comma 2, dell’articolo 1, dopo le parole: "fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionale", la frase di cui ho dato precedentemente lettura.

L’emendamento 1.25 riguarda invece il terzo comma dell’articolo in esame ed è inteso a sopprimere le parole: "quali desumibili" che lasciano grande spazio interpretativo all’interno della legge.

L’emendamento 1.125 concerne il comma 4 del medesimo articolo ed è teso a sostituire le parole: "Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di seguito denominata: "Conferenza Stato-Regioni"" con le seguenti: "Conferenza unificata". Si tratta di una definizione molto più semplice e che corrisponde a quella con cui è universalmente nota la Conferenza Stato-Regioni. Dal momento che tale definizione è entrata nell’uso comune, non si capisce per quale motivo debba essere mantenuta la vecchia dizione.

Vi è inoltre l’emendamento 1.128, che riguarda una questione che ho avuto già modo di sollevare nel corso del mio intervento in discussione generale. In questo testo viene inserita una nuova fattispecie di comitato, il quale deve esprimere un parere al Governo; esso è composto da un eguale numero di deputati e senatori che appartengono alla Commissione affari costituzionali.

Il meccanismo è piuttosto complicato, ma efficace. La prima parte del comma 4 lo definisce, cioè stabilisce il doppio passaggio tra Governo e Commissione, in modo tale che nella prima lettura viene esaminato il provvedimento e le Commissioni esprimono il parere, il Governo recepisce tale parere e poi vi è la verifica definitiva della corrispondenza del parere al testo, così come è stato proposto nella sua stesura definitiva, da parte del Governo.

Ebbene, questo meccanismo funzionerebbe benissimo utilizzando le Commissioni parlamentari competenti, che hanno in base al Regolamento ben definite modalità di funzionamento. Ci troviamo invece in questo caso, ancora una volta, di fronte all'invenzione di un nuovo strumento: un comitato; quindi, ci permettiamo di sostenere che questo comitato debba essere soppresso, mantenendo in capo alle Commissioni parlamentari il compito di svolgerne le funzioni.

Infine, l'emendamento 1.142 prevede che debba essere garantita non solo l'unità giuridica ed economica, in seguito all'individuazione dei princìpi fondamentali e delle disposizioni statali rilevanti, ma anche l'unità amministrativa. Conseguentemente, essendo stato proposto di mantenere l'unità giuridica, economica ed amministrativa delle azioni delle amministrazioni, andrebbe prevista - come ho già rilevato nel mio intervento in discussione generale - l’uniformità dei procedimenti amministrativi e degli atti autorizzatori e concessori di competenza di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, che vengono modificati in maniera del tutto disomogenea nell’intero territorio nazionale, da luogo a luogo, sulla base della modifica del Titolo V della Costituzione, con un malinteso senso e una malintesa applicazione del federalismo che, in questo caso, si sostanziano come arbitrio nel decidere quali imprese, attività produttive, cittadini debbano sottostare a procedure diverse da luogo a luogo.

Garantendo invece l'uniformità dei procedimenti amministrativi, ci troveremmo di fronte a quella unificazione della risposta alle domande dei cittadini necessaria per evitare che questo si tramuti in un meccanismo che danneggia le economie, le imprese e gli operatori, proprio perché costretti a ricorrere a professionisti del luogo, imprese del luogo, tecnici del luogo, che sono i soli che conoscono quei procedimenti amministrativi. Quindi, abbiamo chiesto che venga superato questo gravissimo errore commesso dopo la riforma del Titolo V della Costituzione.

 

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, l’emendamento 1.110 si propone di evitare di far passare per princìpi fondamentali misure di tipo organizzativo. È molto frequente tale tentazione. È possibile che il modo di organizzare una competenza sia un principio fondamentale? Non penso, e quindi questo emendamento lo specifica.

L'emendamento 1.111 è volto a sopprimere due commi perché sembra piuttosto strano che il Parlamento si spossessi della facoltà di definire i princìpi fondamentali. I commi 4 e 5 conferiscono al Governo una delega per definire i princìpi fondamentali della legislazione, ma questa è una prerogativa tipicamente parlamentare, non governativa. Abbiamo terminato da poco un dibattito sulla necessità di un forte Parlamento con un forte Governo; questa è una tipica operazione legislativa affidata al Governo, con tutti i rischi che ciò comporta.

L'emendamento 1.131 riguarda il parere parlamentare sul modo in cui il Governo esercita la delega. È strano che si preveda un Comitato ad hoc, quando esiste una Commissione, prevista dalla Costituzione, per garantire le Regioni e le autonomie locali rispetto all'attività legislativa del Governo, cioè la Commissione bicamerale per le questioni regionali. L'attribuzione della facoltà di esprimere il parere a questa Commissione, che può raccogliere a sua volta i pareri delle Commissioni di merito, è più congruente e coerente con l'impianto normativo. L'emendamento 1.140 è rafforzativo di una disposizione già esistente; di portata maggiore è il successivo emendamento 1.141. Che cosa significa unità giuridica ed economica? Se è in gioco l'unità politica, la disposizione è rilevante, ma se l'unità giuridica ed economica significa omogeneità, applicazione indifferenziata di una regola in materia economica su tutto il territorio nazionale, si lede il principio dell'autonomia. L'emendamento specifica che è tutelata l'unità politica e conseguentemente sono tutelate le materie rilevanti a quel livello, e non già al livello della differenziazione giuridica ed economica sul territorio nazionale.

L'emendamento 1.146 tende a reintrodurre una disposizione, che a me sembra di maggior garanzia per le autonomie, presente nella prima stesura del disegno di legge.

L'emendamento 1.147 ribadisce, rispetto ad un'altra materia, il criterio per cui nell'esercizio della delega per la ricognizione della legislazione in atto non si qualifichino come principi fondamentali le disposizioni in materia organizzativa.

 

ROLLANDIN (Aut). Signor Presidente, l'inserimento della norma di cui all'emendamento 1.0.102/1 è stato richiesto e proposto al Ministro dall'UNCEM, l'Unione delle comunità montane. Queste ultime hanno fatto presente che a livello di organizzazione, di associazione o di unione di Comuni è opportuno richiamare le comunità montane.

Conosciamo al riguardo la sensibilità del Ministro, che in diverse occasioni ha anticipato l'esigenza di una revisione in termini costituzionali del ruolo delle comunità montane. Gli altri nostri emendamenti, che ho avuto modo di illustrare in altra sede, vanno in questa direzione.

PRESIDENTE. I restanti emendamenti si intendono illustrati.

Invito i relatori ed il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti in esame.

 

PASTORE, relatore. Esprimo parere contrario sugli emendamenti 1.100, 1.101, 1.102 e 1.103, mentre invito il presentatore a ritirare l'emendamento 1.104.

Esprimo altresì parere contrario sugli emendamenti 1.105 e 1.106, sui quali si è pronunziata negativamente anche la 1a Commissione.

Invito il presentatore a ritirare l'emendamento 1.107 perché è più corretto il testo in esame.

Esprimo parere contrario sugli emendamenti 1.25, 1.109, 1.110, 1.111, 1.112 e 1.113, in relazione al quale è contrario anche il parere della 1a Commissione.

Esprimo invece parere favorevole all’emendamento 1.114, trattandosi di una migliore formulazione del testo; si tratta di un emendamento di drafting in quanto si modifica soltanto la forma del periodo senza modificarne il senso.

Esprimo poi parere contrario all’emendamento 1.115 ed invito a ritirare gli emendamenti 1.116, che tra l’altro contraddice la questione della funzione meramente ricognitiva, e l’emendamento 1.117.

Per quanto riguarda l’emendamento 1.118, ne abbiamo discusso in Commissione; credo che siano criteri che vadano mantenuti, senza con questo modificare la funzione ricognitiva delle deleghe. Il parere è pertanto contrario. Lo stesso dicasi per quanto riguarda l'emendamento 1.119.

Invito poi a ritirare l'emendamento 1.120 ed esprimo parere contrario agli emendamenti 1.121, 1.122, 1.123, 1.124, 1.125 e 1.126.

Esprimo poi parere contrario all’emendamento 1.127, in quanto esclude la conferenza Stato-Regioni, e agli emendamenti 1.128 e 1.129.

L’emendamento 1.130 introduce sostanzialmente l’ultimo comma, sostituendo al Comitato delle Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato, la Commissione parlamentare per le questioni regionali, ma mantenendo immutata la procedura e le funzioni. Per tale ragione esprimo parere favorevole.

Invito poi a ritirare l'emendamento 1.131. L’emendamento 1.132 è in pratica assorbito dall’emendamento 1.130, che appunto sostituisce al Comitato la Commissione.

Invito altresì a ritirare l’emendamento 1.133 ed esprimo parere contrario agli emendamenti 1.134 e 1.135.

All’emendamento 1.136, a mia firma, vorrei sostituire le parole "sono individuate" con le parole "possono essere individuate"; questo emendamento mira a consentire al Governo, nella ricognizione, di individuare le leggi che dovrà verificare, considerando anche quelle che individuino delle riserve a favore dello Stato. Altrimenti questa zona resterebbe in ombra.

Esprimo poi parere contrario agli emendamenti 1.137 e 1.138 ed invito a ritirare gli emendamenti 1.139, 1.140 e 1.141.

Per quanto riguarda l'emendamento 1.142, propongo al presentatore, di sostituire l’ultimo comma con il seguente: "Conseguentemente aggiungere alla fine della lettera b) le seguenti parole: "nonché i principi generali in materia di procedimenti amministrativi e di atti concessori e autorizzatori."". Se il presentatore accetta tali modifiche, il mio parere è favorevole.

Esprimo quindi parere contrario all’emendamento 1.145 e invito a ritirare l’emendamento 1.144, perché la norma proposta genererebbe confusione.

Invito a ritirare l'emendamento 1.145a, altrimenti il parere è contrario, nonché gli emendamenti 1.146 e 1.147.

In considerazione del parere contrario espresso dalla 5a Commissione permanente, esprimo parere contrario sui restanti emendamenti ad eccezione del mio emendamento 1.0.200, che ritiro.

 

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Signor Presidente, esprimo parere contrario agli emendamenti 1.100, 1.101, 1.102, 1.103. Invito a ritirare l'emendamento 1.104. Esprimo poi parere contrario agli emendamenti 1.105, 1.106.

Invito a ritirare l'emendamento 1.107. Esprimo parere contrario agli emendamenti 1.25…

PRESIDENTE. Signor Ministro, mi scusi, ci sono differenze rispetto ai pareri espressi dal relatore?

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Credo solo su un aspetto. Sull'emendamento 1.114 del senatore Falcier c'è realmente un problema, nel senso che secondo la formulazione dell'emendamento, si dovrebbero sostituire le parole da: "In sede di prima applicazione" fino a "il Parlamento definirà i" con le altre: "Per orientare l'iniziativa legislativa dello Stato e delle regioni fino alla definizione, con legge dello Stato, dei".

Non si tratta soltanto di una modificazione di tipo formale. Nella realtà, da un esame un po’ più approfondito cambia parzialmente la filosofia dell'intervento rispetto a quanto è stato, con qualche fatica, concordato in Commissione affari costituzionali. Non c'è una opposizione di principio, è una diversa formulazione.

Quindi, il mio orientamento sarebbe di invitare il senatore Falcier a ritirare l'emendamento. Laddove non accedesse a questo invito, mi rimetterei all'Aula.

Per quel che riguarda gli altri emendamenti, anche nella modificazione formulata dal relatore dell'emendamento 1.142, del senatore Turroni, se quest'ultimo accetta la riformulazione del relatore, esprimo parere favorevole. Diversamente sarei contrario.

Su tutto il resto, concordo con il parere del relatore.

 

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 1.100, presentato dalla senatrice Thaler Ausserhofer e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 1.101, presentato dal senatore Petrini e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 1.102, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

Gli emendamenti 1.103, 1.106 e 1.115 sono pertanto preclusi.

Senatore Falcier, ritira l'emendamento 1.104?

LAURO (FI). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAURO (FI). Vorrei aggiungere la firma a questo emendamento e chiedere di trasformarlo in ordine del giorno per uno.

PRESIDENTE. Senatore Lauro, spetta al senatore Falcier darci questa risposta.

FALCIER (FI). Signor Presidente, credo di poter aderire all'invito del Ministro e quindi ritiro l'emendamento.

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 1.105, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Ricordo che l'emendamento 1.106 è precluso dalla reiezione dell'emendamento 1.102.

L'emendamento 1.107 si intende ritirato.

Metto ai voti l'emendamento 1.25, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 1.109, presentato dal senatore Petrini e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 1.110, presentato dal senatore Gubert.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 1.111, presentato dal senatore Gubert, identico all'emendamento 1.112, presentato dal senatore Cavallaro.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 1.113, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

Passiamo all'emendamento 1.114.

 

BASSANINI (DS-U). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BASSANINI (DS-U). Signor Presidente, il relatore ha presentato questo come un emendamento di migliore formulazione. In realtà vorrei sottolineare che, come peraltro correttamente rilevato dal ministro La Loggia, questo emendamento cambia uno dei punti fondamentali della scelta che in Commissione era stata operata.

Si era convenuto in Commissione, per le ragioni che diversi di noi hanno illustrato in discussione generale, che la definizione di nuovi princìpi fondamentali non può che spettare al Parlamento, che tra l'altro sarà assistito su questo terreno anche da un parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali; mentre la delega al Governo riguarda la ricognizione dei princìpi fondamentali fissati in passato nella legislazione.

Questa nuova formulazione rimette in dubbio questo punto, perché viene eliminata l'indicazione che i nuovi princìpi fondamentali saranno definiti con legge dal Parlamento.

Su questo punto, per noi assolutamente fondamentale, devo sottolineare che se dovesse essere modificato, verrebbero meno ragioni fondamentali del nostro consenso a questo testo e, ovviamente, cambierebbe anche il nostro comportamento in Aula. Devo preavvertire serenamente che questo potrebbe avvenire.

 

PRESIDENTE. Senatore Falcier, da più parti le è stato rivolto un invito a ritirare l'emendamento 1.114.

FALCIER (FI). Lo ritiro.

PRESIDENTE. Ricordo che l'emendamento 1.115 è precluso dalla reiezione dell'emendamento 1.102.

Gli emendamenti 1.116 e 1.117 si intendono ritirati.

Metto ai voti l'emendamento 1.118, presentato dal senatore Bassanini e da altri senatori, identico all'emendamento 1.119, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

L'emendamento 1.120 si intende ritirato.

Metto ai voti l'emendamento 1.121, presentato dal senatore Passigli.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 1.122, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 1.123, presentato dal senatore Muzio e da altri senatori, identico agli emendamenti 1.124, presentato dal senatore Malan, 1.125, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori, e 1.126, presentato dal senatore Crema e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 1.127, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 1.128, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 1.129, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.130.

 

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, poiché il successivo emendamento 1.131 soddisfa la stessa esigenza, aggiungerei, se i proponenti accettano, la firma all'emendamento 1.130 ritirando l'1.131.

 

PRESIDENTE. Ne prendo atto, senatore Gubert.

Metto ai voti l'emendamento 1.130, presentato dal senatore Scarabosio e da altri senatori.

 

È approvato.

L'emendamento 1.131 è stato ritirato.

L'emendamento 1.132 è assorbito dall'approvazione dell'emendamento 1.130.

Senatore Falcier, accoglie l'invito al ritiro dell'emendamento 1.133?

FALCIER (FI). Sì, signor Presidente, lo ritiro.

PRESIDENTE. L'emendamento 1.134 è precluso dall'approvazione dell'emendamento 1.130.

Metto ai voti l'emendamento 1.135, presentato dal senatore Bassanini e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 1.136 (testo 2), presentato dal relatore Pastore.

 

È approvato.

Metto ai voti l'emendamento 1.137, presentato dalla senatrice Thaler Ausserhofer e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 1.138, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

L'emendamento 1.139 si intende ritirato.

Senatore Gubert, accoglie l'invito al ritiro degli emendamenti 1.140 e 1.141?

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Sì, signor Presidente, li ritiro.

PRESIDENTE. Senatore Turroni, accoglie la modifica proposta dal relatore all'emendamento 1.142?

TURRONI (Verdi-U). Sì, signor Presidente.

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 1.142 (testo 2), presentato dal senatore Turroni e da altri senatori.

 

È approvato.

Metto ai voti l'emendamento 1.145, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

Gli emendamenti 1.144 e 1.145a si intendono ritirati.

Senatore Gubert, accoglie l'invito al ritiro degli emendamenti 1.146 e 1.147?

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Sì, signor Presidente, li ritiro.

PRESIDENTE. Metto ai voti l'articolo 1, nel testo emendato.

 

È approvato.

L'emendamento 1.0.100/1 è stato ritirato.

Stante il parere contrario espresso dalla 5a Commissione ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, l'emendamento 1.0.100 è improcedibile.

L'emendamento 1.0.102/1 è stato ritirato.

Stante il parere contrario espresso dalla 5a Commissione ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, gli emendamenti 1.0.101, 1.0.102 e 1.0.104, tra loro identici, sono improcedibili.

L'emendamento 1.0.200 è stato ritirato e pertanto l'emendamento 1.0.200/1 è decaduto.

Stante il parere contrario espresso dalla 5a Commissione ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, l'emendamento 1.0.105 è improcedibile.

L'emendamento 1.0.106 è stato ritirato.

Passiamo all'esame dell'articolo 2, sul quale sono stati presentati emendamenti che invito i presentatori ad illustrare.

 

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, mi sembra che se la Commissione bicamerale per le questioni regionali esprime il parere sull'altra attività, anche sui testi unici sarebbe più logico che fosse lei stessa a dare il parere. Quindi inviterei il Governo a riflettere su questa coerenza di impostazione.

 

PRESIDENTE. I restanti emendamenti si intendono illustrati.

Invito i relatori ed il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti in esame.

 

PASTORE, relatore. Signor Presidente, per quanto riguarda l'emendamento 2.102, voglio far presente che qui si tratta di un testo unico compilativo che approderà anche alla Commissione bicamerale per le questioni regionali, perché la procedura è quella di un atto formalmente amministrativo e quindi è la procedura che seguono gli atti di Governo, non mi sembra che sia necessario.

Invito quindi il presentatore al ritiro dell'emendamento 2.102, mentre su gli altri esprimo parere contrario, perché allungano troppo i termini dei pareri.

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Esprimo parere conforme a quello del relatore.

 

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 2.100, presentato dal senatore Cavallaro.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 2.101, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

Senatore Gubert, accoglie l'invito al ritiro dell'emendamento 2.102?

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Sì, signor Presidente, lo ritiro.

PRESIDENTE. Metto ai voti la prima parte dell'emendamento 2.103, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori, fino alle parole "con le seguenti".

 

Non è approvata.

Risultano pertanto preclusi la restante parte dell'emendamento 2.103 e l'emendamento 2.104.

Metto ai voti l'articolo 2.

 

È approvato.

Passiamo all'esame dell'articolo 3, sul quale sono stati presentati emendamenti che invito i presentatori ad illustrare.

 

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, già il collega ha attirato l'attenzione sul fatto che non sono menzionate le comunità montane, mentre si menzionano tutti gli enti locali e le Città metropolitane. Io credo che anche queste comunità abbiano potestà normativa per le loro leggi, non ne siano prive. Questo per quanto riguarda l'emendamento 3.100.

Spero che il Governo dia un segnale positivo in questa direzione.

 

BASSANINI (DS-U). Signor Presidente, noi abbiamo presentato alcuni emendamenti che tendono a garantire il rispetto dell'autonomia statutaria e normativa degli enti locali così com'è stabilito dal Titolo V. Il testo attuale di quest'articolo 3, sia pure in forma, diciamo, cauta e in qualche modo nascosta, però limita l'autonomia normativa degli enti locali, qual è definita dalla Costituzione.

In tema di organizzazione ci sono la Costituzione, gli statuti degli enti locali e i regolamenti di questi ultimi. Introdurre leggi statali e leggi regionali in materia di organizzazione interna degli enti locali vuol dire - a nostro avviso - limitare in modo improprio un ambito di autonomia normativa che è costruita dal nuovo Titolo V in termini di princìpi costituzionali, princìpi statutari e regolamenti degli enti locali. Si tratta solo dell'organizzazione interna degli enti locali, non di altro, ma è proprio questo, nel nuovo sistema, il nucleo essenziale dell'autonomia che deve essere riconosciuta loro: potersi organizzare come ritengono più opportuno.

Per tale ragione insisto su questi emendamenti, in particolare sul 3.104.

 

CAVALLARO (Mar-DL-U). Signor Presidente, mi associo ai contenuti espressi dal senatore Bassanini nutrendo le stesse preoccupazioni.

 

TURRONI (Verdi-U). Signor Presidente, visto che prima il Ministro non c'era intendo precisare una questione rimasta in sospeso in Commissione riguardante l'emendamento 3.103.

Signor Presidente, la questione è la seguente: il comma 2 dell'articolo 3 prevede che lo statuto, in armonia con la Costituzione e con i princìpi generali in materia di organizzazione pubblica, assicuri le garanzie delle minoranze (logicamente è la legge a stabilire le modalità con cui tali garanzie vengono assicurate) e le forme di partecipazione popolare.

Visto come il mondo si stava organizzando, avevamo proposto un emendamento che prevedeva che venissero garantiti anche i livelli essenziali delle garanzie delle minoranze e delle forme di partecipazione popolare la cui esclusione avrebbe violato quella Convenzione di Aarhus che il nostro Paese non solo ha sottoscritto, ma ha anche promosso, perché garantisce la partecipazione dei cittadini. Questo perché una modifica introdotta alla legge n. 241 del 7 agosto 1990 aveva escluso in modo particolare tutto il mondo associativo dalla possibilità di accedere agli atti della pubblica amministrazione perché non aveva la possibilità di dimostrare di richiedere quegli atti a tutela di situazioni giuridicamente rilevanti.

Dal momento che il Ministro in Commissione affermò che l'emendamento così come era formulato non andava bene, abbiamo trovato un'altra soluzione. La soluzione è quella che ho letto poco fa. Alla fine del comma 2 si aggiungono le seguenti parole: "garantendo a chiunque vi abbia interesse il diritto di accesso ai documenti amministrativi".

Si tratta di una questione di trasparenza che riporta la legge n. 241 del 1990 nella sua stesura originaria. Mi viene obiettato che vi sarebbero alcune difficoltà in proposito. Pertanto richiamo l'attenzione dei colleghi, in particolare del senatore Bassanini che è stato l'artefice di quella modifica, di esprimersi in merito.

Abbiamo fatto questo non pensando a ciò che avremmo provocato introducendo quella modifica e cioè abbiamo escluso, ad esempio, tutti i portatori di interessi diffusi, dalla possibilità di esercitare la loro missione. Per esempio, se si tutela un paesaggio, non si possono conoscere gli atti dei procedimenti che riguardano le minacce a quel paesaggio e così via.

Allora, proponiamo che sia garantita nello statuto del Comune per evitare questo esercizio sempre più restrittivo, una tutela sempre più limitata dei diritti dei cittadini, ma soprattutto delle forme associative, la possibilità, appunto, di accedere a questi documenti, senza quella limitazione che la legge n. 241 prevedeva.

Questa mi sembra una norma di assoluto buon senso, che risponde a quella richiesta che il Ministro in Commissione fece direttamente al sottoscritto, proprio con lo spirito di collaborazione a cui mi sono riferito nel mio intervento in sede di discussione generale e nel mio intervento precedente.

Chiedo sommessamente ai relatori, al Ministro e a quanti altri hanno a cuore la trasparenza degli atti amministrativi la partecipazione ai cittadini che non possiamo negare. Abbiamo discusso questa mattina di riforme costituzionali; una delle questioni più rilevanti e più significative è proprio la partecipazione dei cittadini al loro futuro, alla loro vita, alle decisioni che li riguardano. Ebbene, chiedo che questa semplice questione venga accolta.

PRESIDENTE. I restanti emendamenti si intendono illustrati.

Invito i relatori ed il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti in esame.

 

PASTORE, relatore. Signor Presidente, sull’emendamento 3.100, presentato dal senatore Gubert, vorrei brevemente svolgere una considerazione, che vale anche per altri emendamenti.

Stiamo approvando una legge di attuazione della Costituzione. La Costituzione parla di Stato, Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane e non di altre forme di aggregazione come le comunità montane, le comunità isolane, i consorzi e così via.

È evidente che poi c’è una "ricaduta" automatica, in base alle norme che disciplinano questi soggetti, per quanto riguarda le norme che in questo momento stiamo per approvare. Altrimenti rischieremmo (lo devo ricordare e chiedo ai colleghi di valutarlo) di omettere alcune realtà associative o comunque organizzative e domani un interprete della legge potrà dire che, poiché le comunità isolane non sono previste, questa norma non si applica ad esse perché sono citate solo quelle montane. Evitiamo, quindi, di precisare quello che è già previsto nell’ordinamento, soprattutto in quelle norme che hanno una valenza di carattere generale e astratto, e che mal si prestano a certe precisazioni assolutamente superflue.

Invito dunque il collega Gubert a ritirare l’emendamento 3.100.

Esprimo parere contrario sull’emendamento 3.101. Siamo tirati per la giacchetta da chi vuole che i citati "princìpi generali" vengano tolti e chi vuole vengano rafforzati: credo che il testo sia assolutamente equilibrato e che risponda ad un’esigenza di rispetto del testo costituzionale.

Esprimo quindi parere contrario anche sull'emendamento 3.102.

Voglio far presente al senatore Turroni, che ha illustrato l’emendamento 3.103, che tale proposta modificativa prevede che "sono stabiliti dallo Stato i livelli essenziali delle garanzie" e così via. Si tratta di un emendamento superfluo, perché tali livelli essenziali sono competenza dello Stato in relazione al secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione; se li ribadiamo ogni volta potrebbe apparire a chi interpreta i provvedimenti qualcosa di analogo a quanto ho osservato poc’anzi per le comunità montane e cioè che i livelli essenziali valgono solo per le garanzie delle minoranze e delle forme di partecipazione popolare. I livelli essenziali, invece, valgono per tutti i diritti sociali e politici. (Il senatore Turroni chiede di intervenire).

PRESIDENTE. Dopo le daremo la parola, senatore Turroni.

PASTORE, relatore. Inviterei poi i presentatori al ritiro dell’emendamento 3.104, perché effettivamente il testo della Commissione è in parte diverso, però non si discosta dallo spirito che ispira tale emendamento. Tra l’altro voglio far presente che in Commissione è stato aggiunto il periodo "che ne assicura i requisiti minimi di uniformità", che riguarda la procedura relativa all’organizzazione e alla gestione delle funzioni comuni.

Per le funzioni voglio anche aggiungere che molte di esse sono individuate dallo Stato, quindi credo che una certa forma di "interessamento" dello Stato all’organizzazione gestione e quindi qualche norma di indirizzo in questo caso non guasti: vale a dire il soggetto che attribuisce le funzioni come previste dalla Carta costituzionale, che per gli enti locali è lo Stato, ha - secondo me - anche il diritto-dovere di verificare come queste funzioni si svolgano, naturalmente rispettando l’autonomia dell’ente.

Per questa ragione, mi sembra che il contenuto dell’emendamento 3.104 risulti estremamente riduttivo e quindi invito i presentatori a ritirarlo.

Invito al ritiro anche per quanto riguarda gli emendamenti 3.105 e 3.106 identici.

Parere infine contrario sull’emendamento 3.107 per i motivi sopra esplicitati.

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Il parere del Governo è conforme a quello testé espresso dal relatore.

 

PRESIDENTE. Chiedo al senatore Turroni se accoglie l’invito del relatore ad una riformulazione dell’emendamento 3.103.

TURRONI (Verdi-U). Signor Presidente, come ho avuto modo di spiegare precedentemente, la riformulazione che intendiamo sottoporre all'Assemblea è volta ad aggiungere le parole: "garantendo a chiunque vi abbia interesse il diritto di accesso ai documenti amministrativi". Credo che si tratti di una proposta fattibile.

PRESIDENTE. Invito il relatore Pastore a pronunciarsi al riguardo.

PASTORE, relatore. Signor Presidente, questa aggiunta mi sembra superflua. Tuttavia, dal momento che non arrecherebbe alcun danno, non avrei nulla da obiettare e quindi mi rimetto al Governo per il parere definitivo.

 

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Signor Presidente, per la verità faccio fatica a comprendere la ragione di questo emendamento, dal momento che le garanzie delle minoranze e delle forme di partecipazione popolare - come è noto - sono già ben regolamentate. Infatti, per quel che riguarda l’accesso ai documenti amministrativi esiste già la legge n. 241 del 1990 che è ampiamente esaustiva dell’argomento; peraltro, è in fase di predisposizione una sua ulteriore modificazione migliorativa.

Pertanto, ammesso e non concesso che vi sia l’esigenza di una modificazione, a me pare fuori luogo prevederla in questa sede, giacché non c’entra niente con l’argomento di cui stiamo discutendo. Posso essere anche concettualmente d’accordo con la riformulazione proposta, ma, ripeto, non vedo come questa possa rientrare in questo disegno di legge.

TURRONI (Verdi-U). Signor Ministro, se garantisco la partecipazione, garantisco anche i diritti!

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Senatore Turroni, se lei mi sta chiedendo se la sua domanda è legittima, le rispondo di sì, e la stessa risposta vale anche se lei mi chiede se sono d’accordo; quello che le chiedo è che cosa c’entri con questo disegno di legge.

PRESIDENTE. Mi sembra di aver capito, signor Ministro, che lei è d’accordo sul merito della riformulazione, ma non sul suo inserimento in questa sede.

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Inviterei pertanto il senatore Turroni a

ritirare quest’emendamento o se vuole a trasformarlo in un ordine del giorno che sarà utile al fine di seguire questo orientamento quando affronteremo la materia.

 

BASSANINI (DS-U). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BASSANINI (DS-U). Signor Presidente, dal momento che la disposizione prevista dal comma 2 dell’articolo in esame indica i contenuti dello Statuto, anche se è vero che la sede propria sarebbe quella della legge generale in materia di procedimento amministrativo, non ci sarebbe nulla di male se l’emendamento fosse riformulato nel modo seguente: "garantendo l’accesso ai documenti amministrativi".

Ritengo, infatti, che la dizione proposta dal collega Turroni apra un problema, giacché non vi è dubbio che estenderebbe l’accesso a tali documenti sulla base di un semplice requisito di interesse. Ora, vi sono alcuni documenti amministrativi a cui secondo la legge attualmente in vigore hanno accesso tutti sulla base di una semplice dimostrazione di interesse ed altri, invece, a cui l’accesso è più limitato.

In questo modo noi interverremmo sulla sostanza della disciplina in materia di procedimento amministrativo e non so se questa sia la sede giusta per farlo. Se la formula fosse quella precedentemente citata, come relatore del disegno di legge in materia di procedimento amministrativo, non avrei nulla da eccepire.

GRILLOTTI (AN). Senatore Bassanini, in questo modo annulla i regolamenti comunali che aveva voluto per forza!

TURRONI (Verdi-U). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TURRONI (Verdi-U). Signor Presidente, accetto la formulazione proposta dal collega Bassanini, perché salva il principio che ho più volte invocato.

 

PRESIDENTE. Invito il rappresentante del Governo a pronunziarsi sull'emendamento, come riformulato.

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Signor Presidente, mi rimetto all'Aula. (Commenti dai Gruppi AN e LP).

PRESIDENTE. Colleghi, il Ministro è libero di esprimere il proprio parere; se coincidessero sempre con i nostri forse non ci sarebbe bisogno o di noi o del Governo.

Sull'emendamento 3.100 vi è stato un invito al ritiro. Chiedo al senatore Gubert se lo accoglie.

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Lo ritiro.

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 3.101, presentato dal senatore Bassanini e da altri senatori, identico all'emendamento 3.102, presentato dal senatore Cavallaro.

 

Non è approvato.

Passiamo alla votazione dell'emendamento 3.103 (testo 3).

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, esprimo il mio voto favorevole all'emendamento 3.103 (testo 3), come riformulato, nel senso che la partecipazione popolare è un valore, e può essere uno strumento anche per questo. Con le precisazioni espresse dal senatore Bassanini, credo che sarebbe utile se fosse approvato.

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 3.103 (testo 3), presentato dal senatore Turroni e da altri senatori.

 

Non è approvato. (Proteste del senatore Turroni).

Per fugare ogni possibile dubbio sul risultato della votazione, dispongo che essa venga nuovamente effettuata a scrutinio palese, mediante procedimento elettronico.

Metto ai voti l'emendamento 3.103 (testo 3), presentato dal senatore Turroni e da altri senatori, mediante procedimento elettronico.

 

Non è approvato.

Ricordo ai colleghi che vi è l'impegno di tutti per concludere l'esame del provvedimento questa sera.

Sull'emendamento 3.104 vi è stato un invito al ritiro. Chiedo ai presentatori se lo accolgono.

BASSANINI (DS-U). Signor Presidente, avevo illustrato il motivo per cui riteniamo questo emendamento molto rilevante. Pertanto, non posso accettare l'invito al ritiro e anzi ne chiedo con il sistema elettronico.

PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta di votazione con scrutinio simultaneo, avanzata dal senatore Bassanini, risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.

 

(La richiesta risulta appoggiata).

 

Votazione nominale con scrutinio simultaneo

PRESIDENTE. Comunico che da parte del prescritto numero di senatori è stata chiesta la votazione nominale con scrutinio simultaneo, mediante procedimento elettronico, dell'emendamento 3.104, presentato dal senatore Bassanini e da altri senatori.

Indìco pertanto la votazione nominale con scrutinio simultaneo, mediante procedimento elettronico.

I senatori favorevoli voteranno sì; i senatori contrari voteranno no; i senatori che intendono astenersi si esprimeranno di conseguenza.

Dichiaro aperta la votazione.

 

(Segue la votazione).

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

 

Ripresa della discussione del disegno di legge n. 1545

PRESIDENTE. Sugli emendamenti 3.105 e 3.106, fra loro identici, vi è stato un invito al ritiro. Invito i presentatori a pronunziarsi in proposito.

FASOLINO (FI). Signor Presidente, ritiro l'emendamento 3.105.

TURRONI (Verdi-U). Signor Presidente, insisto per la votazione del mio emendamento 3.106 e chiedo la verifica del numero legale.

 

Verifica del numero legale

PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.

 

(La richiesta risulta appoggiata).

Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.

 

(Segue la verifica del numero legale).

Il Senato è in numero legale.

 

Ripresa della discussione del disegno di legge n. 1545

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 3.106, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Passiamo alla votazione dell'emendamento 3.107.

 

Verifica del numero legale

TURRONI (Verdi-U). Su questo emendamento chiedo la verifica del numero legale. D'altronde, noi facciamo sempre quello che diciamo.

PRESIDENTE. Guardi, su questo mi sembra che ci sia stato un accordo all'unanimità dei Capigruppo; vedo però che non sempre questi accordi vengono rispettati.

Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.

 

(La richiesta risulta appoggiata).

Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.

 

(Segue la verifica del numero legale).

Ricordo che si era giunti all'esame questa sera a quest'ora perché all'unanimità la Conferenza dei Capigruppo aveva deciso di procedere all'esame di questo provvedimento, per concluderlo questa sera.

Il Senato è in numero legale.

 

Ripresa della discussione del disegno di legge n. 1545

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 3.107, presentato dal senatore Muzio e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Gli emendamenti 3.108 e 3.109 sono stati ritirati.

Metto ai voti l'articolo 3.

 

È approvato.

Colleghi, prima di passare all'esame dell'articolo 4, do lettura di un ulteriore parere espresso dalla 5a Commissione: "La Commissione programmazione economica, bilancio, esaminato l'emendamento 9.105 (testo 2), per quanto di propria competenza, esprime parere di nulla osta".

Passiamo all'esame dell'articolo 4, sul quale sono stati presentati emendamenti, che invito i presentatori ad illustrare.

 

KOFLER (Aut). Signor Presidente, gli emendamenti 4.104 e 4.113, nonché gli emendamenti riferiti all'articolo 5.100, 5.103 e 5.107, riguardano la partecipazione delle Regioni e delle Province in materia comunitaria, nonché l'attività internazionale delle Regioni e delle Province autonome.

Mentre la disposizione costituzionale all'uopo parla di materia di competenza delle Regioni e delle Province, il disegno di legge restringe tale dicitura alle materie di competenza legislativa. Questa circostanza ha rilievo perché la dizione "materia di propria competenza legislativa" è più ridotta di quella di "materie di propria competenza".

Quali esempi di materie di competenza, non necessariamente legislativa, delle Regioni si possono elencare: la potestà regolamentare delegata dallo Stato ex articolo 117, comma 6, la parità di accesso tra donne e uomini, ex articolo 117, comma 7, il favore per l'autonoma iniziativa dei cittadini, ex articolo 118, ultimo comma, altre competenze delegate.

Sorge quindi in alcuni il dubbio - ed in me la certezza - della incostituzionalità della norma proposta. Una legge ordinaria non può restringere la portata del dettato costituzionale. Per questo motivo abbiamo proposto di sopprimere la parole "legislativa".

L'emendamento 4.109 riguarda la composizione della delegazione del Governo che partecipa alla formazione degli atti comunitari. L'emendamento vuole garantire la presenza di almeno un rappresentante delle autonomie speciali. Sembra una richiesta opportuna e legittima in quanto il nostro ordinamento costituzionale prevede questi due tipi di autonomia, quella ordinaria e quella speciale. Sarebbe giusto che questa realtà trovi riscontro anche nella composizione della delegazione.

 

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, condividendo l'osservazione testé svolta, vorrei aggiungere la mia firma all'emendamento 4.109, se i presentatori me lo consentono.

L'emendamento 4.110 vorrebbe introdurre il principio secondo cui il Governo, qualora si discutano competenze soltanto regionali in sede di Unione, deleghi un rappresentante delle Regioni a trattare la questione, come capo delegazione del Governo. Non penso sia una proposta così rivoluzionaria; la scelta del rappresentante, entro una rosa di nomi, spetterebbe al Governo.

L'emendamento 4.116 rende più forte l'impegno dello Stato nel proporre il ricorso alla Corte di giustizia delle Comunità europee quando le Regioni ritengano che sia lesa la loro autonomia. Se si tratta di una sola Regione, può darsi che sia una valutazione errata, ma se la maggioranza delle Regioni ritiene sia stata compiuta una lesione, credo che il Governo dovrebbe proporre il ricorso alla Corte e l'emendamento suggerisce questo criterio.

 

STIFFONI (LP). Signor Presidente, vorrei riformulare l'emendamento 4.111, nel senso di sopprimere, al sesto alinea, le parole da "un sistema" fino alla parola "nonché".

L’emendamento in oggetto è volto a disciplinare il procedimento concernente la partecipazione e il ruolo delle Regioni nelle delegazioni italiane nella formazione degli atti normativi comunitari, nel caso specifico in cui la materia interessata sia di competenza legislativa residuale regionale, ai sensi dell’articolo 117, quarto comma, della Costituzione.

Si prevede in tale evenienza che la nomina del capo della delegazione italiana al Consiglio sia effettuata dal Governo d’intesa con le Regioni. Per agevolare tale obiettivo si prevede, sulla falsariga di quanto già previsto in altri ordinamenti, ad esempio quello belga e tedesco, la previa conclusione in Conferenza Stato-Regioni di un accordo di cooperazione tra lo Stato e le Regioni con cui saranno definiti i criteri generali per la determinazione delle materie.

Nelle more della conclusione l’accordo di cooperazione e in caso di mancato raggiungimento dell’intesa tra Stato e Regioni, il Governo può, entro un termine indicato, procedere comunque alla designazione del capo della delegazione.

 

PRESIDENTE. I restanti emendamenti si intendono illustrati.

Invito i relatori ed il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti in esame.

 

MAGNALBO', relatore. Signor Presidente, esprimo parere contrario agli emendamenti 4.100, 4.101 e 4.102.

Invito a ritirare l'emendamento 4.103.

Esprimo poi parere contrario agli emendamenti 4.104 e 4.105.

Invito a ritirare l'emendamento 4.106 ed esprimo parere favorevole agli emendamenti 4.107 e 4.108.

Inviterei poi i presentatori a riformulare l'emendamento 4.109 in modo che si attagli al testo del disegno di legge, perché nella sua attuale formulazione non consente di ottenere una norma che abbia un filo logico.

Esprimo quindi parere contrario all'emendamento 4.110 e favorevole all’emendamento 4.111, con la variazione che è stata proposta.

Esprimo poi parere contrario agli emendamenti 4.112 e 4.113.

Esprimo poi parere favorevole all’emendamento 4.114 qualora sia approvato in combinazione con l’emendamento 4.116 del senatore Gubert; in pratica, poiché ritengo che siano due testi connessi, esprimo parere favorevole sull’uno e sull’altro a condizione che siano approvati entrambi.

Esprimo quindi parere contrario all'emendamento 4.115.

Esprimo infine parere contrario all’emendamento 4.0.100.

 

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Signor Presidente, concordo con i pareri espressi dal relatore.

Vorrei solo riprendere una questione che, tra le cose dette, mi sembra quella più interessante. Mi riferisco all’emendamento 4.109, presentato dalla senatrice Thaler Ausserhofer e da altri senatori. Vorrei precisare che, per quanto si tratti di Regioni a statuto speciale - e nessuno credo possa dubitare di quanto mi siano care per ragioni di nascita - questo emendamento, così come formulato, sembra avere una qualche forma di attenzione in più rispetto alle altre quindici Regioni e questo non corrisponde ad un principio di uguale attenzione, che credo dobbiamo avere nei confronti di tutte le Regioni, ancorché confermando la specialità di alcuni statuti che credo nessuno voglia mettere in discussione.

Io inviterei a fare questa considerazione.

La formulazione dell'emendamento 4.111, così come è stato riformulato dal relatore, dà la possibilità alle Regioni di una partecipazione ben più pregnante rispetto a quella precedentemente prevista.

Se la senatrice Thaler e il senatore Kofler, nell'ambito della formulazione dell'emendamento 4.111, avessero abbastanza rapida fantasia per agganciare quel riferimento, potrei rivedere la nostra posizione. Diversamente, appare una eccessiva attenzione - chiamiamola così, vorrei usare una espressione diversa, ma preferisco non farlo - nei confronti delle Regioni a statuto speciale, che nello scenario interistituzionale italiano hanno certo un ruolo importante, ma non così differenziato rispetto a quello delle Regioni a statuto ordinario, proprio e anche a seguito della riforma del Titolo V.

Quindi, rilancerei in conclusione la palla al senatore Kofler, se egli è nelle condizioni di poterci dare un suggerimento nel corso di pochi secondi.

PRESIDENTE. Lo verifichiamo subito.

 

KOFLER (Aut). Signor Presidente, vorrei rispondere subito all'invito del relatore Magnalbò.

Direi che se la formulazione dell'emendamento 4.109, così come è presentata, non è chiara, allora basterebbe inserire, dopo la congiunzione: "e" la parola: "garantendo". Così, sicuramente, dal punto di vista logico la frase avrebbe senso e sarebbe anche facilmente comprensibile.

Ove non fosse accolta questa richiesta di approvazione dell'emendamento 4.109, per quanto riguarda l'emendamento 4.111, farei la stessa proposta di inserire nella seconda frase: "L'intesa è raggiunta in sede di Conferenza Stato-Regioni, sulla base di un accordo di cooperazione tra Governo e Regioni" le parole: "garantendo comunque la presenza di almeno un rappresentante delle autonomie speciali".

 

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Signor Presidente, vorrei concludere rapidamente questo discorso.

Stiamo parlando del capo delegazione, non ce n'è più di uno. Il capo delegazione, lo dice la parola stessa, è una persona sola. Come si fa a garantire anche…

Il capo delegazione è uno. Può essere - come è ovvio - che in sede di Conferenza Stato-Regioni venga designato una volta quello di una Regione a statuto speciale, un'altra volta quello di una Regione a statuto ordinario, ma come si fa a dire: "anche". Qui proprio non si può inserire, senatore Kofler.

L'attenzione c'è, ma come la concretizziamo?

PRESIDENTE. E' stato chiarissimo, Ministro.

Cosa ne pensa, senatore Kofler?

 

KOFLER (Aut). Vorrei essere chiaro anch'io.

Se parliamo soltanto del capo delegazione, ovviamente il discorso non fila. Se invece vogliamo comprendere nella frase anche la composizione della delegazione, allora avrebbe un senso.

Ritorno a sostenere l'emendamento 4.109, come da noi proposto, inserendo la parola: "garantendo" dopo la congiunzione "e".

PRESIDENTE. Quindi, lei inserirebbe questa garanzia di presenza nell'ambito della delegazione del Governo.

 

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Prego il senatore Kofler di seguirmi sulla seconda frase dell'emendamento Stiffoni. Si potrebbe scrivere che l'intesa è raggiunta in sede di Conferenza Stato-Regioni, sulla base di un accordo di cooperazione tra Governo, Regioni a statuto ordinario e Regioni a statuto speciale.

Questa è l'unica maniera per dare un'attenzione equipollente a entrambe le categorie di Regioni: essa garantisce tutti, le Regioni a statuto ordinario e quelle a statuto speciale. Diversamente, mi trovo costretto, realmente a malincuore, a dichiararmi contrario.

 

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 4.100, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 4.101, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 4.102, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori.

 

Non è approvato.

L'emendamento 4.103 si intende ritirato.

Metto ai voti l'emendamento 4.104, presentato dalla senatrice Thaler Ausserhofer e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 4.105, presentato dal senatore Passigli.

 

Non è approvato.

L'emendamento 4.106 si intende ritirato.

Metto ai voti l'emendamento 4.107, presentato dal relatore Pastore.

 

È approvato.

Metto ai voti l'emendamento 4.108, presentato dal relatore Pastore.

 

È approvato.

Passiamo all'emendamento 4.109. Domando ai presentatori se accolgono l'invito al ritiro.

 

KOFLER (Aut). Signor Presidente, non accolgo l'invito al ritiro e vorrei ritornare ancora, in sede di dichiarazione di voto, sull'emendamento 4.109 pregando l'Aula di approvarlo, in quanto garantirebbe una presenza delle autonomie speciali in seno alla delegazione, poiché quanto proposto dal Ministro per l'emendamento 4.111 ovviamente riguarda soltanto il capo delegazione e non risolve il problema della presenza in seno alla delegazione stessa.

Inoltre, chiedo che l'emendamento 4.109 venga votato con il procedimento elettronico.

 

BASSANINI (DS-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BASSANINI (DS-U). Signor Presidente, molto sommessamente e molto brevemente, una volta che si dice: "tenendo conto della particolarità delle autonomie speciali", mi sembra sia implicito che almeno un membro della delegazione rappresenti le autonomie speciali.

Quindi, consentire un voto favorevole a quest'emendamento del collega Kofler non credo rappresenti una sostanziale modifica rispetto al testo approvato dalla Commissione, è soltanto quasi un corollario di quello che è già scritto nel testo.

 

PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta di votazione con scrutinio simultaneo, avanzata dal senatore Kofler, risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.

 

(La richiesta non risulta appoggiata).

Metto ai voti l'emendamento 4.109 (testo 2), presentato dalla senatrice Thaler Ausserhofer e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Passiamo alla votazione dell'emendamento 4.110.

 

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, poiché lo scopo di quest'emendamento è simile a quello del 4.111, ritiro il 4.110 e, se il senatore Stiffoni consente, aggiungo la firma al 4.111 (testo 2).

Vorrei però chiedere al Governo se per caso mantiene la sua proposta, che è in ogni caso migliorativa; cioè, se accetta di aggiungere quella frase che prima ha sostenuto, mi sembra in ogni caso un miglioramento.

 

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Signor Presidente, l'ho detto e non posso che confermarlo. Se la proposta trova un accoglimento, non ho difficoltà.

PRESIDENTE. Mi scusi, ministro La Loggia, io capisco questo dibattito fra voi due, ma l'Aula non sa di cosa stiate parlando.

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Il senatore Gubert si riferisce a quel tentativo di convincere il senatore Kofler sull'emendamento 4.109.

PRESIDENTE. Ma l'emendamento 4.109 è già superato, è stato respinto.

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Io avevo proposto un'ulteriore modifica dell'emendamento 4.111 (testo 2) per indurre il senatore Kofler a rinunciare all'emendamento 4.109. Lui non ha rinunciato a tale emendamento, che è stato respinto.

PRESIDENTE. Quindi, vediamo se si intende recepire il subemendamento.

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Il senatore Gubert chiede al Governo se conferma la modifica che aveva proposto all'emendamento 4.111 (testo 2)e io rispondo che la confermo: se questo serve a dare un segnale di attenzione alle autonomie speciali, lo faccio volentieri.

 

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, dal punto di vista formale, si può configurare così la mia posizione: ritiro l'emendamento 4.110 e aggiungo la mia firma al 4.111 (testo 2), di cui chiedo l'ulteriore integrazione proposta dal Governo.

 

PRESIDENTE. Io la faccio votare, ma non è che qui si possano portare le proposte così, diciamo, buttandole nel piatto.

Prendo atto quindi della presentazione, da parte del Governo, della proposta di modifica dell'emendamento 4.111 (testo 2) avanzata dal ministro La Loggia.

 

STIFFONI (LP). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

STIFFONI (LP). Signor Presidente, apprezzo l'enorme buona volontà del ministro La Loggia, ma pur non avendo nulla in contrario a questo subemendamento, considero la specificazione delle Regioni a statuto ordinario e delle Regioni a statuto autonomo del tutto superflua.

 

BASSANINI (DS-U). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BASSANINI (DS-U). Signor Presidente, desidero aggiungere la mia firma all'emendamento 4.111 (testo 2) del senatore Stiffoni.

 

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 4.111 (testo 2)/1, presentato dal Governo.

 

È approvato.

Metto ai voti l'emendamento 4.111 (testo 2), presentato dal senatore Stiffoni e da altri senatori, nel testo emendato.

 

È approvato.

Metto ai voti l'emendamento 4.112, presentato dal senatore Petrini e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 4.113, presentato dalla senatrice Thaler Ausserhofer e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Passiamo alla votazione dell'emendamento 4.114.

BASSANINI (DS-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BASSANINI (DS-U). Dichiaro il voto favorevole sull'emendamento 4.114.

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 4.114, presentato dal senatore Cavallaro.

 

È approvato.

Metto ai voti l'emendamento 4.115, presentato dalla senatrice Thaler Ausserhofer e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 4.116, presentato dal senatore Gubert.

 

È approvato.

Metto ai voti l'articolo 4, nel testo emendato.

 

È approvato.

Metto ai voti l'emendamento 4.0.100, presentato dal senatore Petrini e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Passiamo all'esame dell'articolo 5, su cui sono stati presentati emendamenti che invito i presentatori ad illustrare.

 

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, con l'emendamento 5.101 si propone di non rendere preventiva la comunicazione al Ministero degli affari esteri e alla Presidenza del Consiglio dei ministri dell'attuazione e dell'esecuzione degli accordi internazionali ratificati. Trattandosi solo di attuazione e di esecuzione mi sembrerebbe un po' troppo stringente il controllo sull'autonomia delle Regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano.

Quanto all'emendamento 5.105, il comma 2 dell'articolo 5 del testo proposto dalla Commissione prevede che le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano possano concludere con enti territoriali interni a un altro Stato intese dirette a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale e si dice che tali intese non possano ledere gli interessi degli altri soggetti. Ma gli altri soggetti sono i Comuni e le Province, il che vuol dire che due Regioni confinanti non possono stabilire tra loro un'intesa se un Comune posto al confine ritiene che venga leso un suo interesse.

Mi sembra che lo Stato non osservi questo principio quando stipula accordi internazionali. Se, ad esempio, un accordo con il Marocco ledesse un interesse della Sicilia lo Stato italiano lo concluderebbe ugualmente, e allora non si capisce perché si debba prevedere una sorta di potere di veto per quel Comune che ritenga che un accordo tra Regioni leda un suo interesse.

Auspico, pertanto, che al comma 2 dell'articolo 5 vengano soppresse le parole: "o che ledano gli interessi degli altri soggetti di cui all'articolo 114, primo comma, della Costituzione".

Altri emendamenti tendono ad attenuare la portata del controllo politico su questi accordi. Ritengo che quando gli accordi sono legittimi, nell'ambito delle proprie competenze, il controllo politico da parte del Governo non possa essere così forte, così come per la presenza delle autorità consolari o diplomatiche è meglio che vi sia la richiesta della Provincia.

Infine, signor Presidente, ritiro l'emendamento 5.124 riguardante le comunità montane dal momento che accolgo l'obiezione avanzata dal relatore.

 

PRESIDENTE. I restanti emendamenti si intendono illustrati.

Invito i relatori ed il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti in esame.

 

MAGNALBO', relatore. Signor Presidente, esprimo parere contrario sugli emendamenti 5.100 e 5.101.

Invito al ritiro dell’emendamento 5.102, mentre esprimo parere contrario sugli emendamenti da 5.103 a 5.109. Invito altresì al ritiro dell’emendamento 5.110. Esprimo parere contrario sull’emendamento 5.111. Invito al ritiro degli emendamenti da 5.112 a 5.114. Esprimo parere contrario sugli emendamenti da 5.115 a 5.121. Per l’emendamento 5.122 mi rimetto all’Aula. Esprimo parere contrario sull’emendamento 5.124.

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Signor Presidente, esprimo parere conforme a quello del relatore.

 

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 5.100, presentato dalla senatrice Thaler Ausserhofer e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 5.101, presentato dal senatore Gubert.

 

Non è approvato.

L’emendamento 5.102 si intende ritirato.

Metto ai voti l'emendamento 5.103, presentato dalla senatrice Thaler Ausserhofer e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 5.104, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 5.105, presentato dal senatore Gubert.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 5.106, presentato dal senatore Passigli.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 5.107, presentato dalla senatrice Thaler Ausserhofer e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 5.108, presentato dal senatore Del Pennino.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 5.109, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Senatore Gubert, sugli emendamenti 5.110, 5.112, 5.113 e 5.114 sono stati avanzati inviti al ritiro. Intende mantenere gli emendamenti?

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, trattandosi di questioni di principio li mantengo e chiedo dunque che vengano posti in votazione.

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 5.110, presentato dal senatore Gubert.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 5.111, presentato dal senatore Passigli.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 5.112, presentato dal senatore Gubert.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 5.113, presentato dal senatore Gubert.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 5.114, presentato dal senatore Gubert.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 5.115, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 5.116, presentato dalla senatrice Thaler Ausserhofer e da altri senatori, identico all’emendamento 5.117, presentato dal senatore Gubert.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 5.118, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 5.119, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba, identico all’emendamento 5.120, presentato dal senatore Passigli.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 5.121, presentato dal senatore Passigli.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 5.122, presentato dal senatore Del Pennino.

 

Non è approvato.

L'emendamento 5.124 è stato ritirato.

Metto ai voti l’articolo 5.

 

È approvato.

Passiamo all'esame dell'articolo 6, sul quale sono stati presentati emendamenti che invito i presentatori ad illustrare.

 

ROLLANDIN (Aut). Signor Presidente, intervengo sull’emendamento 6.108 per spiegare che l’obiezione opposta dal relatore Pastore sulle comunità montane, in occasione dell’esame degli emendamenti presentati all’articolo 3, credo sia superata dal senso dell’articolo, dove sostanzialmente si dice che le altre funzioni amministrative non diversamente attribuite spettano ai Comuni che le esercitano attraverso l’organo che è già istituito, in questo caso le comunità montane.

 

BASSANINI (DS-U). Signor Presidente, illustrerò i due emendamenti presentati all’articolo 6. L’emendamento 6.116 è sostanzialmente assorbito dall’emendamento 6.150, presentato dal relatore Pastore. Esso mira a semplificare, sul modello di quanto già sperimentato in passato, il trasferimento dei beni e delle risorse necessarie ai Comuni, alle Province e alle Regioni, in attuazione del Titolo V. Siamo quindi sostanzialmente favorevoli al citato emendamento del relatore Pastore, che non è molto diverso dal nostro.

L’emendamento 6.119 riguarda invece la questione che era stata rimessa, in sostanza, dalla Commissione all’Aula circa i poteri attribuiti alla Corte dei conti.

Pensiamo che non vi sia dubbio sul fatto che possa essere riconosciuto alla Corte dei conti il potere di verificare il rispetto del Patto di stabilità e quindi l’equilibrio finanziario delle Regioni e degli enti locali.

Poteri ulteriori non sono compatibili con il Titolo V se non sono in termini di cooperazione, di collaborazione con le Regioni e gli enti locali, in particolare se sono formulati sotto forma di controllo sulla gestione, sulle attività, il che significa inevitabilmente interferenza nella loro autonomia.

Abbiamo cercato, con spirito di collaborazione, di riformulare in un emendamento una definizione di questi poteri di controllo della gestione. Riteniamo peraltro essenziale, sotto questo profilo, il fatto che le sezioni regionali della Corte dei conti siano dotate di personale in grado di svolgere il controllo sulle gestioni. Consiglieri esclusivamente laureati in giurisprudenza non sono in grado di farlo.

Il controllo sulla gestione non può essere condotto da persone che hanno una competenza esclusivamente giuridica. Il rischio è che si traduca in un nuovo controllo formalistico sugli aspetti attinenti alla legittimità degli atti e alle procedure.

Insistiamo, quindi, su tale emendamento, rilevando che questa era la principale questione rimessa dalla Commissione alla valutazione dell’Assemblea.

 

PRESIDENTE. I restanti emendamenti si intendono illustrati.

Invito i relatori ed il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti in esame.

 

PASTORE, relatore. Signor Presidente, esprimo parere contrario sull’emendamento 6.100. In ordine all’emendamento 6.101, c’è un invito al ritiro per le ragioni già esposte.

Esprimo parere contrario sugli emendamenti 6.102, 6.103 e 6.104 (questi ultimi due di contenuto identico). Esprimo poi parere favorevole sull’emendamento 6.105 e contrario sull’emendamento 6.106. Invito quindi i presentatori a ritirare l’emendamento 6.107.

Per quanto riguarda gli emendamenti 6.108, 6.109, 6.110, 6.111 e 6.112, mi rimetto al Governo. Naturalmente se il Governo esprimerà un parere favorevole, ritirerò l’emendamento 6.113, che ha una formulazione più essenziale rispetto alle proposte modificative che lo precedono. Questo gruppo di emendamenti prevede il rinvio alle forme associate dei Comuni, anche mediante le unioni dei Comuni e le comunità montane. Ritengo superflua questa aggiunta, però essa non danneggia il testo. Pertanto, poiché questi emendamenti sono stati presentati da un buon numero di senatori, se il Governo non riscontra ostacoli mi rimetterò al suo parere.

L’emendamento 6.114 è stato dichiarato improponibile. Esprimo, quindi, parere contrario sull’emendamento 6.115.

Per quanto riguarda l’emendamento 6.150 (testo 2), sul quale vi è un parere contrario della 5a Commissione permanente relativamente al comma 2-bis, potrei eventualmente ritirare quest’ultimo mantenendo il comma 2, che è simile, ma non identico, all’attuale testo del provvedimento.

Esprimo parere contrario anche sull’emendamento 6.116, poiché su di esso la 5a Commissione permanente ha espresso parere contrario ed esprimo altresì parere contrario anche sugli emendamenti 6.117 e 6.118.

Per quanto riguarda l’emendamento 6.119 e tutti gli altri emendamenti relativi alla Corte dei conti, il parere è articolato e, pertanto, chiedo ai colleghi di avere un po’ di pazienza.

PRESIDENTE. Scusi se la interrompo, senatore Pastore, ma vorrei chiedere al senatore Bassanini se intende eliminare i commi 6 e 7, contenuti nell’emendamento 6.119, sui quali la 5a Commissione permanente si è espressa in senso contrario.

BASSANINI (DS-U). No, chiederemo il voto a termini di Regolamento.

PRESIDENTE. Va bene.

Prego il relatore, senatore Pastore di proseguire nella formulazione dei pareri sugli emendamenti presentati all’articolo 6.

PASTORE, relatore. Sul comma 4 dell’emendamento 6.119 esprimo parere favorevole, anche perché riscrive tutto il comma 4 dell’articolo 6 del testo proposto dalla Commissione, salvo il fatto che aggiunge in fine una parte che viene incontro ad una richiesta già formulata (tra l’altro, si pone la medesima esigenza anche in un testo da me presentato), quella cioè che le sezioni regionali riferiscano sugli esiti agli organi rappresentativi. Chiedo, però, ai presentatori che venga precisato "ai consigli degli enti controllati". In questo modo, credo che la norma si possa meglio indirizzare.

Anche sul comma 5 esprimo parere favorevole, tenendo però presente che c’è una analoga formulazione del relatore; tuttavia può essere tranquillamente accolta anche questa, contenuta nell’emendamento del senatore Bassanini.

Per quanto riguarda il comma 6, esso va distinto in più parti. Pensavo che il parere della 5a Commissione fosse stato espresso solo su una parte di tale comma. Il mio parere, sul piano politico-parlamentare, prescindendo quindi dal parere formulato dalla 5a Commissione permanente, sarebbe favorevole fino alle parole: "n. 385", con una unica perplessità sul numero dei componenti, cioè tre anziché due, come previsto nel testo del disegno di legge. Ci sarebbe infatti la singolarità di una sezione di controllo che opera in numero pari (tre più tre); credo che avrebbero delle difficoltà.

Su questo punto, solo relativamente al numero dei componenti, mi rimetto al Governo. Il periodo successivo è già contenuto nel testo del disegno di legge e poi vi è un’aggiunta relativa ai segretari comunali.

Rispetto a quest'ultima esprimo parere favorevole, con una integrazione richiesta espressamente dalla Commissione bilancio.

PRESIDENTE. Le faccio presente, che su tutto il comma in esame la Commissione bilancio ha espresso parere contrario.

PASTORE, relatore. Se la Commissione bilancio ha espresso parere contrario sui commi 6 e 7 dell’emendamento in esame non posso che farlo anch’io. Speriamo di poter recuperare queste norme nell’ambito di emendamenti successivi che intervengono invece parzialmente sui commi, senza riscriverne interamente il testo e sui quali mi sembra che la Commissione bilancio non abbia manifestato obiezioni. Riguardo al comma 8 mi rimetto al parere del Governo, anche se personalmente lo ritengo superfluo.

Esprimo parere contrario agli emendamenti 6.120, 6.121, 6.122 tra loro identici, e sull'emendamento 6.123. Faccio inoltre presente che l’emendamento 6.124 da me presentato risulterebbe assorbito, in quanto identico, a seguito dell’approvazione del comma 4 dell’emendamento 6.119 del collega Bassanini.

Lo stesso discorso vale per quanto riguarda l’emendamento 6.127 che porta anch’esso la mia firma e che risulterebbe assorbito dall’approvazione del comma 5 dell’emendamento 6.119 del senatore Bassanini, al quale chiedo però di sostituire le parole: "nelle materie di cui all’articolo 88 del Regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440" con le seguenti: "in materia di contabilità pubblica". Si tratta infatti di una norma di carattere più generale ed ampio.

Ritiro l’emendamento 6.125. Esprimo parere contrario sull’emendamento 6.126. Esprimo parere favorevole sugli emendamenti 6.128, 6.129, 6.130 e 6.131, tra loro identici, che credo verrebbero anch’essi assorbiti dalla riscrittura del comma 5 prevista dall’emendamento 6.119. Parere invece contrario sugli emendamenti 6.132 e 6.133, identici, e 6.134, 6.135 e 6.136, anch'essi identici.

Invito al ritiro per quanto riguarda l’emendamento 6.137. Esprimo altresì parere contrario agli emendamenti 6.138, 6.139 e 6.140. Parere favorevole sull’emendamento 6.141, salvo l’assorbimento cui ho fatto già riferimento. Invito al ritiro per quanto riguarda l'emendamento 6.142. Desidero far presente ai colleghi che hanno presentato il maxiemendamento 6.119 che l’emendamento 6.144, identico all'emendamento 6.133, prevede l’utilizzazione dei segretari comunali e provinciali. Rispetto a questa formulazione non vi è un parere del tutto contrario da parte della Commissione bilancio, ma con osservazioni; ritengo quindi che riformulandolo nel senso di inserire l’espressione: "con oneri a carico della Regione", esso potrebbe essere posto ai voti senza problemi. Esprimo altresì parere contrario sugli emendamenti 6.145, 6.146 e 6.147.

 

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Signor Presidente, sono sostanzialmente d’accordo con il parere espresso dal relatore.

Vorrei soltanto soffermarmi su alcune questioni specifiche rispetto alle quali il relatore mi ha invitato ad esprimermi. Un primo problema riguarda gli emendamenti identici a partire dal 6.108 fino all’emendamento 6.112.

Per quello che riguarda l'argomento comunità montane, sarei favorevole all'emendamento 6.113 del relatore, mentre sono contrario agli altri. Tuttavia inviterei il relatore a modificare il proprio emendamento aggiungendo, in fine, le parole: "anche mediante le comunità montane e le unioni dei Comuni". Se in tal senso riformulato, esprimerei parere favorevole su questo emendamento e contrario agli altri, che risulterebbero in esso assorbiti.

Per quanto riguarda l'argomento relativo alla Corte dei conti, non ho difficoltà ad accettare che i componenti designati siano in numero di tre, anche perché corrispondono alle tre istituzioni, Regioni, Comuni e Province. Il fatto che si possa comporre una sezione di numero pari non credo sia ostativo al poter concedere questa rappresentanza.

PRESIDENTE. Qui comunque vi è il parere contrario della 5a Commissione. Mi sembra che sia stato richiesto il parere del Governo in relazione al comma 8 dell'emendamento 6.119.

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Sul comma 8 sono favorevole.

Sono altresì favorevole all'emendamento 6.150 (testo 2), limitatamente alla prima parte.

 

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 6.100, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Sull'emendamento 6.101 vi è stato un invito al ritiro, su cui chiedo al presentatore di pronunziarsi.

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Accetto l'invito e ritiro il mio emendamento, dato che l'emendamento del relatore 6.113 recupera il concetto in altra forma.

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 6.102, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 6.103, presentato dal senatore Cavallaro, identico all'emendamento 6.104, presentato dal senatore Petrini e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 6.105, presentato dal senatore Tunis e da altri senatori.

 

È approvato.

Metto ai voti l'emendamento 6.106, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

Sull'emendamento 6.107 vi è stato un invito al ritiro, su cui chiedo al presentatore di pronunziarsi.

 

EUFEMI (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, dopo le parole del relatore, con le quali praticamente si ricomprende la norma contenuta nel mio emendamento nell'emendamento 6.113, accolgo l'invito al ritiro, in quanto tali parole sono esaustive rispetto alla necessità di ricomprendere gli enti camerali nell'ambito della sussidiarietà orizzontale, rilevando altresì che ciò è per salvaguardare le funzioni esercitate dalle Camere di commercio, al fine di renderle come possibili soggetti, destinatari di ulteriori funzioni.

Noi abbiamo svolto già in Commissione un lavoro che è risultato positivo; numerosi emendamenti sono stati accolti. Questo rappresentava un ulteriore affinamento, che trova completamento nell'emendamento 6.113 del relatore, come riformulato.

ROLLANDIN (Aut). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROLLANDIN (Aut). Signor Presidente, l'integrazione consigliata dal Ministro corrisponde esattamente alla formulazione dell'emendamento 6.108; non so se il Ministro lo abbia letto, ma vorrei sottolineare che esso corrisponde esattamente a quanto suggerito dal Governo.

 

PRESIDENTE. Gli emendamenti 6.108, 6.109, 6.110, 6.111 e 6.112 si intendono pertanto ritirati, riconoscendosi i loro presentatori nell'emendamento 6.113 (testo 2) del relatore Pastore.

Metto ai voti l'emendamento 6.113 (testo 2), presentato dal relatore Pastore.

 

È approvato.

L'emendamento 6.114 è improponibile.

Metto ai voti l'emendamento 6.115, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

Passiamo alla votazione dell'emendamento 6.150 (testo 2).

 

BASSANINI (DS-U). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BASSANINI (DS-U). Signor Presidente, vorrei capire, perché questo è un punto importante, se stiamo votando il testo integrale dell'emendamento del relatore o soltanto una sua parte?

PRESIDENTE. Stiamo votando la prima parte, escluso il comma 2-bis.

BASSANINI (DS-U). Signor Presidente, riservandomi di fare eventualmente mio il testo del comma 2-bis, chiedo che sia votato l'intero testo dell'emendamento del relatore. Mi rivolgo al Governo: stiamo concedendo, con il comma 2-bis, un potere ulteriore all'Esecutivo per accelerare, sotto la responsabilità e in base a scelte del Governo, i trasferimenti di risorse alle Regioni, alla Province e ai Comuni.

Non vedo niente di male in questo, essendo definiti esattamente i termini della norma. Se facciamo passare tutto attraverso leggi collegate alla finanziaria, le Regioni, le Province e i Comuni avranno queste risorse tra due o tre anni; sono tempi troppo lunghi. Conveniamo sull'opportunità di conferire questo potere al Governo nell'interesse generale; ci stupisce il fatto che la maggioranza, dopo aver presentato con la firma del relatore questo emendamento, e dopo aver constatato che l'opposizione è d'accordo nel conferire un potere in più al Governo, ritiri questa proposta. Se vi è il parere contrario della Commissione bilancio chiederò il supporto di quindici colleghi per votare la seconda parte dell'emendamento, che reca il comma 2-bis. In ogni caso, poiché noi voteremo a favore, non vi è alcun rischio che manchi il numero legale.

 

PRESIDENTE. Senatore Bassanini, voteremo l'emendamento per parti separate.

Metto ai voti la prima parte dell'emendamento 6.150 (testo 2), presentata dal relatore Pastore, fino alle parole "dell'articolo 119 della Costituzione".

 

È approvata.

Chiedo al senatore Azzollini se ha qualcosa da aggiungere al parere espresso dalla 5a Commissione sulla restante parte dell'emendamento.

AZZOLLINI (FI). No, signor Presidente.

PRESIDENTE. Poiché sulla seconda parte dell'emendamento la 5a Commissione ha espresso parere contrario, ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, invito il senatore segretario a verificare se la richiesta di votazione, avanzata dal senatore Bassanini, risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.

 

(La richiesta risulta appoggiata).

 

Votazione nominale con scrutinio simultaneo

PRESIDENTE. Ai sensi dell'articolo 102-bis del Regolamento, indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo, mediante procedimento elettronico, della seconda parte dell'emendamento 6.150 (testo 2), presentato dal relatore Pastore.

I senatori favorevoli voteranno sì; i senatori contrari voteranno no; i senatori che intendono astenersi si esprimeranno di conseguenza.

Dichiaro aperta la votazione.

 

(Segue la votazione).

 

Il Senato non approva. (v. Allegato B).

 

Ripresa della discussione del disegno di legge n. 1545

PRESIDENTE. L'emendamento 6.116 risulta precluso a seguito dell'approvazione della prima parte dell'emendamento 6.150 (testo 2).

Metto ai voti l'emendamento 6.117, presentato dalla senatrice Thaler Ausserhofer e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 6.118, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

Passiamo alla votazione dell’emendamento 6.119.

 

BASSANINI (DS-U). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BASSANINI (DS-U). Signor Presidente, vorrei chiedere la votazione per parti separate di questo emendamento nei suoi singoli commi.

Per quanto riguarda i commi 6 e 7 sui quali c’è il parere contrario della Commissione bilancio, chiedo che vengano messi in votazione.

Le chiedo poi di mettere in votazione la prima parte del comma 6, fino alle parole "8 luglio 1977, n. 385" su cui mi sembra che il parere del relatore sia favorevole, i due periodi successivi, fino alle parole "sezioni regionali" e, infine, gli ultimi due periodi.

Questi ultimi chiedono semplicemente che ai concorsi che vengono banditi - quelli che sono previsti e che quindi non comportano un onere - sia riservata una parte dei posti a laureati in scienze economico-aziendali o in scienze dell’economia, in modo da far sì che le sezioni della Corte dei conti, non formate a questo punto esclusivamente da giuristi, siano effettivamente in grado di effettuare un controllo sulla gestione. Infatti, i laureati in giurisprudenza non sono in grado di effettuare seriamente il controllo sulla gestione e finiscono per diventare gente che, "di riffa o di raffa", cerca di mandare gli amministratori locali per giudizi di responsabilità di fronte alle sezioni della Corte dei conti.

Ora, pur richiedendo per ragioni formali la votazione anche per quest’ultima parte, nessuno mi può dire che in questo caso vi è un problema di copertura, perché non stiamo prevedendo nuovi concorsi ma solo cambiando le regole relative a concorsi già previsti in base all’ordinamento vigente.

 

PRESIDENTE. Senatore Bassanini, stiamo cercando di verificare con il Presidente della Commissione bilancio se, in merito a quest’ultima parte del comma 6 dell’emendamento 6.119 sia ipotizzabile il parere favorevole da parte della 5a Commissione permanente. Non mi sembra che questa parte comporti oneri, ma l’esperto è il presidente Azzollini.

 

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Signor Presidente, a proposito della prima parte del comma 6, rammento che su quest'ultimo è stato espresso un parere contrario da parte della 5a Commissione permanente, la cui motivazione - se ben ricordo - era collegata al fatto che non era precisato ciò che sembrava peraltro implicito, e cioè che l’integrazione della Sezione regionale di controllo, i tre componenti designati, sono di tutta evidenza, almeno così sembrava, a carico delle Regioni e non, come ovvio, a carico dello Stato.

Se ciò venisse chiarito anche nel corpo di questo comma, credo che verrebbe meno il parere contrario della Commissione bilancio che, se non ricordo male riguardava proprio questo aspetto. Recupereremmo in questo modo l’aspetto essenziale di questo articolo, cioè quello di riconoscere a livello locale tre rappresentanti scelti nel modo descritto. I rappresentanti sono proprio tre - e ciò era stato oggetto di discussione - in quanto rappresentativi dei tre livelli istituzionali.

Volevo ulteriormente precisare questo aspetto, perché ho la sensazione che all'ultimo momento probabilmente ci sia stata una non perfetta comprensione tra tutti i soggetti interessati.

Se il presidente Azzollini potesse confermarci questo, credo che con tale semplice correzione verrebbe meno il parere contrario della Commissione bilancio e recupereremmo una parte essenziale dell'articolo in esame.

 

PRESIDENTE. Colleghi, visto che è stato posto tale quesito, per lasciare il tempo al presidente Azzollini di approfondire l'argomento, credo sia il caso di passare ai successivi articoli che nulla c'entrano con quello in esame e, poi, ritornare sull'articolo 6 una volta avuta la risposta della Commissione bilancio, perché mi sembra che il passaggio su questo emendamento incida sulle restanti votazioni che poi dobbiamo svolgere.

Pertanto, dispongo l'accantonamento dei restanti emendamenti presentati all'articolo 6.

Passiamo all'esame dell'articolo 7, sul quale sono stati presentati emendamenti che invito i presentatori ad illustrare.

 

KOFLER (Aut). Signor Presidente, l'emendamento 7.101 prevede di sopprimere le parole "anche normativi", in quanto il testo, così come proposto, è da ritenersi incostituzionale.

Prevedere in una disposizione di legge ordinaria che il potere sostitutivo si possa esplicare con l'esercizio di una funzione normativa, evidentemente sposta la competenza normativa stessa - legislativa o regolamentare che sia - in contrasto con la Costituzione stessa. Ripeto che una norma di legge ordinaria non può derogare l'assetto delle competenze così come stabilito dalla Costituzione.

L'emendamento 7.109 riguarda il comma 6 e chiarisce che nelle materie di cui all'articolo 117, terzo e quarto comma, lo Stato non può adottare atti di indirizzo e di coordinamento. La formulazione utilizzata potrebbe indurre a ritenere che, invece, nelle altre materie, ossia in quelle di legislazione esclusiva dello Stato, di cui al secondo comma dell'articolo 117, tali atti possano essere adottati.

Ricordo che già nel corso dell'indagine conoscitiva svolta dalla 1a Commissione permanente è emersa l'opinione secondo cui nel nuovo ordinamento non è sostenibile la sussistenza della funzione di indirizzo e coordinamento, già contrastata e contestata nell'assetto precedente, essendo venuta meno la possibilità da parte dello Stato di intervenire con strumenti non legislativi nelle materie di competenza regionale.

Un altro elemento che conduce a tale conclusione è stato individuato, a contrario, nell'articolo 118, terzo comma, che invece prevede in alcune specifiche materie un'ipotesi di coordinamento tra Stato e Regioni. Appunto, da tale previsione di specifici casi si è dedotta l'inesistenza, nel nuovo sistema costituzionale, di un potere generale di indirizzo e coordinamento dello Stato nei confronti delle funzioni amministrative degli altri enti, né si è ritenuto che tale potere possa essere considerato implicito essendo venuto meno l'esplicito riferimento all'interesse nazionale, del quale il potere di indirizzo e coordinamento rappresentava il risvolto positivo, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale. Così ci ha detto e spiegato niente meno che il presidente dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, professor Panunzio.

Secondo tale impostazione, quindi, va affermata l'inesistenza nel vigente testo costituzionale di un generale potere di indirizzo e coordinamento dello Stato, fatti salvi i casi specificamente previsti dall'articolo 118, terzo comma, della Costituzione.

Per questi motivi, abbiamo presentato l'emendamento 7.109, che prevede lo stralcio dell'ultimo periodo del comma 6.

 

PRESIDENTE. I restanti emendamenti si intendono illustrati.

Invito i relatori ed il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti in esame.

PASTORE, relatore. Signor Presidente, esprimo parere contrario su tutti gli emendamenti.

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Il Governo esprime parere conforme a quello del relatore, signor Presidente.

PRESIDENTE. Oh, che chiarezza!

Metto ai voti l'emendamento 7.100, presentato dal senatore Del Pennino.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 7.101, presentato dalla senatrice Thaler Ausserhofer e da altri senatori, identico agli emendamenti 7.102, presentato dal senatore Bassanini e da altri senatori, e 7.103, presentato dal senatore Cavallaro.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 7.104, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 7.105, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 7.106, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 7.108, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 7.107, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 7.109, presentato dalla senatrice Thaler Ausserhofer e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'articolo 7.

 

È approvato.

Riprendiamo l'esame degli emendamenti riferiti all'articolo 6, precedentemente accantonati.

Passiamo all'emendamento 6.119.

 

BASSANINI (DS-U). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BASSANINI (DS-U). Signor Presidente, per vedere di almeno risolvere i problemi di copertura finanziaria, proporrei quanto segue.

L'emendamento 6.119 viene diviso in due parti: la prima comprende i commi 4 e 5, sostitutivi dei commi 4 e 5 dell'attuale articolo 6; la seconda parte comprende soltanto il testo degli ultimi due periodi del comma 6, cioè dalle parole: "Per assicurare professionalità adeguate" sino alla fine del comma stesso, nonché i successivi commi 7 e 8. Questa parte diventa aggiuntiva al comma 6 che è già previsto nel testo trasmesso dalla Commissione, in modo che esse comprendono, a questo punto, disposizioni prive di qualsiasi effetto finanziario.

Quindi, in sostanza, ritiro la prima parte del comma 6 dell'emendamento 6.119 e trasformo la parte restante, insieme al testo dei commi 7 e 8, in un emendamento aggiuntivo da inserire in fine all'attuale comma 6.

 

PRESIDENTE. Presidente Azzollini, adesso abbiamo due quesiti da porle.

In primo luogo, qual è il suo parere sulla parte del comma 6 che va dalle parole: "Per assicurare professionalità adeguate", sino alla fine del comma?

 

AZZOLLINI (FI). Un attimo solo, però, signor Presidente, devo giustificare brevemente il parere precedente, altrimenti le decisioni contrarie possono sembrare arbitrarie, ma non lo sono.

Il parere era contrario, e tale rimane, su quel testo, per una ragione molto semplice. Il comma 6 di quest'emendamento, che era sostitutivo di quello contenuto nel testo del disegno di legge, sostituiva le parole "possono essere integrate", che rappresentano una facoltà, naturalmente, con le parole "sono integrate", e questo immediatamente comportava oneri e rendeva il comma stesso scoperto.

BASSANINI (DS-U). Sono d'accordo.

AZZOLLINI (FI). Siccome si è adombrato qualche dubbio, volevo spiegare la questione per un attimo.

PRESIDENTE. Nessun dubbio era stato adombrato, presidente Azzollini.

AZZOLLINI (FI). Il secondo era un parere contrario perché il testo era sostitutivo, tant'è vero che non abbiamo espresso parere contrario agli emendamenti 6.143 e 6.144.

L'ultima parte invece, una volta che sostitutiva non è più, ma è aggiuntiva al testo del disegno di legge (mi pare che la proposta del senatore Bassanini vada in questo senso), così può essere accettata, perché da sola, quando non è sostitutiva insieme con le altre parti, è certamente priva di oneri.

PRESIDENTE. Scusi, presidente Azzollini, quindi, essendo aggiuntivo, anche sul comma 7 il parere diventa favorevole?

AZZOLLINI (FI). Assolutamente no, sul comma 7 il parere rimane contrario. Sto parlando dell'ultima parte del comma 6; per il resto, il parere è immutato. (Applausi dei senatori Izzo e Tofani).

BASSANINI (DS-U). Ritiro il comma 7 dell'emendamento 6.119, signor Presidente.

 

PRESIDENTE. Dunque l'emendamento 6.119, nel testo riformulato, consta dei soli commi 4 e 5.

Metto ai voti l'emendamento 6.119 (testo 2), presentato dal senatore Bassanini e da altri senatori.

 

È approvato.

Metto ai voti l'emendamento, 6.119-bis, costituito dall'ultima parte del comma 6 dell'emendamento 6.119 - quella che va dalle parole "Per assicurare professionalità adeguate" sino alla fine del comma - e dal comma 8 dello stesso emendamento, presentato dal senatore Bassanini e da altri senatori.

 

È approvato.

Metto ai voti l'emendamento 6.120, presentato dal senatore Crema e da altri senatori, identico agli emendamenti 6.121, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori, e 6.122, presentato dal senatore Fasolino.

 

Non è approvato.

Stante il parere contrario espresso dalla 5a Commissione ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, l'emendamento 6.123 è improcedibile.

L'emendamento 6.124 (testo 2) è assorbito dall'approvazione dell'emendamento 6.119 (testo 2), mentre l'emendamento 6.125 è stato ritirato.

Metto ai voti l'emendamento 6.126, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

Gli emendamenti 6.127 (testo corretto), 6.128, 6.129, 6.130 e 6.131 sono assorbiti dall'approvazione dell'emendamento 6.119 (testo 2).

Metto ai voti l'emendamento 6.132, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori, identico all'emendamento 6.133, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

Stante il parere contrario espresso dalla 5a Commissione ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, gli emendamenti 6.134, 6.135 e 6.136 sono improcedibili.

Senatore Falcier, sull'emendamento 6.137 è stato rivolto un invito al ritiro. Intende accoglierlo?

FALCIER (FI). Signor Presidente, lo ritiro.

PRESIDENTE. Stante il parere contrario espresso dalla 5a Commissione ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, l'emendamento 6.138 è improcedibile.

Metto ai voti l'emendamento 6.139, presentato dal senatore Muzio e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 6.140, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Senatore Pastore, qual è il suo parere in merito all'emendamento 6.141?

 

PASTORE, relatore. Signor Presidente, l'emendamento 6.141 disciplina il caso in cui il Consiglio delle autonomie locali non sia stato istituito. Mi rimetto al Governo.

PRESIDENTE. In prima battuta aveva espresso un parere favorevole. Invito nuovamente il Ministro ad esprimersi sull'emendamento 6.141.

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Esprimo parere favorevole.

 

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 6.141, presentato dal senatore Muzio e da altri senatori.

 

È approvato.

Senatore Falcier, intende ritirare l'emendamento 6.142?

FALCIER (FI). Sì, signor Presidente, lo ritiro.

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 6.143 (testo 2), presentato dal senatore Muzio e da altri senatori, identico all'emendamento 6.144 (testo 2), presentato dal relatore Pastore.

 

È approvato.

Stante il parere contrario espresso dalla 5a Commissione ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, gli emendamenti 6.145, 6.146 e 6.147 sono improcedibili.

Metto ai voti l'articolo 6, nel testo emendato.

 

È approvato.

 

TOIA (Mar-DL-U). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOIA (Mar-DL-U). Signor Presidente, intendo avanzare una proposta che credo sia condivisa da molti colleghi.

Dal momento che siamo entrati in Aula alle ore 9,30 di questa mattina, che ieri siamo rimasti qui fino alle ore 23,30 e che domani mattina molti di noi sono impegnati in varie Commissioni convocate per le ore 8,30, possiamo dire, con riferimento a questi due giorni di lavoro, di aver fatto il nostro dovere, anche con particolare intensità.

Pertanto, signor Presidente, anche in considerazione del fatto che il Governo e la maggioranza hanno apprezzato l'atteggiamento collaborativo di tutti noi su questo importante provvedimento, le chiedo di rinviare il seguito dell'esame del disegno di legge in titolo alla seduta antimeridiana di domani per concluderlo con una migliore disposizione d'animo.

 

PRESIDENTE. Senatrice Toia, comprendo la sua richiesta, ma intendo apportarvi una modifica. Dal momento che saranno sufficienti cinque minuti, propongo di terminare l'esame e la votazione degli emendamenti per poi eventualmente rinviare le dichiarazioni di voto e la votazione finale del provvedimento alla seduta antimeridiana di domani. Mancano ancora pochissime votazioni e credo che per le ore 23,30 potremo concludere.

Senatrice Toia, crede di poter accettare la mia proposta?

TOIA (Mar-DL-U). Va bene, signor Presidente.

MALAN (FI). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAN (FI). Signor Presidente, concordo con la sua proposta.

PRESIDENTE. Passiamo dunque all'esame dell'articolo 8, su cui sono stati presentati emendamenti, che si intendono illustrati.

Invito i relatori ed il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti in esame.

MAGNALBO', relatore. Signor Presidente, esprimo parere contrario sugli emendamenti presentati all’articolo 8.

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Signor Presidente, esprimo parere conforme a quello del relatore Magnalbò.

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 8.101, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 8.102, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 8.103, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 8.104 (testo 2), presentato dal senatore Villone.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'articolo 8.

 

È approvato.

Passiamo all'esame dell'articolo 9, sul quale sono stati presentati emendamenti che si intendono illustrati.

Invito il relatore ed il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti in esame.

 

MAGNALBO', relatore. Signor Presidente, esprimo parere contrario sugli emendamenti da 9.100 a 9.103.

Signor Presidente, considerato che è presente in Aula il senatore Azzollini, chiedo se la 5a Commissione concorderebbe su una modifica da introdurre all'emendamento 9.104, da me presentato, uguale a quella apportata all’emendamento 6.144, del relatore Pastore, trasferendo gli oneri da esso derivanti a carico della Regione.

Esprimo inoltre parere favorevole sugli emendamenti 9.105 (testo 2) e 9.107 e parere contrario sull’emendamento 9.106.

L’emendamento 9.108, da me presentato, era diretto a prevedere il Commissario di Governo anche nelle Province di Trento e Bolzano. Tengo a precisare che non era un vulnus, non era una modifica allo Statuto (che è impossibile) e c’erano tutte le garanzie per le autonomie, previste anche all’articolo 10 di questo provvedimento.

Comunque, considerato che il Governo non è favorevole ed io credo che il parere al riguardo debba essere conforme, trasformo l’emendamento 9.108 in ordine del giorno.

Esprimo, infine, parere contrario sull’emendamento 9.109.

 

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Signor Presidente, concordo con il parere espresso dal relatore Magnalbò, con tre considerazioni.

Sull’emendamento 9.104 attendo di conoscere il parere della 5a Commissione permanente; invito il presentatore a ritirare l’emendamento 9.105 (testo 2); accolgo come raccomandazione l’ordine del giorno derivante dalla trasformazione dell’emendamento 9.108.

 

AZZOLLINI (FI). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AZZOLLINI (FI). Signor Presidente, non posso che rifarmi al parere già espresso in Commissione: ricordo che questa è una sede eccezionale. Come abbiamo spiegato, questo problema è diverso dagli altri, perché c’è la questione del "soprannumero". E' questo il motivo per cui chiaramente la 5a Commissione ha espresso un parere contrario, in quanto l’emendamento risulterebbe privo di copertura.

 

KOFLER (Aut). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

KOFLER (Aut). Signor Presidente, intervengo sull’emendamento 9.108.

Prendiamo atto che è stato ritirato, ma siamo nettamente contrari alla sua trasformazione in un ordine del giorno in tal senso, in quanto lo Statuto speciale disciplina esaurientemente compiti e funzioni del Commissario di Governo. Non possiamo accettare che con legge ordinaria si voglia far applicare le norme relative al rappresentante dello Stato nelle Regioni a Statuto ordinario anche alle Province autonome di Trento e Bolzano.

L’articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 2001, n. 287, aveva previsto espressamente che il provvedimento medesimo non si applicasse a Trento e Bolzano, mentre con questa disposizione se ne prevede esplicitamente l’applicabilità.

Quindi, a nostro avviso, l’emendamento 9.108 dovrebbe essere ritirato tout court, in quanto riteniamo che anche un ordine del giorno che riprenda il contenuto di tale disposizione costituisca un attacco alla nostra autonomia, che non possiamo accettare, e un fatto veramente grave, che sicuramente avrebbe inevitabili risvolti e ripercussioni sia sul piano istituzionale che politico. Signor Ministro, avevo compreso che lei intendeva accogliere tale ordine del giorno.

PRESIDENTE. Senatore Kofler, l’ordine del giorno derivante dalla trasformazione dell’emendamento 9.108 è già stato accolto come raccomandazione e dunque non verrà posto ai voti.

KOFLER (Aut). Posso aggiungere che so che è "meglio" un ordine del giorno accolto come raccomandazione che un ordine del giorno accolto in quanto tale.

Vorrei capire, però, perché non la si finisce con questi attacchi all’autonomia: anche se sono formulati in modo soft, tramite ordini del giorno accolti come raccomandazioni, mi sembra inutile gettare olio sul fuoco.

Sappiamo quali sono state le esperienze delle ultime settimane e degli ultimi mesi in provincia di Bolzano. Ritengo, pertanto, che un ritiro "secco" di questo emendamento, senza la sua trasformazione in ordine del giorno né accoglimento come raccomandazione, farebbe bene alla pacifica convivenza nella nostra Provincia. (Applausi dal Gruppo Aut).

 

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 9.100, presentato dal senatore Cavallaro.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 9.101, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori, identico agli emendamenti 9.102, presentato dal senatore Fasolino, e 9.103, presentato dal senatore Crema e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Passiamo alla votazione dell'emendamento 9.104.

MAGNALBO', relatore. Signor Presidente, ritiro l’emendamento 9.104.

PRESIDENTE. In ordine all’emendamento 9.105 (testo 2), c’è un invito a ritirarlo. Senatore Malan, accoglie tale invito?

MALAN (FI). Sì, signor Presidente.

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 9.106, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 9.107 (testo corretto), presentato dal relatore Pastore.

 

È approvato.

Poiché il relatore Magnalbò non insiste per la votazione, l’ordine del giorno G9.100 non verrà posto ai voti.

Metto ai voti l'emendamento 9.109, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l’articolo 9, nel testo emendato.

 

È approvato.

Passiamo all’articolo 10, sul quale sono stati presentati emendamenti che invito i presentatori ad illustrare, chiedendo - a nome di tutti i colleghi - di essere molto sintetici.

 

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Sarò molto sintetico, signor Presidente.

Poiché il senatore Pastore ha presentato l’emendamento 10.103, che per tre quarti è uguale a quello da me proposto, se il relatore o il Governo dichiarassero che la quarta parte del mio emendamento 10.102 è implicita nell’emendamento 10.103, là dove si stabilisce che non vengono mutate le regole nei rapporti tra Regione e Comuni in seguito all’attuazione dei nuovi poteri, ritirerei la mia proposta emendativa, ritenendomi soddisfatto di quello presentato dal senatore Pastore.

Forse la quarta parte potrebbe essere considerata pleonastica, in quanto implicita.

 

KOFLER (Aut). Signor Presidente, faccio riferimento all’emendamento 10.104, che prevede una riformulazione un po’ più esplicita del contenuto dell’attuale articolo 10. Anche il senatore Pastore ha presentato un emendamento sostitutivo dell’articolo 10, sostanzialmente identico al nostro. Ci auguriamo, quindi, che su di essi venga espresso un voto favorevole.

 

PRESIDENTE. I restanti emendamenti si intendono illustrati.

Invito i relatori ed il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti in esame.

 

PASTORE, relatore. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PASTORE, relatore. In questo momento il relatore è il senatore Magnalbò. Faccio presente, quindi, che è stato commesso un errore di stampa.

In ordine all’emendamento 10.103, intervengo per chiarire che i primi tre commi sono uguali a quelli contenuti negli emendamenti 10.100, 10.101, 10.102 e 10.104. Il comma 4 non è stato riprodotto per l’ovvia ragione che la sussidiarietà non si può imporre o escludere in un testo di legge ordinaria: il principio o c’è o non c'è.

Quindi, dobbiamo fare riferimento al sistema costituzionale e a quello degli Statuti speciali; se questi due sistemi prevedono la sussidiarietà, questa parte dell’emendamento sarebbe superflua; se non la dovessero prevedere, il comma 4 sarebbe contrario alle norme costituzionali. Se non la dovessero invece prevedere, l'emendamento sarebbe in contrasto con norme costituzionali.

Per questo la mia proposta di modifica non contiene il quarto comma previsto da emendamenti di altri colleghi.

 

PRESIDENTE. Invito il relatore Magnalbò ed il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti.

 

MAGNALBO', relatore. Signor Presidente, esprimo parere favorevole sull'emendamento 10.103 (testo 2), sostitutivo dell'intero articolo 10, e contrario sugli emendamenti 10.100, 10.101, 10.102, 10.104, 10.105, 10.106 e 10.107. Per quanto riguarda l'emendamento 10.108, invito il presentatore a ritirarlo. Esprimo, inoltre, parere contrario sugli emendamenti tendenti ad inserire articoli aggiuntivi dopo l'articolo 10.

 

LA LOGGIA, ministro per gli affari regionali. Signor Presidente, vorrei far rilevare che nell'emendamento 10.103 (testo 2), per un refuso tipografico, manca una parola, che chiederei fosse ripristinata. Infatti, dopo la parola "risorse", va inserita la parola "finanziarie", altrimenti non si capisce di cosa si tratta. Ciò fatto, esprimo parere favorevole.

Esprimo parere contrario su tutti gli altri emendamenti, anche perché opportunamente, come specificato dal relatore Pastore, il comma 4 degli emendamenti 10.100, 10.101 e 10.102 è totalmente ultroneo: quel potere, all'interno degli statuti, o c'è, o non c'è.

Esprimo parere contrario su tutti gli altri emendamenti all'articolo 10, compresi quelli tendenti ad inserire articoli aggiuntivi dopo l’articolo 10.

 

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'emendamento 10.100, identico agli emendamenti 10.101 e 10.102.

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Poiché il relatore Pastore ed il ministro La Loggia hanno affermato che il comma 4 di questi emendamenti sarebbe ultroneo, perché si rispettano comunque gli statuti, ritiro l’emendamento 10.102, dichiarando che voterò a favore dell'emendamento 10.103 (testo 2) del relatore Pastore.

PRESIDENTE. Metto ai voti l'emendamento 10.100, presentato dal senatore Tarolli, identico all'emendamento 10.101, presentato dalla senatrice Thaler Ausserhofer e da altri senatori.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'emendamento 10.103 (testo 2), presentato dal relatore Pastore, interamente sostitutivo dell'articolo 10.

 

È approvato.

Risultano pertanto preclusi i restanti emendamenti all'articolo 10.

Ricordo che gli emendamenti 10.0.100, 10.0.101, 10.0.103, 10.0.104, 10.0.105, 10.0.106 e 10.0.108 sono improponibili e che gli emendamenti 10.0.102 e 10.0.107 sono stati ritirati.

Metto ai voti l'emendamento 10.0.109, presentato dai senatori Sodano Tommaso e Malabarba.

 

Non è approvato.

Metto ai voti l'articolo 11.

 

È approvato.

Chiedo alla senatrice Toia se conferma la proposta di sospendere a questo punto i nostri lavori.

TOIA (Mar-DL-U). Sì, signor Presidente.

 

MALAN (FI). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAN (FI). Signor Presidente, in considerazione del fatto che interrompiamo i lavori, benché ci fosse l'impegno della Conferenza dei Capigruppo di concludere il provvedimento nella seduta di oggi, vorrei sottoporre alla Presidenza l'opportunità di procedere, per la giornata di domani, all'armonizzazione dei tempi della discussione della legge comunitaria, allo scopo di giungere all'approvazione in tempi congrui rispetto alle possibilità di lavoro dell'Assemblea.

 

PRESIDENTE. Senatore Malan, la Presidenza aveva già inteso procedere all'armonizzazione dei tempi per conseguire il risultato prefissato.

Rinvio dunque il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta.

(…)

La seduta è tolta (ore 23,40).

 

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