CAMERA DEI DEPUTATI
Resoconto stenografico dell'AssembleaSeduta n. 285 del 24 marzo 2003
Presidenza del Vicepresidente MARIO CLEMENTE MASTELLA
Indi del Vicepresidente PUBLIO FIORI
( ..)
Discussione del disegno di legge: S. 1545 - Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (approvato dal Senato) (3590) (ore 15,25).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già
approvato dal Senato: Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica
alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
La ripartizione dei tempi è pubblicata nel vigente calendario dei lavori.
(Discussione sulle linee generali - A.C. 3590)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
I presidenti dei gruppi parlamentari dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della
Margherita, DL-l'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a
parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Cristaldi.
NICOLÒ CRISTALDI, Relatore. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli
colleghi, mi fermerò in questa fase ad alcune considerazioni politiche, lasciando ad
altro momento del dibattito l'approfondimento di questioni meramente tecniche. Prendo
questa decisione anche con una punta di amarezza, ben sapendo che, nell'espressione di
voto sul mandato al relatore in Commissione, l'opposizione, riconoscendo positivo gran
parte del disegno di legge e lo stesso atteggiamento del relatore, ha deciso di esprimere
parere contrario al mandato al relatore, in quanto lo stesso relatore si sarebbe - tra
virgolette - intestardito su una posizione che considero, per ragioni che diremo più
avanti, marginale, relativamente a fatti interpretativi sulle potestà autonomistiche
della provincia di Trento e della provincia di Bolzano.
Avremo modo, spero con civiltà, come suol dirsi, ma anche con la moderazione di sempre,
di approfondire questi temi. Non ho l'abitudine di innamorarmi delle mie idee personali,
ma pretendo che si discuta senza prese di posizione meramente di parte su vicende che,
pure, tutti noi conosciamo. Non ci sono professori in materia più di altri, quando tutti
noi, con umiltà, affrontiamo aspetti conosciuti da decenni, che appassionano non soltanto
quest'Assemblea, ma anche il dibattito a livello regionale, in ogni regione d'Italia.
Con questo disegno di legge si entra in una fase importante nella storia repubblicana del
nostro paese. Infatti, al di là dei limiti che pure sono esistiti nell'approvazione del
nuovo titolo V della Costituzione, si cerca di dare piena attuazione ai principi fissati
nel disegno di legge attraverso interpretazioni elastiche e decisioni che sono state il
frutto della grande collaborazione tra la Commissione, in maniera più ampia - sia la
parte relativa alla maggioranza sia quella relativa alla minoranza -, e il ruolo avuto dal
Governo non soltanto come proposta, ma anche - e in molti passaggi questo è avvenuto -
nel fare un piccolo passo indietro per consentire che sul provvedimento ci fosse
concertazione in guisa tale che i principi del titolo V fossero veramente attuati con la
partecipazione e il massimo consenso dell'aula.
Credo che con questo disegno di legge si sia avviato un vero processo di modernizzazione,
un primo grande passo. Ce ne sarà un altro importante quando con altro disegno di legge
affronteremo un altro tema nel grande processo di devoluzione del nostro paese. Ci sarà,
probabilmente, un altro passo ancora a proposito della decisione del Governo di
coinvolgere nuovamente il Parlamento sul nuovo titolo V, avendo il Governo annunciato la
probabilità di un disegno di legge che possa in qualche maniera integrare le eventuali
lacune che si possono evidenziare nello stesso disegno di legge.
Mi sembra di poter dire che questo disegno di legge arriva in quest'aula con il pieno
coinvolgimento non soltanto delle forze politiche e dei gruppi parlamentari, ma anche di
tutte le entità istituzionali che sono il fulcro della nostra Repubblica: non ci sono
state organizzazioni di certa rilevanza che non siano state coinvolte. Non alludo soltanto
alla Conferenza Stato-regioni od alla Conferenza unificata, ma anche alle organizzazioni
rappresentative dei comuni e delle province che hanno trovato nella Commissione pieno
ascolto. Infatti, molti dei suggerimenti che sono stati avanzati sono stati accolti dalla
Commissione e anche da me nella qualità di relatore del provvedimento.
Inoltre, molti dei pareri negativi espressi dal relatore su alcuni emendamenti
dell'opposizione sono stati motivati, non per una non condivisione del loro contenuto, ma
perché il relatore, nell'interpretare le posizioni espresse anche dall'opposizione, ha
ritenuto di inventare un veicolo che, in qualche maniera, eliminasse la possibilità di
discutere polemicamente su altri emendamenti e si interpretasse in questo modo lo spirito
e la filosofia delle proposte positive che sono venute anche dall'opposizione.
È stato rigidamente mantenuto il principio già affermato dal Senato, ossia quello di
dare di pari dignità alle leggi dello Stato e alle leggi della regione. Si tratta di un
principio completamente nuovo e innovativo, un grande passo verso la nuova struttura
federale del nostro paese. Intanto, l'affermare che la Repubblica è composta dagli enti
locali, dai comuni, dalle province, dalla regione e dallo Stato, assegnando a ciascuno di
questi elementi dei precisi compiti a livello costituzionale, significa avere intrapreso,
grazie ai livelli attuativi che abbiamo previsto, una fase nuova e rivoluzionaria del
nostro paese, ponendo dei vincoli ben precisi che valgono sia per lo Stato che per le
regioni. Si tratta di vincoli legati, innanzitutto, al rispetto della Costituzione per cui
nessuna norma può essere approvata dal Parlamento se questa non è nel pieno rispetto
della Costituzione. Ribadire con questo disegno di legge che uno dei vincoli è dato dal
rispetto della Costituzione sembra un atto di autorevolezza legislativa, anche se può
apparire del tutto ultroneo.
Inoltre, vi è l'aspetto legato all'Unione europea per cui un altro vincolo, che vale sia
per la regione che per lo Stato, è dato dall'ordinamento comunitario. In questo modo, con
l'affermazione di questo principio si pone fine a una serie di posizioni che in passato
hanno portato a una serie di contenziosi, non solo con direttamente l'Unione europea, ma
anche tra lo Stato e le regioni.
Ci sembra altresì importante rilevare come sia stata inserita nel provvedimento in esame
la questione relativa al pieno rispetto dei trattati internazionali ratificati.
Queste tre affermazioni ci portano ad affermare che è stato compiuto un grande passo in
avanti nel momento in cui si riconoscono in primo luogo alle regioni - ma anche ai comuni
per gli aspetti che direttamente li riguardano - delle straordinarie competenze, per
esempio in materia di politica internazionale. Si prevede cioè che la politica estera di
un paese deve essere determinata dalle posizioni dello Stato, consentendo però alle
regioni - e per certi versi anche ai comuni ed alle province - di occuparsi della materia.
In questo modo non si procede più secondo quel meccanismo eccessivamente burocratico che
vede il Governo nazionale - il Ministero degli esteri nel caso di specie - ricoprire un
importante ruolo anche riguardo ad aspetti che possono sembrare meramente applicativi di
contenuti previsti all'interno di accordi internazionali ratificati. All'interno della
politica estera del paese le regioni potranno così occuparsi delle questioni
internazionali.
Attraverso questo provvedimento sempre le regioni potranno discutere direttamente con
altri Stati o con parti di essi (regioni, comuni) per gli aspetti chiari contenuti nei
trattati; ciò al fine di rendere esecutivi i principi contenuti all'interno dei trattati
internazionali. Si tratta di un'antichissima aspirazione riguardante soprattutto le
regioni a statuto speciale; oggi però questo principio viene esteso a tutte le regioni e
ciò a dimostrazione del fatto che non vi è una sorta di gelosia che contrappone le
regioni a statuto speciale alle regioni a statuto ordinario. Infatti né la Sicilia, né
il Trentino-Alto Adige, né la Valle d'Aosta, né la Sardegna si oppongono o si sono mai
opposte al vedere estesi ad altre regioni i propri poteri.
Nell'ambito del dibattito si è sempre preteso che non venissero violate le prerogative
autonomistiche delle regioni a statuto speciale, ma mai - lo ripeto - queste ultime si
sono opposte all'estensione dei poteri (previsti dai loro statuti speciali) anche nei
confronti delle regioni a statuto ordinario. Anche l'andamento del dibattito, che ha
consentito a tutte le associazioni audite - compresa la Conferenza Stato-regioni - di
esprimere i loro pareri, ha dimostrato che era infondata la preoccupazione di una
posizione delle regioni a statuto speciale che potesse sembrare negativa nei confronti del
ruolo svolto dalle regioni a statuto ordinario.
Si è stabilito con precisione quali sono i passaggi relativi alla legislazione
concorrente. In molte occasioni infatti mi sono trovato anche di fronte a pronunciamenti,
qualche volta persino contrastanti, della Corte costituzionale poiché tutto l'andamento
della legislazione concorrente era ad essa affidato, e meno invece ai principi contenuti
nello statuto e nella stessa Carta costituzionale. Adesso invece, in maniera chiara, si
afferma che lo Stato limita il proprio ruolo ad affermare soltanto i principi
fondamentali, lasciando a tutte regioni - pur nel rispetto degli statuti speciali - la
competenza su materie determinanti e conseguenti all'affermazione degli stessi.
Vi è una sorta di nuova filosofia: mentre nella logica del passato tutte le competenze
delle regioni venivano, ad esempio, determinate con precise leggi e tutta la materia
residuale era di competenza statuale, oggi si può dire che vi è un procedimento
completamente diverso e quasi contrario. Vengono determinate le competenze dello Stato,
lasciando alle regioni la materia residuale. Certamente, in questo caso, la materia
residuale è molto più ampia degli stessi principi fondamentali dettati dallo Stato; ciò
significa che anche in questo caso viene compiuto un ulteriore passo verso il processo di
devoluzione nel nostro paese.
Questa stessa filosofia mi pare possa essere interpretata positivamente anche per quanto
riguarda il ruolo degli enti locali.
I comuni e le province hanno la possibilità di organizzarsi, mentre le comunità
montane quella di associarsi. Viene individuata con chiarezza la loro competenza
all'interno della Repubblica italiana ed affermato il principio che la Repubblica
italiana, oltre che dallo Stato e dalle regioni, è anche composta dai comuni e dalle
province; ciò ha imposto, nel corso del dibattito, anche l'individuazione di precise
competenze demandate costituzionalmente in via diretta agli stessi comuni. Alcuni
avrebbero preferito rimandare la discussione di tale materia ad altra sede, ma credo che
il Governo abbia fatto bene a presentare emendamenti in Commissione per affermare, in
primo luogo, il principio che della Repubblica italiana con pari dignità non fanno parte
soltanto lo Stato e le regioni, ma anche i comuni, con dei passaggi ben precisi e sulla
base di principi fondamentali che dovranno essere dettati dallo Stato per quanto riguarda
le regioni ed anche i comuni, evitando la pericolosità, come è stato affermato,
dell'ulteriore intervento della regione nella individuazione di principi fondamentali che
devono regolare l'atteggiamento dei comuni.
Mi sembra si tratti di un aspetto di non poca rilevanza, se si tiene conto della
particolare vivacità del dibattito su tale materia, nonché del fatto che, in un certo
momento, nel dibattito nel nostro paese, due entità parallele e quasi simili sembravano
contrapposte; alludo, per esempio, alla Conferenza Stato-regioni ed alla Conferenza
unificata. In tale contesto, da parte della minoranza è stata presentata una serie di
emendamenti tendente ad estendere il ruolo della Conferenza unificata anche ad alcuni
passaggi che sono sembrati al relatore, al Governo ed all'intera Commissione del tutto
inadatti, in considerazione del fatto che la competenza della Conferenza Stato-regioni si
è fermata agli aspetti legislativi, lasciando alla conferenza unificata il compito di
esprimere giudizi e di chiedere l'affermazione di principi che si regolano attraverso
l'attuazione di potestà statutaria e regolamentare.
Mi pare, inoltre, che importante e decisiva per rendere veramente applicabile il nuovo
titolo V della seconda parte della Costituzione sia stata la decisione di procedere
attraverso decreti legislativi tendenti a compiere la ricognizione dei principi
fondamentali.
Ciò consentirà al Governo di individuare con una certa velocità (noi auspichiamo che
ciò avvenga entro un anno), all'interno dell'apparato legislativo esistente e con alcune
integrazioni che credo siano obbligatorie in merito ad alcuni aspetti, per lo Stato, in
primo luogo, ma anche per le regioni ed i comuni, i compiti successivi al fine di
legiferare immediatamente, anche se vale la pena di ribadire in tale sede che è prevista
una sorta di meccanismo di salvaguardia: poiché si intende in qualche modo accelerare
pienamente l'applicazione del nuovo titolo V della seconda parte della Costituzione, sono
stati previsti passaggi transitori così che, fino a quando lo Stato non avrà legiferato
pienamente con riferimento alle materie che sono demandate alla sua esclusiva competenza e
fino a quando le regioni non legifereranno nell'ambito delle materie che sono trasferite
alle regioni stesse, rimane in piedi l'attuale apparato legislativo di disciplina di ogni
materia. Pertanto, per lo Stato saranno fatte salve, fin quando non vi sarà il
provvedimento da parte dello Stato, le norme regionali; e vale anche il ragionamento
inverso.
Lo strumento dei decreti legislativi è una grande affermazione di democrazia. Credo che
in nessuna parte del mondo un Parlamento venga chiamato tante volte ad esprimere un
parere, per esempio, sui decreti legislativi. È stata criticata la scelta di attribuire
una delega al Governo per individuare materie meramente ricognitive quali quelle cui ho
fatto riferimento ed è stato affermato che è sembrato non dico un abuso o un sopruso, ma
comunque un'azione molto forte tendente ad evitare il coinvolgimento pieno delle
istituzioni parlamentari. Mi permetto di dire che ciò non accade perché le istituzioni
parlamentari in ogni fase della decretazione legislativa delegata del Governo vengono
coinvolte, ma vi è di più.
Sono previsti cinque passaggi che forniscono alcune garanzie in merito alla democraticità
del provvedimento. In primo luogo perché il decreto legislativo, prima di essere
approvato, viene sottoposto al parere della Conferenza Stato-regioni e quest'ultimo
naturalmente si basa sul contenuto della proposta del Governo. Se c'è un passaggio di
questa natura, nessuno può quindi immaginare che il Governo voglia imporre il contenuto
del decreto legislativo senza sottoporsi ad un dibattito. Quella è la sede nella quale
fare emergere eventuali contraddizioni o nella quale proporre eventuali modifiche. Non
viene assolutamente evitato il passaggio parlamentare: le Commissioni legislative
permanenti sono incaricate, dalla legge, di continuare a svolgere il proprio ruolo
regolamentare e costituzionale, esprimendo nel corso dell'iter procedurale il parere sulla
proposta del Governo attraverso il decreto legislativo.
C'è un aspetto fondamentale ed importante, ed è del tutto nuovo, che ha registrato
soprattutto da parte del relatore, ma anche nel Governo e nella maggioranza, una
disponibilità piena. Questo passaggio è stato poi compiuto nel recepimento di una
richiesta, anche in questo caso da parte della minoranza, per cui il provvedimento - parlo
del decreto legislativo - non viene soltanto sottoposto alle Commissioni permanenti
legislative e alla Conferenza Stato-regioni, ma anche alla Commissione parlamentare per le
questioni regionali, che noi sappiamo essere una Commissione bicamerale. La stessa
Commissione per gli affari regionali in più occasioni viene chiamata, anche quando non ve
ne sarebbe bisogno, per affermare la piena democraticità dell'iter procedurale. Il tutto,
naturalmente, acquisiti i pareri, sarà riesaminato dal Governo, che dovrà adottare
nuovamente un provvedimento tenendo conto dei pareri espressi, anche in questo caso,
acquisendo nuovamente e finalmente il nuovo parere della Commissione bicamerale per le
questioni regionali.
Ci sembrano, questi, elementi assai positivi, così come ci sembra positivo il fatto che,
in ogni caso, bisogna che si arrivi poi a licenziare un provvedimento. Se uno schema di
decreto viene sottoposto a tutti questi organismi e si prevede una tale quantità di
passaggi, alla fine dovrà essere approvato. Viene anche previsto che qualora i
suggerimenti, nei molti passaggi, provenienti da vari organi che vengono ascoltati, non
fossero condivisi dal Governo, quest'ultimo non li adotti soltanto perché vuole assumere
in qualche modo una posizione contraria agli organismi chiamati ad esprimere un proprio
parere. Sarebbe illogico! Viene comunque imposta, nell'adozione di provvedimenti che sono
in difformità rispetto al parere espresso dalle varie sedi coinvolte, l'obbligatorietà
di motivare le ragioni per cui si adotta un provvedimento piuttosto che un altro:
filosofia, questa, che è mantenuta anche all'interno della logica del processo per i
decreti legislativi.
PRESIDENTE. Onorevole Cristaldi, vorrei avvertirla che il tempo a sua disposizione è scaduto.
NICOLÒ CRISTALDI, Relatore. Mi sembra di avere il dovere di saltare alcuni
passi, soffermandomi sulla questione fondamentale, ovvero sul fatto che finalmente si pone
ordine nella legislazione dello Stato, consentendo a quest'ultimo ed anche alle regioni di
legiferare con una certa serenità.
Alludo al fatto che finalmente la politica dei testi unici non sarà una politica una
tantum, ma la logica che creerà le condizioni per una chiarezza interpretativa delle
varie norme, consentendo così allo Stato, alle regioni e anche ai comuni di procedere in
modo da evitare un contenzioso successivo.
Mi sembra un buon provvedimento ed esprimo l'apertura massima in qualità di relatore,
affinché possano essere superati gli elementi che hanno portato alla posizione di
frizione in Commissione. Sono certo di poter lanciare un appello al Governo e alla
maggioranza affinchè questo provvedimento possa essere esitato dall'Assemblea con il
massimo consenso possibile.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo
ENRICO LA LOGGIA, Ministro per gli affari regionali. Poche parole, signor Presidente, soltanto per confermare l'esigenza di una rapida approvazione di questo disegno di legge che, peraltro, come i colleghi già sanno e meglio ancora sa la Presidenza, ha trovato un ampio riscontro favorevole al Senato ed anche qui, in Commissione, dove quasi su tutto si è sostanzialmente trovato un ottimo clima di confronto. Mi permetto di auspicare a nome del Governo che si possa giungere ad una rapida conclusione, aperti sempre al dibattito e al confronto, come sino ad ora si è potuto fare, tanto al Senato quanto qui alla Camera.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boccia. Ne ha facoltà.
ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, esattamente due anni fa, nel marzo 2001, veniva
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la riforma del titolo V della
Costituzione. Sono passati due anni.
Una grande riforma, una riforma significativa. Direi che, dopo l'istituzione delle regioni
avvenuta nel 1970, questo è stato un passaggio di ammodernamento del sistema paese,
avvenuto attorno ad alcune scelte qualificanti - la centralità della persona, del
cittadino, il principio di sussidiarietà, il perno del comune nell'architettura
istituzionale del paese, il ruolo e il riconoscimento delle province, la nuova
entificazione delle città metropolitane - e, soprattutto, è stato sancito in maniera
definitiva l'assetto di protagonismo delle regioni in un contesto fortemente
autonomistico.
Certo, nel 1970 e poi via via nel tempo, con i decreti delegati, le regioni hanno compiuto
grandi passi in avanti negli ultimi 30 anni, ma con questa riforma, a mio avviso e per
chi, come me, ha un radicamento di storia, di tradizioni, di patrimonio culturale
strettamente legato all'insegnamento sturziano e all'opera che i cattolici democratici
hanno sviluppato all'interno della Costituente già dopo la guerra, è nato lo Stato delle
autonomie. Provenendo dalla scuola di Emilio Colombo, che nel 1970 era Capo del Governo
che avviò finalmente il processo di realizzazione delle regioni, ho salutato ed ho votato
da questi banchi la riforma, proprio perché aveva questo grande spirito innovativo e
costruttivo dello Stato delle autonomie.
Nell'ottobre del 2001 questa impostazione fu condivisa anche dagli italiani, perché con
il referendum essa ricevette un suggello definitivo. Da allora ci sono voluti otto mesi.
Infatti, signor ministro, soltanto nel giugno 2002 il Governo approvava il provvedimento,
dopo un opportuno accordo interistituzionale, avvenuto il 20 giugno. Poco meno di un anno
dopo, nel marzo 2003, noi cerchiamo di dare un impulso definitivo a questo provvedimento.
Condivido le scarne e rapide parole del ministro: dobbiamo fare presto. Il Governo è
impegnato a fare presto. Anche noi, deputati del gruppo della Margherita e dell'Ulivo, ci
impegneremo affinché questo provvedimento sia approvato al più presto (se dipendesse da
noi anche domani) dalla Camera dei deputati.
Il lavoro svolto - lo hanno già ricordato il relatore, che ringrazio, ed il ministro - è
stato positivo. È stato compiuto un lavoro positivo anche al Senato. Ho conosciuto - lo
devo dire - la veste dialogante del presidente della I Commissione, onorevole Bruno. La
versione precedente che conoscevo - ahimè - era emersa in occasione dell'esame di uno dei
tanti provvedimenti discussi in Commissione riunita congiuntamente con la Commissione
Giustizia. Quando il presidente Bruno è investito di una missione quasi da
"killeraggio", non è molto disponibile, aperto, buono, simpatico, come lo è
stato, invece, in occasione dell'esame di questo provvedimento. Ho avuto modo di
trascorrere qualche ora in Commissione e ho constatato che, effettivamente, grazie
all'iniziativa del relatore, del Governo e soprattutto del presidente Bruno, il dialogo
con l'opposizione è stato molto costruttivo. Sono state accolte moltissime proposte
emendative ed abbiamo dato una dimostrazione di come si possa costruire, in questo caso,
la casa comune senza colpi di mano e colpi di maggioranza. Affronto, dunque, con questo
spirito il mio intervento in sede di discussione sulle linee generali.
Soprattutto il relatore ha posto in rilievo un incidente di percorso. Egli stesso lo ha
abbastanza circoscritto, dichiarandosi disposto ad aprire un dialogo. Mi auguro che, nelle
prossime ore, su questo benedetto comma 6 dell'articolo 10 si trovi il modo di fare
chiarezza, che le nostre ragioni possano trovare accoglimento ed udienza e che si superi,
ovviamente, questo che consideriamo un vulnus. Il provvedimento in esame, dunque,
potrebbe essere approvato, qui alla Camera, in un'ora.
Come ci misuriamo nel merito del provvedimento? Certamente il relatore, onorevole
Cristaldi, è stato abbastanza puntuale. Non ho bisogno di richiamare la sua relazione
perché condivido l'impostazione che è stata data ed i risultati cui si è pervenuti
(faccio un apprezzamento, dunque, per il lavoro svolto in Commissione).
C'è un dato fortemente positivo che per noi è importantissimo: si avvia finalmente
l'attuazione della riforma del titolo V della Costituzione. Precedentemente, in modo
ironico, ho ricordato che sono trascorsi due anni. In questo momento, sottolineo un
aspetto fortemente positivo, vale a dire una svolta che sblocca la situazione. Questo,
sicuramente, contribuirà a ridurre il contenzioso che - ahimè - si era acceso davanti
alla Corte. Non è l'aspetto principale che deve spingerci a provvedere ma sicuramente
esisteva una situazione ormai ingovernabile che andava risolta nei rapporti tra le diverse
autonomie, in particolare tra lo Stato e le regioni.
Con il provvedimento in esame si delinea un percorso, si fissano tempi, termini, procedure
e si sciolgono non pochi nodi emersi in questa fase. Salutiamo con soddisfazione
l'introduzione, qui alla Camera, dell'articolo 2. L'abbiamo giudicata una dimenticanza; si
trattava di una parte corposa della riforma. Non potevamo lasciare fuori il comma 2
dell'articolo 117, lettera p), quindi anche le ulteriori disposizioni di
adeguamento dell'ordinamento degli enti locali.
Certo, avremmo preferito che il testo finale fosse quello concordato nella sede
interistituzionale. In tal senso, alcuni colleghi dell'Ulivo hanno presentato un
emendamento (a prima firma del collega Bressa, sottoscritto anche dal collega Boato) più
rispondente all'accordo interistituzionale. Ad ogni modo, nel preannunciare che
presenteremo alcuni emendamenti, segnalo che si tratta di un fatto positivo perché,
altrimenti, avremmo approntato un provvedimento di attuazione della riforma monco.
Tra i principi e criteri direttivi della delega sono annoverati: la valorizzazione della
potestà statutaria e regolamentare degli enti locali; l'individuazione delle funzioni
fondamentali e la titolarità del loro esercizio per il soddisfacimento dei bisogni
primari della collettività; l'affermazione del principio di sussidiarietà, anche con la
necessaria flessibilità in relazione alle caratteristiche dimensionali e strutturali
degli enti; l'affermazione del principio di leale collaborazione tra i diversi livelli di
governo nell'interesse dei cittadini; insomma, i criteri per rendere l'amministrazione
locale efficiente, efficace ed improntata alla cultura del risultato.
Pertanto, ravvisiamo nel provvedimento numerosi aspetti positivi.
Il disegno di legge contiene, poi, una disposizione, aggiunta qui alla Camera, che ha
tentato, in qualche modo (ancora non siamo proprio alla perfezione), di dare concretezza
anche al processo di parallelo trasferimento di funzioni, di denaro e di personale che,
come sa bene chi sta al Governo, è sempre la fase più difficile e più complicata da
gestire.
Avremmo preferito una norma un po' più snella; invece, ci sono processi che suscitano
qualche preoccupazione. Comunque, la disposizione in parola è già un segno che, qui alla
Camera, si è fatto un passo avanti; e ciò è positivo.
Mi fermo qui nell'illustrazione degli aspetti positivi del provvedimento perché il
collega Cristaldi - che ho già ascoltato in Commissione - è stato davvero molto puntuale
e completo, per cui non avrei altro da aggiungere nell'evidenziare gli aspetti positivi
che connotano questo provvedimento di attuazione della riforma del titolo V della
Costituzione.
La mia ultima notazione politica è rafforzativa: se si tiene conto che, da quando si è
insediato il Governo di centrodestra, una volta per mano di Bossi ed un'altra per mano di
Tremonti, si sono susseguiti provvedimenti di reale affermazione di centralismo,
soprattutto finanziario, ma anche politico e burocratico, si comprende che questo primo,
concreto segnale verso il rafforzamento delle autonomie regionali e locali ci vede
collaborare, convergere ed attivamente spingere affinché si faccia presto.
Siamo preoccupati, piuttosto, per alcune voci che provengono dalla maggioranza e che
annunciano provvedimenti volti a scardinare ciò che stiamo per realizzare. Più
specificamente, si sa di ricatti al ministro La Loggia del seguente tenore: se non si fa
prima la riforma dell'articolo 117, non si attuerà il titolo V; inoltre, si preannunciano
momenti di riflessione all'interno della maggioranza.
Noi vorremmo che tutte queste voci non trovassero conferma nell'Assemblea in modo che nei
prossimi giorni si possa votare questo provvedimento. Se il relatore avrà la pazienza e
l'accortezza - come ha mostrato fino ad ora - di eliminare quell'incidente - come lui
stesso lo ha definito - del comma 6 dell'articolo 10, io penso veramente che in un paio
d'ore si possa approvare il provvedimento. Il nostro impegno è in questa direzione: fare
presto, fare bene, fare il meglio possibile. Per questo, la Margherita e l'Ulivo, già al
Senato, hanno dato il loro contributo e anche qui alla Camera - come dicevo - il collega
Bressa e tutti i colleghi dell'Ulivo hanno intensamente lavorato per migliorare il testo -
do atto ancora una volta al Governo e al relatore di aver accettato numerosissimi
emendamenti -; continueremo a farlo nel corso del dibattito.
Abbiamo presentato pochissimi emendamenti. Io aggiungerò il mio contributo, non avendo
lavorato insieme al gruppo di lavoro dell'Ulivo, con qualche emendamento personale; ma
più che altro si tratta di una rifinitura del testo. Tento di dare un contributo perché,
insieme al contributo degli altri, in Assemblea si migliori ulteriormente il testo. In
questo spirito noi vorremmo lavorare nei prossimi giorni; e se togliamo quel vulnus
che è stato compiuto a danno delle province di Trento e di Bolzano, si può precedere, a
nostro avviso, rapidamente.
Su che cosa siamo insoddisfatti? Lo dico al relatore, e se fosse possibile dirlo anche al
ministro La Loggia non sarebbe male. Siamo insoddisfatti sull'eccessivo uso delle deleghe.
È dall'inizio della legislatura che il centrodestra, in particolare il Governo
Berlusconi, si sta caratterizzando per questa "usurpazione" dei poteri
legislativi del Parlamento (con il loro trasferimento al Governo). Però, qui mi pare che
si sia raggiunto proprio il tetto massimo. Si pensi per esempio alla delega contenuta
nell'articolo 1, in fondo quella meno importante, però più significativa per capire lo
stile e la volontà del Governo. In fondo, la delega riguarda - come dice il testo - una
mera ricognizione dei principi fondamentali contenuti nelle leggi dello Stato. Il
Parlamento delega il Governo ad effettuare una mera ricognizione. Per fare questa mera
ricognizione ci vorrà un anno per l'adozione dello schema; ci vorrà una sessantina di
giorni, anche se non c'è limite di tempo (io ho presentato un emendamento perché un
limite di tempo venga messo), per il parere della Conferenza Stato-regioni, e 60 giorni
per il parere delle Commissioni parlamentari; poi ci sarà il nuovo testo. Quindi diciamo
che occorreranno 30 giorni, e poi nuovi pareri; quindi 30 più 60 giorni e, alla fine,
finalmente, il decreto. Ho fatto il conto ci vorranno più o meno un paio d'anni. Allora
io mi domando: se noi - qui dovrei dirlo al presidente Bruno o anche al Presidente della
Camera - chiedessimo ad un piccolo gruppo di funzionari - bravissimi - della Camera di
fare questa ricognizione, forse in 10-15 giorni avremmo il testo dell'elenco dei principi
fondamentali e potremmo scriverlo già direttamente nella legge, evitando una delega che,
per come è scritta, tradisce una volontà - mi auguro che non sia così - un tantino
dilatoria. Ma anche per le altre deleghe sono previsti tempi lunghissimi. Io dico al
ministro La Loggia e al relatore Cristaldi che, se l'intento non è quello di dilazionare,
a conti fatti forse facciamo prima con dei buoni disegni di legge che non con questa
procedura così farraginosa, e con un tempo che richiederà almeno un paio d'anni. Credo
che ciò sia più rispettoso delle prerogative parlamentari e facciamo anche prima. Tra
l'altro, ho presentato un emendamento sul quale richiamo l'attenzione soprattutto
dell'onorevole Cristaldi (non credo che farà piacere al ministro La Loggia).
Un paio di settimane fa abbiamo approvato, proprio qui in Assemblea, per iniziativa di una
collega della maggioranza, l'onorevole Santanchè, un provvedimento che ha introdotto,
nella legislazione italiana, la possibilità per le Commissioni di dare un parere
vincolante; ebbene, al fine di eliminare altre pastoie ed arzigogoli presenti nel testo,
propongo che il parere definitivo della Commissione bicamerale abbia un valore vincolante:
almeno in questo modo, il Parlamento può riaffermare il suo primato, pur se al termine di
una lunghissima procedura.
La nostra insoddisfazione riguarda la mancata attuazione dell'articolo 119 della
Costituzione. Abbiamo presentato in Commissione, e l'Ulivo li ripresenterà anche in
Assemblea, un complesso di articoli volti a tale scopo, poiché non si capisce perché
viene data attuazione all'intero Titolo V della Costituzione e l'articolo 119, invece, è
stato messo da parte. In realtà, sappiamo quali sono i motivi, rappresentati dalla
diversità di vedute all'interno del Governo, ma dal punto di vista dell'architettura
istituzionale, sarebbe stato utile prevedere, in questo provvedimento, anche l'attuazione
dell'articolo 119 della Costituzione.
Come ho già detto, onorevole Cristaldi, esprimiamo la nostra insoddisfazione riguardo al
comma 6 dell'articolo 10 del disegno di legge in esame, e la invito a riflettere, perché
lo interpretiamo come un vulnus nei confronti delle province autonome di Trento e
di Bolzano ed in contrasto con lo statuto della regione Trentino-Alto Adige; al riguardo,
presenteremo anche questioni pregiudiziali di costituzionalità. Non vorremmo presentare
questioni sospensive, poiché siamo interessati ad una rapida approvazione del
provvedimento, ma pensi, onorevole Cristaldi - e lei lo sa, perché il collega Bressa ed
altri colleghi lo hanno già affermato in Commissione - che questo rinvio al decreto del
Presidente della Repubblica n. 287 del 2001 rappresenta, indubbiamente, un'incongruenza,
se non altro per l'affievolirsi della fonte primaria normativa, ed in questo modo si mette
a rischio l'affidabilità dello stesso provvedimento. Come lei sa - perché ci abbiamo
anche un po' ironizzato -, all'articolo 15 di questo decreto del Presidente della
Repubblica è esplicitamente previsto che i suoi i contenuti non debbano applicarsi alle
province, e dunque, in buona sostanza, si fa rinvio ad un decreto del Presidente della
Repubblica al cui interno si afferma che non ci si deve fare affidamento.
Per quanto riguarda il comma 5 dell'articolo 1 del provvedimento, mi domando perché venga
prevista la facoltà, anziché un obbligo, per la ricognizione delle disposizioni che
riguardano le stesse materie, ma che rientrano nella competenza esclusiva dello Stato, a
norma del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione. Ritengo che, una volta che
il Governo abbia ottenuto una delega per un periodo di due anni, forse sia il caso di
mettere ordine in maniera definitiva, prevedendo non una facoltà, bensì un obbligo.
Al comma 3 dell'articolo 6, inoltre, si dovrebbe cogliere l'opportunità offerta dal
presente disegno di legge per individuare le attività di rilevanza internazionale che
possono essere svolte dalle regioni, e ricordo che abbiamo presentato anche un emendamento
in tal senso perché rimane ancora una certa confusione. Vorrei ricordare il periodo in
cui presiedevo la Conferenza dei presidenti delle regioni, ed il ministro La Loggia
conosce le diatribe che vi sono state (credo che adesso si siano un po' affievolite, ma ho
il sospetto che vi siano ancora) nei rapporti tra il Governo centrale e le regioni in
merito alle attività che queste ultime svolgono o intendono svolgere all'estero. Ritengo
che forse sarebbe il caso di varare una disciplina puntuale in tale materia, ma in questo
provvedimento rimangono ombre di dubbio.
Perché non dare un termine ultimo - ed anche in questo caso ho presentato una proposta
emendativa - al ministro degli affari esteri per conferire i pieni poteri di firma degli
accordi? Nel disegno di legge è prevista una procedura garantista da parte del Ministero
degli affari esteri, e si afferma che, senza il riconoscimento di questi pieni poteri,
sono nulli tutti gli eventuali accordi sottoscritti.
Però, porre un termine al ministro degli affari esteri affinché esso, entro una certa
data, si esprima per il "sì" oppure per il "no", a me pare una giusta
e congrua previsione.
Onorevole Cristaldi, in ordine all'articolo 7 la inviterei ad effettuare una riflessione
anche perché in tale articolo si prevede, a mio parere, una procedura fortemente
dilatoria e, al comma 1, vi è un'inversione impropria del principio della sussidiarietà.
Il comma 1 potrebbe anche essere tranquillamente soppresso anche perché, da questo punto
di vista, la Costituzione è molto chiara e, ripeto, la procedura prevista è
assolutamente dilatoria. Sarebbe invece più opportuno prevedere che, con l'entrata in
vigore della legge, il Governo e, quindi, i ministri competenti provvedano ad effettuare
il trasferimento delle risorse umane e strumentali entro un tempo di 90 giorni; quindi,
sarei per un'accelerazione semplificativa della procedura.
Allo stesso modo, non comprendo la previsione di un allargamento dei poteri della Corte
dei conti di verifica del perseguimento degli obiettivi, sulla sana gestione finanziaria
degli enti locali e sul funzionamento dei controlli interni. Attribuire alla Corte dei
conti il potere di verificare il controllo interno di gestione di una regione, per
controllare se funziona o non funziona, mi pare francamente un'esagerazione fra l'altro di
dubbio rigore costituzionale. Esiste già un'ingerenza rappresentata dalla verifica del
rispetto degli equilibri di bilancio. Ho presentato un emendamento che non sopprime questa
parte proprio perché ne comprendo il senso, però si tratta già di un limite
costituzionale e anche di opportunità abbastanza comprensivo di tutte le preoccupazioni
del Governo; pertanto, non mi spingerei oltre.
Sono inoltre per la soppressione della possibilità, prevista dall'articolo 8 del
provvedimento in esame, di attribuire al Governo, o addirittura ad un commissario nominato
dal Governo, il potere di sostituzione per il compimento di atti normativi; in questo
caso, a mio avviso, siamo in presenza di una vera e propria distrazione. Con questa
previsione che cosa intendete fare? Volete sostituirvi al potere legislativo di una
regione? Volete fare le leggi regionali? Oppure intendete farle fare ad un commissario
nominato dal Governo? Quanto previsto o è scritto male oppure è una bufala. Si tratta,
comunque, di una previsione normativa che non può assolutamente passare; inoltre, il
potere di sostituzione deve essere rigorosamente ristretto ai casi di mancata adozione di
atti dovuti e non quindi di atti necessari - solo per gli atti dovuti! - cioè, per quegli
atti tassativamente elencati dall'articolo 120 della Costituzione e non per altri atti.
Questa è una previsione pericolosissima, riguardo alla quale ho già presentato alcuni
emendamenti e rappresenta sicuramente uno dei temi più caldi sul quale si rinvengono
alcune previsioni che trovo francamente molto invadenti.
Con riguardo all'articolo 9, siamo alle solite anche se ormai, con gli passare degli anni,
mi sono abituato - a volte anche in contrapposizione con il presidente di turno della I
Commissione e con tanti altri colleghi - a questa tendenza dei parlamentari di sostituirsi
ai consigli regionali, finanche nel disciplinare le procedure interne con quali la regione
esprime le sue posizioni. Non vedo per quale motivo noi dobbiamo disciplinare questi
meccanismi interni delle regioni come nel caso in cui questa, ad esempio, adisce la Corte
costituzionale.
Noi dobbiamo far salve quelle procedure che le regioni si danno negli statuti!
Al limite, possiamo disciplinare una fase transitoria ma, di certo, non possiamo dire noi,
nella legge di attuazione, come debba comportarsi una regione.
In ultimo, mi consenta di segnalare che questo provvedimento avrebbe dovuto essere
esaminato dalla Commissione per gli affari regionali.
Diciamo che si tratta di un altro vulnus molto grave, a proposito del quale, in
sede di Giunta per il regolamento, abbiamo sollevato una questione. I capigruppo hanno poi
scritto al Presidente Casini per accelerare l'iter di costituzione,
allargamento.....
PRESIDENTE. Onorevole Boccia, la invito a concludere!
ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, mi avvio a concludere, ma desidero rivolgermi
direttamente anche alla Presidenza della Camera: bisogna sollecitare il Presidente Casini
a convocare la Giunta per il regolamento, perché l'articolo 11 della riforma dà facoltà
al Parlamento di costituire la Commissione bicamerale per gli affari regionali proprio al
fine di esaminare ed esprimere pareri su queste materie.
Oggi, noi stiamo procedendo a proposito di una legge fondamentale per il sistema delle
autonomie, ma questa Commissione ha un ruolo che, nella legge, prevediamo essere
importantissimo, perché essa esprime il parere definitivo.
Già, oggi, trasgrediamo insomma lo spirito della norma - direi addirittura della
Costituzione - che stiamo approvando, non avendo ancora questa Commissione: si tratta di
un vulnus che dobbiamo assolutamente eliminare!
La verità è che, sulla costruzione di uno Stato moderno, fondato sull'autonomia dei
comuni, delle città metropolitane, delle province e delle regioni, il centrodestra non ha
le idee chiare (anzi, in qualche caso, le ha anche un po' confuse). Ciò dipende, in larga
misura, da come si sveglia Bossi la mattina (basti pensare alla riforma dell'articolo 117
della Costituzione). Per questo motivo, signor Presidente, noi spingeremo affinché si
faccia presto.
Abbiamo presentato pochi emendamenti e intendiamo elaborare e pervenire ad un testo che
divenga definitivo in tempi rapidi.
Ci auguriamo che l'unico vulnus che abbiamo evidenziato venga di eliminato. Ci
impegniamo non solo ad approvare subito questo provvedimento, ma anche a spingere, già
con gli emendamenti di domani, per l'attuazione dell'articolo 119 sul fiscalismo
autonomista. È tempo di insediare questa Commissione!
Poi dovremo anche capire che, senza la presenza delle regioni con propri rappresentanti
all'interno della Corte costituzionale, questo processo presenterà, in realtà, un altro
vizio, che forse sarebbe il caso di eliminare.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.
GRAZIELLA MASCIA. Noi del gruppo di Rifondazione comunista, nella scorsa legislatura,
non abbiamo condiviso la modifica del titolo V della Costituzione (meglio nota come
riforma dello Stato in senso federale).
Non si è trattato di un'opposizione di principio, bensì di una critica rivolta
principalmente al metodo con il quale si stava procedendo.
Vi era un clima elettoralistico, una sorta di spinta propagandistica che portava in
quella direzione e, dunque, la delicata riforma istituzionale andava via via assumendo,
alla fine della scorsa legislatura, un significato particolare.
Abbiamo temuto per gli esiti di questa fretta e, a due anni di distanza, siamo qui per
dire che la nostra non è stata una pregiudiziale, per così dire, ideologica, bensì una
contrarietà di merito e di metodo che confermiamo, perché il federalismo ha diverse
facce, non comporta conseguenze univoche, né è l'esito di processi tutti uguali.
Non vi è un modello unico di federalismo applicabile sempre e dovunque!
Il federalismo, laddove esiste, è strettamente legato alle storie, alle culture, alle
tradizioni di un paese o di un popolo.
Per queste ragioni pensiamo che i modelli di Stato federale, dagli Stati Uniti, alla
Germania, alla Spagna, alla Svizzera, abbiano tutti pari dignità pur rappresentando forme
diverse. La storia del nostro paese non consente di adottare uno di tali modelli
acriticamente, come espressione di un federalismo perfetto, prescindendo dai principi
costituzionali e dalla storia medesima del paese.
Il federalismo, che preferiremmo chiamare regionalismo forte nel rispetto dello spirito
della nostra Costituzione, deve essere un federalismo democratico, un federalismo per
unire, per mettere in relazione culture, comportamenti e poteri, per costruire, cioè,
relazioni interculturali e multiculturali. Potremmo chiamarlo un federalismo solidale che,
considerando l'articolazione delle identità statuali, si alimenta della cooperazione e
dell'autogoverno dei cittadini.
Se la riforma del titolo V della Costituzione varata dal centrosinistra, a nostro avviso,
non corrisponde a questa politica autenticamente regionalista è in discussione alla
Camera un altro provvedimento, cosiddetto della devoluzione, che non farà che peggiorare
il rapporto tra Stato, cittadini ed i diversi livelli istituzionali.
Uno degli aspetti più delicati introdotti dalla riforma dello Stato in senso federale è
lo svuotamento delle funzioni e delle prerogative dello Stato sociale attraverso
l'introduzione dei principi di sussidiarietà. Da una parte, vi è il principio di
sussidiarietà verticale in virtù del quale l'esercizio delle funzioni dei servizi deve
essere dislocato ad un livello di governo più vicino ai cittadini utenti, restando la
possibilità di intervento dei livelli superiori di governo limitata ai casi di esercizio
a livello unitario. Dall'altra parte, vi è il principio di sussidiarietà orizzontale in
base al quale è demandato ai soggetti pubblici solo ciò che non può essere utilmente
svolto dai soggetti privati.
L'introduzione del principio di sussidiarietà verticale ed orizzontale è volto a
rafforzare il principio di privatizzazione dei servizi andato avanti in questi anni. In
tal modo, l'iniziativa privata si sostituisce al potere pubblico nell'erogazione di
servizi con le inevitabili conseguenze negative sul piano dei diritti per quanto riguarda
l'uguaglianza dei cittadini. Questa è la preoccupazione fondamentale che ci ha spinto a
non condividere la modifica del titolo V della Costituzione. Tale modifica costituzionale
ha posto una serie di altri rilievi e di domande anche da parte di giuristi e
costituzionalisti che abbiamo avuto modo di ascoltare.
Il provvedimento in esame non dà risposte a tutte le questioni aperte dalla modifica
costituzionale, ad esempio sugli articoli 10, 70 e 77 della Costituzione. Tuttavia, credo
valga la pena di sottolineare come la legge di attuazione si collochi già in una fase in
cui si può dire che i processi di globalizzazione si basano sostanzialmente su una
competizione economica e produttiva che va a minare l'universalità dei diritti. Dunque,
vi è un problema di contrarietà ma anche un'esperienza concreta di fondo che fa
preoccupare rispetto alla possibilità di tener fede ai principi fondamentali, quelli
previsti dalla prima parte della Costituzione. Temiamo che tali principi siano minacciati
da provvedimenti che si incrociano tra di loro: mi riferisco al provvedimento in esame ed
alla cosiddetta devolution.
Arriviamo a questi provvedimenti dopo che già si è affermato un processo involutivo
dal punto di vista democratico-istituzionale.
Mi riferisco ad esempio al processo che ha portato all'elezione diretta dei sindaci, dei
presidenti di province e regioni, con un'affermazione di fondo degli esecutivi e la
marginalizzazione delle assemblee elettive, sempre più ridotte a camere di ratifica di
decisioni assunte in contesti ristrettissimi; all'assunzione a valore sovraordinato della
governabilità come strutturalmente indipendente da ogni condizione sociale - laddove
ritengo che, se anche i numeri consentono (come consentono naturalmente) di governare,
ogni Governo, soprattutto in società complesse come quelle attuali, ha bisogno di
ricercare sempre, in ogni momento, il consenso - e dunque alla logica della governabilità
che ha attraversato gli schieramenti del centrodestra e del centrosinistra dentro un
sistema elettorale maggioritario e bipolare, che di fatto ha prodotto la diminuzione della
partecipazione popolare, ha tolto valore e potere alla rappresentanza ed ha posto problemi
di rappresentanza democratica, per premiare invece un'idea della politica personalizzata.
Mi riferisco anche all'avvio di politiche trasformatrici dello Stato sociale, già nel
corso di questi anni, in cui i diritti una volta erano esigibili in quanto diritti, mentre
oggi parliamo di opportunità con pesanti aperture verso processi di liberalizzazione e
privatizzazione in ragione del mercato. Infine, per citare solo alcuni di questi processi
che hanno caratterizzato, a mio avviso, questa fase involutiva, mi riferisco alle stesse
politiche di concertazione che hanno contribuito a cancellare diritti fondamentali di
lavoratrici e lavoratori, introducendo delle regole nel mercato del lavoro che hanno di
fatto portato ad un quadro, oggi, di grande precarietà (la chiamano flessibilità, ma
ritengo sia una grande precarietà).
È in questo quadro dunque che si realizza la riforma del titolo V della Costituzione che,
anziché produrre un'accelerazione della maggiore autonomia costituzionalmente
riconosciuta alle regioni, sposta competenze e funzioni dallo Stato alle periferie su
materie che necessitano, per garantire l'universalità dei diritti, di una disposizione
nazionale socialmente egualitaria sull'intero territorio del paese. Scuola, sanità,
politiche attive del lavoro - tanto per citarne alcune -, lasciate alla logica della
competizione territoriale (dove il problema non è garantire tali diritti, ma attrarre
risorse ed investimenti fuori territorio), diventano terreno di scorribande speculative e
affossatrici della rete del welfare. Se a questo si unisce la costante riduzione di
risorse disponibili, a seguito di accordi internazionali il cui unico obiettivo è la
finanziarizzazione dell'economia (sottraendo risorse alla spesa sociale da trasferirsi
alla rendita e al profitto), il cerchio si chiude con la necessità di privatizzare
servizi essenziali.
Il sistema della competizione territoriale è, come si sa, propedeutico alla frantumazione
delle classi sociali più deboli, radicalizzandone la contrapposizione interna in una
lotta fratricida in cui la salvaguardia di un diritto va a scapito del diritto di qualcun
altro. Su questo fronte si apre dunque un'involuzione generale dove a farne la spesa sarà
la prima parte della Costituzione. Non è un caso che sanità, scuola e servizi sociali
siano già da tempo nel mirino distruttivo, mentre avanza sempre più l'attacco al
contratto nazionale di lavoro.
Infatti, mentre stiamo per discutere di come attuare questa modifica al titolo V della
Costituzione, stiamo esaminando (e domani inizieremo a votare) il provvedimento di
modifica all'articolo 117 della Costituzione (che parcellizza e di fatto cancella e
disgrega dal punto di vista territoriale e dal punto di vista dei relativi poteri) in
materia di devoluzione alle regioni di materie fondamentali come quelle della scuola,
della sanità e addirittura della sicurezza.
A fronte di ciò, il tentativo che abbiamo fatto con i nostri emendamenti è stato quello
di cercare di riconsegnare al primato della Costituzione, così esplicito nella sua prima
parte, il terreno di regolamentazione che deve avere lo Stato su materie che investono
diritti fondamentali.
Tra l'altro - a nostro avviso - questo è l'unico modo per impedire il massacro sociale
cui saranno sottoposte le fasce più deboli se e quando entrerà in atto l'altra riforma
costituzionale, vale a dire quella della devoluzione.
Dunque, questo è il senso dei nostri emendamenti: cercare di introdurre precisi vincoli
legislativi, anche temporali, alle regioni, la cui autonomia viene contenuta in un quadro
certo di principi fondamentali universalmente ed egualmente riconosciuti, dei quali spetta
allo Stato garantire la piena e totale esigibilità.
Siamo per un modello di ordinamento dello Stato che, mutuando quello tedesco, sia allo
stesso tempo espressione di rappresentanza sociale - quindi, anche dal punto di vista del
sistema elettorale - e di diritti certi ed inviolabili. Facciamo notare, appunto, che i Land
non hanno i poteri che, oggi, hanno le nostre regioni, eppure la Germania è uno Stato
federale da decenni. In tale sistema, le competenze dei Land sono limitate e la
legislazione speciale avviene solo su precisa delega del Parlamento tedesco. Qui, invece,
siamo al paradosso in base al quale materie di primaria importanza, su cui insistono i
principi fondamentali, sono sottratte al Parlamento e vengono delegate al Governo.
Ciò in un contesto in cui le assemblee elettive sono sempre più ridimensionate, a volte
sono umiliante e rese inutili, per lasciare il posto a nuovi organismi composti
essenzialmente dagli esecutivi. Mi riferisco in particolare alla Conferenza Stato-regioni
che, di fatto, è un luogo di accordi tra esecutivi al di sopra dello stesso Parlamento e
delle assemblee legislative e regionali.
In uno degli articoli di questo provvedimento, si arriva all'eccesso, in quanto per talune
decisioni si inviterà il presidente della regione alla riunione del Consiglio dei
ministri. Verrebbe da chiedersi se, a questo punto, non sia più logico sciogliere i
consigli regionali; infatti, in un intreccio di provvedimenti in ordine ai quali ormai
sono gli esecutivi a discutere e a decidere, le assemblee elettive svolgono solo un ruolo
residuale.
Questa legge dovrebbe incidere sulla formazione degli strumenti legislativi per la materia
concorrente e residuale. Anche in questo caso facciamo notare come, in diverse audizioni
svoltesi al Senato, diversi studiosi hanno evidenziato che, anche se è stato introdotto
il principio di orizzontalità tra le istituzioni competenti e la Repubblica, occorre che
lo Stato conservi una supremazia di garanzie e valenza superiore allorquando, in mancanza
dei presupposti a garanzia dei diritti civili e sociali e per questioni di diritto
internazionale, esso esercita un potere sostitutivo attraverso l'articolo 120 della
Costituzione.
Perciò, con questo spirito e in questo quadro, abbiamo cercato con i nostri emendamenti
di riposizionare al centro della legge il tema sociale e quello dei diritti fondamentali.
Abbiamo dunque tentato di restituire una valenza primaria agli organismi istituzionali
legislativi come le assemblee.
Infine, attraverso una nostra proposta emendativa, ci opponiamo alla
costituzionalizzazione del patto di stabilità che, perfino il Presidente Prodi ha
definito stupido, ma che qui viene riproposto addirittura legando il sistema di
finanziamento delle funzioni delegate ai vincoli economici di bilancio, tendenti
esclusivamente ad agire sulla riduzione dei costi di gestione, in particolare sui servizi,
con conseguenti danni soprattutto nei confronti delle classi sociali più deboli. Dunque,
questa logica di mercato a scapito dei diritti, che sovrintende al provvedimento in esame,
è la parte che più ci interessa e che, non a caso, continuiamo a sottolineare.
Anche questa legge di attuazione, dal nostro punto di vista, presenta dei punti critici.
Alcuni aspetti, tuttavia, sono affrontati in modo articolato, come ad esempio la questione
relativa alle materie internazionali, mentre altre questioni delegate al Governo non
possano essere condivise, in quanto il margine di discrezionalità, per quanti aggettivi
siano stati introdotti, è veramente troppo ampio.
Come si è compreso, la nostra preoccupazione riguarda il rischio di smantellare
definitivamente lo Stato sociale o di ridurlo alle garanzie minime, a principi minimi
assolutamente inadeguati ed insufficienti e, comunque, per noi in contrasto con la prima
parte della nostra Costituzione, per lasciare il posto, invece, alla competizione e alla
disgregazione territoriale. Vorrei dire che si sono già registrati alcuni segnali in
questa direzione, perché, quando si è discusso della spartizione del fondo sanitario
regionale, anche questa avvenuta, naturalmente, in riunioni tra esecutivi, al di fuori di
qualsiasi intervento delle assemblee elettive legislative, qualche assessore regionale al
bilancio ha posto, per esempio, il problema della rottura del contratto nazionale della
sanità, in favore di una contrattazione regionale che faccia fronte alle ristrettezze
economiche dovute ai vincoli, a quegli stupidi vincoli di cui dicevamo prima.
Allora, mettendo insieme i pezzi, da una parte, ci sono già diversi tentativi di mettere
in discussione il contratto nazionale di lavoro, dall'altra, si agisce dal basso per
riproporre lo stesso tema con queste argomentazioni, che hanno, evidentemente, un qualche
fondamento, visto che, se si è costretti dentro i vincoli, alla fine bisogna tirare i
conti. Insomma, la sostanza è che i prezzi verranno pagati dalle fasce più deboli della
società, verranno pagati dai diritti fondamentali che pensiamo, invece, debbano essere al
centro di qualsiasi iniziativa del Parlamento, tanto più se si tratta di modifiche
costituzionali.
Dunque, concludo dicendo che la nostra opposizione non riguarda una questione di forma. È
una questione di sostanza, che cerca di guardare al centro di quelle che dovrebbero essere
le politiche, al centro di quello che dovrebbe essere l'obiettivo delle leggi che
predisponiamo: garantire l'universalità dei diritti. Ciò, a nostro avviso, è di
particolare attualità in tempi come questi, in cui sono in campo, in tutto il mondo,
importanti movimenti che chiedono giustizia sociale, che chiedono l'estensione dei diritti
e l'esigibilità dei diritti. Si tratta degli stessi diritti che la nostra Costituzione
garantisce ma che, sempre più nel corso di questi anni, sono stati fortemente messi in
discussione.
Allora, credo che, anche attraverso questo intervento di adeguamento, vi sia la
possibilità di affrontare alcuni aspetti non chiariti con la modifica del titolo V della
Costituzione e, addirittura, di migliorare alcune questioni discutibili poste dal titolo
V, che oggi possono e debbono essere interpretate, perché ci sono le condizioni per
farlo. Soprattutto, pensiamo che, attraverso questo provvedimento, si debbano porre alcune
condizioni che impediscano altri pasticci istituzionali: quando parliamo di devoluzione,
oltre alla questione di merito, c'è un problema istituzionale di confusione. Vengono
messe in campo questioni di grande rilevanza. Il nostro intendimento è, soprattutto,
quello di tentare di mettere le basi per impedire una completa disgregazione dello Stato
unitario dal punto di vista dei diritti fondamentali.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marone. Ne ha facoltà.
RICCARDO MARONE. Signor Presidente, ho ascoltato con interesse e - devo dire - anche
con un po' di sorpresa la relazione del relatore, che ha esaltato il contenuto innovativo
di questo provvedimento, condividendolo pienamente e ritenendo che, con questo testo di
legge, si stia costruendo un processo di forte trasformazione dello Stato in senso
federale. Ovviamente, sono d'accordo con questa affermazione e con la sostanza delle
affermazioni del relatore.
Tuttavia, non sono d'accordo quando egli afferma che tutto ciò avviene - uso le sue
parole - grazie ai livelli attuativi di questo disegno di legge. Vorrei dire al relatore -
non tanto a lui personalmente, perché so che segue una vecchia tradizione autonomistica,
ma in quanto rappresentante in questo momento della maggioranza - che tutto ciò avviene
non per questo disegno di legge, che noi ci auguriamo venga approvato il più rapidamente
possibile, ma per la profonda riforma realizzata nella scorsa legislatura con il titolo V.
Vorrei ricordare che il disegno di legge in esame si intitola, giustamente,
"Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3". Quindi, tutto quello che avviene e sta
avvenendo o dovrà avvenire nei prossimi tempi è una profonda trasformazione dovuta alla
legge costituzionale n. 3 voluta dalla maggioranza di centrosinistra e fortemente - anche
qui vorrei ricordarlo - osteggiata dall'attuale maggioranza.
Anche qui, vorrei dire al ministro, che più volte ci ha ricordato la complessità del suo
lavoro svolto in questo periodo - addirittura, ha qualche volta accennato ad una volontà
di arrendersi per questa difficoltà -, che l'onestà intellettuale di questa maggioranza
avrebbe voluto che riconoscesse, evidentemente, che nella scorsa legislatura c'era stata
una erronea sottovalutazione della portata innovativa della legge costituzionale n. 3 del
2001. Io ricordo che uno degli argomenti dell'attuale maggioranza, che all'epoca era
opposizione, era che, in realtà, non si stava facendo il vero federalismo e, quindi, era
contraria. Ora dite esattamente il contrario, e che c'è voluto tanto tempo per elaborare
questo disegno di legge, perché la manovra compiuta dal centrosinistra era così
complessa e profonda che richiedeva un lungo lavoro: allora, mi sembra che non ci siamo.
Ovviamente, condivido il ragionamento per cui ci troviamo in presenza di una profonda
trasformazione dell'ordinamento e dell'organizzazione dello Stato e di una forte spinta in
termini federali dello Stato attuata a seguito della legge costituzionale n. 3 del 2001.
Il secondo argomento è di carattere un po' più generale - poi entrerò più nel merito
di questo disegno di legge - e si riferisce alle profonde oscillazioni e contraddizioni
della maggioranza su questo tema. Infatti, praticamente, vi sono due progetti di legge che
vanno avanti parallelamente, uno attuativo del titolo V - la cosiddetta legge La Loggia -,
e l'altro che si riferisce alla cosiddetta legge sulla devolution di Bossi.
Quest'ultimo sostiene che in realtà la legge costituzionale n. 3 non è minimamente una
legge federalista, ma che il vero federalismo lo attua lui, in questo modo, sottovalutando
totalmente la funzione della legge attuativa del provvedimento che oggi stiamo discutendo.
Inoltre, si tiene un atteggiamento collaborativo con l'attuale minoranza su questo disegno
di legge, e poi si blinda la legge di Bossi sulla devolution, per la quale si dice
che non si può cambiare nemmeno una parola, mentre al Senato, si era detto esattamente il
contrario, affermando che se ne sarebbe discusso poi alla Camera durante l'esame della
legge La Loggia.
Dopo di ciò, quando abbiamo fatto queste osservazioni, siamo stati addirittura scavalcati
da alcuni partiti della maggioranza, i quali ci hanno spiegato quanto fosse importante
presentare emendamenti alla legge di Bossi - perché altrimenti non se ne potevano fare
più - e quanto quella legge fosse sbagliata, salvo poi scoprire che la maggioranza non ha
mai presentato quegli emendamenti, e mantiene blindata la legge Bossi. Salvo poi, inoltre,
avere notizia di un accordo di maggioranza - allo stato ancora non c'è nulla - per cui
sostanzialmente non si comprende bene se si abbandona il progetto di legge Bossi, se lo si
modifica o se lo si ingloba in un altro provvedimento legislativo di più ampia portata.
Allora, mi chiedo perché domani discutiamo della devolution se questa è oggi la
posizione della maggioranza, perché da quello che sembra di capire - più dai giornali,
per la verità che dagli atti parlamentari - questa maggioranza avrebbe intenzione di
abbandonare la legge Bossi per presentare una riforma organica del titolo V. Ripeto ancora
le contraddizioni esistenti: domani arriva in aula il provvedimento sulla devolution
di Bossi blindata, senza possibilità di modifiche, salvo poi, presumo, abbandonarla nel
corso dei lavori perché si è sempre in attesa di un disegno di legge, da approvarsi in
Consiglio dei ministri, di modifica del titolo V, in particolare dell'articolo 117 della
Costituzione, cioè di quella parte nella quale si discute della ripartizione di
competenze tra Stato e regioni.
Siamo veramente in presenza di una confusione dovuta a tattiche o a tatticismi di
carattere politico, oltre tutto fortemente condizionati dalla prossima tornata elettorale,
così come abbiamo detto fin dal primo giorno in cui si è cominciato a discutere di devolution.
È chiaro a tutti, infatti, che se domani si discuterà di devolution e che se tra
un mese si tornerà in aula per sottoporla al voto, non lo si farà per quest'ultimo
motivo, ma solo perché Bossi dovrà usare l'argomento in questione nelle prossime
elezioni amministrative.
Questa incoerenza della maggioranza non è dovuta tanto a tatticismi elettorali o di
politica contingente, ma alla confusione di fondo che la caratterizza. All'interno della
maggioranza, infatti, vi è un forte contrasto tra uno spirito federalistico ed uno
centralistico. Stiamo assistendo in continuazione da un lato a spinte federaliste e
dall'altro, con altrettanta frequenza, all'emanazione da parte del Governo di
provvedimenti che, invece, sono fortemente ispirati ad una concezione centralista dello
Stato. Abbiamo verificato ciò in quasi due anni di Governo e - ripeto - lo verifichiamo
riguardo al tema di fondo del titolo V della Costituzione. Cosa comporterà questa
prossima legge di riforma del titolo V della Costituzione di cui tanto si discute sui
giornali, ma che non viene esaminata dal Parlamento perché, evidentemente, il Governo non
riesce a trovare il bandolo della matassa, la filosofia di fondo che dovrebbe ispirarla?
Ci spingeremo oltre o torneremo indietro rispetto al federalismo? Si vuole correggere
qualche imperfezione - che, ovviamente, vi può essere - relativamente alla riforma
portata a compimento nella precedente legislatura? Cosa andremo a fare di qui a breve?
Stabilire questo ci sembra fondamentale, importante, soprattutto nel momento in cui il
Governo, una volta approvato questo provvedimento, dovrà redigere i testi unici ed
elaborare i principi fondamentali. Non vorrei infatti che questo lavoro venga vanificato
da una riforma del titolo V della Costituzione che, ovviamente, nel momento in cui
modificherà l'articolo 117 renderà nulla tutta la precedente legislazione.
In questi due anni di Governo una maggiore chiarezza sugli obiettivi in materia di riforma
dello Stato, e in materia di riforma federale, credo sarebbe stata necessaria e, forse, ci
avrebbe agevolato riguardo al lavoro che andremo a svolgere.
Fatte queste considerazioni di carattere generale vorrei svolgere alcune brevi
osservazioni rinviando gli argomenti più tecnici, più specifici, al momento in cui si
discuteranno gli emendamenti.
Riguardo al tema della delega al Governo sui principi fondamentali - argomento toccato
anche dal relatore -, noi non siamo politicamente contrari a quest'ultima - lo abbiamo
sostenuto in diverse sedi -, ma abbiamo posto l'accento sulla possibilità che ciò possa
verificarsi. Non si tratta di una questione di opportunità politica: il problema è se
nella materia relativa all'individuazione dei principi fondamentali possa trovare
applicazione il principio della delega legislativa. Lo ripeto: non si tratta di una
posizione politica, ma di un serio e forte dubbio che abbiamo al riguardo. Ci chiediamo
infatti come possano esistere criteri e principi generali per oggetti definiti - come
afferma l'articolo 76 della Costituzione - nell'elaborazione dei principi fondamentali. È
questo il tema che abbiamo posto e non mi pare che su di esso vi sia stato un serio
approfondimento. Se esaminassimo il quarto comma dell'articolo 1 per individuare i criteri
e i principi generali di cui all'articolo 76 della Costituzione, ci accorgeremmo che i
principi fondamentali sono individuati sulla base dei principi di esclusività, di
adeguatezza, di chiarezza, di proporzionalità e di omogeneità.
Francamente, mi sembra che tali criteri siano di una tale genericità che non so se e come
il Governo riuscirà ad individuare i principi fondamentali sulla base dei suddetti
criteri. Si trattava di un dubbio giuridico, anche di interpretazione delle norme
costituzionali, che, a nostro avviso, avrebbe meritato un maggiore approfondimento perché
non riusciamo a comprendere quali possano essere gli schemi entro i quali il Governo
lavorerà nel momento in cui procederà al riguardo. Non si tratta di affermare che
successivamente i passaggi saranno tali e tanti che non vi sarà l'esautoramento del
Parlamento perché non è questa la questione posta in discussione. La tematica sollevata
è quella dell'esistenza del potere, tema completamente diverso che prescinde anche da chi
governa o dalla fiducia che si può riporre in chi governa.
Da questo punto di vista, continuiamo a ritenere che vi sia un problema. Probabilmente,
sarebbe stato difficile fare diversamente, anche se, come ha affermato giustamente il
collega Boccia, mi sembra che si sia perso molto tempo, atteso che la legge costituzionale
è stata approvata da molto tempo (da quasi due anni) ed è trascorso ormai un anno e
mezzo dal referendum confermativo. Vi era quindi il tempo. È stato, al contrario,
semplicemente posto in essere un provvedimento con cui si delega il Governo ad individuare
i principi fondamentali. Si tratta, a mio avviso, di un problema di fondo.
Detto ciò, di fronte alle perplessità della delega, il Governo se ne attribuisce
un'altra; questa volta non si attribuisce una delega meramente ricognitiva, come quella
prevista al quarto comma dell'articolo 1 del provvedimento in esame, ma prevede una delega
piena (ai sensi del nuovo articolo 2) per modificare il testo unico degli enti locali,
senza alcun dibattito ed istruttoria preliminari, con un emendamento presentato all'ultimo
momento (negli ultimi giorni) del quale non vi è stata discussione in Commissione (si è
trattato, infatti, di un emendamento presentato dal Governo). Francamente, la
partecipazione dell'opposizione all'elaborazione dei provvedimenti legislativi è stata
carente.
Un tema così importante come quello dei poteri degli enti locali, delle competenze, dei
procedimenti, di tutto ciò che riguarda il testo unico degli enti locali avrebbe
richiesto quanto meno una legge apposita; si doveva consentire lo svolgimento di un certo
dibattito in Commissione (è necessario farlo anche in Assemblea) in ordine a quella
delega in modo che il Parlamento avesse la piena cognizione di quale delega stesse
attribuendo al Governo. Ci ritroviamo oggi, invece, di fronte ad un provvedimento, in
merito al quale inizialmente eravamo sostanzialmente concordi, che prevede l'attribuzione
di una delega presentata all'ultimo momento e sulla quale non vi è stato alcun confronto.
Vi è, infine, un elemento di ulteriore perplessità (abbiamo sollevato la questione in
Commissione; il ministro ha affermato che tale problema non esiste, ma io ritengo di sì):
l'articolo 3, ex articolo 2, prevede la redazione di testi unici compilativi delle
disposizioni legislative residue in materia concorrente. Il tema dei testi unici credo
piaccia molto a questo Governo perché abbiamo già attribuito tale delega con riferimento
alla legge di semplificazione. Si può, quindi, attribuire due volte la delega, non è
questo il problema: il problema è che il contenuto della delega è diverso. Mentre
nell'articolo 3, infatti, si parla di testi unici compilativi, nella delega attribuita al
Governo in materia di legge di semplificazione i testi unici non hanno carattere
compilativo. Pertanto, mi chiedo come queste due deleghe potranno interagire tra di loro.
Mi preoccupa anche la mancanza di comunicazione che in genere esiste tra i ministeri:
quella delega sarà, infatti, esercitata dal Ministero della funzione pubblica, mentre la
suddetta, quella prevista nel presente provvedimento, sarà esercitata dal suo ministero.
Sappiamo della difficoltà esistente, a livello comunicativo, tra le burocrazie
ministeriali e, per questa ragione, mi chiedo se questo disegno di legge delega sulle
medesime materie, perché sostanzialmente, nelle materie di legislazione concorrente,
avremo una coincidenza di deleghe, non creerà confusione all'interprete, una volta
esercitate tali deleghe.
Detto questo, noi avevamo presentato una serie di emendamenti che ponevano all'attenzione
alcuni temi, dal momento che ci sembrava poco chiara l'attuale formulazione legislativa.
Ci è stato risposto che così non era; tuttavia, noi insistiamo sul carattere oscuro di
alcuni passaggi di questa legge che ritenevamo potesse essere modificata, anche perché
non tocca la sostanza della legislazione. In particolare, nella definizione dei famosi
principi fondamentali, nutriamo perplessità sul modo in cui possa essere interpretato il
termine "esclusività". La perplessità non nasce dalla nostra considerazione,
bensì dal fatto che oggettivamente questa parola ha ricevuto interpretazioni diverse
perché, mentre l'ufficio legislativo della Camera la interpreta in un senso, il ministro
la interpreta in un altro. Avendo lasciato la formulazione attuale, non so come si farà
ad interpretare questo termine, perché, se la norma viene interpretata, come ci
garantisce il ministro, nel senso che verrà rispettata l'esclusività delle materie del
secondo e del quarto comma dell'articolo 117, questo è ovviamente un criterio. Se
viceversa venisse interpretata nel senso che i principi fondamentali, così come ci dice
l'ufficio studi della Camera, individuati in questi decreti legislativi ed in altri che ci
dovessero essere nel nuovo ordinamento, vengono implicitamente abrogati, allora saremmo
contrari ad una interpretazione di questo genere. Il relatore continua a dire che le cose
non stanno così; tuttavia, non riesco a comprendere perché non si voglia chiarire questo
aspetto, dal momento che esistono interpretazioni contrastanti.
Un altro profilo che abbiamo proposto all'attenzione riguarda la sostituzione della
Conferenza Stato-regioni con quella unificata. Ci è stato risposto dal ministro che era
giusto lasciare la Conferenza Stato-regioni dal momento che, trattandosi di materia
legislativa, lo Stato e le regioni hanno competenza legislativa, mentre gli enti locali,
non avendo competenze di questo tipo, non potevano quindi essere coinvolti in questo
processo. Anche in questo caso, mi sembra che la risposta non sia soddisfacente perché
uno dei problemi di fondo della nostra legislazione è quello di far "calare" le
leggi dall'alto e di non elaborare le leggi con il contributo dei soggetti che dovranno
applicarle o che di quelle leggi sono destinatari. Questo è uno dei problemi che abbiamo
sempre vissuto nel nostro ordinamento, perché non esiste un livello di apporto
dell'esperienza alla formazione e alla elaborazione legislativa. Ciò poteva risolversi
facendo partecipare al procedimento la Conferenza unificata e quindi anche gli enti
locali, con la loro esperienza, dal momento che questi ultimi saranno quelli che realmente
dovranno applicare nel concreto e nell'azione quotidiana amministrativa, tale
legislazione. Per questo chiedere un loro contributo ed una loro partecipazione ci sembra
indispensabile. Ci è stato detto di "no", ma noi ripresenteremo un emendamento
perché lo riteniamo utile ai fini di una migliore elaborazione del testo legislativo e di
una migliore sua formulazione.
Allo stesso modo perché non si è voluto - e qui l'argomento del relatore, se mi
consente, è alquanto contrastante; egli giustamente dice che i passaggi sono numerosi e
che garantiscono la partecipazione; sono perfettamente d'accordo sul fatto che ciò può
essere ritenuto un appesantimento procedurale che potrà ritardare l'attuazione di questo
adeguamento costituzionale - prevedere un parere vincolante? Se siamo così convinti della
necessità dei pareri e della necessità della partecipazione di questi organismi, perché
rispetto all'emendamento che prevede che il parere sia vincolante nella redazione del
decreto legislativo, non si è voluto recepire questo principio, cosa che invece
rappresenta un principio fondamentale, perché si attribuisce il giusto rilievo a quegli
organismi che nella materia sono più qualificati ad esprimere il parere?
Vorrei svolgere alcune considerazioni conclusive. Noi abbiamo ritenuto che nella legge
costituzionale n. 3 del 2001 ci fossero, al di là di quelle di cui abbiamo parlato fino
ad ora, alcune grandi novità, in particolare, ad esempio, per quanto riguarda il ruolo
che le regioni potevano avere nell'ambito delle relazioni internazionali. Questo era un
elemento di forte novità, rispetto alla vecchia formulazione della Costituzione.
Certamente, è di maggiore novità rispetto all'articolo 117 perché, sia ben chiaro, la
ripartizione delle competenze tra Stato e regioni è sempre esistita nel nostro
ordinamento, la competenza legislativa delle regioni in alcune materie è sempre esistita,
quindi la modifica del titolo V ha aggiornato, ha reso più moderno quel principio già
adottato dal costituente del 1946-48. L'elemento di vera novità è la possibilità dei
rapporti internazionali per le regioni e su questo punto mi sembra che la legge sia
alquanto timida nel dare concreta attuazione al disposto della Costituzione. Noi
insistiamo, invece, nella nostra posizione, perché riteniamo che bisogna ampliare queste
competenze per renderle concrete ed attuative.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARIO CLEMENTE MASTELLA (ore 17,04)
RICCARDO MARONE. Infine, vorrei affrontare due ultimi punti, di cui uno particolarmente
importante. Noi riteniamo che la parte finanziaria di un provvedimento sia quella che dà
reale e concreta attuazione a quel provvedimento. Del resto, nella storia di questo paese,
dell'evoluzione delle autonomie, del federalismo, il decentramento finanziario ha sempre
rincorso quello legislativo, perché c'è sempre stata, ovviamente, la forte resistenza
dello Stato a cedere potere; quindi ha cominciato prima a cedere il potere sulla parte
normativa e poi, lentamente, anche su quella finanziaria.
È ovvio, infatti, che senza la copertura finanziaria qualsiasi attività è un'attività
limitata. Si tratta di una vicenda che ricordiamo bene se pensiamo a tutta la legislazione
delle autonomie degli anni settanta, alla famosa Commissione Giannini che per prima pose
il problema per la attuazione della delega del 1975 della necessità di trasferire anche
risorse finanziarie (poi, come si ricorderà, non fu fatto niente ed il lavoro della
Commissione Giannini venne completamente accantonato).
Il processo di federalismo, di autonomia, di decentramento è tanto più importante quando
il trasferimento di competenze e di funzioni va di pari passo con il trasferimento di
risorse. Ci chiediamo allora: perché non mettere in questa legge anche la parte attuativa
dell'articolo 120 della Costituzione, come abbiamo proposto nel nostro emendamento? Siamo
ormai maturi per fare anche questo lavoro e sarebbe stato estremamente utile, perché si
tratta della parte che dà concretezza a tutta la legislazione di principio che potrà
essere fatta in sede di decreti delegati da questo Governo. Ci auguriamo vi sia un
ripensamento da parte del Governo, affinché possa esprimere un parere favorevole sui
nostri emendamenti.
Infine - ho lasciato per ultimo questo argomento perché sono convinto che il Governo ci
penserà e che non ci costringerà a modificare una posizione sostanzialmente non
contraria al provvedimento legislativo in esame -, questa proposta emendativa presentata
all'ultimo momento, odiosa nella sua formulazione oltre che nel suo contenuto, riguarda
solo una piccola parte del territorio di questo paese, solo una piccola parte di
territorio nell'ambito delle regioni a statuto speciale; tale proposta sembra molto più
motivata da ragioni di carattere politico che non da ragioni di carattere ordinamentale.
Se, come si dice, questa norma (mi riferisco al comma 6 dell'articolo 10, così come
introdotto in Commissione) aveva la funzione di norma di chiusura dell'ordinamento nelle
regioni a statuto speciale - fatta salva la competenza delle regioni a statuto speciale e
senza minimamente intaccare tale competenza si applicano le leggi dello Stato -, mi chiedo
per quale motivo la norma non venga formulata in questo senso. Mi chiedo per quale motivo
il relatore, proveniente, oltretutto, da una regione a statuto speciale, non preveda una
norma di chiusura dell'ordinamento anche per le altre regioni a statuto speciale; infatti
è prevista solo per le province autonome di Trento e di Bolzano. Si risponderà: nelle
altre regioni non vi è la necessità di una norma di chiusura. Questo i sembra difficile
affermarlo, anzi, mi sembra impossibile. Infatti, in ogni regione ci sono materie non
interamente disciplinate dalla normativa statutaria speciale. Allora, questa norma avrebbe
potuto avere una sua dignità se avesse riguardato tutte le regioni a statuto speciale e
non solo - lo ripeto - le provincie autonome di Trento e di Bolzano. Se, invece, è
formulata, così com'è formulata, ci induce a ritenere che la norma abbia una funzione
del tutto politica, che nulla a che vedere con la necessità illustrata in Commissione.
Queste sono le considerazioni di carattere generale che possano essere svolte sul
provvedimento in esame.
Anche a nostro avviso è importante procedere nell'esame del provvedimento il più
rapidamente possibile. Abbiamo chiesto che questo provvedimento fosse discusso in
Commissione prima del progetto sulla devolution di Bossi. Ci sembra che ciò sia
naturale, trattandosi di un provvedimento di adeguamento di una normativa costituzionale
già approvata. Non è stato così. Continua a non essere così, perché il progetto sulla
devolution di Bossi è stato discusso, in quest'aula, prima del disegno di legge La
Loggia. Domani, la devolution di Bossi sarà esaminata in quest'aula per
l'approvazione delle proposte emendative (saranno respinte tutte, come già è stato
preannunciato da questa maggioranza). Perché questo? Perché ritenevamo urgente dare
attuazione all'adeguamento del nostro ordinamento ai principi della legge costituzionale
n. 3. Voi, invece, state rallentando questo processo di adeguamento. State privilegiando
altre ipotesi che non conosciamo, perché - lo ripeto - si tratta di ipotesi che si
leggono sui giornali ma che non hanno alcuna dignità nelle aule parlamentari. Infatti,
non è mai stata pronunciata una parola in quest'aula, anzi, ci troviamo di fronte a due
posizioni totalmente contrapposte (che, sui principi dell'ordinamento repubblicano, vi
siano posizioni così contrapposte in una maggioranza, francamente, lascia molto
perplessi) dei partiti della maggioranza: da una parte, un partito che afferma di spingere
per un forte federalismo, salvo poi votare nelle maniera più disparate quando si tratta
di singoli provvedimenti che tendono verso accentramenti statali, e, dall'altra, un
partito che sostiene di essere andati troppo oltre e che occorre fare marcia indietro. Poi
vi è il partito che aveva presentato un emendamento salva ordinamento salva Repubblica,
non mi ricordo come fu definito...
DONATO BRUNO. Salva Italia!
RICCARDO MARONE. Si, Salva Italia, grazie, presidente... salvo poi ritirarlo successivamente. Quindi quest'Italia non è stata salvata perché l'emendamento è stato ritirato. Dunque, l'unico atto che attualmente ha una sua dignità è questo. Approviamolo, o approvatelo, rapidamente. Espungete da questo atto quella norma odiosa che abbiamo citato. In questo modo, potremmo compiere un passo avanti serio nella riforma federale realizzata - lo ripeto - dal Governo di centrosinistra.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi
della I Commissione ed altri che vedo qui presenti, il disegno di legge conosciuto con il
nome del ministro La Loggia, ma che ha come primo firmatario Berlusconi e come cofirmatari
i ministri Bossi e Scajola, reca disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della
Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
Quest'ultima è la legge costituzionale che ha fatto entrare in vigore la modifica del
titolo V della seconda parte della Costituzione, approvata - ahimè! - con i soli voti del
centrosinistra, nella XIII legislatura.
Dopo averne già parlato in Commissione, in sede referente, desidererei svolgere qualche
considerazione al riguardo anche qui in Assemblea perché, negli ultimi mesi, sono state
sollevate molte e strumentali polemiche a proposito dell'approvazione, ella XIII
legislatura, della riforma del titolo V della seconda parte della Costituzione.
Il testo della riforma era stato approvato, se si eccettua la rappresentanza di
Rifondazione comunista, pressoché dall'unanimità del centrosinistra e del centrodestra
di allora, nella Commissione bicamerale per le riforme istituzionali (la cosiddetta
Bicamerale), con due letture di cui la prima conclusasi nel mese di giugno e la seconda
nel mese di novembre del 1997.
Successivamente, l'intero progetto della bicamerale fu portato all'esame di questa Camera
e, dalla fine di gennaio del 1998 fino al 2 giugno del medesimo anno, quando, in
quest'aula, il Presidente Berlusconi, quale leader del Polo, si alzò e rovesciò il
tavolo della Bicamerale dichiarando di non volere più procedere in quell'organico disegno
di riforma della seconda parte della Costituzione, quest'Assemblea affrontò proprio quel
tema della forma di Stato che oggi si colloca all'interno del titolo V, ma che,
nell'ipotesi di riforma della Bicamerale, proprio per dare un'impronta fortemente
federalista a quel disegno di riforma costituzionale, sarebbe diventato il nuovo titolo I
della seconda parte della Costituzione.
Bloccato il processo di riforma di cui al progetto della Bicamerale, la I Commissione
(Affari costituzionali) della Camera dei deputati, sulla base di un nuovo disegno di legge
del Governo di allora che, sostanzialmente, riproduceva il testo approvato dalla
Bicamerale e dall'Assemblea della Camera, riprese, stavolta con le procedure ordinarie di
cui all'articolo 138 della Costituzione, ad esaminare il testo di riforma del titolo V.
Fine a questa fase vi fu una larghissima convergenza tra centrosinistra, allora
maggioranza, e centrodestra, allora all'opposizione. Soltanto quando ci si avvicinò alla
scadenza della XIII legislatura e, quindi, alla prospettiva delle elezioni politiche - da
quel momento e solo da quel momento -, ci fu una presa di distanze da parte delle forze
politiche del centrodestra (si chiamava Polo a quel tempo, non Casa delle libertà),
nonostante che vi fosse stata una forte sollecitazione, nei confronti del Parlamento
(dapprima della I Commissione e dell'Assemblea della Camera e, successivamente, della
corrispondente Commissione e dell'Assemblea del Senato), da parte di tutti i
rappresentanti del sistema delle autonomie e, in particolare, da parte della Conferenza
dei presidenti delle regioni (presieduta dal presidente Ghigo), affinché, sia pure previo
stralcio di alcune tematiche più ampie, quali la riforma dello stesso bicameralismo e
l'integrazione della Corte costituzionale (tuttora all'attenzione del Parlamento per un
completamento della riforma costituzionale), si arrivasse comunque all'approvazione, sia
pure in forma ridotta, della riforma del titolo V.
Questo aveva una logica costituzionale ed istituzionale molto forte perché questo
Parlamento due anni prima aveva già approvato a larghissima maggioranza, anche in quel
caso solo con il voto contrario di Rifondazione comunista, la riforma di altri articoli
del titolo V che prevedevano non solo la possibilità dell'elezione diretta del presidente
delle regioni a statuto ordinario - e questo era l'aspetto più visibile - ma anche - e
questo era l'aspetto forse più rilevante - la piena autonomia statutaria delle regioni a
statuto ordinario, che fino a quella fase invece disponevano di uno statuto elaborato sì
in sede regionale, ma che doveva essere approvato (altrimenti non sarebbe mai entrato in
vigore) da legge dello Stato e quindi dal Parlamento della Repubblica.
Aver dato piena autonomia statutaria alle 15 regioni a statuto ordinario senza avere in
nulla modificato le competenze di queste regioni poneva le regioni stesse
nell'impossibilità di elaborare nuovi statuti perché nulla avrebbero potuto
sostanzialmente innovare rispetto alla fase storica precedente iniziata nel 1970. Questa
è la ragione, signor ministro, colleghi, per cui il centrosinistra ha voluto completare
nella scorsa legislatura la riforma - sia pure parziale - del titolo V della seconda parte
della Costituzione. Soltanto alla fine tale scelta parlamentare risultò in capo
all'esclusiva responsabilità del centrosinistra - ed è giusto che il centrosinistra se
ne sia assunto la responsabilità -, perché per tutto l'iter precedente c'era stata una
positiva cooperazione tra centrosinistra e centrodestra nella scorsa legislatura.
Tra l'altro, come è stato già ricordato, questa è l'unica parte della nostra
Costituzione, della Costituzione del 1948, che, dopo l'approvazione parlamentare, sia
stata sottoposta a referendum popolare confermativo (conferma che poi c'è stata), con
referendum del 7 ottobre del 2001 (un quinto dei senatori del centrodestra aveva promosso
un referendum nella logica oppositiva, mentre un quinto dei senatori del centrosinistra
aveva proposto un referendum confermativo). Quindi, quel referendum, il primo nella storia
repubblicana, ad opposizione o a conferma di una modifica costituzionale, trovò il
larghissimo consenso da parte dei cittadini italiani, tanto che il titolo V oggi in vigore
è l'unica parte o l'unico titolo dell'intera Costituzione - questo fa parte della seconda
parte della Costituzione, ma io mi riferisco all'intera Costituzione - che sia stato
confermato dal voto popolare. Da qui se ne ricava l'importanza costituzionale di ciò che
è avvenuto, del processo riformatore completato nella XIII legislatura e confermato con
referendum che si è tenuto nell'ottobre del 2001, quindi nei primi mesi della XIV
legislatura, e da qui anche si ricava l'importanza di arrivare tempestivamente ad una
legge ordinaria di attuazione del titolo V. Infatti, quest'ultimo consiste esclusivamente
in norme costituzionali, norme cioè che, in alcuni casi, sono immediatamente
autoapplicative, ma in altri - come in molti casi succede per le norme costituzionali -
hanno bisogno, per un pieno adeguamento dell'ordinamento della Repubblica a quelle nuove
norme costituzionali, di norme ordinarie di attuazione.
Il disegno di legge cosiddetto La Loggia che abbiamo al nostro esame si colloca in questa
logica sistemica di attuazione delle nuove norme costituzionali del nuovo titolo V della
Costituzione. Ho ricapitolato tutto questo senza alzare la voce, sottolineando però
quanta strumentalità e quanta faziosità ci sia stata nei mesi scorsi e negli ultimi due
anni nell'attribuire a un mero colpo di mano, ad una mera forzatura del centro sinistra di
allora questa modifica costituzionale. Ne ho ripercorso l'itinerario proprio per far
capire che non si trattò di un colpo di mano e non si trattò di una forzatura, ma adesso
però ci troviamo in una situazione particolarmente delicata e importante.
Da una parte, signor ministro e colleghi, a parti rovesciate - il centrosinistra oggi è
all'opposizione ed il centrodestra è maggioranza -, non abbiamo ricambiato il
centrodestra con lo stesso atteggiamento di ostilità e polemica pregiudiziale. Da parte
nostra, infatti, vi è stata la disponibilità alla collaborazione, al confronto ed anche
all'accelerazione dei tempi dell'esame parlamentare: basti pensare che il presente disegno
di legge è arrivato dal Senato soltanto alla fine del gennaio scorso, sono passate solo
poche settimane e già ci troviamo in aula per esaminarlo.
Ma d'altra parte, si sono nel frattempo verificati altri fatti di carattere parlamentare e
politico, con diretto rilievo costituzionale, sui cui non può non proiettarsi la nostra
attenzione. Mentre si discuteva al Senato il cosiddetto disegno di legge La Loggia,
infatti, è stato approvato dallo stesso Senato - in quel caso con uno scontro frontale
nei confronti delle forze del centrosinistra, ed anche con profonde dilacerazioni interne
alle stesse forze politiche del centrodestra - il cosiddetto disegno di legge Bossi sulla
cosiddetta - quanti cosiddetti! - devoluzione, volto a modificare ulteriormente l'articolo
117 della Costituzione, che rappresenta la struttura portante, anche se non unica, del
nuovo titolo V della Costituzione.
Al Senato, in questa situazione paradossale - in cui il centrosinistra ha collaborato con
il ministro La Loggia per l'approvazione del disegno di legge ordinario per l'attuazione
del titolo V della Costituzione, mentre invece vi è stata una contrapposizione frontale,
un vero e proprio muro contro muro, sulla cosiddetta devoluzione -, a fronte non solo
delle obiezioni costituzionali ed istituzionali avanzate dai gruppi del centrosinistra, ma
anche di forti rilievi critici provenienti da alcuni settori dello stesso centrodestra, si
affermò all'epoca che quel ramo del Parlamento avrebbe approvato così come era il
disegno di legge Bossi, riservandosi una sua modifica nel successivo iter alla Camera dei
deputati. Ciò non è avvenuto; anzi, siamo stati messi di fronte ad una vera e propria
presa in giro politico-istituzionale. Non ne attribuisco la responsabilità al presidente
della I Commissione, relatore su quel disegno di legge, perché mi rendo conto che è
stato posto di fronte ad un vero e proprio Diktat di carattere politico, e non
costituzionale, ma vorrei ricordare che per settimane, anche in questo caso con un
atteggiamento di confronto, di dialogo e di approfondimento, ed attraverso una serie
numerosa di audizioni di esponenti di dottrine di diverso orientamento politico e
culturale, abbiamo cercato di lavorare in I Commissione su un'ipotesi non di bocciatura
del cosiddetto disegno di legge Bossi - anche se volessimo farlo, non ne avremmo neanche i
numeri -, ma di modifica di quel testo, al fine di renderlo quanto meno sistematicamente e
costituzionalmente coerente con il vigente titolo V della Costituzione.
Al riguardo, abbiamo presentato poche e limitate proposte emendative, finalizzate ad una
modifica di quel testo, per renderlo quanto meno compatibile con l'impianto complessivo
della seconda parte della Costituzione, in particolare del titolo V.
PRESIDENTE. Onorevole Boato...
MARCO BOATO. Di fronte a questa disponibilità dell'opposizione di centrosinistra, c'è
stata da parte del centrodestra prima una "finta" di dialogo, durata alcune
settimane, e poi la bocciatura drastica, pura e semplice, in pochi minuti, di tutte le
proposte emendative, anche di quelle più fondate, ed il ritiro degli stessi emendamenti
presentati dal centrodestra.
Successivamente, gli stessi rappresentanti del Governo hanno preannunziato, di fronte alla
I Commissione della Camera dei deputati, la presentazione, nelle prossime settimane, di un
ulteriore disegno di legge di natura costituzionale per un'ulteriore, complessiva
rivisitazione, riforma o restyling - per adoperare la varia terminologia adottata -
dell'intero titolo V della Costituzione, entrato in vigore meno di un anno e mezzo fa,
alla fine del 2001, in seguito al referendum confermativo.
Signor Presidente, nel concludere, vorrei dire che non ho affrontato le questioni
specifiche di questo disegno di legge, che affronteremo in sede di esame delle proposte
emendative.
Allora, si pone una questione di carattere politico e di carattere pregiudiziale. Al
riguardo, un chiarimento politico va chiesto a questo ministro e, in particolare, al
Governo rispetto a che cosa possa voler dire approvare un disegno di legge ordinario di
attuazione dell'attuale titolo V della Costituzione quando lo stesso Governo ha proceduto
alla prima lettura al Senato ed è già stata posta all'ordine giorno della Camera la
prima lettura, ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione, della modifica dell'articolo
117 della Costituzione in base al disegno di legge Bossi sulla devoluzione e, al tempo
stesso, viene preannunciato un nuovo disegno di legge più organico di riforma dell'intero
titolo V che, ovviamente, comporterà una nuova legge di attuazione dello stesso titolo V
così come rivisitato.
Tutto questo a noi francamente pare poco serio costituzionale, poco serio
istituzionalmente e poco serio politicamente; in particolare, il centrosinistra si è
trovato di fronte ad una sorta di gioco delle tre carte: prima al Senato si rinvia alla
Camera l'esame e il confronto, e poi alla Camera si blocca tutto e addirittura si rilancia
su una riforma più ampia di quel titolo V che oggi siamo chiamati ad attuare.
Un'ultima questione specifica, che si è posta in Commissione e su cui abbiamo presentato
anche una pregiudiziale di costituzionalità, riguarda il nuovo comma 6 dell'ex articolo 9
- oggi articolo 10 - che è stato introdotto con una norma mirata sulle province autonome
di Trento e di Bolzano in relazione alle funzioni dei commissariati di Governo. Con questo
nuovo comma 6 si pretende l'applicazione delle disposizioni del decreto del Presidente
della Repubblica n. 287 del 2001. Però, l'articolo 15 di tale decreto del Presidente
della Repubblica recita: le disposizioni del presente regolamento - cioè del decreto del
Presidente della Repubblica - si applicano anche alle regioni a statuto speciale fatta
esclusione per le regioni Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta e per le province di Trento
e Bolzano e fatte salve le competenze spettanti alle altre regioni a statuto speciale.
Quindi, siamo in presenza di un decreto del Presidente della Repubblica che esclude
l'applicabilità dello stesso decreto del Presidente della Repubblica alle province
autonome di Trento e di Bolzano; nonostante ciò, nel provvedimento in esame si inserisce
una norma in cui si pretende che questo decreto del Presidente della Repubblica venga
applicato alle province autonome di Trento e di Bolzano.
Si tratta di un aspetto particolare che noi abbiamo ritenuto un vero e proprio sfregio
politico e istituzionale, degno semplicemente di una mera soppressione da parte
dell'Assemblea. Detto ciò, ribadisco che io non ho inteso centrare il mio intervento su
questo aspetto ma ho voluto affrontare, in generale, le questioni di carattere politico e
costituzionale su cui desidero attirare l'attenzione del ministro e dei colleghi.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Cristaldi.
NICOLÒ CRISTALDI, Relatore. Signor Presidente, rinuncio alla replica.
ENRICO LA LOGGIA, Ministro per gli affari regionali. Signor Presidente, rinuncio anch'io alla replica.
Annunzio di questioni pregiudiziali e di una questione sospensiva - A.C. 3590)
PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate la questione pregiudiziale di costituzionalità Bressa ed altri n. 1 , la questione pregiudiziale di merito Olivieri ed altri n. 1 e la questione sospensiva Boato ed altri n. 1, che saranno esaminate in altra seduta, prima di passare all'esame degli articoli.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
XIV LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI |
N. 3590-A |
RELAZIONE DELLA I COMMISSIONE PERMANENTE
(AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI)
presentata alla Presidenza il 20 marzo 2003
(Relatore: CRISTALDI)
sul
DISEGNO DI LEGGE
APPROVATO DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
il 23 gennaio 2003 (v. stampato Senato n. 1545)
presentato dal presidente del consiglio dei ministri (BERLUSCONI)
e dal ministro per gli affari regionali (LA LOGGIA)
di concerto con il ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione (BOSSI)
e con il ministro dell'interno (SCAJOLA)
Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale
18 ottobre 2001, n.3
Trasmesso dal Presidente del Senato della Repubblica il 27 gennaio 2003
XIV LEGISLATURA
RELAZIONE - N. 3590-A
Onorevoli Colleghi! - Il disegno di
legge all'esame dell'Assemblea, già approvato in prima lettura dal Senato nella seduta
del 23 gennaio 2003, intende venire incontro alla duplice esigenza - determinatasi a
seguito dell'entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 - di
adeguare l'ordinamento della Repubblica alle nuove norme costituzionali immediatamente
operative e di adottare le disposizioni necessarie per dare concreta attuazione alla
riforma.
In tal modo si è inteso dare avvio ad un
processo che vede la partecipazione delle varie istituzioni rappresentative dello Stato,
sia nella fase del perfezionamento della riforma costituzionale, sia in quella di
attuazione della riforma medesima.
Con l'articolo 1 del disegno di legge sono
introdotte norme attuative dell'articolo 117, primo e terzo comma, della Costituzione.
L'articolo 117, primo comma, della
Costituzione, nel testo risultante dalla riforma del titolo V della parte seconda della
Costituzione pone i seguenti, medesimi limiti alla potestà legislativa dello Stato e
delle Regioni: il rispetto della Costituzione e il rispetto dei vincoli derivanti
dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, equiparando, quindi, la
posizione della legge statale e della legge regionale.
Il comma 1 dell'articolo 1 è volto a
chiarire la portata del primo comma dell'articolo 117 della Costituzione, limitatamente al
secondo ordine di limiti, vale a dire ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali e
dall'ordinamento comunitario, specificando che essi consistono in quelli derivanti dalle
seguenti fonti: le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, di cui
all'articolo 10 della Costituzione; gli accordi di reciproca limitazione della sovranità,
di cui all'articolo 11 della Costituzione; l'ordinamento comunitario; i trattati
internazionali ratificati a seguito di legge di autorizzazione.
La scelta adottata è volta a collegare
ciascun vincolo al rispetto di uno specifico articolo costituzionale (gli articoli 10 e
11, in particolare, ma anche l'articolo 80), implicitamente assumendo che i vincoli
internazionali non possano agire in quanto tali, a prescindere cioè dal radicamento in
una specifica norma costituzionale, pena la lesione di valori costituzionalmente
rilevanti, quali il principio della sovranità popolare, che potrebbe conseguire dal
riconoscimento dell'esistenza di vincoli alla potestà legislativa derivanti da atti non
sottoposti al Parlamento, e la gerarchia tra le fonti.
Il comma 2 dell'articolo 1 contiene due
disposizioni in qualche modo simmetriche, volte a regolare il passaggio dal precedente
all'attuale assetto delle potestà legislative con riguardo agli effetti delle vigenti
disposizioni normative statali sulle materie divenute di competenza regionale, e
viceversa.
Il comma in esame dispone infatti che le
disposizioni statali vigenti alla data di entrata in vigore del testo di legge in esame,
nelle materie divenute di competenza legislativa delle regioni di tipo esclusivo o
concorrente (quest'ultima salvo per quanto concerne i princìpi fondamentali),
continueranno ad applicarsi fino a quando saranno sostituite, nelle singole Regioni, dalle
nuove disposizioni regionali. Corrispondentemente, le disposizioni regionali vigenti nelle
materie divenute di competenza esclusiva statale continueranno ad applicarsi fino a quando
saranno sostituite dalle nuove disposizioni statali.
Il principio introdotto appare conforme
con gli indirizzi adottati in materia dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che
appare chiaramente orientata nel senso di ritenere che le norme approvate prima
dell'entrata in vigore della riforma costituzionale, per il principio di continuità
dell'ordinamento, non sono divenute incostituzionali a seguito del sopravvenire di questa.
La disposizione fa salva l'applicabilità
delle norme (statali o regionali) adottate anche dopo l'entrata in vigore del nuovo titolo
V e fino all'entrata in vigore del testo di legge in esame, purchè nel rispetto dei
limiti di competenza stabiliti dalla Costituzione, e facendo comunque salvi gli effetti di
eventuali pronunce della Corte costituzionale.
Il comma 3 dell'articolo 1, in coerenza
con l'orientamento giurisprudenziale e legislativo consolidatosi in costanza del
previgente articolo 117 della Costituzione e confermato, all'indomani della riforma, dalla
recente sentenza n. 282 del 2002 della Corte costituzionale, specifica che i principi
fondamentali che l'articolo 117, comma terzo, della Costituzione pone come vincolo
specifico alla potestà legislativa concorrente delle Regioni, sono quelli espressamente
determinati dallo Stato o, in difetto, quelli desumibili dalle leggi statali vigenti.
Il testo riconosce quindi alle Regioni la
possibilità di esercitare immediatamente la loro potestà legislativa concorrente, pur in
assenza di leggi statali recanti i princìpi fondamentali, potendosi desumere tali
princìpi dal complesso della legislazione statale vigente nelle relative materie.
Il comma 4 conferisce al Governo una
delega ad emanare uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto la ricognizione dei
princìpi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti nelle materie attribuite alla
potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni. Tale ricognizione dovrà essere
finalizzata, in sede di prima applicazione della legge e fino all'entrata in vigore delle
leggi con le quali il Parlamento definirà i nuovi principi fondamentali, ad orientare
l'iniziativa legislativa dello Stato e delle Regioni.
La disposizione in esame ha formato
oggetto al Senato di un ampio dibattito, focalizzato su due aspetti principali,
concernenti, da un lato, l'opportunità di affidare al Governo, con lo strumento della
delega legislativa, l'enucleazione dei princìpi fondamentali nelle materie di competenza
legislativa concorrente e, d'altro lato, le modalità procedurali per l'adozione dei
decreti legislativi.
Sotto il primo profilo il dibattito ha
condotto all'approvazione di un emendamento con il quale si è inteso affermare la
competenza del Parlamento a determinare "a regime" i princìpi fondamentali
nelle materie di legislazione concorrente, sottolineando conseguentemente il carattere
meramente ricognitivo dell'opera di individuazione dei princìpi fondamentali che il
Governo è chiamato a svolgere.
Per quanto concerne la procedura di
adozione dei decreti legislativi, il comma 4, nel testo modificato dal Senato e
ulteriormente integrato dalla Commissione nel corso dell'esame in sede referente, prevede
una procedura aggravata rispetto a quella delineata, in via generale, dall'articolo 14
della legge 23 agosto 1988, n. 400.
Tale procedura prevede che sugli schemi
dei decreti legislativi il Governo debba inizialmente acquisire il parere della Conferenza
Stato-Regioni, delle competenti Commissioni parlamentari permanenti, nonché quello della
Commissione parlamentare per le questioni regionali. Acquisiti tali pareri è previsto un
riesame da parte del Governo e l'acquisizione di un secondo parere, definitivo, sia da
parte della Conferenza Stato-Regioni, da rendersi entro 30 giorni dalla ritrasmissione del
testo eventualmente modificato dal Governo o corredato delle sue osservazioni, sia delle
Camere, da rendersi entro 60 giorni dalla nuova trasmissione del testo, da parte della
Commissione parlamentare per le questioni regionali
Il comma 4 precisa i parametri ai quali il
parere parlamentare deve conformarsi, prevedendo in particolare che esso debba rilevare la
presenza di eventuali disposizioni aventi natura di princìpi fondamentali innovativi e
non meramente ricognitivi, ovvero che non costituiscano princìpi fondamentali; nel parere
parlamentare dovrà essere inoltre rilevata, secondo quanto previsto da un emendamento
approvato dalla Commissione, anche la eventuale mancata inclusione nello schema di decreto
di principi fondamentali.
I rilievi della Commissione parlamentare
per le questioni regionali producono uno specifico effetto procedurale sull'attività
successiva del Governo nelle sue vesti di legislatore delegato, conducendolo a dover
optare tra l'adeguamento del testo del decreto legislativo ai rilievi parlamentari o la
trasmissione ai Presidenti delle Camere, nonché al Presidente della Commissione
parlamentare per le questioni regionali, di una relazione che motivi la difformità del
decreto rispetto al parere parlamentare.
Il comma 5, introdotto dal Senato e non
modificato dalla Commissione, amplia l'oggetto della delega consentendo al Governo -
sempre a titolo di mera ricognizione - di individuare altresì le disposizioni che, nelle
stesse materie, rientrano nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'articolo
117, secondo comma, della Costituzione.
I princìpi e criteri direttivi della
delega sono indicati gli uni dal comma 4, gli altri dal comma 6. In particolare il comma 4
indica fra i princìpi di delega quelli di esclusività, adeguatezza, chiarezza,
proporzionalità, e omogeneità.
Il Senato ha espunto dal novero dei
princìpi quello di completezza, che appariva volto ad assicurare che il Governo nella sua
opera di ricognizione individuasse ogni principio fondamentale rinvenibile nella
legislazione statale vigente.
I criteri direttivi cui il Governo deve
attenersi nell'esercizio della delega sono elencati nelle lettere da a) ad e)
del comma 6.
La lettera a) stabilisce che il
Governo nella sua opera ricognitiva dovrà procedere per settori organici della materia e
dovrà utilizzare criteri oggettivi desumibili dal complesso delle funzioni attinenti alla
materia stessa, salvaguardando la potestà legislativa che la Costituzione riconosce alle
Regioni in base al terzo comma dell'articolo 117. La lettera b) richiama la
considerazione prioritaria, ai fini dell'individuazione dei princìpi fondamentali, delle
disposizioni statali rilevanti per garantire l'unità giuridica ed economica, la tutela
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, il
rispetto delle norme e dei trattati internazionali e della normativa comunitaria e la
tutela dell'incolumità e della sicurezza pubblica;
La lettera c) sancisce la
considerazione prioritaria del nuovo sistema di rapporti istituzionali derivante dagli
articoli 114, 117 e 118 della Costituzione; tale criterio dà emersione, nell'opera di
ricognizione dei princìpi fondamentali vigenti, al nuovo assetto istituzionale degli enti
territoriali delineato dalla riforma costituzionale che, come è noto, all'articolo 114,
primo comma, della Costituzione, prevedendo che la Repubblica è costituita dai Comuni,
dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato, ha realizzato
quella che viene generalmente definita come la "pari ordinazione" degli enti
costitutivi della Repubblica.
Il Senato ha inserito nel principio
direttivo in commento anche il richiamo all'articolo 118 della Costituzione, il quale ha
ridisegnato il riparto delle competenze amministrative, prevedendo l'attribuzione, in via
generale e residuale, di tutte le funzioni amministrative ai comuni, salvo che esse siano
conferite ad altri enti territoriali per assicurarne l'esercizio unitario.
Il criterio di cui alla lettera d)
richiama, ai fini di una considerazione prioritaria, il settimo comma dell'articolo 117
della Costituzione, a norma del quale le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che
impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed
economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive. La
lettera e) introduce, infine, quale criterio direttivo il coordinamento formale
delle disposizioni di principio e la loro eventuale semplificazione.
L'articolo 2, inserito dalla Commissione a
seguito dell'approvazione di un emendamento del Governo, reca una delega al Governo ad
adottare uno o più decreti legislativi diretti alla individuazione delle funzioni
fondamentali di comuni, province e città metropolitane, secondo quanto previsto dalla
lettera p) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione, che riserva allo Stato
la potestà legislativa esclusiva in questa materia.
Con i medesimi decreti legislativi il
Governo dovrà provvedere anche alla revisione delle disposizioni vigenti in materia di
enti locali, e in particolare di quelle dettate dal testo unico di cui al decreto
legislativo n. 267 del 2000, al fine di adeguarle al nuovo titolo V della parte seconda
della Costituzione.
Gli schemi dei decreti legislativi, dopo
l'acquisizione del parere della Conferenza Unificata, devono essere trasmessi alle Camere
per l'acquisizione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari.
Acquisiti tali pareri il Governo dovrà ritrasmettere i testi, con le eventuali
osservazioni e modificazioni alla Conferenza e alle Camere ai fini dell'acquisizione del
parere definitivo. I principi e i criteri direttivi cui il Governo dovrà attenersi
nell'esercizio della delega sono indicati dalle lettere da a) a p) del comma
5. La decorrenza dell'esercizio delle funzioni fondamentali, secondo quanto previsto dal
comma 6, sarà stabilita a seguito dell'approvazione di specifici disegni di legge
collegati alla manovra di finanza pubblica con i quali saranno determinate le connesse
risorse da trasferire agli enti locali titolari delle funzioni.
L'articolo 3, che è stato inserito dal
Senato e modificato dalla Commissione al fine di recepire una condizione contenuta nel
parere espresso dal Comitato per la legislazione, conferisce una delega al Governo ad
adottare, entro un anno dall'emanazione dei decreti legislativi di cui all'articolo 1, uno
o più decreti legislativi al fine di raccogliere in testi unici le disposizioni
legislative residue.
Le modifiche apportate dalla Commissione
sono state volte a specificare la natura giuridica degli atti con i quali dovranno essere
adottati i testi unici, prevedendo espressamente che si tratta di decreti legislativi e
definendo, allo stesso tempo, il criterio direttivo secondo i quali essi dovranno essere
di natura meramente compilativa. L'ambito entro cui tale opera di raccolta avrà luogo è
quello delle materie di legislazione concorrente, oggetto, appunto, dei decreti
legislativi di cui all'articolo 1. I testi unici dovranno procedere per ambiti omogenei e
potranno apportare alle disposizioni raccolte le sole modifiche, di carattere
esclusivamente formale, necessarie ad assicurarne il coordinamento nonché la coerenza
terminologica.
Il comma 2 regola gli aspetti procedurali
di adozione dei testi unici, prevedendo che i relativi schemi siano sottoposti al parere
della Conferenza Stato-Regioni, e - successivamente all'acquisizione di questo - al parere
delle competenti Commissioni parlamentari, nonché, come previsto da un emendamento
approvato dalla Commissione, della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Decorsi trenta giorni dall'assegnazione dello schema alle Commissioni, i decreti
legislativi possono essere adottati anche in mancanza del parere parlamentare.
L'articolo 4 dà attuazione alle
disposizioni costituzionali in materia di potestà normativa di comuni, province e città
metropolitane recate negli articoli 114, comma secondo, e 117, comma sesto, della
Costituzione.
Come è noto, l'articolo 114 prevede al
secondo comma che i Comuni, le Province, le Città metropolitane sono riconosciuti come
enti autonomi, con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla
Costituzione; l'articolo 117, sesto comma, attribuisce la potestà regolamentare ai
predetti enti territoriali in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello
svolgimento delle funzioni loro attribuite.
Il comma 1 dell'articolo in esame assegna
a Comuni, Province e Città metropolitane la potestà normativa secondo i princìpi
fissati dalla Costituzione, specificando che tale potestà normativa consiste nella
potestà statutaria e in quella regolamentare.
Il successivo comma 5, modificato dalla
Commissione, estende l'esercizio di tale potere normativo anche alle forme associative tra
gli enti locali (unioni di comuni, comunità montane e isolane).
Il comma 2 individua i limiti e il
contenuto necessario dello statuto adottato dall'ente locale (o dalle forme associative
tra enti locali) nell'esercizio della propria autonomia normativa.
Sotto il primo profilo, la disposizione
precisa che lo statuto deve essere adottato in armonia con la Costituzione e con i
princìpi generali in materia di organizzazione pubblica e nel rispetto di quanto
stabilito dalla legge statale di attuazione dell'articolo 117, secondo comma, lett. p),
della Costituzione.
Per quanto riguarda il contenuto proprio
dello statuto, il comma 2 prevede che esso comprende i seguenti oggetti: i princìpi di
organizzazione e di funzionamento dell'ente; le forme di controllo, anche sostitutivo; le
garanzie delle minoranze; le forme di partecipazione popolare. Si tratta di un'area più
limitata di quella attualmente stabilita dall'articolo 6 del testo unico sull'ordinamento
degli enti locali, che tiene conto del rilievo costituzionale attribuito, a seguito della
riforma del titolo V, alla autonomia statutaria dei predetti enti.
Il comma 3 individua nel regolamento la
fonte di disciplina dell'organizzazione dell'ente, nel rispetto delle norme statutarie,
mentre il comma 4 riserva alla potestà regolamentare degli enti locali la disciplina
dell'organizzazione, dello svolgimento e della gestione delle proprie funzioni,
nell'ambito della legislazione dello Stato o della regione, che ne assicura i requisiti
minimi di uniformità secondo le rispettive competenze, conformemente a quanto previsto
dagli articoli 114, 117, sesto comma, e 118 della Costituzione.
Il comma 6 dell'articolo in esame dispone
infine che, fino all'adozione dei regolamenti degli enti locali, si applicano le vigenti
norme statali e regionali, fermo restando quanto previsto dal presente articolo. La
disposizione sancisce il principio di cedevolezza delle norme statali e regionali nei
confronti dei regolamenti degli enti locali, secondo un meccanismo di successione delle
fonti elaborato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale con riferimento alla
legislazione concorrente di Stato e regioni.
L'articolo 5 reca disposizioni concernenti
la partecipazione delle Regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano alla
formazione degli atti comunitari e dell'Unione europea (c.d. "fase ascendente").
La disciplina relativa all'attuazione da parte delle Regioni degli atti comunitari (c.d.
"fase discendente") non è trattata nel provvedimento in esame in quanto questo
profilo è stato riservato alla riforma della legge n. 86 del 1989, il cui esame è
attualmente in corso presso la XIV Commissione della Camera dei deputati.
Il nuovo articolo 117, comma quinto, della
Costituzione prevede che le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle
materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti
normativi comunitari nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato.
Il comma 1 dell'articolo in esame
stabilisce che le Regioni e le Province autonome concorrono direttamente, nelle materie di
loro competenza legislativa, alla formazione degli atti normativi comunitari,
partecipando, nell'ambito delle delegazioni del Governo, alle attività del Consiglio e
dei gruppi di lavoro e dei comitati del Consiglio medesimo nonché della Commissione.
Per le modalità della partecipazione, la
disciplina recata dal comma in esame, modificata dalla Commissione, fa rinvio alle
decisioni della Conferenza Stato-Regioni, con i limiti della garanzia dell'unitarietà
della rappresentanza e della designazione del Capo delegazione, rappresentante unitario,
da parte del Governo, nonché dell'obbligo di tener conto delle particolarità delle
autonomie speciali, e di prevedere la partecipazione alle delegazioni di almeno un loro
rappresentante.
Nelle materie che spettano alle Regioni ai
sensi dell'articolo 117, quarto comma, della Costituzione, il capo delegazione viene
designato dal Governo d'intesa con le Regioni e può essere anche, a seguito di una
modifica introdotta nel corso dell'esame in sede referente, un Presidente di regione o di
provincia autonoma. La procedura per la definizione di tale intesa è stata modificata
dalla Commissione; a fini di semplificazione si è infatti stabilito che i relativi
criteri e procedure sono definiti con un accordo generale di cooperazione tra Governo e
Regioni da stipularsi in sede di Conferenza Stato-Regioni. In mancanza dell'accordo il
Capo delegazione viene designato dal Governo.
Il comma 2 prevede che nelle materie di
competenza legislativa delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, il
Governo può proporre ricorso dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee
avverso gli atti normativi comunitari ritenuti illegittimi anche su richiesta di una delle
Regioni o delle Province autonome. Si tratta quindi di una mera facoltà attivata su
iniziativa di una regione o provincia autonoma nel caso in cui essa ritenga che un tale
atto comunitario sia lesivo dei propri interessi. Il Governo è invece tenuto a proporre
tale ricorso qualora esso sia richiesto dalla Conferenza Stato-Regioni a maggioranza
assoluta delle Regioni e delle Province autonome.
L'articolo 6 è diretto disciplinare
l'attività internazionale delle Regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano,
in attuazione dell'articolo 117, quinto e nono comma, della Costituzione.
Tale articolo prevede infatti che le
Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano nelle materie di loro competenza
provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali nel rispetto delle
norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di
esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza (quinto comma); esso prevede
inoltre che nelle materie di loro competenza le Regioni possono concludere accordi con
Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme
disciplinati da leggi dello Stato (nono comma).
I primi tre commi dell'articolo 6 in
esame, in attuazione delle richiamate disposizioni costituzionali, individuano l'ambito
dei poteri delle Regioni e delle province autonome ed i loro limiti, le procedure di
coordinamento con le strutture dello Stato nonché le procedure sostitutive.
In particolare alle regioni viene
conferito il potere/facoltà di provvedere direttamente all'attuazione e all'esecuzione
degli accordi internazionali ratificati (comma 1); di concludere con enti territoriali
interni ad altro Stato intese dirette a favorire il loro sviluppo economico, sociale e
culturale, nonché a realizzare attività di mero rilievo internazionale (comma 2); di
concludere con altri Stati accordi esecutivi ed applicativi di accordi internazionali
regolarmente entrati in vigore, o accordi di natura tecnico-amministrativa, o accordi di
natura programmatica, finalizzati favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale
(comma 3).
I citati tre commi dell'articolo in esame
limitano in modo specifico i poteri e le facoltà conferiti, individuando una procedura di
coordinamento tra i poteri e le facoltà delle Regioni e le competenze dello Stato.
In particolare per quanto concerne
l'attuazione e l'esecuzione degli accordi internazionali ratificati, i limiti indicati dal
comma 1 si risolvono in limiti procedurali. Si prevede infatti che la Regione (o Provincia
autonoma) dia preventiva comunicazione al Ministero degli affari esteri e alla Presidenza
del consiglio - Dipartimento per gli affari regionali, che, entro trenta giorni, possono
formulare criteri e osservazioni .
Per quanto concerne le intese con enti
territoriali interni ad altro Stato, il comma 2 specifica che le Regioni e le Province
autonome non possono esprimere valutazioni relative alla politica estera dello Stato né
assumere impegni dai quali derivino obblighi od oneri finanziari per lo Stato e che ledano
gli interessi di Comuni, Province, Città metropolitane. Sotto il profilo procedurale, il
comma 2 dispone che la Regione (o Provincia autonoma) dia comunicazione prima della firma
alla Presidenza del Consiglio - Dipartimento per gli affari regionali e al Ministero degli
affari esteri, ai fini delle eventuali osservazioni di questi ultimi e dei Ministeri
competenti, da far pervenire entro trenta giorni; decorso tale termine, le Regioni possono
comunque sottoscrivere l'intesa.
Per quanto riguarda gli accordi con altri
Stati, i limiti precisati dal comma 3 attengono al rispetto della Costituzione, ai vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario, agli obblighi internazionali nonchè alle linee e
agli indirizzi di politica estera italiana e ai princìpi fondamentali dettati dalle leggi
dello Stato. Sotto il profilo procedurale, il comma dispone che ogni Regione o provincia
autonoma debba comunicare tempestivamente al Ministero degli affari esteri ed alla
Presidenza del Consiglio - Dipartimento per gli affari regionali l'esistenza di trattative
in corso. Tali dicasteri informano anche i Ministeri eventualmente competenti per materia.
Al Ministero degli affari esteri viene riservata la facoltà di indicare i princìpi e i
criteri da seguire nella conduzione dei negoziati, esercitando un ruolo di consulenza e
collaborazione in caso di trattative svolte all'estero, previa intesa con l'ente. Concluso
il negoziato, il testo dell'accordo così elaborato deve essere sottoposto alla
valutazione di opportunità politica e di legittimità del Ministero degli esteri (sentita
la Presidenza del Consiglio - Dipartimento per gli affari regionali), il quale può
conferire alla Regione o alla Provincia autonoma i pieni poteri di firma ai sensi della
Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969. Gli accordi sottoscritti in
assenza del conferimento di pieni poteri sono nulli.
Il comma 4 è relativo alla pubblicità
dell'attività internazionale; esso prevede che agli accordi stipulati dalle Regioni e
dalle Province autonome è data pubblicità in base alla legislazione vigente.
Il comma 5, prevedendo una fattispecie
applicabile a tutte le ipotesi di cui all'articolo in commento, prescrive che il Ministro
degli affari esteri possa in qualsiasi momento rappresentare alla Regione o alla Provincia
autonoma interessata questioni di opportunità inerenti alle predette attività. Nel caso
di dissenso il Ministro degli affari esteri può chiedere - sentita la Presidenza del
Consiglio - Dipartimento per gli affari regionali - che la questione sia portata in
Consiglio dei Ministri, che delibera sulla questione con l'intervento del Presidente della
Giunta regionale o provinciale interessato. L'intervento del Consiglio dei ministri è
finalizzato ad una soluzione politica del contrasto, alla luce della titolarità da parte
dello Stato della politica estera.
Il comma 6 interviene sulle procedure
sostitutive da applicare in caso di violazione degli accordi di cui al comma 3. Al
riguardo si prevede - analogamente a quanto stabilito al comma 1 per il caso di
inadempienza all' attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali ratificati -
l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 8, commi 1, 4 e 5, in quanto
compatibili e ferma restando la responsabilità delle Regioni verso lo Stato.
Il comma 7, modificato dalla Commissione,
fa salva l'attività di mero rilievo internazionale di Comuni, Province e Città
metropolitane nelle materie loro attribuite, secondo l'ordinamento vigente, fatto salvo
l'obbligo di comunicazione alle regioni competenti e alle amministrazioni di cui al comma
2 di ogni iniziativa.
L'articolo 7 è volto a dare attuazione
all'articolo 118 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del
2001, che stabilisce i criteri per il riparto delle funzioni amministrative tra Stato,
regioni, province, comuni e città metropolitane.
Il comma 1 precisa la portata della norma
costituzionale, disciplinando il conferimento di funzioni amministrative da parte dello
Stato e delle regioni, secondo le rispettive competenze, agli enti locali diversi dai
comuni, cui spettano in via residuale tutte le altre funzioni.
Oggetto del conferimento sono le funzioni
amministrative che lo Stato e le regioni esercitano alla data di entrata in vigore del
presente testo di legge.
Soggetti titolari del poteri di
conferimento sono lo Stato e le regioni (comma 1, primo periodo). Tale previsione è
strettamente conseguenziale alla norma costituzionale che contempla - relativamente al
conferimento - la riserva di legge, statale o regionale (articolo 118, secondo comma).
Le funzioni amministrative non
diversamente attribuite spettano ai comuni in conformità con quanto statuito dal secondo
comma dell'articolo 118 della Costituzione. Il conferimento da parte dello Stato e delle
regioni deve avvenire nel rispetto di princìpi sussidiarietà, di differenziazione, e di
adeguatezza.
La disposizione non si limita a
riconfermare il dato costituzionale, provvedendo anche a specificarlo, indicando i motivi
in presenza dei quali si presenti l'esigenza di unitarietà di esercizio che giustifica
l'attribuzione delle funzioni a diversi livelli territoriali
I commi da 2 a 5 dell'articolo in esame,
modificati nel corso dell'esame in sede referente, disciplinano il procedimento attraverso
il quale lo Stato dovrà dare attuazione al nuovo assetto delle funzioni amministrative
stabilito dall'articolo 118 della Costituzione per le materie attribuite alla sua
competenza legislativa. In particolare le modifiche approvate dalla Commissione sono volte
a consentire l'avvio del processo di trasferimento anche nelle more dell'approvazione
degli appositi disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica, sulla base di
un accordo con le regioni e gli enti locali da concludere in sede di Conferenza unificata,
secondo principi di invarianza della spesa e secondo le procedure previste nell'intesa
interistituzionale del 20 giugno 2002. Fino alla data di entrata in vigore dei
provvedimenti che disciplinano il conferimento, le funzioni amministrative continuano ad
essere esercitate dai soggetti ai quali sono attribuite dalle norme attualmente vigenti
(comma 6).
Il comma 7 attribuisce alla Corte dei
conti il compito di verifica degli equilibri di bilancio di Regioni ed enti locali in
relazione al patto di stabilità interno e ai vincoli comunitari.
Alle sezioni regionali della Corte dei
conti è altresì demandata la verifica, nel rispetto della natura collaborativa del
controllo di gestione, del perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali e
regionali di principio e di programma, e della sana gestione finanziaria degli enti
locali, nonché del funzionamento dei controlli interni. Resta ferma, secondo quanto
previsto dall'inciso introdotto alla Commissione, la potestà delle regioni a statuto
speciale di adottare particolari discipline nel rispetto delle suddette finalità
Il comma 8 attribuisce alle regioni la
facoltà di richiedere alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti ulteriori
forme di collaborazione, concernenti sia la regolare gestione finanziaria che l'efficienza
e l'efficacia dell'azione amministrativa. Alle sezioni regionali di controllo della Corte
dei conti possono altresì essere richiesti pareri.
Il comma 9 prevede la possibilità di
integrazione della composizione delle sezioni regionali della Corte dei conti con due
componenti designati uno dal Consiglio regionale e l'altro dal Consiglio delle autonomie
locali oppure, ove tale organo non sia ancora istituito, dal Presidente del consiglio
regionale su indicazione delle associazioni rappresentative dei comuni e delle province a
livello regionale. La disposizione in esame, relativamente all'individuazione degli organi
regionali competenti a designare i componenti aggiuntivi delle sezioni regionali della
Corte, esplica i suoi effetti salvo diversa previsione dello statuto della regione. Si
tratta, pertanto, di disposizione la cui efficacia cessa in presenza di una norma
statutaria regionale che disponga diversamente.
I componenti aggiuntivi designati dagli
organi sopra richiamati debbono essere scelti tra persone che, per gli studi compiuti e le
esperienze professionali acquisite, sono particolarmente esperte nelle materie
aziendalistiche, economiche, finanziarie, giuridiche e contabili. I componenti aggiuntivi
durano in carica 5 anni e non sono riconfermabili. Il loro status è equiparato a
tutti gli effetti, per la durata dell'incarico, a quello dei consiglieri della Corte dei
conti, con oneri finanziari a carico della Regione. Ciascuna sezione regionale di
controllo della Corte dei conti può avvalersi di personale della regione, previa intesa
con la regione medesima. Ciascuna sezione regionale di controllo potrà avvalersi inoltre
di segretari comunali e provinciali del ruolo unico previsto dal testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267
La Commissione ha soppresso, a seguito
dell'approvazione di un emendamento del relatore, gli ultimi tre periodi del comma in
esame, concernenti i concorsi a referendario della Corte dei conti, i controlli interni
degli enti locali e gli interventi sostitutivi in caso di inerzia dell'amministrazione.
L'articolo 8 del testo in esame detta
norme attuative dell'articolo 120, comma secondo, della Costituzione, in materia di potere
sostitutivo.
La richiamata disposizione costituzionale
disciplina l'esercizio da parte del Governo di poteri sostitutivi rispetto agli organi
delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni; tali poteri sono
attivabili quando si riscontri il mancato adempimento, da parte di questi enti, di norme e
trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure vi sia pericolo grave per la
sicurezza e l'incolumità pubblica, ovvero lo richieda la tutela dell'unità giuridica o
dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali. La disposizione costituzionale demanda alla legge
dello Stato il compito di definire procedure atte a garantire che l'esercizio dei poteri
sostituitivi avvenga nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà e di leale
collaborazione.
Tale disciplina è appunto recata dai
primi cinque commi dell'articolo in esame. Il meccanismo individuato ruota attorno alla
fissazione di un congruo termine per l'adozione degli atti dovuti o necessari: tale
termine viene fissato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro
competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali. Decorso
inutilmente tale termine, il Consiglio dei Ministri, sentito l'organo interessato, su
proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei Ministri, adotta i
provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito Commissario. Alle
riunioni del Consiglio dei ministri, secondo quanto previsto da un inciso introdotto dalla
Commissione, partecipa anche il Presidente della regione interessata al provvedimento.
Il comma 2 dell'articolo in commento
individua una disciplina settoriale, che si innesta sul tronco della procedura generale di
cui al comma 1, ed ha ad oggetto le ipotesi di violazione della normativa comunitaria. La
particolarità della disciplina attiene alla fase della proposta: si specifica, infatti,
che nei casi in cui si renda necessario esercitare il potere sostitutivo al fine di porre
rimedio ad una violazione della normativa comunitaria, il potere di proposta spetta al
Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie,
unitamente al Ministro competente per materia.
Il comma 3, modificato dalla Commissione,
detta una seconda procedura settoriale per i casi in cui l'esercizio del potere
sostitutivo riguardi comuni, province o città metropolitane: in questi casi si prevede
che la nomina del Commissario debba tenere conto dei princìpi di sussidiarietà e di
leale collaborazione e si richiede, per l'adozione dei provvedimenti sostitutivi da parte
del Commissario stesso, che sia sentito il Consiglio delle autonomie locali, qualora tale
organo sia istituito. Sono fatte salve, secondo quanto previsto a seguito
dell'approvazione di un emendamento da parte della Commissione, le competenze delle
regioni a statuto speciale.
Il comma 4 prevede una procedura speciale,
cui il Governo può fare ricorso nei casi di assoluta urgenza, qualora l'intervento
sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate
dall'articolo 120 della Costituzione: in questi casi, i provvedimenti necessari sono
adottati dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, anche su
iniziativa delle regioni o degli enti locali. I provvedimenti in questione sono poi
immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e
autonomie locali, allargata ai rappresentanti delle comunità montane, che possono
chiederne il riesame.
Il comma 5 impone, per l'adozione dei
provvedimenti sostitutivi, il criterio della proporzionalità degli stessi alle finalità
perseguite.
Il comma 6, infine, stabilisce che il
Governo possa promuovere la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di
Conferenza unificata, dirette a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o
il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni. Il
medesimo comma, al secondo periodo, esclude espressamente che nelle materie di
legislazione regionale, sia concorrente che primaria, lo Stato possa adottare gli atti di
indirizzo e di coordinamento di cui all'articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e
all'articolo 4 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.
L'articolo 9 apporta alcune modifiche alla
procedura dei giudizi di legittimità costituzionale, disciplinata dagli articoli 31, 32,
33 e 35 della legge n. 87 del 1953, al fine di adeguarla al nuovo testo degli articoli
123, secondo comma, e 127 della Costituzione.
Le modifiche riguardano in primo luogo la
promozione della questione di legittimità costituzionale nei confronti degli statuti
regionali che prima della legge n. 1 del 1999 non era prevista in quanto gli statuti erano
approvati con legge statale. In secondo luogo esse concernono la promozione della
questione di legittimità costituzionale delle leggi regionali successivamente alla loro
pubblicazione, dal momento che è venuto meno il controllo preventivo del Governo dopo la
modifica dell'articolo 127 della Costituzione. Con una modifica introdotta dalla
Commissione si è specificato espressamente che resta ferma la particolare forma di
controllo delle leggi prevista dallo statuto speciale della regione Sicilia.
Le modificazioni introdotte concernono, in
terzo luogo, la promozione della questione di legittimità costituzionali delle leggi
regionali da parte di un'altra regione.
La disposizione del comma 4 sostituisce
l'articolo 35 della legge n. 87 del 1953, prevedendo, al fine di garantire tempi rapidi
per le decisioni, che la Corte Costituzionale fissi l'udienza di discussione del ricorso
entro novanta giorni dal deposito dello stesso. Inoltre, si autorizza la Corte a
sospendere d'ufficio l'esecuzione dell'atto stesso con ordinanza motivata, nel caso in cui
ritenga che l'esecuzione possa comportare il rischio di un irreparabile pregiudizio
all'interesse pubblico o all'ordinamento giuridico della Repubblica, ovvero, secondo un
inciso introdotto dalla Commissione, di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti
dei cittadini.
Il comma 5 prescrive che le Regioni
assicurino la pronta reperibilità degli atti recanti la pubblicazione ufficiale degli
statuti e delle leggi regionali.
Il comma 6 disciplina alcuni effetti della
riforma del titolo V sui conflitti di attribuzione pendenti ed attivati prima dell'entrata
in vigore del nuovo regime delle autonomie territoriali, disponendo che quelli che non
vengono "riattivati" entro pochi mesi, decadono.
L'articolo 10, nel testo modificato dalla
Commissione nel corso dell'esame in sede referente, prevede l'istituzione, in tutte le
Regioni a statuto ordinario, del Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema
delle autonomie e l'attribuzione a questi delle funzioni già esercitate dal Commissario
del Governo, con l'eccezione di quelle relative al controllo preventivo sulle leggi
regionali e di quelle concernenti il coordinamento dell'attività statale con quella
regionale, che sono state soppresse con la riforma del titolo V della Costituzione.
Il comma 1 conferisce l'esercizio di dette
funzioni al prefetto preposto all'ufficio territoriale del Governo (UTG) del capoluogo di
regione, che in tale veste opera, appunto, come Rappresentante dello Stato. La procedura
di preposizione del prefetto all'ufficio territoriale del Governo del capoluogo di
Regione, e quindi - in sostanza - la nomina a Rappresentante dello Stato, è disciplinata
dal comma 7 stabilendo che essa avvenga con decreto del Presidente della Repubblica,
previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno,
d'intesa con il Ministro per gli affari regionali.
Le funzioni già svolte dal Commissario
del Governo che vengono ora attribuite al Rappresentante dello Stato sono individuate dal
comma 2. Tra di esse viene in primo luogo in rilievo quella prevista dalla lettera a)
del comma 2, consistente nell'assicurare in sede regionale il rispetto del principio di
leale collaborazione tra Stato e Regione.
La lettera b) attribuisce al
Rappresentante dello Stato la funzione - strumentale alla possibilità per il Governo di
impugnare la legge regionale - di tempestiva informazione al Dipartimento per gli affari
regionali della Presidenza del Consiglio, nonché ai Ministeri "interessati",
degli statuti regionali e delle leggi regionali, proprio ai fini dell'eventuale
impugnazione. Oggetto dell'informazione sono anche gli atti amministrativi regionali, agli
effetti dell'articolo 134 della Costituzione, ossia ai fini del possibile promuovimento di
conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e le Regioni.
La lettera c) affida al
Rappresentante dello Stato la promozione dell'attuazione delle intese e del coordinamento
tra Stato e Regioni di cui all'articolo 118, terzo comma, della Costituzione.
La lettera d) attribuisce al
Rappresentante dello Stato l'esecuzione dei provvedimenti che il Governo abbia adottato
nell'esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo 120, comma secondo, Cost. Per
eseguire tali provvedimenti si avvale degli uffici territoriali del Governo e degli altri
uffici statali aventi sede nel territorio regionale. A norma del comma 5, inserito nel
corso dell'esame in sede referente, nelle regioni a statuto speciale quest'ultime funzioni
sono svolte dagli organi statali a competenza regionale previsti dai rispettivi statuti,
con le modalità definite da apposite norme di attuazione.
Secondo quanto disposto dalla lettera e),
compete al Rappresentante dello Stato di verificare l'interscambio di dati e informazioni
rilevanti sull'attività statale, regionale e degli enti locali di cui all'articolo 6 del
D.Lgs. n. 112 del 1998.
Al Rappresentante dello Stato vengono
inoltre trasferite, dalla lettera f), le funzioni inerenti le elezioni dei Consigli
regionali già svolte dal Commissario del Governo, vale a dire l'indizione delle elezioni
regionali, la determinazione dei seggi consiliari e la loro assegnazione alle singole
circoscrizioni, nonchè l'adozione dei provvedimenti connessi o conseguenti. La
titolarità di queste funzioni in capo al Rappresentante dello Stato è transitoria ed è
destinata ad operare fino alla data di entrata in vigore di diversa previsione degli
statuti e delle leggi regionali.
La lettera g) conferisce, infine,
al Rappresentante dello Stato ulteriori funzioni in materia di raccolta e trasmissione di
informazioni e dati già svolte dal Commissario del Governo.
Il comma 3, modificato dalla Commissione,
prevede che il Rappresentante dello Stato, nell'esercizio delle sue funzioni, possa
avvalersi delle strutture e del personale dell'ufficio territoriale del Governo, nonché,
secondo quanto previsto dal comma 4, introdotto dalla Commissione, dei segretari comunali
e provinciali in posizione di mobilità che sono assegnati, a tal fine, agli uffici
territoriali del Governo.
Il comma 6, introdotto dalla Commissione,
prevede che, fatte salve le competenze spettanti alle province autonome di Trento e
Bolzano, ai commissariati del Governo per le province autonome di Trento e di Bolzano si
applicano le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 2001, n.
287, concernente l'organizzazione degli uffici territoriali del Governo.
Il comma 8, modificato dalla Commissione a
seguito dell'approvazione di un emendamento del Governo, riformula l'articolo 4, comma 3,
del D.Lgs. n. 303 del 1999.
La disposizione in esame inserisce, tra le
strutture della Presidenza del Consiglio di supporto per il coordinamento dell'azione del
Governo in materia di rapporti con il sistema delle autonomie, anche l'ufficio per il
federalismo amministrativo, oltre alle segreterie della Conferenza Stato-Regioni e della
Conferenza unificata già previste dal vigente articolo 4, comma 3, del D.Lgs. n. 303 del
1999. Il personale attualmente addetto alla struttura di supporto del Commissario
straordinario del Governo per il federalismo amministrativo viene trasferito all'ufficio
in questione, mantenendo il proprio stato giuridico.
Il comma 9 modifica l'articolo 11 della
legge n. 62 del 1953. Vengono abrogate, in particolare, le disposizioni di quell'articolo
(commi secondo e terzo) che regolano il controllo sulle leggi regionali, ossia
l'apposizione del visto da parte del Commissario del Governo. E' invece mantenuta la norma
che conferisce al Presidente della Regione la competenza a promulgare le leggi regionali -
si tratta, peraltro, di una norma "a contenuto vincolato", in quanto tale
competenza è attribuita al Presidente della Regione direttamente dalla Costituzione
(articolo 121, quarto comma) - e quelle che recano l'indicazione della formula di
promulgazione, che diviene unica, espungendo ogni riferimento al visto del Commissario del
Governo.
Coerentemente al nuovo contenuto
dell'articolo 11 della legge n. 62 del 1953, viene anche modificata la rubrica
dell'articolo, non più intitolato al "controllo e promulgazione delle leggi
regionali", bensì alla sola promulgazione delle leggi regionali stesse. Sono
altresì mantenute, immutate, le disposizioni in materia di pubblicazione delle leggi
regionali.
Il comma 10 dispone le abrogazioni
conseguenti alla soppressione delle funzioni del Commissario del Governo o alla loro
ridisciplina ad opera dell'articolo in esame.
Il comma 11 reca, infine, al primo
periodo, una norma di coordinamento formale, disponendo che, nelle norme dell'ordinamento
giuridico compatibili con le disposizioni della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3, il riferimento al Commissario del Governo è da intendersi al prefetto titolare
dell'ufficio territoriale del Governo del capoluogo di regione quale rappresentante dello
Stato.
Il secondo periodo del comma 11 esclude
l'applicazione del primo periodo del medesimo comma 11 alle norme compatibili con la legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, riguardanti le Regioni a Statuto speciale.
L'articolo 11 reca una disposizione di
attuazione dell'articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3: che dispone
che sino all'adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della predetta legge
costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle province
autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più
ampie rispetto a quelle già attribuite.
Il comma 2 prevede che le Commissioni
paritetiche previste dagli statuti delle regioni a statuto speciale, possano proporre
l'adozione delle norme di attuazione occorrenti all'esercizio delle ulteriori funzioni
amministrative. In particolare, le Commissioni paritetiche sono chiamate a svolgere tale
compito in relazione alle ulteriori materie spettanti alla competenza legislativa di tali
regioni e province autonome, in forza dell'articolo 10 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3. Il comma 3 specifica che le norme proposte possono riguardare anche la
disciplina delle attività di competenza regionale in materia di rapporti internazionali e
comunitari.
L'articolo 12, infine, non modificato dal
Senato, si limita a disporre in ordine all'entrata in vigore del provvedimento, fissata al
giorno successivo a quello della sua pubblicazione.
Nicola CRISTALDI, Relatore
XIV LEGISLATURA
RELAZIONE - N. 3590-A
TESTO approvato dal Senato della Repubblica |
TESTO della Commissione |
Art. 1. |
Art. 1. |
1. Costituiscono vincoli alla potestà legislativa dello
Stato e delle Regioni, ai sensi dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione, quelli
derivanti dalle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, di cui
all'articolo 10 della Costituzione, da accordi di reciproca limitazione della sovranità,
di cui all'articolo 11 della Costituzione, dall'ordinamento comunitario e dai trattati
internazionali ratificati a seguito di legge di autorizzazione. |
1. Identico. |
2. Le disposizioni normative statali vigenti alla data di
entrata in vigore della presente legge nelle materie appartenenti alla legislazione
regionale continuano ad applicarsi, in ciascuna Regione, fino alla data di entrata in
vigore delle disposizioni regionali in materia, fermo quanto previsto al comma 3, fatti
salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionale. Le disposizioni
normative regionali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge nelle
materie appartenenti alla legislazione esclusiva statale continuano ad applicarsi fino
alla data di entrata in vigore delle disposizioni statali in materia, fatti salvi gli
effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionale. |
2. Identico. |
3. Nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente,
le Regioni esercitano la potestà legislativa nell'ambito dei princìpi fondamentali
espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali
vigenti. |
3. Identico. |
4. In sede di prima applicazione, per orientare l'iniziativa legislativa dello Stato e delle Regioni fino all'entrata in vigore delle leggi con le quali il Parlamento definirà i nuovi princìpi fondamentali, il Governo è delegato ad adottare, entro un | 4. In sede di prima applicazione, per orientare l'iniziativa legislativa dello Stato e delle Regioni fino all'entrata in vigore delle leggi con le quali il Parlamento definirà i nuovi princìpi fondamentali, il Governo è delegato ad adottare, entro un |
anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, su
proposta del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con i Ministri interessati,
uno o più decreti legislativi meramente ricognitivi dei princìpi fondamentali che si
traggono dalle leggi vigenti, nelle materie previste dall'articolo 117, terzo comma, della
Costituzione, attenendosi ai princìpi della esclusività, adeguatezza, chiarezza,
proporzionalità ed omogeneità. Gli schemi dei decreti, dopo l'acquisizione del parere
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome
di Trento e di Bolzano, di seguito denominata: "Conferenza Stato-Regioni", sono
trasmessi alle Camere per l'acquisizione del parere da parte delle competenti Commissioni
parlamentari, compreso quello della Commissione parlamentare per le questioni regionali,
da rendersi entro sessanta giorni dall'assegnazione alle Commissioni medesime. Acquisiti
tali pareri, il Governo ritrasmette i testi, con le proprie osservazioni e con le
eventuali modificazioni, alla Conferenza Stato-Regioni ed alle Camere per il parere
definitivo, da rendersi, rispettivamente, entro trenta e sessanta giorni. Il parere
parlamentare definitivo è reso dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Gli schemi di decreto legislativo sono esaminati rilevando se vi siano disposizioni che
abbiano un contenuto innovativo dei princìpi fondamentali, e non meramente ricognitivo ai
sensi del presente comma, ovvero si riferiscano a norme vigenti che non abbiano la natura
di principio fondamentale. In tal caso il Governo può omettere quelle disposizioni dal
decreto legislativo, oppure le può modificare in conformità alle indicazioni contenute
nel parere o, altrimenti, deve trasmettere ai Presidenti delle Camere una relazione nella
quale sono indicate le specifiche motivazioni di difformità dal parere parlamentare. |
anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, su
proposta del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con i Ministri interessati,
uno o più decreti legislativi meramente ricognitivi dei princìpi fondamentali che si
traggono dalle leggi vigenti, nelle materie previste dall'articolo 117, terzo comma, della
Costituzione, attenendosi ai princìpi della esclusività, adeguatezza, chiarezza,
proporzionalità ed omogeneità. Gli schemi dei decreti, dopo l'acquisizione del parere
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome
di Trento e di Bolzano, di seguito denominata: "Conferenza Stato-Regioni", sono
trasmessi alle Camere per l'acquisizione del parere da parte delle competenti Commissioni
parlamentari, compreso quello della Commissione parlamentare per le questioni regionali,
da rendersi entro sessanta giorni dall'assegnazione alle Commissioni medesime. Acquisiti
tali pareri, il Governo ritrasmette i testi, con le proprie osservazioni e con le
eventuali modificazioni, alla Conferenza Stato-Regioni ed alle Camere per il parere
definitivo, da rendersi, rispettivamente, entro trenta e sessanta giorni. Il parere
parlamentare definitivo è reso dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Gli schemi di decreto legislativo sono esaminati rilevando se in essi non siano
indicati alcuni dei princìpi fondamentali ovvero se vi siano
disposizioni che abbiano un contenuto innovativo dei princìpi fondamentali, e non
meramente ricognitivo ai sensi del presente comma, ovvero si riferiscano a norme vigenti
che non abbiano la natura di principio fondamentale. In tal caso il Governo può omettere
quelle disposizioni dal decreto legislativo, oppure le può modificare in conformità alle
indicazioni contenute nel parere o, altrimenti, deve trasmettere ai Presidenti delle
Camere e al Presidente della Commissione parlamentare per le questioni
regionali una relazione nella quale sono indicate le specifiche motivazioni di
difformità dal parere parlamentare. |
5. Nei decreti legislativi di cui al comma 4, sempre a titolo di mera ricognizione, possono essere individuate le | 5. Identico. |
disposizioni che riguardano le stesse materie ma che
rientrano nella competenza esclusiva dello Stato a norma dell'articolo 117, secondo comma,
della Costituzione. |
6. Nella predisposizione dei decreti legislativi di cui al
comma 4, il Governo si attiene ai seguenti criteri direttivi: |
6. Identico. |
a) individuazione dei princìpi fondamentali per
settori organici della materia in base a criteri oggettivi desumibili dal complesso delle
funzioni e da quelle affini, presupposte, strumentali e complementari, e in modo da
salvaguardare la potestà legislativa riconosciuta alle Regioni ai sensi dell'articolo
117, terzo comma, della Costituzione; b) considerazione prioritaria, ai fini dell'individuazione dei princìpi fondamentali, delle disposizioni statali rilevanti per garantire l'unità giuridica ed economica, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, il rispetto delle norme e dei trattati internazionali e della normativa comunitaria, la tutela dell'incolumità e della sicurezza pubblica, nonché il rispetto dei princìpi generali in materia di procedimenti amministrativi e di atti concessori o autorizzatori; c) considerazione prioritaria del nuovo sistema di rapporti istituzionali derivante dagli articoli 114, 117 e 118 della Costituzione; d) considerazione prioritaria degli obiettivi generali assegnati dall'articolo 117, settimo comma, della Costituzione, alla legislazione regionale; e) coordinamento formale delle disposizioni di principio e loro eventuale semplificazione. |
Art. 2. |
Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro
per gli affari regionali, il Ministro per le riforme istituzionali e la
devoluzione e il Ministro dell'economia e delle finanze, uno o più
decreti legislativi diretti alla individuazione delle funzioni fondamentali,
ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della
Costituzione, essenziali per il funzionamento di Comuni, Province e
Città metropolitane nonché per il soddisfacimento di bisogni primari
delle comunità di riferimento, nel rispetto delle competenze legislative
delle Regioni. 2. Con i decreti legislativi di cui al comma 1, si provvede, altresì, nell'ambito della competenza legislativa dello Stato, alla revisione delle disposizioni in materia di enti locali, per adeguarle alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. 3. Gli schemi dei decreti legislativi, dopo l'acquisizione dei pareri del Consiglio di Stato e della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, da rendere entro trenta giorni, sono trasmessi alle Camere per l'acquisizione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari, da rendere entro quarantacinque giorni dall'assegnazione alle Commissioni medesime. Acquisiti tali pareri, il Governo ritrasmette i testi, con le proprie osservazioni e con le eventuali modificazioni, alla Conferenza unificata ed alle Camere per il parere definitivo, da rendere, rispettivamente, entro trenta e quarantacinque giorni. 4. Nell'attuazione della delega di cui ai commi 1 e 2, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi: a) garantire il rispetto delle competenze legislative dello Stato e delle Regioni, l'autonomia e le competenze costituzionali degli enti territoriali ai sensi degli articoli 114, 117 e 118 della Costituzione, nonché la valorizzazione delle potestà statutaria e regolamentare dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane; b) individuare le funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane in modo da prevedere, |
anche al fine della tenuta e della coesione dell'ordinamento
della Repubblica, per ciascun livello di governo locale, la titolarità
di funzioni connaturate alle caratteristiche proprie di ciascun tipo
di ente, essenziali e imprescindibili per il funzionamento dell'ente
e per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento,
tenuto conto, in via prioritaria, per Comuni e Province, delle funzioni storicamente
svolte; c) valorizzare i principi di sussidiarietà, di adeguatezza e di differenziazione nella allocazione delle funzioni fondamentali in modo da assicurarne l'esercizio da parte del livello di ente locale che, per le caratteristiche dimensionali e strutturali, ne garantisca l'ottimale gestione anche mediante l'indicazione dei criteri per la gestione associata tra i Comuni; d) prevedere strumenti che garantiscano il rispetto del principio di leale collaborazione tra i diversi livelli di governo locale nello svolgimento delle funzioni fondamentali che richiedono per il loro esercizio la partecipazione di più enti, allo scopo individuando specifiche forme di consultazione e di raccordo tra enti locali, Regioni e Stato; e) attribuire all'autonomia statutaria degli enti locali la potestà di individuare sistemi di controllo interno, al fine di garantire il funzionamento dell'ente, secondo criteri di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione amministrativa, nonché forme e modalità di intervento, secondo criteri di neutralità, di sussidiarietà e di adeguatezza, nei casi previsti dagli articoli 141, commi 2 e 8, 193, comma 4, 243, comma 6, lettera b), 247 e 251 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000; f) prevedere una disciplina di principi fondamentali idonea a garantire un ordinamento finanziario e contabile degli enti locali che consenta, sulla base di |
parametri obiettivi ed uniformi, la rilevazione
delle situazioni economiche e finanziarie degli enti locali ai fini della
attivazione degli interventi previsti dall'articolo 119, terzo e quinto
comma, della Costituzione, anche tenendo conto delle indicazioni dell'Alta
Commissione di studio di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), della
legge 27 dicembre 2002, n. 289; g) procedere alla revisione delle disposizioni legislative sugli enti locali, comprese quelle contenute nel testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, limitatamente alle norme che contrastano con il sistema costituzionale degli enti locali definito dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, attraverso la modificazione, l'integrazione, la soppressione ed il coordinamento formale delle disposizioni vigenti, anche al fine di assicurare la coerenza sistematica della normativa, l'aggiornamento e la semplificazione del linguaggio normativo; h) adeguare i procedimenti di istituzione della Città metropolitana al disposto dell'articolo 114 della Costituzione, fermo restando il principio di partecipazione degli enti e delle popolazioni interessati; i) individuare e disciplinare gli organi di governo delle Città metropolitane e il relativo sistema elettorale, secondo criteri di rappresentatività e democraticità che favoriscano la formazione di maggioranze stabili e assicurino la rappresentanza delle minoranze, anche tenendo conto di quanto stabilito per i Comuni e le Province; l) definire la disciplina dei casi di ineleggibilità, di incompatibilità e di incandidabilità alle cariche elettive delle Città metropolitane anche tenendo conto di quanto stabilito in materia per gli amministratori di Comuni e Province; m) mantenere ferme le disposizioni in vigore relative al controllo sugli organi degli enti locali, alla vigilanza sui servizi di |
competenza statale attribuiti al sindaco quale ufficiale
del Governo, nonché, fatta salva la polizia amministrativa locale,
ai procedimenti preordinati alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica; n) valorizzare le forme associative anche per la gestione dei servizi di competenza statale affidati ai comuni; o) indicare espressamente sia le norme implicitamente abrogate per effetto dell'entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, sia quelle anche implicitamente abrogate da successive disposizioni; p) rispettare i principi desumibili dalla giurisprudenza costituzionale e fare salve le competenze spettanti alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano. 5. La decorrenza dell'esercizio delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane che, a seguito dell'adozione dei decreti legislativi di cui al comma 1, sono attribuite ad un ente diverso da quello che le esercita alla data di entrata in vigore dei medesimi decreti legislativi, è stabilita dalle leggi che determinano i beni e le risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire. A tale fine il Governo, in conformità ad accordi da definire in sede di Conferenza unificata, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri per gli affari regionali, per le riforme istituzionali e la devoluzione e dell'economia e delle finanze, sentiti i Ministri interessati, presenta al Parlamento uno o più disegni di legge collegati ai sensi dell'articolo 3, comma 4, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, alla manovra finanziaria annuale, per il recepimento dei suddetti accordi. Ciascuno dei predetti disegni di legge è corredato della relazione tecnica con l'indicazione della quantificazione e della ripartizione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative, ai fini della valutazione della congruità tra i trasferimenti e gli oneri conseguenti all'espletamento delle funzioni conferite. Le disposizioni di cui al |
presente comma si applicano fino alla data di entrata
in vigore delle norme concernenti il nuovo sistema finanziario in attuazione
dell'articolo 119 della Costituzione. 6. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, il Governo può emanare, nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi indicati al comma 4, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi medesimi. |
Art. 2. |
Art. 3. |
1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 1, comma 2,
primo periodo, il Governo è autorizzato, una volta emanati i decreti legislativi di cui
all'articolo 1, a raccogliere in testi unici le disposizioni legislative residue, per
ambiti omogenei nelle materie di legislazione concorrente, apportandovi le sole modifiche,
di carattere esclusivamente formale, necessarie ad assicurarne il coordinamento nonché la
coerenza terminologica. |
1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 1, comma 2,
primo periodo, il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data
di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui all'articolo 1, uno o
più decreti legislativi al fine di raccogliere in testi unici
meramente compilativi le disposizioni legislative residue, per ambiti omogenei
nelle materie di legislazione concorrente, apportandovi le sole modifiche, di carattere
esclusivamente formale, necessarie ad assicurarne il coordinamento nonché la coerenza
terminologica. |
2. Gli schemi di testo unico, dopo l'acquisizione del parere
della Conferenza Stato-Regioni, sono trasmessi alle Camere per il parere delle competenti
Commissioni parlamentari. Decorsi trenta giorni dall'assegnazione, i testi unici possono
essere emanati anche in mancanza del parere parlamentare. |
2. Gli schemi di testo unico, dopo l'acquisizione del parere
della Conferenza Stato-Regioni, sono trasmessi alle Camere per il parere delle competenti
Commissioni parlamentari e della Commissione parlamentare per le
questioni regionali. Decorsi trenta giorni dall'assegnazione, i testi unici possono
essere emanati anche in mancanza del parere parlamentare. |
Art. 3. |
Art. 4. |
1. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno
potestà normativa secondo i princìpi fissati dalla Costituzione. La potestà normativa
consiste nella potestà statutaria e in quella regolamentare. |
1. Identico. |
2. Lo statuto, in armonia con la Costituzione e con i
princìpi generali in materia di organizzazione pubblica, nel rispetto di quanto stabilito
dalla legge statale in attuazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera p),
della Costituzione, stabilisce i princìpi di organizzazione e funzionamento dell'ente, le
forme di controllo, anche sostitutivo, nonché le garanzie delle minoranze e le forme di
partecipazione popolare. |
2. Identico. |
3. L'organizzazione degli enti locali è disciplinata dai
regolamenti nel rispetto delle norme statutarie. |
3. Identico. |
4. La disciplina dell'organizzazione, dello svolgimento e
della gestione delle funzioni dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane è
riservata alla potestà regolamentare dell'ente locale, nell'ambito della legislazione
dello Stato o della Regione, che ne assicura i requisiti minimi di uniformità, secondo le
rispettive competenze, conformemente a quanto previsto dagli articoli 114, 117, sesto
comma, e 118 della Costituzione. |
4. Identico. |
5. Il potere normativo è esercitato anche dalle forme
associative tra gli enti locali. |
5. Il potere normativo è esercitato anche dalle unioni di
Comuni, dalle Comunità montane e isolane. |
6. Fino all'adozione dei regolamenti degli enti locali, si
applicano le vigenti norme statali e regionali, fermo restando quanto previsto dal
presente articolo. |
6. Identico. |
Art. 4. |
Art. 5. |
1. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono direttamente, nelle materie di loro competenza legislativa, alla formazione degli atti comunitari, partecipando, nell'ambito delle delegazioni del Governo, alle attività del Consiglio e dei gruppi di lavoro e dei comitati del Consiglio e della Commissione europea, secondo modalità da concordare in sede diConferenza Stato-Regioni che tengano conto della particolarità delle autonomie speciali e, comunque, garantendo l'unitarietà della rappresentazione della posizione | 1. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono direttamente, nelle materie di loro competenza legislativa, alla formazione degli atti comunitari, partecipando, nell'ambito delle delegazioni del Governo, alle attività del Consiglio e dei gruppi di lavoro e dei comitati del Consiglio e della Commissione europea, secondo modalità da concordare in sede di Conferenza Stato-Regioni che tengano conto della particolarità delle autonomie speciali e, comunque, garantendo l'unitarietà della rappresentazione della |
italiana da parte del Capo delegazione designato dal Governo.
Nelle materie che spettano alle Regioni ai sensi dell'articolo 117, quarto comma, della
Costituzione, il Capo delegazione è designato dal Governo d'intesa con le Regioni.
L'intesa è raggiunta in sede di Conferenza Stato-Regioni, sulla base di un accordo di
cooperazione tra Governo, Regioni a statuto speciale e Regioni a statuto ordinario,
concernente l'individuazione di criteri per la determinazione delle materie. L'accordo di
cooperazione è concluso in sede di Conferenza Stato-Regioni. In mancanza dell'accordo di
cooperazione e qualora l'intesa non sia raggiunta entro il termine di venti giorni dalla
data di prima iscrizione della questione all'ordine del giorno della Conferenza
Stato-Regioni, il Capo delegazione è designato dal Governo. Le relative spese sono a
carico dei bilanci delle amministrazioni di ciascun ente. |
posizione italiana da parte del Capo delegazione designato
dal Governo. Nelle delegazioni del Governo deve essere prevista la
partecipazione di almeno un rappresentante delle Regioni a statuto speciale
e delle Province autonome di Trento e di Bolzano. Nelle materie che
spettano alle regioni ai sensi dell'articolo 117, quarto comma, della
Costituzione, il Capo delegazione, che può essere anche un Presidente di
Regione o Provincia autonoma, è designato dal Governo sulla base di
criteri e procedure determinati con un accordo generale di cooperazione tra
Governo, Regioni a statuto ordinario e a statuto speciale stipulato in
sede di Conferenza Stato-Regioni. In attesa o in mancanza di tale accordo,
il Capo delegazione è designato dal Governo. Le relative spese sono a carico
dei bilanci delle amministrazioni di ciascun ente. |
2. Nelle materie di competenza legislativa delle Regioni e
delle Province autonome di Trento e di Bolzano, il Governo può proporre ricorso dinanzi
alla Corte di giustizia delle Comunità europee avverso gli atti normativi comunitari
ritenuti illegittimi anche su richiesta di una delle Regioni o delle Province autonome. Il
Governo è tenuto a proporre tale ricorso qualora esso sia richiesto dalla Conferenza
Stato-Regioni a maggioranza assoluta delle Regioni e delle Province autonome. |
2. Identico. |
Art. 5. |
Art. 6. |
1. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di propria competenza legislativa, provvedono direttamente all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali ratificati, dandone preventiva comunicazione al Ministero degli affari esteri ed alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari regionali, i quali, nei successivi trenta giorni dal | 1. Identico. |
relativo ricevimento, possono formulare criteri e
osservazioni. In caso di inadempienza, ferma restando la responsabilità delle Regioni
verso lo Stato, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 7, commi 1, 4 e 5, in
quanto compatibili. |
2. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano,
nelle materie di propria competenza legislativa, possono concludere, con enti territoriali
interni ad altro Stato, intese dirette a favorire il loro sviluppo economico, sociale e
culturale, nonché a realizzare attività di mero rilievo internazionale, dandone
comunicazione prima della firma alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento
per gli affari regionali ed al Ministero degli affari esteri, ai fini delle eventuali
osservazioni di questi ultimi e dei Ministeri competenti, da far pervenire a cura del
Dipartimento medesimo entro i successivi trenta giorni, decorsi i quali le Regioni e le
Province autonome possono sottoscrivere l'intesa. Con gli atti relativi alle attività
sopra indicate, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano non possono
esprimere valutazioni relative alla politica estera dello Stato, né possono assumere
impegni dai quali derivino obblighi od oneri finanziari per lo Stato o che ledano gli
interessi degli altri soggetti di cui all'articolo 114, primo comma, della Costituzione. |
2. Identico. |
3. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di propria competenza legislativa, possono, altresì, concludere con altri Stati accordi esecutivi ed applicativi di accordi internazionali regolarmente entrati in vigore, o accordi di natura tecnico-amministrativa, o accordi di natura programmatica finalizzati a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale, nel rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, dagli obblighi internazionali e dalle linee e dagli indirizzi di politica estera italiana, nonché, nelle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, dei princìpi fondamentali dettati dalle leggi dello Stato. A tale fine ogni Regione o Provincia autonoma dà tempestiva comunicazione delle trattative al Ministero | 3. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di propria competenza legislativa, possono, altresì, concludere con altri Stati accordi esecutivi ed applicativi di accordi internazionali regolarmente entrati in vigore, o accordi di natura tecnico-amministrativa, o accordi di natura programmatica finalizzati a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale, nel rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, dagli obblighi internazionali e dalle linee e dagli indirizzi di politica estera italiana, nonché, nelle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, dei princìpi fondamentali dettati dalle leggi dello Stato. A tale fine ogni Regione o Provincia autonoma dà tempestiva comunicazione delle trattative al Ministero |
degli affari esteri ed alla Presidenza del Consiglio dei
ministri - Dipartimento per gli affari regionali, che ne danno a loro volta comunicazione
ai Ministeri competenti. Il Ministero degli affari esteri può indicare princìpi e
criteri da seguire nella conduzione dei negoziati; qualora questi ultimi si svolgano
all'estero, le competenti rappresentanze diplomatiche e i competenti uffici consolari
italiani possono, previa intesa con la Regione o con la Provincia autonoma, intervenire
e collaborare alla conduzione delle trattative. La Regione o la Provincia autonoma,
prima di sottoscrivere l'accordo, comunica il relativo progetto al Ministero degli affari
esteri, il quale, sentita la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli
affari regionali, ed accertata l'opportunità politica e la legittimità dell'accordo, ai
sensi del presente comma, conferisce i pieni poteri di firma previsti dalle norme del
diritto internazionale generale e dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del
23 maggio 1969, ratificata ai sensi della legge 12 febbraio 1974, n. 112. Gli accordi
sottoscritti in assenza del conferimento di pieni poteri sono nulli. |
degli affari esteri ed alla Presidenza del Consiglio dei
ministri - Dipartimento per gli affari regionali, che ne danno a loro volta comunicazione
ai Ministeri competenti. Il Ministero degli affari esteri può indicare princìpi e
criteri da seguire nella conduzione dei negoziati; qualora questi ultimi si svolgano
all'estero, le competenti rappresentanze diplomatiche e i competenti uffici consolari
italiani, previa intesa con la Regione o con la Provincia autonoma, collaborano
alla conduzione delle trattative. La Regione o la Provincia autonoma, prima di
sottoscrivere l'accordo, comunica il relativo progetto al Ministero degli affari esteri,
il quale, sentita la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari
regionali, ed accertata l'opportunità politica e la legittimità dell'accordo, ai sensi
del presente comma, conferisce i pieni poteri di firma previsti dalle norme del diritto
internazionale generale e dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 23
maggio 1969, ratificata ai sensi della legge 12 febbraio 1974, n. 112. Gli accordi
sottoscritti in assenza del conferimento di pieni poteri sono nulli. |
4. Agli accordi stipulati dalle Regioni e dalle Province
autonome di Trento e di Bolzano è data pubblicità in base alla legislazione vigente. |
4. Identico. |
5. Il Ministro degli affari esteri può, in qualsiasi
momento, rappresentare alla Regione o alla Provincia autonoma interessata questioni di
opportunità inerenti alle attività di cui ai commi da 1 a 3 e derivanti dalle scelte e
dagli indirizzi di politica estera dello Stato e, in caso di dissenso, sentita la
Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari regionali, chiedere
che la questione sia portata in Consiglio dei ministri che, con l'intervento del
Presidente della giunta regionale o provinciale interessato, delibera sulla questione. |
5. Identico. |
6. In caso di violazione degli accordi di cui al comma 3,
ferma restando la responsabilità delle Regioni verso lo Stato, si applicano le
disposizioni dell'articolo 7, commi 1, 4 e 5, in quanto compatibili. |
6. In caso di violazione degli accordi di cui al comma 3,
ferma restando la responsabilità delle Regioni verso lo Stato, si applicano le
disposizioni dell'articolo 8, commi 1, 4 e 5, in quanto compatibili. |
7. Resta fermo che i Comuni, le Province e le Città
metropolitane continuano a svolgere attività di mero rilievo internazionale nelle materie
loro attribuite, secondo l'ordinamento vigente. |
7. Resta fermo che i Comuni, le Province e le Città
metropolitane continuano a svolgere attività di mero rilievo internazionale nelle materie
loro attribuite, secondo l'ordinamento vigente, comunicando alle Regioni competenti
ed alle amministrazioni di cui al comma 2 ogni iniziativa. |
Art. 6. |
Art. 7. |
1. Lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze,
provvedono a conferire le funzioni amministrative da loro esercitate alla data di entrata
in vigore della presente legge, sulla base dei princìpi di sussidiarietà,
differenziazione e adeguatezza, attribuendo a Province, Città metropolitane, Regioni e
Stato soltanto quelle di cui occorra assicurare l'unitarietà di esercizio, per motivi di
buon andamento, efficienza o efficacia dell'azione amministrativa ovvero per motivi
funzionali o economici o per esigenze di programmazione o di omogeneità territoriale, nel
rispetto, anche ai fini dell'assegnazione di ulteriori funzioni, delle attribuzioni degli
enti di autonomia funzionale, anche nei settori della promozione dello sviluppo economico
e della gestione dei servizi. Stato, Regioni, Città metropolitane, Province, Comuni e
Comunità montane favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati,
per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di
sussidiarietà. In ogni caso, quando sono impiegate risorse pubbliche, si applica
l'articolo 12 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Tutte le altre funzioni amministrative
non diversamente attribuite spettano ai Comuni, che le esercitano in forma singola o
associata, anche mediante le Comunità montane e le unioni dei Comuni. |
1. Identico. |
2. A decorrere dalla data di entrata in vigore
della presente legge, lo Stato avvia il trasferimento dei beni e delle
risorse strumentali, finanziarie, umane e organizzative necessarie per l'esercizio
delle funzioni e dei compiti previsti dagli articoli 117 e 118 della Costituzione.
A tal fine, sulla base degli accordi con le Regioni e le autonomie locali, da
concludere in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo
28 agosto 1997, n.281, di seguito denominata: "Conferenza unificata", diretti al
trasferimento dei suddetti beni e risorse, il Governo, su proposta del Ministro per gli
affari regionali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti i
Ministri interessati, presenta al Parlamento uno o più disegni di legge collegati, ai
sensi dell'articolo 3, comma 4, della legge 5 agosto 1978, n.468, e successive
modificazioni, alla manovra finanziaria annuale, per il recepimento dei suddetti accordi.
Ciascuno dei predetti disegni di legge deve essere corredato della relazione tecnica con
l'indicazione della quantificazione e della ripartizione dei beni e delle risorse
strumentali, finanziarie, umane e organizzative, ai fini della valutazione della
congruità tra i trasferimenti e gli oneri conseguenti all'espletamento delle funzioni
conferite. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano fino alla data di entrata
in vigore delle norme relative al nuovo sistema finanziario in attuazione dell'articolo
119 della Costituzione. |
2. Per le finalità di cui al comma 1, sulla
base degli accordi con le Regioni e le autonomie locali, da concludere in sede di
Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281,
di seguito denominata: "Conferenza unificata", diretti in particolare
all'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane,
strumentali e organizzative necessarie per l'esercizio delle funzioni e dei
compiti da conferire, il Governo, su proposta del Ministro per gli affari regionali,
di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti i Ministri interessati,
presenta al Parlamento uno o più disegni di legge collegati, ai sensi dell'articolo 3,
comma 4, della legge 5 agosto 1978, n.468, e successive modificazioni, alla manovra
finanziaria annuale, per il recepimento dei suddetti accordi. Ciascuno dei predetti
disegni di legge deve essere corredato da idonea relazione tecnica e non
deve recare oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica. Le
disposizioni di cui al presente comma si applicano fino alla data di entrata in vigore
delle norme relative al nuovo sistema finanziario in attuazione dell'articolo 119 della
Costituzione. |
3. Sulla base dei medesimi accordi e nelle more dell'approvazione dei disegni di legge di cui al comma 2, lo Stato può avviare i trasferimenti dei suddetti beni e risorse secondo princìpi di invarianza di spesa e con le modalità previste al numero 4) del punto II dell'Accordo del 20 giugno 2002, recante intesa interistituzionale tra Stato, regioni ed enti locali, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 159 del 9 luglio 2002. A tale fine si provvede mediante uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, tenendo conto delle previsioni di spesa risultanti dal bilancio dello Stato e del patto di stabilità. Si applicano, in |
quanto compatibili, gli articoli 3, 7, commi 8,
9, 10 e 11, e 8 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Gli schemi
di decreto, ciascuno dei quali deve essere corredato di idonea relazione
tecnica, sono trasmessi alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da
parte delle Commissioni parlamentari competenti, da rendere entro trenta
giorni dall'assegnazione. 4. Le Commissioni possono chiedere ai Presidenti delle Camere una proroga di venti giorni per l'espressione del parere, qualora ciò si renda necessario per la complessità della materia o per il numero degli schemi di decreto trasmessi nello stesso periodo all'esame delle Commissioni. Qualora sia concessa, ai sensi del presente comma, la proroga del termine per l'espressione del parere, i termini per l'emanazione dei decreti sono prorogati di venti giorni. Decorso il termine di cui al comma 3, ovvero quello prorogato ai sensi del presente comma, senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza, i decreti possono comunque essere emanati. 5. Nell'emanazione dei decreti, si tiene conto delle indicazioni contenute nel Documento di programmazione economico-finanziaria, come approvato dalle risoluzioni parlamentari. Dalla data di entrata in vigore dei suddetti decreti o da quella diversa indicata negli stessi, le Regioni o gli enti locali possono provvedere all'esercizio delle funzioni relative ai beni e alle risorse trasferite. Tali decreti si applicano fino alla data di entrata in vigore delle leggi di cui al comma 2. |
3. Fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti
previsti dal presente articolo, le funzioni amministrative continuano ad essere esercitate
secondo le attribuzioni stabilite dalle disposizioni vigenti. |
6. Identico. |
4. La Corte dei conti, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, verifica il rispetto degli equilibri di bilancio da parte di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti | 7. La Corte dei conti, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, verifica il rispetto degli equilibri di bilancio da parte di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall'appartenenza |
dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea. Le sezioni
regionali di controllo della Corte dei conti verificano, secondo i princìpi del controllo
collaborativo, il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di
principio e di programma, secondo la rispettiva competenza, nonché la sana gestione
finanziaria degli enti locali ed il funzionamento dei controlli interni e riferiscono
sugli esiti delle verifiche esclusivamente ai consigli degli enti controllati. |
dell'Italia all'Unione europea. Le sezioni regionali di
controllo della Corte dei conti verificano, nel rispetto della natura collaborativa
del controllo sulla gestione, il perseguimento degli obiettivi posti dalle
leggi statali o regionali di principio e di programma, secondo la rispettiva competenza,
nonché la sana gestione finanziaria degli enti locali ed il funzionamento dei controlli
interni e riferiscono sugli esiti delle verifiche esclusivamente ai consigli degli enti
controllati. Resta ferma la potestà delle Regioni a statuto speciale,
nell'esercizio della loro competenza, di adottare particolari discipline
nel rispetto delle suddette finalità. |
5. Le Regioni possono richiedere ulteriori forme di
collaborazione alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti ai fini della
regolare gestione finanziaria e dell'efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa,
nonché pareri in materia di contabilità pubblica. Analoghe richieste possono essere
formulate, di norma tramite il Consiglio delle autonomie, se istituito, anche da Comuni,
Province e Città metropolitane. |
8. Identico. |
6. Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti possono essere integrate da due componenti designati, salvo diversa previsione dello statuto della Regione, rispettivamente dal Consiglio regionale e dal Consiglio delle autonomie locali oppure, ove tale organo non sia stato istituito, dal Presidente del Consiglio regionale su indicazione delle associazioni rappresentative dei Comuni e delle Province a livello regionale. I predetti componenti sono scelti tra persone che, per gli studi compiuti e le esperienze professionali acquisite, sono particolarmente esperte nelle materie aziendalistiche, economiche, finanziarie, giuridiche e contabili; i medesimi durano in carica cinque anni e non sono riconfermabili. Il loro status è equiparato a tutti gli effetti, per la durata dell'incarico, a quello dei consiglieri della Corte dei conti, con onerifinanziari a carico della Regione. La nomina è effettuata con decreto del Presidente della Repubblica, con le modalità previste dal secondo comma dell'articolo | 9. Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti possono essere integrate da due componenti designati, salvo diversa previsione dello statuto della Regione, rispettivamente dal Consiglio regionale e dal Consiglio delle autonomie locali oppure, ove tale organo non sia stato istituito, dal Presidente del Consiglio regionale su indicazione delle associazioni rappresentative dei Comuni e delle Province a livello regionale. I predetti componenti sono scelti tra persone che, per gli studi compiuti e le esperienze professionali acquisite, sono particolarmente esperte nelle materie aziendalistiche, economiche, finanziarie, giuridiche e contabili; i medesimi durano in carica cinque anni e non sono riconfermabili. Il loro status è equiparato a tutti gli effetti, per la durata dell'incarico, a quello dei consiglieri della Corte dei conti, con oneri finanziari a carico della Regione. La nomina è effettuata con decreto del Presidente della Repubblica, con le modalità previste dal secondo comma dell'articolo |
unico del decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio
1977, n. 385. Nella prima applicazione delle disposizioni di cui al presente comma e ai
commi 4 e 5, ciascuna sezione regionale di controllo, previe intese con la Regione, può
avvalersi di personale della Regione sino ad un massimo di dieci unità, il cui
trattamento economico resta a carico dell'amministrazione di appartenenza. Possono essere
utilizzati a tal fine, con oneri a carico della Regione, anche segretari comunali e
provinciali del ruolo unico previsto dal testo unico delle leggi sull'ordinamento degli
enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, previe intese con
l'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali o con le
sue sezioni regionali. Per assicurare professionalità adeguate alle
esigenze tecniche del controllo collaborativo di cui alle precedenti
disposizioni, i bandi di concorso previsti dall'articolo 12 della legge 20
dicembre 1961, n.1345, e successive modificazioni, riservano una percentuale
non inferiore a un quinto dei posti messi a concorso a personale
delle pubbliche amministrazioni appartenente alle ex carriere direttive,
con cinque anni di anzianità, che sia dotato del diploma di laurea in
scienze economico-aziendali o in scienze dell'economia o di altro
titolo di studio equipollente. A tal fine i bandi di concorso stabiliscono
anche una adeguata disciplina delle prove di esame. In seguito all'abrogazione
dell'articolo 130 della Costituzione, è rimessa all'autonomia statutaria
e regolamentare degli enti locali la disciplina, oltre che dei
controlli interni, degli interventi sostitutivi in caso di inerzia dell'amministrazione,
salvo il potere del Governo previsto dall'articolo 120, secondo
comma, della Costituzione. |
unico del decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio
1977, n. 385. Nella prima applicazione delle disposizioni di cui al presente comma e ai
commi 7 e 8, ciascuna sezione regionale di controllo, previe intese con la
Regione, può avvalersi di personale della Regione sino ad un massimo di dieci unità, il
cui trattamento economico resta a carico dell'amministrazione di appartenenza. Possono
essere utilizzati a tal fine, con oneri a carico della Regione, anche segretari comunali e
provinciali del ruolo unico previsto dal testo unico delle leggi sull'ordinamento degli
enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, previe intese con
l'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali o con le
sue sezioni regionali. |
Art. 7. |
Art. 8. |
1. Nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120 della Costituzione, il | 1. Nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120 della Costituzione, il |
Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del
Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali,
assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o
necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo
interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei
ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito
commissario. |
Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del
Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali,
assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o
necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo
interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei
ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito
commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il
Presidente della Regione interessata al provvedimento. |
2. Qualora l'esercizio del potere sostitutivo si renda
necessario al fine di porre rimedio alla violazione della normativa comunitaria, gli atti
ed i provvedimenti di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Presidente del
Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro
competente per materia. L'articolo 11 della legge 9 marzo 1989, n. 86, è abrogato. |
2. Identico. |
3. Qualora l'esercizio dei poteri sostitutivi riguardi
Comuni, Province o Città metropolitane, la nomina del commissario deve tenere conto dei
princìpi di sussidiarietà e di leale collaborazione. Il commissario provvede, sentito il
Consiglio delle autonomie locali. |
3. Fatte salve le competenze delle Regioni a statuto
speciale, qualora l'esercizio dei poteri sostitutivi riguardi Comuni, Province o
Città metropolitane, la nomina del commissario deve tenere conto dei princìpi di
sussidiarietà e di leale collaborazione. Il commissario provvede, sentito il Consiglio
delle autonomie locali qualora tale organo sia stato istituito. |
4. Nei casi di assoluta urgenza, qualora l'intervento
sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate
dall'articolo 120 della Costituzione, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro
competente, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, adotta i provvedimenti
necessari, che sono immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla
Conferenza Stato-Città e autonomie locali, allargata ai rappresentanti delle Comunità
montane, che possono chiederne il riesame. |
4. Identico. |
5. I provvedimenti sostitutivi devono essere proporzionati
alle finalità perseguite. |
5. Identico. |
6. Il Governo può promuovere la stipula di intese in sede di
Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, dirette a favorire l'armonizzazione
delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento
di obiettivi comuni; in tale caso è esclusa l'applicazione dei commi 3 e 4 dell'articolo
3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Nelle materie di cui all'articolo 117,
terzo e quarto comma, della Costituzione non possono essere adottati gli atti di indirizzo
e di coordinamento di cui all'articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e all'articolo
4 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. |
6. Identico. |
Art. 8. |
Art. 9. |
1. L'articolo 31 della legge 11 marzo 1953, n. 87, è
sostituito dal seguente: |
1. Identico: |
"Art. 31. - 1. La questione di legittimità
costituzionale di uno statuto regionale può, a norma del secondo comma dell'articolo 123
della Costituzione, essere promossa entro il termine di trenta giorni dalla pubblicazione. |
"Art. 31. - 1. Identico. |
2. Il Governo, quando ritenga che una legge regionale
ecceda la competenza della Regione, può promuovere, ai sensi dell'articolo 127, primo
comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale della legge
regionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione. |
2. Ferma restando la particolare forma di
controllo delle leggi prevista dallo statuto speciale della Regione siciliana,
il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione,
può promuovere, ai sensi dell'articolo 127, primo comma, della Costituzione, la questione
di legittimità costituzionale della legge regionale dinanzi alla Corte costituzionale
entro sessanta giorni dalla pubblicazione. |
3. La questione di legittimità costituzionale è
sollevata, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, anche su proposta della
Conferenza Stato-Città e autonomie locali, dal Presidente del Consiglio dei ministri
mediante ricorso diretto alla Corte costituzionale e notificato, entro i termini previsti
dal presente articolo, al Presidente della Giunta regionale. |
3. Identico. |
4. Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria
della Corte costituzionale entro il termine di dieci giorni dalla notificazione". |
4. Identico". |
2. Il secondo comma dell'articolo 32 della legge 11 marzo
1953, n. 87, è sostituito dal seguente: |
2. Identico. |
"La questione di legittimità costituzionale, previa
deliberazione della Giunta regionale, anche su proposta del Consiglio delle autonomie
locali, è promossa dal Presidente della Giunta mediante ricorso diretto alla Corte
costituzionale e notificato al Presidente del Consiglio dei ministri entro il termine di
sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell'atto impugnati". |
3. Al primo comma dell'articolo 33 della legge 11 marzo 1953,
n. 87, le parole: "dell'articolo 2, secondo comma, della legge costituzionale 9
febbraio 1948, n. 1" sono sostituite dalle seguenti: "dell'articolo 127, secondo
comma, della Costituzione". |
3. Identico. |
4. L'articolo 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87, è
sostituito dal seguente: |
4. Identico: |
"Art. 35. - 1. Quando è promossa una questione
di legittimità costituzionale ai sensi degli articoli 31, 32 e 33, la Corte
costituzionale fissa l'udienza di discussione del ricorso entro novanta giorni dal
deposito dello stesso. Qualora la Corte ritenga che l'esecuzione dell'atto impugnato o di
parti di esso possa comportare il rischio di un irreparabile pregiudizio all'interesse
pubblico o all'ordinamento giuridico della Repubblica, trascorso il termine di cui
all'articolo 25, d'ufficio può adottare i provvedimenti di cui all'articolo 40. In tal
caso l'udienza di discussione è fissata entro i successivi trenta giorni e il dispositivo
della sentenza è depositato entro quindici giorni dall'udienza di discussione". |
"Art. 35. - 1. Quando è promossa una questione
di legittimità costituzionale ai sensi degli articoli 31, 32 e 33, la Corte
costituzionale fissa l'udienza di discussione del ricorso entro novanta giorni dal
deposito dello stesso. Qualora la Corte ritenga che l'esecuzione dell'atto impugnato o di
parti di esso possa comportare il rischio di un irreparabile pregiudizio all'interesse
pubblico o all'ordinamento giuridico della Repubblica, ovvero il rischio di un pregiudizio
grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini, trascorso il termine
di cui all'articolo 25, d'ufficio può adottare i provvedimenti di cui all'articolo 40. In
tal caso l'udienza di discussione è fissata entro i successivi trenta giorni e il
dispositivo della sentenza è depositato entro quindici giorni dall'udienza di
discussione". |
5. Le Regioni assicurano la pronta reperibilità degli atti
recanti la pubblicazione ufficiale degli statuti e delle leggi regionali. |
5. Identico. |
6. Nei ricorsi per conflitto di attribuzione tra Stato e
Regione e tra Regione e Regione, di cui agli articoli da 39 a 42 della legge 11 marzo
1953, n. 87, proposti anteriormente alla data dell'8 novembre 2001, il ricorrente deve
chiedere la trattazione del ricorso, con istanza diretta alla Corte costituzionale e
notificata alle altre parti costituite, entro quattro mesi dal ricevimento della
comunicazione di pendenza del procedimento effettuata a cura della cancelleria della Corte
costituzionale; in difetto di tale istanza, il ricorso si considera abbandonato ed è
dichiarato estinto con decreto del Presidente. |
6. Identico. |
Art. 9. |
Art. 10. |
1. In ogni Regione a statuto ordinario è istituito il
rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie. Le relative
funzioni sono svolte dal prefetto preposto all'ufficio territoriale del Governo avente
sede nel capoluogo della Regione. |
1. In ogni Regione a statuto ordinario il prefetto
preposto all'ufficio territoriale del Governo avente sede nel capoluogo della
Regione svolge le funzioni di rappresentante dello Stato per i rapporti con
il sistema delle autonomie. |
2. Nell'esercizio delle funzioni di cui al comma 1, il
rappresentante dello Stato cura in sede regionale: |
2. Identico. |
a) le attività dirette ad assicurare il rispetto del
principio di leale collaborazione tra Stato e Regione, nonché il raccordo tra le
istituzioni dello Stato presenti sul territorio, anche attraverso le conferenze di cui
all'articolo 11 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, al fine di garantire la
rispondenza dell'azione amministrativa all'interesse generale, il miglioramento della
qualità dei servizi resi al cittadino e di favorire e rendere più agevole il rapporto
con il sistema delle autonomie; |
b) la tempestiva informazione alla Presidenza del
Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari regionali e ai Ministeri interessati
degli statuti regionali e delle leggi regionali, per le finalità di cui agli articoli 123
e 127 della Costituzione, e degli atti amministrativi regionali, agli effetti
dell'articolo 134 della Costituzione, nonché il tempestivo invio dei medesimi atti
all'ufficio dell'Avvocatura dello Stato avente sede nel capoluogo; c) la promozione dell'attuazione delle intese e del coordinamento tra Stato e Regione previsti da leggi statali nelle materie indicate dall'articolo 118, terzo comma, della Costituzione, nonché delle misure di coordinamento tra Stato e autonomie locali, di cui all'articolo 9, comma 5, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281; d) l'esecuzione di provvedimenti del Consiglio dei ministri costituenti esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, avvalendosi degli uffici territoriali del Governo e degli altri uffici statali aventi sede nel territorio regionale; e) la verifica dell'interscambio di dati e informazioni rilevanti sull'attività statale, regionale e degli enti locali, di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, riferendone anche al Ministro per l'innovazione e le tecnologie; f) l'indizione delle elezioni regionali e la determinazione dei seggi consiliari e l'assegnazione di essi alle singole circoscrizioni, nonché l'adozione dei provvedimenti connessi o conseguenti, fino alla data di entrata in vigore di diversa previsione contenuta negli statuti e nelle leggi regionali; g) la raccolta delle notizie utili allo svolgimento delle funzioni degli organi statali, costituendo il tramite per la reciproca informazione nei rapporti con le autorità regionali; la fornitura di dati e di elementi per la redazione della Relazione annuale sullo stato della pubblica amministrazione; la raccolta e lo scambio dei dati di rilevanza statistica, da effettuarsi secondo gli standard e le metodologie de-finiti dall'Istituto nazionale di statistica |
(ISTAT) e avvalendosi anche dei suoi uffici regionali,
d'intesa con lo stesso. |
3. Nell'esercizio delle funzioni di cui al presente articolo
il prefetto titolare dell'ufficio territoriale del Governo del capoluogo di Regione si
avvale a tale fine delle strutture e del personale dell'ufficio territoriale del Governo. |
3. Nell'esercizio delle funzioni di cui al presente articolo
il rappresentante dello Stato si avvale a tale fine delle strutture e del personale
dell'ufficio territoriale del Governo. |
4. Ai fini del presente articolo e per l'espletamento
delle funzioni previste dall'articolo 1, comma 2, lettere e), f) e
g), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 17
maggio 2001, n. 287, i segretari comunali e provinciali che, alla data di
entrata in vigore della presente legge, sono inseriti nella graduatoria
di cui all'articolo 18, comma 9, del regolamento di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 4 dicembre 1997, n. 465, come modificato dall'articolo
7, comma 3, della legge 16 gennaio 2003, n. 3, e che hanno presentato istanza
di mobilità per gli uffici territoriali del Governo, sono assegnati, nel
limite dei posti disponibili, agli stessi uffici, con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'interno,
con il Ministro per gli affari regionali e con gli altri Ministri interessati,
da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge. Restano ferme le disposizioni previste dal decreto legislativo
19 maggio 2000, n. 139, e dai relativi decreti di attuazione. 5. Nelle Regioni a statuto speciale le funzioni del rappresentante dello Stato ai fini della lettera d) del comma 2 sono svolte dagli organi statali a competenza regionale previsti dai rispettivi statuti, con le modalità definite da apposite norme di attuazione. 6. Fatte salve le competenze spettanti alle Province autonome di Trento e di Bolzano, ai commissariati del Governo di Trento e di Bolzano si applicano le disposizioni del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 2001, n. 287. |
4. Il provvedimento di preposizione all'ufficio territoriale
del Governo del capoluogo di Regione è adottato con decreto del Presidente della
Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro
dell'interno, d'intesa con il Ministro per gli affari regionali. |
7. Identico. |
5. L'articolo 4, comma 3, del decreto legislativo 30 luglio
1999, n. 303, è sostituito dal seguente: "3. Per l'esercizio dei compiti di cui al presente articolo, il Presidente del Consiglio dei ministri, o il Ministro per gli affari regionali, se nominato, si avvale di un apposito Dipartimento per gli affari regionali e delle annesse, in posizione di autonomia, segreterie della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano e della Conferenza Stato-Città e autonomie locali nonché dell'ufficio per il federalismo amministrativo, nel quale confluisce il personale addetto alla struttura di supporto del Commissario straordinario del Governo per l'attuazione del federalismo amministrativo; si avvale altresì, sul territorio, dei rappresentanti dello Stato nelle Regioni, che dipendono funzionalmente dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro per gli affari regionali, se nominato". |
8. All'articolo 4, comma 3, del decreto legislativo 30
luglio 1999, n. 303, le parole da: "autonomie locali" fino alla
fine del comma sono sostituite dalle seguenti: "autonomie locali,
nonché dell'Ufficio per il federalismo amministrativo, nel quale
confluisce il personale addetto alla struttura di supporto del Commissario
straordinario del Governo per l'attuazione del federalismo amministrativo,
mantenendo il proprio stato giuridico; si avvale altresì, sul
territorio, dei rappresentanti dello Stato nelle Regioni, che dipendono funzionalmente
dal Presidente del Consiglio dei ministri". |
6. All'articolo 11 della legge 10 febbraio 1953, n.62, sono
apportate le seguenti modificazioni: |
9. Identico. |
a) il primo comma è sostituito dal seguente: "Le leggi regionali sono promulgate dal Presidente della Giunta. Il testo è preceduto dalla formula: "Il Consiglio regionale ha approvato. Il Presidente della Giunta regionale promulga""; b) i commi secondo e terzo sono abrogati; c) la rubrica è sostituita dalla seguente: "Promulgazione delle leggi regionali". |
7. Sono abrogati: gli articoli 40, 43 e 44 della legge 10
febbraio 1953, n. 62; l'articolo 4, secondo comma, del decreto del Presidente della
Repubblica 24 luglio 1977, n. 616; l'articolo 13 della legge 23 agosto 1988, n. 400, ad
eccezione del comma 3; l'articolo 3 del decreto legislativo 13 febbraio 1993, n. 40;
l'articolo 11, comma 3, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. |
10. Identico. |
8. Nelle norme dell'ordinamento giuridico, compatibili con le disposizioni della | 11. Identico. |
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, il riferimento al
commissario del Governo è da intendersi al prefetto titolare dell'ufficio territoriale
del Governo del capoluogo di Regione quale rappresentante dello Stato. Il presente comma
comunque non concerne le norme compatibili con la legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n.3, aventi ad oggetto le Regioni a statuto speciale. |
Art. 10. |
Art. 11. |
1. Per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome
di Trento e di Bolzano resta fermo quanto previsto dai rispettivi statuti speciali e dalle
relative norme di attuazione, nonché dall'articolo 10 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n.3. |
Identico. |
2. Le Commissioni paritetiche previste dagli statuti delle
Regioni a statuto speciale, in relazione alle ulteriori materie spettanti alla loro
potestà legislativa ai sensi dell'articolo 10 della citata legge costituzionale n.3 del
2001, possono proporre l'adozione delle norme di attuazione per il trasferimento dei beni
e delle risorse strumentali, finanziarie, umane e organizzative, occorrenti all'esercizio
delle ulteriori funzioni amministrative. 3. Le norme di attuazione di cui al comma 2 possono prevedere altresì disposizioni specifiche per la disciplina delle attività regionali di competenza in materia di rapporti internazionali e comunitari. |
Art. 11. |
Art. 12. |
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a
quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. |
Identico. |
PARERE DEL COMITATO PER LA LEGISLAZIONE
Il Comitato per la
legislazione,
esaminato il disegno di legge n. 3590,
rilevato che il provvedimento costituisce lo strumento principale per dare attuazione alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e che - in ragione della sua struttura - incide significativamente anche sulle problematiche connesse con il "riordino" e il "riassetto" normativo,
ribadita la necessità - più volte evidenziata - che in tale materia si evidenzino strategie unitarie di intervento,
ritiene che, per la conformità ai parametri stabiliti dall'articolo 16-bis del Regolamento, debbano essere rispettate le seguenti condizioni,
sotto il profilo dell'efficacia del testo per la semplificazione e il riordinamento della legislazione vigente:
all'articolo 3, commi 2, 3, 4, ove si incide sulle medesime materie già disciplinate dagli artt. 6 e 7 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, si individuino le opportune forme di coordinamento con quanto disposto dal citato testo unico, il quale - peraltro - è assistito da una clausola di modificazione espressa;
all'articolo 4, relativo alla partecipazione delle regioni in materia comunitaria, si individuino le opportune forme di coordinamento con quanto disposto a tal riguardo dall'articolo 10 della legge 9 marzo 1989, n. 86;
all'articolo 6, che detta la disciplina sul riparto delle funzioni amministrative tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, si individuino le opportune forme di coordinamento con quanto disposto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, che reca una complessiva redistribuzione delle funzioni amministrative tra lo Stato, le regioni, gli enti locali, ai sensi della legge 15 marzo 1997, n. 59; la medesima esigenza vale anche rispetto all'articolo 7 del provvedimento con riferimento all'articolo 5 del citato decreto legislativo, che disciplina il potere sostitutivo del Governo;
sotto il profilo della chiarezza e della proprietà della formulazione:
all'articolo 2, che autorizza il Governo a raccogliere, per ambiti omogenei, in testi unici le disposizioni legislative residue, non aventi carattere di principio fondamentale nelle materie di competenza concorrente, si chiarisca la natura e la forma giuridica di tali atti denominati "testi unici", precisando se la disposizione in esame conferisca o meno una delega, ai sensi dell'articolo 76 Cost. (in quest'ultimo caso nel testo difetterebbero sia il termine per l'esercizio della delega sia l'individuazione di specifici principi e criteri direttivi);
all'articolo 7, comma 1, relativo all'esercizio dei poteri sostitutivi, si precisi a quali tipi di provvedimento si fa riferimento, anche al fine di chiarire in quali atti normativi il potere sostitutivo possa concretizzarsi.
Il Comitato osserva altresì che:
sotto il profilo dell'efficacia del testo per la semplificazione e il riordinamento della legislazione vigente:
all'articolo 6, commi 4-6, che disciplinano i compiti della Corte dei conti in ordine alla verifica del rispetto degli equilibri di bilancio di comuni, province, città metropolitane e regioni nonché la composizione delle sezioni regionali di controllo, dovrebbe valutarsi l'opportunità di novellare la legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, ovvero il decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, relativo a disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, conv. con modif. dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, peraltro l'articolo 9 del regolamento della Corte dei conti del 16 giugno 2000, relativo all'organizzazione delle funzioni di controllo della Corte, adottato ai sensi della citata legge n. 20 già prevede che la sezione autonomie riferisca al Parlamento sull'andamento generale della finanza regionale e locale, sarebbe pertanto opportuno chiarire se le verifiche prefigurate coincidano o meno con quanto già previsto. Inoltre, si segnala che le sezioni regionali della Corte dei conti sono state istituite e disciplinate dal citato regolamento, pertanto dovrebbe valutarsi l'effettiva opportunità di intervenire su tale materia con legge;
sotto il profilo della chiarezza e della proprietà della formulazione:
all'articolo 1, comma 2, che introduce un principio di cedevolezza secondo il quale le leggi statali vigenti alla data di entrata in vigore del provvedimento, relative a materie di competenza regionale, (ovvero le leggi regionali che intervengono in materie di competenza esclusiva statale) si applicano sino all'entrata in vigore della corrispondente normativa regionale (ovvero della legislazione statale), fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionale, dovrebbe valutarsi l'opportunità di chiarire l'effettiva portata dell'espressione "normative statali (o regionali) vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge", specificando, in particolare, se la stessa debba essere riferita in ogni caso alla normativa vigente prima dell'entrata in vigore della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3, ovvero anche ad eventuali leggi statali in materia regionale approvate dopo l'entrata in vigore riforma del Titolo V, ma prima dell'entrata in vigore del provvedimento in esame (in quest'ultimo caso, infatti, le norme costituzionali relative alla definizione delle competenze legislative prevarrebbero comunque sulle disposizioni di rango legislativo); con riferimento allo stesso comma, inoltre, dovrebbe valutarsi l'effettiva necessità dell'inciso volto a salvaguardare gli effetti delle pronunce della Corte costituzionale, stante il fatto che gli stessi sono in ogni caso regolati dall'articolo 136 Cost.;
all'articolo 1, comma 4, dovrebbe valutarsi l'opportunità di qualificare come "meramente ricognitivi" i previsti decreti legislativi, alla luce della possibilità che l'enucleazione dei principi fondamentali richieda anche una discrezionalità interpretativa; con riferimento alla stessa disposizione - inoltre - andrebbe verificata l'effettiva portata del principio della esclusività. Da ultimo, con riferimento ai pareri parlamentari, sarebbe opportuno specificare se l'indicazione dei profili sui quali si deve concentrare il parere sia riferita ad entrambi i pareri ovvero solo al secondo, chiarendo altresì se tale indicazione sia esaustiva, ovvero meramente esemplificativa. Più in generale, tuttavia, dovrebbe valutarsi l'opportunità di individuare in modo specifico l'oggetto dell'attività parlamentare;
all'articolo 1, comma 5, dovrebbe valutarsi l'opportunità di chiarire in quale modo le norme di competenza esclusiva dello Stato potranno essere concretamente distinte da quelle che individuano i principi fondamentali nelle materie rimesse alla potestà legislativa concorrente;
all'articolo 3, comma 2, ove si fa riferimento ai principi generali in materia di organizzazione pubblica, dovrebbe valutarsi l'opportunità di chiarire l'effettiva portata di tale rinvio;
all'articolo 3, comma 6, dovrebbe valutarsi l'opportunità di sopprimere l'inciso "fermo restando quanto previsto dal presente articolo";
all'articolo 6, comma 1, che prevede che lo Stato e le regioni conferiscono agli enti locali le funzioni amministrative da loro esercitate, dovrebbe valutarsi l'opportunità di specificare - almeno con riferimento all'ambito statale - l'atto con cui si procedere al predetto conferimento;
all'articolo 6, comma 3, ove si stabilisce che - fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti previsti dal medesimo articolo - le funzioni amministrative sono esercitate secondo la normativa vigente, dovrebbe valutarsi l'opportunità di chiarire se si faccia riferimento ai provvedimenti di conferimento di funzioni (di cui al comma 1) ovvero a quelli di trasferimento dei beni e delle risorse (di cui al comma 2).
PARERE DELLA II COMMISSIONE PERMANENTE
(Giustizia)
La Commissione Giustizia,
esaminato il disegno di legge in oggetto,
esprime
NULLA OSTA
all'ulteriore corso del provvedimento.
PARERE DELLA III COMMISSIONE PERMANENTE
(Affari esteri e comunitari)
La III Commissione,
esaminato il disegno di legge C. 3590;
richiamato il contenuto della relazione sul disegno di legge svolto presso la III Commissione osservato in particolare che occorre:
1. considerare come limite della potestà legislativa dello Stato e delle Regioni tutti i trattati in vigore per l'Italia secondo il diritto internazionale;
2. attribuire allo Stato un potere di indirizzo e coordinamento in materia di attività all'estero delle Regioni;
3. assicurare l'applicazione della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, soprattutto ai fini della precisazione del regime degli accordi internazionali stipulati dalle Regioni in assenza di conferimento dei pieni poteri di firma;
4. chiarire la natura dei trattati che le Regioni possono stipulare, coerentemente con il disposto dell'articolo 80 della Costituzione;
5. espungere il riferimento alla "responsabilità delle Regioni verso lo Stato", attesa l'indeterminatezza di tale nozione;
6. mantenere la distinzione delineata in Costituzione tra l'ipotesi di inadempienza nell'attuazione e nell'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti comunitari, di cui al comma quinto dell'articolo 117, e l'ipotesi di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria, di cui al comma secondo dell'articolo 120;
ritenuto che la Commissione di merito possa tener conto delle suddette osservazioni per assicurare che il riconoscimento costituzionale di rilievo internazionale e comunitario delle Regioni possa avvenire in armonia con l'ordinamento vigente, ed in particolare nel rispetto delle competenze definite dalla Costituzione e del rilievo unitario dello Stato in materia di responsabilità internazionale e comunitaria;
tutto ciò precisato ed osservato,
per quanto di competenza
esprime
PARERE FAVOREVOLE
PARERE DELLA XI COMMISSIONE PERMANENTE
(Lavoro pubblico e privato)
La XI Commissione,
esaminato il disegno di legge n. 3590 recante "Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3",
considerato che non appare chiaro il rapporto tra i periodi settimo e ottavo del comma 6 dell'articolo 6, laddove si prevede che i bandi di concorso per referendari della Corte dei conti debbano riservare una percentuale non inferiore a un quinto dei posti messi a concorso a personale delle pubbliche amministrazioni appartenente alle ex carriere direttive, con cinque anni di anzianità, dotato di diploma di laurea in scienze economico-aziendali o in scienze dell'economia o di altro titolo di studio equipollente, rispetto al secondo periodo del primo comma dell'articolo 12 della legge n. 1345 del 1961, che già prevede una riserva di analogo tenore,
delibera di esprimere
PARERE FAVOREVOLE
con la seguente osservazione:
sarebbe opportuno riformulare i periodi settimo e ottavo dell'articolo 6, comma 6, in modo da chiarire quale sia il rapporto tra la riserva di posti di referendario ivi prevista rispetto a quella disposta dal secondo periodo del comma 1 dell'articolo 12 della legge n. 1345 del 1961.
PARERE DELLA XIV COMMISSIONE PERMANENTE
(Politiche dell'Unione europea)
La XIV Commissione,
esaminato il testo del disegno di legge;
tenuto conto, in particolare, dei contenuti dell'articolo 4, che prevede forme di partecipazione delle regioni in materia comunitaria,
ricordato che sono in corso di esame presso la XIV Commissione taluni progetti di legge (C. 3071, C. 3123 e C. 3310) di modifica della legge n. 86 del 1989 che reca "Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari",
sottolineata quindi l'esigenza di pervenire - tramite una lettura congiunta del disegno di legge in esame e del testo di modifica alla legge n. 86 del 1989 - alla definizione di una disciplina quanto più possibile ampia ed organica della partecipazione del Parlamento, delle regioni, degli enti locali e delle parti sociali alla fase di formazione delle politiche dell'Unione europea, dettando al contempo le forme ed i modi per la tempestiva attuazione del diritto comunitario, nel pieno rispetto della ripartizione delle competenze fissata dalla Costituzione,
esprime
PARERE FAVOREVOLE.