DIFESA (4a)
MARTEDI' 20 GIUGNO 2000
231a Seduta

Presidenza del presidente
DI BENEDETTO


Interviene il sottosegretario di Stato per la difesa Minniti.

La seduta inizia alle ore 15.


PROCEDURE INFORMATIVE

Interrogazioni

Il sottosegretario MINNITI risponde all'interrogazione n. 3-02361 precisando che l'impossibilità di instaurare un rapporto di concessione fra la cooperativa S. Vito ed il competente Comando del dipartimento militare marittimo dello Ionio e del Basso Adriatico è stato determinato dal fatto che l'area richiesta in uso dalla società, all'epoca, già rientrava fra quelle destinate all'alienazione, unitamente ad altri beni segnalati come dismissibili dal ministero della Difesa nel rispetto di quanto previsto dalla legge finanziaria dell'anno 1996 (legge 662/96 articolo 3, comma 112) e pertanto non più utilizzabili per scopi diversi. Fa presente poi che i responsabili della Cooperativa S. Vito hanno proceduto ad occupare abusivamente il territorio e le infrastrutture demaniali per garantire un ricovero ad alcuni cavalli di proprietà, a seguito dello sfratto ricevuto dal proprietario di un fondo limitrofo ove erano in precedenza allocati. In tale situazione il citato Comando della Marina Militare ha presentato denuncia alla procura della Repubblica di Taranto che operava il sequestro preventivo dell'area e degli immobili occupati, ordinando la restituzione dei beni alla Marina Militare previo sgombero di tutto quanto di proprietà della citata Cooperativa.
Attualmente l'area risulta ancora inserita nell'elenco dei beni dismissibili della Difesa, in applicazione della legge 448/98, recante "Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo".

Replica il senatore LORETO per dichiararsi soddisfatto.

Il sottosegretario MINNITI risponde all'interrogazione n. 3-02374 ricordando che la Difesa aveva già avuto modo di riferire rispondendo il 24 novembre 1999 all'interrogazione n. 3-00050 dello stesso presentatore.
In particolare, in quell'occasione era stato evidenziato che nell'ambito della Difesa esiste un unico "Centro di sopravvivenza ed aerosoccorritori" dell'Aeronautica militare, situato presso l'aeroporto di Furbara (Roma). L'organismo era stato costituito con atto, datato 31 marzo 1969, del Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica, e ha il compito di qualificare e di addestrare il personale aerosoccorritore, i piloti e il personale degli equipaggi fissi di volo dell'Aeronautica militare e delle altre Forze armate e Corpi armati dello Stato, rispettivamente al recupero e soccorso in mare dei naufraghi ed alle emergenze in mare a seguito di ammaraggio o incidente. Allo scopo, il Centro svolge normalmente corsi ed esercitazioni di acquaticità e di impiego dell'equipaggiamento di sopravvivenza, avvalendosi anche di Distaccamenti straordinari, quale ad esempio quello di Fregene, che forniscono supporto al personale durante le esercitazioni in mare. Nell'ultimo quinquennio presso il Centro si sono svolti 124 corsi, di durata variabile secondo gli obiettivi addestrativi da perseguire, frequentati dal 1.811 allievi tra ufficiali e sottufficiali. Per quanto attiene, poi, alle iniziative relative al benessere del personale, sul sedime di Fregene e sul sedime aeroportuale di Furbara sono stati costituiti due organismi di protezione sociale denominati Soggiorni Marini, con specifici atti ordinativi del Capo di Stato maggiore dell'Aeronautica datati rispettivamente 25 gennaio e 7 giugno 1999. La loro finalità, è quella di consentire al personale in servizio (presso enti o reparti di maggiore impegno operativo) di trascorrere periodi di riposo e di recupero psico-fisico in località aventi peculiari caratteristiche climatiche ed ambientali. I soggiorni sono gestiti da associazioni di dipendenti (quello di Furbara) o da ditte appaltatrici (quello di Fregene) e sono utilizzati, su richiesta ed a turno, dal personale e dalle relative famiglie, che ne usufruiscono a titolo oneroso, cioè pagando i costi dei servizi che risultano più contenuti rispetto a quelli correnti. In tal modo l'amministrazione recupera le spese di manutenzione e mantenimento dei locali e quelli per l'usura dei materiali.

Replica il senatore LORETO per dichiararsi soddisfatto della risposta odierna, molto più dettagliata della precedente.

Il sottosegretario MINNITI risponde altresì all'interrogazione n. 3-03186 ricordando che la Difesa ha sulla materia più volte riferito in Parlamento. L'argomento, peraltro, è alla continua attenzione del dicastero. Conferma che il Governo italiano ha ricevuto, dalle autorità NATO, specifiche e dettagliate informazioni sulle jettison areas, sulla loro fluttuazione nel tempo e sulle entità e natura degli ordigni rilasciati. Gli ordigni segnalati dalle autorità NATO sono complessivamente 235, né si ha alcun motivo o ragione per ritenere che possano essere stati intenzionalmente omessi dati relativi al rilascio di eventuali altri ordigni. Sulla base di predette informative, il Governo ha inviato a tutti gli enti competenti interessati, e in particolare ai Comandi militari marittimi ed alle Capitanerie di porto dell'Adriatico, tutte le informazioni di interesse, consentendo la diffusione dei necessari avvisi ai naviganti per le zone di potenziale pericolosità. Sul piano operativo, fin dal maggio 1999, è stata avviata l'attività di ricerca e bonifica in Adriatico con unità della Marina militare italiana, cui si sono affiancate unità della Forza di "contromisure mine" della NATO della regione Nord e della Forza di "contromisure mine" del Mediterraneo. Complessivamente in Adriatico hanno operato per oltre tre mesi almeno quindici unità cacciamine. Ciò ha consentito di raggiungere, nelle aree di rilascio, un grado di sicurezza che, può giudicarsi elevato, pur nella consapevolezza che in questo tipo di attività non potrà mai esistere la garanzia assoluta, anche per i ritrovamenti che ancora oggi di frequente avvengono, sia in mare che sul territorio nazionale, di ordigni risalenti alla seconda guerra mondiale. Poichè non è possibile escludere l'eventualità del ritrovamento di altri ordigni, finiti fuori dalle aree segnalate a causa delle dinamiche di caduta degli ordigni stessi lungo traiettorie condizionate da fattori atmosferici esterni o da fattori ambientali marini ovvero come conseguenza del trascinamento da parte di reti da pesca, la Difesa ha ritenuto opportuno mantenere in Adriatico alcuni cacciamine per i necessari interventi. Il 13 settembre 1999 al largo di Caorle si è avuto il rinvenimento nelle reti del moto-pesca Maestrale di un ordigno, tipo GBU-12, fatto successivamente brillare dagli operatori subacquei di Comsubin. Inoltre la nave Sapri, intervenuta per una ricerca in zona, individuava e controminava un altro ordigno tipo MK-82, localizzato a circa un miglio dal precedente. Un terzo ordigno, del tipo MK-84, veniva ritrovato (da un mezzo navale civile impegnato in attività locale di ricerca magneto-acustica) e fatto brillare dal nucleo SDAI del Dipartimento marittimo di Ancona. Tali ordigni, che verosimilmente sono quelli cui si riferisce l'interrogante, per tipologia possono essere ricompresi tra quelli impiegati durante la campagna aerea in Kosovo. A seguito di questi ritrovamenti, fin dall'ottobre 1999, è stata disposta una ulteriore campagna di bonifica con cinque cacciamine della Marina militare, cui si sono affiancate, dal 7 al 30 aprile 2000, sei unità della Forza di "contromisure mine" della NATO, messe a disposizione su esplicita richiesta della Difesa.
Tale ulteriore fase di bonifica, conclusasi lo scorso 20 maggio, ha sicuramente ricondotto a significativi margini di sicurezza l'esercizio delle attività di pesca nell'area, pur non potendosi escludere con certezza possibili futuri rinvenimenti di ordigni. Per tali evenienze, uno o due cacciamine saranno mantenuti per i prossimi mesi nel bacino dell'Adriatico.

Replica il senatore CAZZARO per dichiararsi solo parzialmente soddisfatto della risposta ricevuta, giacché permane la pericolosità della situazione pre-esistente.

Il sottosegretario MINNITI risponde all'interrogazione n. 3-03317 ricordando che in data 23 marzo 1999 il Consiglio della magistratura militare ha approvato la relazione conclusiva dell'indagine volta a stabilire le dimensioni, le cause e le modalità della provvisoria archiviazione e del trattenimento nell'ambito della procura generale militare presso il Tribunale supremo militare (organo soppresso nel 1981) di procedimenti per crimini di guerra. La delibera, nel ricostruire sotto il profilo storico, fatti e circostanze che hanno portato nel tempo i tribunali militari ad occuparsi dei crimini di guerra, imputa espressamente alla procura generale militare presso il Tribunale supremo militare il fatto di aver perpetrato, negli anni dell'immediato dopoguerra e fino al 1967, un regime di illegalità, trattenendo indebitamente i citati fascicoli anziché inviarli subito alle procure militari per l'esercizio dell'azione penale.
La scelta di far affluire incartamenti e denunce sui crimini di guerra presso la citata procura generale era stato il frutto di accordi presi nel 1945 con la Presidenza del Consiglio dei ministri. Si trattava di un'iniziativa tendente a costituire un unico centro di denuncia dei crimini di guerra all'Onu, che, nelle intenzioni originarie, non avrebbe dovuto ostacolare l'esercizio dell'azione penale da parte dei procuratori militari. Di fatto, venute meno le condizioni iniziali, si realizzò una situazione contraria alla legge. Quanto alle motivazioni di tale comportamento illegale, esse, secondo il documento del Consiglio della magistratura militare, vanno ascritte non tanto a personali convincimenti di coloro i quali, fino al 1967, erano succeduti nella titolarità dell'ufficio, quanto piuttosto a scelte di opportunità politica, non ultima quella volta ad evitare di alimentare la polemica con la Repubblica federale di Germania sul comportamento del soldato tedesco. E per questo aspetto è significativo ricordare che il trattato italo-tedesco allora in vigore non consentiva, per i reati rilevanti, l'estradizione di cittadini tedeschi verso l'Italia. In ogni caso, il Consiglio ha escluso che da parte dei magistrati che si sono avvicendati, a partire dal 1975, nella titolarità dell'incarico che fu del Consigliere Santacroce (Procuratore generale militare presso il tribunale supremo militare) ci fosse la consapevolezza dell'esistenza dell'archivio e degli incartamenti che ancora attendevano di essere inviati al Pubblico ministero. Nel carteggio posteriore al 1967 non solo non risulta più l'esistenza dell'archivio, ma nell'ambito della procura generale non c'era alcun documento specifico che indicasse, tra i carichi pendenti di quell'ufficio, l'esistenza di fascicoli riguardanti i crimini di guerra. Gli stessi magistrati, quindi, non sono stati nemmeno in grado di rendersi conto dell'impropria giacenza di quei fascicoli, poi rinvenuti. Più in generale va ricordato che della problematica in questione si è occupato, quale sottosegretario alla Difesa, il senatore Brutti che, nel corso di un convegno sul tema "Resistenza e Giustizia militare", svoltosi a Genova nel giugno del 1999, preannunciava il versamento della documentazione sui crimini di guerra (ormai declassificata) esistente presso il dicastero all'Archivio centrale dello Stato, al fine di consentirne la visione agli studiosi e ai ricercatori interessati. Inoltre, è opportuno ricordare che, come risulta dal documento del Consiglio superiore della magistratura militare, tutti gli incartamenti, compresi quelli rinvenuti nel 1994, sono stati trasmessi alle competenti procure militari.
Fa presente che, la ricerca della verità sta procedendo sia sul versante storico che su quello giudiziario. Al riguardo, proprio con riferimento all'eccidio di Sant'Anna di Stazzema, evidenzia - come già riferito dal vice presidente del Consiglio dei ministri pro-tempore alla Camera dei deputati nella seduta del 1° dicembre 1999 - che le indagini delle procure militari competenti sono in corso, ma procedono con estrema difficoltà. Il problema di fondo è rappresentato dalla necessità di identificare con certezza le persone da indagare: è di tutta evidenza che un'incriminazione per delitti così gravi richiede elementi di prova consistenti. Da parte degli organi inquirenti, comunque, sono state poste in essere tutte le iniziative possibili per individuare chi comandava le unità che commisero la strage e chi impartì gli ordini. Inoltre, è stata interessata l'Interpol ed è in atto una rogatoria internazionale.
Resta, in conclusione, ferma la determinazione del Governo di far luce su quel tremendo crimine di guerra e su altri analoghi al fine di rendere giustizia alle vittime ed ai loro familiari e di tutelare la memoria storica, elemento autenticamente costitutivo della nostra identità nazionale.

Replica il senatore PETRUCCI per dichiararsi soddisfatto della risposta.


SUI LAVORI DELLA COMMISSIONE

Stante la non sussistenza del numero legale per deliberare, il PRESIDENTE propone che l'istituzione di un'indagine conoscitiva sul funzionamento degli enti, istituti, associazioni, fondazioni ed altri organismi ai quali contribuisce annualmente il Ministero della difesa, argomento già iscritto all'ordine del giorno, passi alle successive sedute della settimana.

Conviene la Commissione.

La seduta termina alle ore 15,50 .