GIUSTIZIA (2ª)

GIOVEDI' 3 FEBBRAIO 2000

536ª Seduta

Presidenza del Presidente
PINTO
Intervengono il sottosegretario di Stato alla giustizia Ayala e il sottosegretario di Stato alle finanze Veneto.

La seduta inizia alle ore 8,50.


IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO

Schema di decreto legislativo recante: "Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205" (n. 617)
(Parere al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205. Seguito dell'esame e rinvio)

Riprende l'esame sospeso nella seduta di martedì 1° febbraio.

Interviene il senatore FASSONE, il quale richiama preliminarmente l'attenzione sulla scelta di fondo che caratterizza la delega contenuta nell'articolo 9 della legge n.205 del 1999, consistente nel superamento di un modello di intervento repressivo in materia penale tributaria facente leva sullo strumento dei cosiddetti "reati prodromici", e cioè su fattispecie criminose volte a colpire, indipendentemente da un'effettiva lesione degli interessi dell'Erario, comportamenti ritenuti astrattamente idonei a preparare una successiva evasione di imposta. Si tratta di abbandonare un'impostazione che caratterizza tuttora la normativa vigente e che si è rivelata incapace di assicurare un'effettiva deterrenza nei confronti della grande evasione, e ha sovraccaricato gli uffici giudiziari di un enorme numero di procedimenti relativi a fatti di limitata rilevanza. La delega contenuta nel citato articolo 9 prevede infatti la definizione di un ristretto numero di fattispecie di natura esclusivamente delittuosa caratterizzate da rilevante offensività per gli interessi dell'Erario e dal fine di evasione o di conseguimento di indebiti rimborsi di imposta. Lo schema di decreto in esame ha cercato di dare coerentemente attuazione a tale impostazione e significative in questa prospettiva appaiono, innanzitutto, la disposizione di cui all'articolo 6 in materia di tentativo, e quella di cui all'articolo 1, comma 2. In particolare, quest'ultima stabilisce che le violazioni dipendenti da interpretazioni della normativa tributaria o di disposizioni da essa richiamate sono punibili soltanto in caso di palese infondatezza dell'interpretazione adottata. Si tratta di una previsione, a suo avviso, di carattere speciale sia rispetto a quella di cui all'articolo 47, terzo comma, del codice penale, sia rispetto a quella di cui all'articolo 5 dello stesso codice. In altri termini, mentre in generale l'errore sulla norma penale o extra penale ha efficacia scusante solo se non è dovuto a colpa ovvero, come precisato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 364 del 1988 in relazione all'articolo 5, solo se inevitabile, nella materia tributaria l'errore sulla norma avrebbe una più ampia efficacia scusante in quanto le violazioni dipendenti da un'erronea interpretazione normativa sarebbero punibili soltanto qualora l'interpretazione stessa risulti palesemente infondata, non essendo sufficiente che essa sia semplicemente evitabile. Alla luce di tali rilievi, appare evidente come l'integrazione suggerita dal relatore con riferimento al disposto dal citato articolo 1, comma 2, risulti sostanzialmente superflua.
Per quel che concerne poi i livelli minimo e massimo di pena previsti per i reati di cui agli articoli 2 e 3 dello schema di decreto, è necessario considerare distintamente i primi dai secondi. Per quel che concerne il limite massimo di sei anni esso appare giustificato dal fatto che, da un lato, tale limite è previsto dalla legge delega, mentre, dall'altro, le fattispecie descritte dagli articoli 2 e 3 sono assimilabili sotto il profilo dell'offensività delle condotte ivi considerate e rappresentano, inoltre, le ipotesi di reato più gravi - unitamente a quella prevista dall'articolo 8 - contemplate dallo schema di decreto in esame. Per di più, va sottolineato come il limite massimo di pena così stabilito costituisca un lieve incremento rispetto all'attuale limite di cinque anni di reclusione fissato dall'articolo 4 del decreto legge n. 429 del 1982 per il reato di frode fiscale. In merito invece al limite minimo di pena di due anni di reclusione esso appare effettivamente elevato, ma può trovare una giustificazione nell'esigenza di evitare che, attraverso successive riduzioni conseguenti al riconoscimento di eventuali circostanze attenuanti oltre, se del caso, alla diminuzione di pena derivante dal possibile accesso al giudizio abbreviato o al patteggiamento, venga in concreto irrogata una pena sostituibile con la pena pecuniaria ai sensi dell'articolo 53 della legge n. 689 del 1981, consentendo così all'evasore fiscale la possibilità di una vera e propria monetizzazione della responsabilità penale. Tale esigenza spiega perché nelle ipotesi di cui agli articoli 4, 5 e 6 il limite minimo di pena sia individuato in un anno di reclusione e giustifica di riflesso la previsione di un limite di pena più elevato - che potrebbe in ipotesi anche attestarsi sui diciotto mesi anziché sui due anni di reclusione - nelle ipotesi più gravi previste dagli articoli 2 e 3 dello schema.
Per quel che concerne poi la problematica relativa all'inclusione delle violazioni degli obblighi contabili fra i comportamenti suscettibili di integrare il reato di dichiarazione fraudolenta previsto dall'articolo 3, va evidenziato che la mancata riproposizione dell'espresso riferimento a tali violazioni presente nell'originario Atto Senato n. 2979 - su cui è modellata la previsione dell'articolo 9 della legge n. 205 del 1999 - è spiegabile con la convinzione che il legislatore abbia considerato superfluo il riferimento specifico a queste violazioni, essendo possibile senz'altro ricomprenderle nella generale nozione "di artifici idonei a fornire una falsa rappresentazione contabile" contenuta nell'articolo 9, comma 2, lettera a), numero 1, della legge n. 205. Tale esito interpretativo trova effettivamente conferma proprio nell'ordine del giorno 9/1850-B/1 presentato alla Camera dei deputati e accolto dal Governo. La scelta del legislatore delegato di ricondurre le violazioni degli obblighi contabili all'ipotesi di cui all'articolo 3 appare giustificata, altresì, dal fatto che l'omessa fatturazione o la sottofatturazione a sostegno di una dichiarazione dei redditi non veritiera costituiscono comportamenti speculari a quelli previsti dall'articolo 2 consistenti nell'utilizzazione di fatture o altri documenti emessi a fronte di operazioni in tutto o in parte inesistenti. Proprio il carattere, come si è detto, "speculare" delle due tipologie di comportamento considerate spiega la scelta di ricondurle entrambe nell'ambito della nozione di dichiarazione fraudolenta individuata dal citato articolo 9, comma 2, lettera a) n. 1 della legge n. 205. Va ancora precisato che la violazione di obblighi contabili risulta suscettibile di integrare il delitto di dichiarazione fraudolenta solo se essa assume carattere sistematico, in quanto solo in presenza di comportamenti di questo genere è possibile che, in concreto, risultino superate le soglie di punibilità previste dalle lettere a) e b) dell'articolo 3 dello schema.
Con riferimento poi alle sentenze della Corte costituzionale n. 247 del 1989 e n.35 del 1991, va sottolineato come la Corte si sia pronunciata sulla legittimità dell'allora vigente articolo 4, primo comma, n.7) del decreto-legge n.429 del 1982 rispetto agli articoli 25, secondo comma e 3 della Costituzione, essendosi dubitato nelle ordinanze di rimessione che il requisito dell'alterazione in misura rilevante del risultato della dichiarazione fosse compatibile con il principio di determinatezza delle disposizioni penali incriminatrici. La Corte con la prima sentenza rigettò le questioni di legittimità costituzionale, asserendo che una lettura dell'articolo 4, primo comma, n.7), effettuata tenendo conto delle disposizioni di cui all'articolo 1 dello stesso decreto-legge n.429, portava alla necessaria conclusione che la prima ipotesi di reato poteva risultare integrata soltanto se la relativa condotta si esprimeva in forme oggettivamente artificiose e fraudolente, mentre il requisito dell'alterazione in misura rilevante del risultato della dichiarazione svolgeva esclusivamente una funzione selettiva dei fatti concretamente punibili. Pertanto le indicazioni ricavabili dalla menzionata sentenza n.247, nonché dalla successiva sentenza n.35 del 1991 con cui la Corte ebbe a ribadire il suo precedente indirizzo, non impediscono in alcun modo al legislatore di costruire una fattispecie di dichiarazione fraudolenta fondata sulla violazione degli obblighi contabili, purché ne risultino chiaramente definiti gli elementi differenziali rispetto alle ipotesi di dichiarazione infedele. L'unico problema di costituzionalità che, in astratto, potrebbe porsi è quello relativo alla ragionevolezza della presunzione iuris et de iure per effetto della quale, nelle ipotesi di cui al comma 2 dell'articolo 3 dello schema, le violazioni degli obblighi contabili vengono ricomprese nella nozione di "artifici idonei a fornire una falsa rappresentazione contabile". Poiché però è innegabile che nei casi considerati ci si trova di fronte a comportamenti che si risolvono nella predisposizione di un falso impianto contabile che costituisce, secondo l'id quod plerumque accidit, un rilevante ostacolo all'attività di accertamento degli uffici finanziari, la presunzione sopra richiamata appare, in effetti, ragionevole e non censurabile sotto il profilo della sua legittimità costituzionale.
Considerazioni di carattere più problematico devono invece, ad avviso dell'oratore, essere rivolte all'articolo 17 dello schema di decreto che, nei casi in cui il giudice competente non può essere individuato ai sensi dell'articolo 8 del codice di procedura penale, prevede l'individuazione di tale giudice sulla base di disposizioni che derogano a quelle di cui all'articolo 9 del codice di procedura penale. È evidente, a questo proposito, il rischio che si determinino non trascurabili problemi interpretativi nei casi di connessione di reati.
In merito poi ai rapporti tra processo penale e processo tributario, pur apparendo condivisibile la disposizione di cui all'articolo 19 dello schema, sarebbe peraltro opportuno un intervento che disciplini espressamente il tema degli effetti del giudicato penale nel processo tributario, non essendo sufficiente a suo avviso - diversamente da quanto si sostiene nella relazione di accompagnamento allo schema di decreto - la pura e semplice applicazione dell'articolo 654 del codice di procedura penale.
Da ultimo, il senatore Fassone ritiene non condivisibili le considerazioni critiche svolte dal relatore riguardo alla disposizione transitoria contenuta nell'articolo 25 dello schema, non essendovi alcun contrasto fra tale disposizione e la direttiva contenuta nell'articolo 6, comma 1, lettera d) della legge n.205 del 1999, in quanto la richiamata disposizione transitoria, in concreto, esclude l'applicabilità, ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore dell'emanando decreto, della nuova normativa in materia penale tributaria che prevede un trattamento sanzionatorio più rigoroso rispetto a quella precedente, cui i fatti in questione continuano ad essere assoggettati.

Prende quindi la parola il senatore BOSELLO, il quale rileva che l'articolo 17 dello schema di decreto nel dare attuazione alla direttiva contenuta nell'articolo 9, comma 2, lettera h) della legge n. 205 del 1999 ha finalmente risposto in modo positivo alle richieste formulate dalla dottrina accademica fin dagli anni '30, richieste che muovevano dall'esigenza di eliminare norme che, prevedendo in materia penale tributaria l'individuazione della competenza sulla base del luogo di accertamento del reato, di fatto consentivano all'amministrazione finanziaria di scegliere il giudice penale che avrebbe dovuto procedere.
Richiama poi l'attenzione in termini fortemente critici sulla previsione di cui all'articolo 7, comma 2, dello schema di decreto che, attribuendo rilevanza sul piano penale alle cosiddette "valutazioni estimative", rende evanescente ed incerta, per i profili considerati, la linea di confine fra l'area del penalmente lecito e quella del penalmente illecito, in riferimento alle fattispecie di cui agli articoli 3 e 4, in conseguenza del carattere estremamente opinabile delle condotte in questione.
Per quel che attiene poi alla problematica degli obblighi contabili sottolinea come il numero di questi sia praticamente indefinito e come la soluzione adottata dal legislatore delegato con l'articolo 3 finisca per ampliare a dismisura l'ambito di applicazione di tale fattispecie incriminatrice, ricomprendendovi anche comportamenti ben diversi dalla omessa fatturazione e dalla sottofatturazione.
Conclude complimentandosi con il senatore Follieri per la relazione da lui svolta nella seduta di martedì 1° febbraio, e ne sottolinea il carattere tecnico delle argomentazioni esposte.

Il presidente PINTO rinvia infine il seguito dell'esame.

SCONVOCAZIONE DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI OGGI
Il presidente PINTO comunica che la seduta prevista per oggi alle ore 15 non avrà più luogo. Prende atto la Commissione.

La seduta termina alle ore 9,30.