211ª Seduta (notturna)

Presidenza del presidente
DI BENEDETTO

        Intervengono il tenente colonnello Pace, il maresciallo Pesciaioli, il caporal maggiore Mosti e il caporale Andreini dell’Esercito; l’ammiraglio di divisione De Vita, il maresciallo Cicuttin, il sottocapo Resta, il guardiamarina Spina e il marinaio Ruggeri della Marina; il colonnello Ventrici, l’aiutante Moccia, l’aviere capo Presta, il sottotenente Fagiolo e l’aviere Festeggiato dell’Aeronautica; il colonnello Paschetto, l’aiutante Spinelli, l’appuntato Ferrauto, il sottotenente Teodorani Fabbri e il carabiniere ausiliario Caputi dell’Arma dei Carabinieri.

        La seduta inizia alle ore 20,30.


PROCEDURE INFORMATIVE
Indagine conoscitiva sulle motivazioni che hanno indotto al suicidio alcuni soldati di leva nelle strutture militari: audizione di una delegazione in rappresentanza del COCER

        Prende la parola, a nome del Consiglio Centrale di rappresentanza dell’Esercito, il caporale ANDREINI, il quale ritiene opportuno sottolineare come l’odierna presenza non possa avere alcuna pretesa di completezza o esaustività, bensì vada apprezzata come uno strumento di rappresentazione delle motivazioni che sono alla base del fenomeno. Il grande rammarico che persiste nell’evocare i recenti tristi episodi di suicidi o comunque di morte che vedono coinvolte le coscienze della società civile, ma in primo luogo la condizione militare, non può che trovare d’accordo il COCER Esercito nella ricerca di una strategia che possa arginare il fenomeno in questione. Reputa doveroso farsi portavoce di tutto il personale al fine di fornire a ciascun senatore spunti di riflessione e di analisi. Nei trattati di psicologia, di filosofia e di sociologia, il fenomeno del suicidio è stato più volte affrontato come male sia sociale sia individuale, e in tali panoramiche la causa dell’evento non è mai rimandata ad una circostanza specifica di luogo o di tempo, bensì alla complessità delle tappe evolutive e culturali che formano un uomo. Non è sua intenzione affermare l’esistenza di un intrinseco nesso di casualità tra lo status di militare e la determinazione di tanti militari a compiere un gesto tanto tragico ed estremo: non è sua intenzione effettuare una generica quanto demagogica denuncia tesa a demonizzare l’ambiente militare in quanto tale, come ambiente cioè fisiologicamente preordinato a far maturare intenti suicidi in coloro che vi operano all’interno. A nome anche dei suoi colleghi ritiene che il suicidio sia un fatto molto soggettivo e la conseguenza di una pluralità di elementi. La mancanza di personalità, unita alla carenza di valori comuni che fanno di una società un presupposto di aggregazione e di solidarietà utili per poter fronteggiare una crisi interiore, non possono essere imputabili esclusivamente ad un’istituzione che è specchio di una cultura che si forma nelle famiglie, nelle scuole e nella vita politica del paese.
        Il suicidio in caserma può essere considerato solo come un indicatore di un male sociale che trova la sua eclatante evidenza in un contesto come quello dell’istituzione militare, e solo poiché in un tempo particolare della vita di un soggetto questi si trova a dover fronteggiare da solo ciò che in precedenza era condiviso con un ambiente più familiare e comprensivo.
        Ciò premesso, però, non pensa possa essere negata l’assoluta peculiarità dell’ambiente militare e delle attività che i militari sono chiamati ad espletare rispetto a qualsiasi altro ambiente lavorativo, e non pensa si possa sottacere il fatto che lo
status stesso di militare implica la compressione di taluni fondamentali diritti della persona, spesso anche di rilievo costituzionale. Le strutture militari, ad esempio, che per anni sono state abbandonate a se stesse, presentano oggi segni evidenti di senescenza e degrado dovuti certamente agli insufficienti stanziamenti di bilancio. La mancata politica di adeguamento, rispetto alle esigenze dei cittadini alle armi e di quelli in servizio, dove peraltro si osserva un eguale tasso di mortalità spontanea, hanno fortemente condizionato lo sviluppo e la vivibilità delle caserme italiane. In un ambiente degradato è difficile la crescita individuale e il rispetto della personalità, entrambe schiacciate dalla priorità data alla funzionalità dell’apparato militare. Esistono caserme che non rispondono alle esigenze richieste, poiché l’esiguità degli spazi e la loro conformazione non consentono di coltivare quegli interessi che elevano la cultura e la personalità dell’individuo, anzi lo inducono ad assumere atteggiamenti contrari alla coesione sociale. Tali ambienti rischiano di diventare il terreno di coltura di devianze, disgregazioni e soprusi che in soggetti a forte componente emotiva ne amplificano il disagio potenzialmente fino al compimento del gesto estremo. Non è questa la sede per compiere analisi di tipo sociologico o valutazioni di ordine medico-psicologico che è opportuno siano svolte da tecnici ed esperti; ritiene invece che il compito dei presenti debba essere quello di indicare quali sono le condizioni presenti negli ambienti militari che oggettivamente favoriscono o che astrattamente possono favorire il maturare di pulsioni suicide o che rafforzano gli intendimenti in tal senso da parte di soggetti che già abbiano dimostrato una qualche predisposizione personale. Può quindi essere utile approfondire i seguenti profili: a) mancata valorizzazione delle attitudini e delle inclinazioni individuali; b) carenza di strutture che assicurino e favoriscano l’integrazione del militare con la comunità civile circostante; c) inefficienza e inadeguatezza delle strutture preposte al benessere del personale.
        Per quanto attiene il personale di leva ritiene quindi opportuno evidenziare l’eccessivo numero di servizi comandati; l’inadeguatezza dei tempi di recupero psicofisico (a differenza di quanto avviene per il personale del quadro permanente); la preposizione del militare a servizi che sviliscono la dignità della persona, quali particolari servizi relativi all’igiene ambientale; il difetto di mezzi di informazione che sin dall’inizio non mettono il singolo a conoscenza dei propri diritti e delle proprie facoltà; la devoluzione ai militari di leva di funzioni di responsabilità organizzative dei reparti, al di fuori dell’orario di servizio; la mancanza di strutture adeguatamente attrezzate a fornire ausilio e ad accogliere il militare nei momenti di particolare disagio; l’incapacità di parte del quadro permanente di garantire al personale di leva l’instaurazione di condizioni ambientali idonee alla vita nei reparti e all’espletamento della sua attività.
        In conclusione, si permette di fornire alcuni suggerimenti in ordine alla predisposizione di strumenti idonei a rimuovere le condizioni che con ogni probabilità sono alla base del fenomeno del suicidio:
a) la creazione di organismi di protezione sociale dislocati al di fuori dei punti sensibili delle caserme (armerie, corpi di guardia, punti di controllo, casse denaro, polveriere, casermette munizioni, magazzini logistici e di materiale addestrativo e operativo); b) la costruzione di alloggi collettivi sul modello dei villaggi azzurri dell’aeronautica militare anche a favore dei militari di leva; c) la riorganizzazione dei servizi di guardia con il minimo impiego di personale prediligendo l’adozione di strumenti di vigilanza privati come già avviene in alcuni paesi europei; d) l’accelerazione del processo di affidamento in appalto a ditte private di tutte le attività concernenti l’igiene e il benessere del personale; e) l’offerta di maggiori garanzie al personale del quadro permanente e alle relative famiglie, nei casi di trasferimento.
        Prende la parola l’ammiraglio di Divisione DE VITA, a nome del Consiglio Centrale di rappresentanza della Marina, il quale rileva che quando un giovane muore per suicidio esplode un lutto che colpisce l’intera collettività; se questi poi è un ragazzo che sta espletando il servizio di leva, ogni militare non può che profondamente riflettere. È estremamente difficile comprendere l’intimo significato del gesto di ogni singolo suicidio ed il primo pensiero è di umana solidarietà per le famiglie di tali ragazzi che vedono mancare tragicamente i loro figli mentre compiono un servizio per la Nazione. Ritiene che non possa essere il COCER a dover dare risposte sulle motivazioni che hanno indotto al suicidio alcuni militari di leva; risposte, che devono invece provenire esclusivamente da esperti in sociologia, in psichiatria e psicologia. Il COCER è chiamato istituzionalmente a tutelare la condizione del personale militare e soprattutto a promuovere il miglioramento della qualità della vita di quanti, ufficiali, sottufficiali e soldati, prestano con sacrificio la loro opera. E promuovere il miglioramento della qualità della vita significa anche dare prontamente ascolto ad ogni singola situazione di disagio o di malessere che può essere alla base di tragici eventi come quelli di cui oggi si discute.
        Rattrista il constatare che fino ad ora il fenomeno è stato analizzato solo
ex post. Di studi, analisi, valutazioni, ne sono stati fatti tanti, ora è il momento delle iniziative concrete. Per questo chiede l’istituzione di centri di ascolto psicologico all’interno di ogni singola caserma, operanti con personale specializzato, che possano dare immediato supporto anche alla più piccola manifestazione di disagio; che possano, attraverso attività di propria iniziativa, monitorare la reale condizione di salute psicologica di quanti svolgono il servizio militare; che possano diventare un valido ausilio per gli ufficiali ed i sottufficiali della linea comando affinché possano percepire qualsivoglia anomalia o disagio. D’altronde appare una contraddizione che un servizio di supporto psicologico esista all’interno delle strutture pubbliche e perfino delle grandi aziende private, e sia invece assente all’interno delle strutture militari. Un servizio di tal genere esplicherebbe non solo una funzione di prevenzione, ma migliorerebbe anche l’efficienza dell’apparato militare sotto il profilo delle risorse umane. I consultori psicologici attualmente esistenti, non essendo inseriti nella vita delle caserme, sono resi di fatto incapaci di operare sulla realtà del disagio.
        È già difficile, una volta individuato il disagio, aiutare il soggetto interessato; ancor di più lo sarebbe se costui dovesse addirittura seguire un
iter gerarchico.
        In conclusione, il COCER Marina auspica che il Parlamento fornisca una risposta positiva a quanto rappresentato, inserendo un’apposita previsione nell’ambito del disegno di legge relativo alle «Norme per l’istituzione del servizio militare professionale» (pendente al momento preso l’altro ramo del Parlamento con il n. 6433) e studiando l’opportunità di avviare immediatamente un servizio di ascolto psicologico sperimentale in alcune delle più grandi caserme.

        Prende la parola l’aviere capo PRESTA, a nome del Consiglio Centrale di rappresentanza dell’Aeronautica, il quale sottolinea preliminarmente che la tematica in questione non investe esclusivamente il mondo militare ma ha le sue radici nella sfera sociale. Per tale aspetto rimanda alla relazione conclusiva (marzo 1999) della Commissione per lo studio e la prevenzione del nonnismo commissionata dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito.
        Aspetto non trascurabile è la carente formazione professionale del personale addetto all’inquadramento che vive e lavora a diretto contatto con il personale di leva. Tale personale viene assegnato all’incarico senza aver frequentato alcun corso specifico, provenendo da altra categoria e specialità e quindi da altra formazione ed esperienza. La delicatezza del compito, invece, richiederebbe una specifica preparazione non solo tecnica (armi, addestramento formale etc.) ma anche circa il governo del personale, possibilmente con qualche nozione di psicologia e tecnica di comunicazione. Ciò garantirebbe al coscritto una maggiore attenzione verso le sue personali problematiche, garantendone così un più intenso impegno, sorretto da una motivata partecipazione alla vita ed alle tradizioni del reparto di appartenenza.
        Il notevole incremento delle obiezioni di coscienza ha comportato una sensibile flessione del numero dei giovani disponibili alla chiamata alle armi. Ciò comporta che, per garantire l’assolvimento dei servizi logistico-operativi normalmente devoluti al personale di truppa di leva, si debba far ricorso anche a giovani il cui profilo sanitario presenta dei
deficit psico-fisici tali da rasentare l’inidoneità. È evidente che questa circostanza fa aumentare in maniera esponenziale il rischio di crolli psicologici che, nei casi estremi, possono degenerare in atti inconsulti.
        In conclusione, alla luce di quanto sopra espresso, si ritiene di dover formulare le seguenti proposte:
a) qualificare opportunamente il personale addetto all’inquadramento ed al governo del personale, al fine di consentirgli di poter individuare tempestivamente i soggetti più sensibili che, pertanto. richiedono una particolare attenzione e cura; b) accelerare il più possibile il processo di professionalizzazione delle Forze armate con l’anticipazione dell’abolizione del servizio militare obbligatorio.
        Prende la parola il sottotenente TEODORANI FABBRI, a nome del Consiglio Centrale di rappresentanza dell’Arma dei Carabinieri, per evidenziare in primo luogo che la problematica dei suicidi nell’Arma presenta aspetti sostanzialmente diversi rispetto alle tre Forze armate, in quanto la duplice funzione di militare/agente di Polizia rivestita dal carabiniere implica che lo stesso essendo costantemente armato, abbia l’immediata disponibilità di un mezzo atto a trasformare in evento luttuoso situazioni di momentaneo sconforto. Negli ultimi dieci anni, dal 1990 al 2000, si sono verificati 137 suicidi, con una media di 13 eventi l’anno. L’età media dei suicidi è pari a 30 anni, in maggior parte celibi. L’età media è quindi bassa, ma comunque superiore a quanto riscontrato nelle altre Forze armate, e ciò probabilmente a causa del lento ed intenso logorio psicologico causato dal servizio. Nell’88% dei casi il suicidio è avvenuto utilizzando l’arma di servizio. La regione con il maggior numero di suicidi è il Lazio, seguita dalla Lombardia, dal Veneto, dalla Sardegna e dalla Sicilia. Per quanto riguarda il personale di leva, fra il 1990 ed il 2000 si sono tolti la vita 25 carabinieri ausiliari. Nella sua asetticità, il dato – numericamente inferiore alla media nazionale – non dovrebbe sollevare particolari preoccupazioni, ma in realtà ne suscita perché il personale dell’Arma viene preventivamente sottoposto ad accurate prove selettive, che dovrebbero ridurre a zero il fenomeno. I moventi, per quanto accertabili, sono i più diversi: separazioni e divorzi, motivi di carattere sentimentale, dissidi familiari, problemi economici e rigorosa applicazione di norme regolamentari molto datate che per la loro rigidità andrebbero meglio riformulate. È inoltre necessario sottolineare l’esistenza di carenze strutturali nell’organizzazione del Servizio sanitario – oggi affidato a soli 60 ufficiali medici forniti dall’Esercito – che il COCER ritiene bisognoso di un potenziamento e di una radicale ristrutturazione. Disgraziatamente, in troppi casi, e con eccessiva leggerezza, i carabinieri colpiti da stati depressivi ed ansiosi sono stati dichiarati «idonei al servizio» dopo la concessione di periodi di licenza più o meno brevi, nel corso dei quali è lasciata all’iniziativa del singolo la decisione di sottoporsi o meno ad adeguate terapie. Il Servizio sanitario interno va pertanto riformato. È necessario un adeguamento alle necessità ed alle particolarità dell’Arma dei Carabinieri, al fine di valutare efficacemente l’idoneità a prestare servizio di determinati soggetti bisognosi di cure adeguate e specifiche. Allo stesso modo, riguardo al personale di leva, occorre valutare con maggiore precisione l’affidabilità propedeutica all’arruolamento nell’Arma dei Carabinieri.
        Proprio in considerazione delle problematiche appena esposte, il CoCeR Carabinieri ha appoggiato il disegno di legge-delega di riordino dell’Arma. La autonomizzazione dall’Esercito può infatti consentire il potenziamento del Servizio sanitario interno, mediante la creazione di uno specifico ruolo di ufficiali medici, con personale dotato di competenze prevalentemente psichiatriche.
        Conclude rivolgendo un appello affinché il Governo onori al più presto l’impegno, assunto a margine dell’approvazione del citato disegno di legge-delega, finalizzato a consentire l’utilizzazione, in via transitoria, degli Ufficiali medici dell’Esercito che, al momento, sono distaccati nell’Arma, in quanto essi hanno già maturato una specifica esperienza, e la creazione di un proprio ruolo di ufficiali medici.
        Seguono brevi interventi degli auditi. Il maresciallo PESCIAIOLI è favorevole a studiare il problema oggetto dell’indagine conoscitiva in un’ottica molto più ampia e coinvolgente globalmente la struttura militare. Il tenente colonnello PACE evidenzia l’esigenza di garantire un sostegno psicologico nell’arco di tutta la giornata, indipendentemente dall’orario di servizio. L’aiutante MOCCIA auspica una maggiore qualificazione del personale direttivo per poter meglio comprendere le ragioni che possono far scaturire il disagio, foriero talora dei gesti inconsulti. Il guardiamarina SPINA sottopone all’attenzione della Commissione l’inevitabile disagio psicologico del giovane di leva, sradicato dal suo mondo quando coattivamente inserito in un contesto a lui estraneo. Il colonnello PASCHETTO è contrario ad ogni forma di «criminalizzazione morale» in danno di chi dovesse riconoscere di aver bisogno di un sostegno psicologico nell’esercizio delle sue funzioni. L’appuntato FERRANTO invita a riflettere sui disagi scaturenti dai frequenti trasferimenti di sede. L’ammiraglio di divisione DE VITA evidenzia le diversità strutturali e funzionali fra le tre Forze armate e l’Arma dei carabinieri. L’aiutante SPINELLI richiama la specificità delle ragioni (ambientali e non solo) che inducono gli appartenenti all’Arma, rispetto a quelli degli appartenenti alle Forze armate, a compiere gli insani e deprecabili gesti. Il sottocapo RESTA desidera una maggiore attenzione all’impiego (qualitativo e quantitativo) del personale di leva e infine il caporal maggiore MASTI auspica, al termine di ogni missione di pace all’estero, uno studio approfondito delle condizioni psico-fisiche.

        Il PRESIDENTE, ringraziati i presenti, dichiara chiusa l’audizione e rinvia il seguito dell’indagine conoscitiva.
        
La seduta termina alle ore 22,30.
 

EMENDAMENTI AL DISEGNO DI LEGGE N.  3673

        Sostituire l’articolo 1 con il seguente:

«Art. 1.

        All’articolo 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

        “Le pene sostitutive non si applicano ai reati previsti dall’articolo 14, commi 1 e 2 della legge 8 luglio 1998, n. 230 (norme in materia di obiezione di coscienza)“».

        Conseguentemente, al titolo del provvedimento andrebbero aggiunte le seguenti parole: «Modifica all’articolo 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689, riguardante modifiche al sistema penale».

1.1


Il Governo

        Dopo l’articolo 1, è inserito il seguente:

Art. ....

        1. Il comma 3 dell’articolo 4 della legge n. 230 del 1998 è sostituito dal seguente:

        «3. Gli abili ed arruolati ammessi al ritardo e al rinvio del servizio militare per i motivi previsti dalla legge che non abbiano presentato la domanda nei termini stabiliti al comma 1 potranno produrla al predetto organo di leva entro il 31 dicembre dell’anno precedente la chiamata alle armi. La presentazione della domanda di ammissione al servizio civile non pregiudica l’ammissione al ritardo o al rinvio del servizio militare per i motivi previsti dalla legge».
        2. Sono dichiarate ammissibili le domande di cui al comma 1 dell’articolo 4, presentate entro la data di entrata in vigore della presente legge.

        Conseguentemente modificare il titolo del disegno di legge.

1.0.1


Il Relatore

        Dopo l’articolo 1, è inserito il seguente:

Art. ...

        1. Il comma 3 dell’articolo 4 è sostituito dal seguente:

        «3. Gli abili ed arruolati ammessi alla data del 31 dicembre 1998 al ritardo o al rinvio del servizio militare per i motivi previsti dalla legge, possono presentare domanda al predetto organo di leva entro il 31 dicembre dell’anno precedente la chiamata alle armi. La presentazione della domanda di ammissione al servizio civile non pregiudica l’ammissione al ritardo o al rinvio del servizio militare per i motivi previsti dalla legge».

        Conseguentemente modificare il titolo del disegno di legge.

1.0.1 (Nuovo testo)


Il Relatore