Discorso d'insediamento del Presidente Sebastiano Tecchio (20 novembre 1876-2 maggio 1880)
Presidenza del Presidente Tecchio
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Onorandissimi miei Signori!
Quando mi giungeva improvviso, pochi giorni or sono, l'annunzio che questo umile Collega vostro era chiamato a Presidente del primo Corpo dello Stato, non saprei dire se più mi commuovesse la meraviglia dell'altissimo onore, o la paura del grave incarico. E come no, se io ripenso allo splendore del nome, dello ingegno, della dottrina, e di ogni civile virtù, onde furono sempre ammirati i nobilissimi uomini che, dagli esordî dell'êra nuova insino al chiudersi della XII Legislatura, si avvicendarono su questo seggio! E come no, se niuno è il quale non debba con inquieto animo considerare la perigliosa distanza che mi separa da quelli!
In verità, avrei voluto che da cotanta soma andasse esente la mia senettù. Ma poteva io non chinare la fronte al decreto del Re?
Assumo dunque, assai più che la dignità dell'ufficio, i doveri ch'esso mi impone. Li assumo, non senza invocare, e sperare, la vostra indulgenza. Li assumo con intera fiducia nei consigli dei valentissimi che il Sovrano mi ha posti dallato, adiutori e compagni.
Mi vergognerei di me stesso, se mi paresse d'avere bisogno di spender parole per farvi fede che, presiedendo alle discussioni del Senato, mi manterrò religiosamente imparziale. Parecchi di Voi non hanno per avventura sdimenticato com'io, salito a capo dell'altra Assemblea spettabilissima del Parlamento quando i giorni non volgeano ancora sereni, e gli spiriti non erano ancora tranquilli, non abbia declinato un attimo solo dalla imparzialità la più rigida, la più ferma (Bene, benissimo). Ed oggi, compiuti dieci anni dacché ho preso a reggere un insigne collegio giudiziario del Regno, sarei peggio che cieco se non vedessi che senza imparzialità non è possibile la giustizia, e senza giustizia è nome vano la libertà! (Bene, applausi).
Signori! A sostenere i doveri di un sì ponderoso mandato mi guidano e di confortano due sentimenti, antichi e profondi nel mio cuore che mai non invecchia: amore immenso alla patria, e al suo vangelo politico, lo Statuto: immensa devozione alla Maestà di Vittorio Emanuele; a questo miracolo di Re, che col braccio e col senno ha sollevato l'Italia a libertà, independenza, unità, e già non sente desiderio più vivo, né aderge voto più fervido, che non sia il desiderio ed il voto di farla sicura, forte, felice!
(Applausi vivissimi e generali.)
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