278ª Seduta pubblica
Martedì 15 luglio 2014 alle ore 09:30
L'Assemblea ha ripreso l'esame del ddl costituzionale n. 1429, e connessi, recanti disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, il contenimento dei costi delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della Costituzione.
Nella seduta di ieri i relatori di maggioranza, sen. Anna Finocchiaro (PD) e Calderoli (LN-Aut), hanno riferito sui contenuti del ddl d'iniziativa governativa, nel testo proposto dalla Commissione che, per precisare gli obiettivi della riforma, ha seguito tre direttrici: bicameralismo differenziato, rafforzamento delle garanzie, salvaguardia del regionalismo differenziato. Il testo licenziato amplia le funzioni del Senato, garantisce un migliore equilibrio tra i poteri dello Stato e rivede il riparto di competenze tra Stato e Regioni al fine di prevenire il contenzioso prodotto dalla riforma costituzionale del 2001. La relatrice di minoranza, sen. De Petris (Misto-SEL), ha espresso riserve su una riforma affrettata, non sufficientemente ponderata, che limita gli spazi di democrazia e mortifica il pluralismo.
Per quanto riguarda la composizione, la formazione e le funzioni del Senato, la Camera alta diventa organo elettivo di secondo grado, a rinnovo parziale continuo. Il Senato è composto da cento membri: 21 sindaci e 74 consiglieri regionali, eletti dai Consigli regionali con il sistema proporzionale, e 5 senatori nominati dal Presidente della Repubblica il cui mandato non ripetibile dura sette anni. Alla Camera dei deputati è attribuita in via esclusiva la titolarità dell'indirizzo politico. Il Senato è escluso dalla relazione fiduciaria con il Governo; suo compito prevalente è l'esercizio della funzione di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica; partecipa inoltre alla fase ascendente e discendente del procedimento normativo dell'Unione europea; verifica l'attuazione delle leggi statali e valuta l'impatto delle politiche pubbliche sul territorio; concorre all'espressione di pareri sulle nomine governative; partecipa all'elezione del Presidente della Repubblica e degli altri organi di garanzia. Esercita la funzione legislativa, insieme alla Camera, soltanto in materia di leggi costituzionali e di revisione della Costituzione, leggi elettorali degli enti locali, ratifiche di trattati internazionali. Può svolgere inchieste su materie di interesse delle autonomie territoriali. Può proporre, su richiesta di un terzo dei componenti, modifiche ai disegni di legge, da presentare entro dieci giorni la trasmissione. Qualora le proposte riguardino leggi di bilancio o materie attinenti le autonomie locali, è prevista una procedura rinforzata: alla Camera occorre la maggioranza assoluta per respingere gli emendamenti del Senato. Il Senato giudica i titoli di ammissibilità dei propri componenti che godono dell'immunità prevista dall'articolo 68. L'indennità, invece, è prevista soltanto per i deputati.
Il ddl prevede anche la soppressione del CNEL e accresce il ruolo del Governo nel procedimento legislativo, riconoscendo all'Esecutivo il potere di chiedere che la Camera si pronunci entro 60 giorni su provvedimenti ritenuti essenziali per l'attuazione del programma: alla scadenza del termine, il provvedimento è posto in votazione senza modifiche, articolo per articolo e con votazione finale. Alcune norme, introdotte in Commissione, tendono a rafforzare il controllo parlamentare. E' data copertura costituzionale allo statuto delle opposizioni, richiamando la disciplina dei Regolamenti parlamentari. E' introdotta la possibilità, su ricorso motivato di un terzo dei componenti di una Camera, del giudizio preventivo di legittimità da parte della Corte costituzionale sulle leggi che disciplinano l'elezione di Camera e Senato. E' rinforzato il vaglio del Presidente della Repubblica, che ha il potere di operare un rinvio selettivo delle norme dei decreti-legge prive dei requisiti di necessità, urgenza, omogeneità.
Il numero di firme necessario per promuovere il referendum abrogativo è elevato a 800.000; il termine per la raccolta di firme è aumentato a sei mesi. E' innalzato a 250.000 il numero di firme necessarie per presentare proposte di legge di iniziativa popolare, ma sono previsti tempi certi di esame.
Quanto alla riforma del Titolo V, scompare la previsione costituzionale delle Province, quale articolazione territoriale della Repubblica; tuttavia, sulla base di criteri definiti con legge dello Stato, le Regioni individuano gli ambiti territoriali degli enti di area vasta. Scompare la legislazione concorrente e sono enumerate dettagliatamente anche le materie di competenza esclusiva dello Stato, che si arricchisce di nuovi contenuti tra i quali: la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionali dell'energia; le infrastrutture strategiche e le grandi reti di trasporto. Si prevede inoltre una clausola di supremazia: la legge statale può intervenire in materia non riservata, se si pone l'esigenza di garantire l'unità giuridica o economica della Repubblica o di realizzare programmi o riforme economico-sociali di interesse nazionale. E', infine, costituzionalizzato il riferimento ai costi standard: le funzioni amministrative degli enti territoriali sono esercitate in modo da assicurare trasparenza ed efficienza e il loro finanziamento è assicurato sulla base di indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno.
La discussione generale, iniziata ieri, sta proseguendo con gli interventi dei sen. Divina (LN-Aut); Daniela Donno, Cristina De Pietro, Crimi, Lucidi (M5S); Tarquinio, Scilipoti, Palma (FI-PdL); Rosa Di Giorgi, Nerina Dirindin, Emilia De Biasi (PD); Di Maggio (PI); Mussini (Misto); D'Alì (NCD).
Critici nei confronti del provvedimento - oltre ai Gruppi M5S, SEL e Misto - senatori di PD, FI-PdL, LN, NCD, PI, che hanno espresso riserve di metodo e di merito. La revisione costituzionale è materia squisitamente parlamentare: sono dunque inaccettabili i diktat del Governo, che ha impresso accelerature e forzature al procedimento, rifiutando in modo ostinato proposte migliorative e spingendosi a sostituire in Commissione i senatori dissenzienti. Una propaganda volgare, sostenuta da un'informazione manipolata, presenta come sabotatori e agenti della casta i parlamentari che propongono una riforma del bicameralismo più razionale e efficace, più equilibrata e condivisa. Scaturita da un patto oscuro tra Renzi e Berlusconi, la proposta governativa si basa su presupposti falsi e non comporterà maggiore funzionalità istituzionale né risparmi significativi. L'impatto sul PIL dell'intervento costituzionale è insignificante: benefici al sistema economico-sociale possono venire soltanto da misure di sostegno al reddito di cittadini e da interventi a favore delle imprese. Il combinato disposto di un Senato non eletto dai cittadini e sminuito nelle funzioni, una Camera eletta con una legge elettorale maggioritaria a liste bloccate, un riparto neocentralista delle competenze e un ridimensionamento degli istituti di iniziativa popolare, riduce gli spazi di democrazia, scardina il sistema delle garanzie, sconvolge il delicato equilibrio costituzionale di pesi e contrappesi, a vantaggio esclusivo del potere Esecutivo.
Alcuni senatori hanno affermato che sarebbe preferibile abolire il Senato piuttosto che trasformarlo in un organo inutile. I sen. Tarquinio e Scilipoti (FI-PdL) hanno rivolto un appello al Presidente Grasso e ai colleghi affinché non si pieghino a diktat e difendano la dignità del Senato. Il sen. Di Maggio (PI) ha argomentato che l'instabilità del governo dipende dai partiti, non dalla Costituzione vigente, e un monocameralismo di fatto, privo di garanzie, contrasta con i principi fondamentali. Premesso che la riforma del 2005 era più equilibrata e che l'elezione indiretta e l'abolizione dell'immunità sono coerenti con la scelta di un Senato rappresentante delle istituzioni territoriali, il sen. Palma (FI-PdL) ha manifestato dubbi sulla funzionalità di un organo chiamato a pronunciarsi entro dieci giorni sulle leggi approvate dalla Camera; ha quindi invitato alla prudenza. Il sen. D'Alì (NCD) ha preannunciato voto contrario se il testo non sarà modificato. Le sen. Dirindin e De Biasi (PD) hanno espresso perplessità sulla riforma del titolo V, che va nel senso di un regionalismo a diverse velocità.
Secondo la maggioranza del PD la riforma è matura e serve a superare criticità e disfunzioni istituzionali. Di regionalizzazione del Senato e di riforme costituzionali si discute infatti da trent'anni e le critiche delle opposizioni, che denunciano rischi di autoritarismo, non tengono conto del mutato contesto storico rispetto al secondo dopoguerra.