Difendiamo la nostra civiltà
10 Settembre 2004
Il presidente del Senato, Marcello Pera, risponde alle polemiche e afferma: «I fondamentalisti ci fanno la guerra. In democrazia invece le teste si contano e non si tagliano». E sulla politica italiana lancia una proposta dirompente: «Nel nuovo Senato delle regioni bisogna dare spazio anche ai sindaci».
La terra delle vacanze toscane del presidente del Senato assomiglia alquanto a Marcello Pera. Bosco irto, fitto, impenetrabile, qualche stella di sole che vince la macchia, E quando meno te lo aspetti una casa sul prato. Oltre la siepe, sempre invisibile, il mare. È l'ultimo giorno di pace prima del ritorno al ring della politica, È un Pera inedito questo, svestito da presidente: maglietta, abbronzatura, la signora Antonia («L'ho conosciuta in banca e nel '68 l'ho sposata, ha fatto lo stesso lavoro fino a poco tempo fa») che, se si può, è più nascosta di lui.
Il presidente è angosciato dal rapimento delle due donne volontarie in Iraq: «Nessuno è più al riparo dal terrorismo. Questo è il momento della solidarietà con le due generose donne sequestrate e le loro famiglie. Ma è anche il momento di riflettere e di agire insieme contro chi non ha alcun rispetto per la vita e per i nostri valori»,
Pera è anche turbato dalle immagini che continuano a passare in tv sulla strage in Ossezia: «È l'ultimo capitolo tragico di questo terrorismo. L'epilogo dove sono mischiate jihad e rivendicazioni indipendentiste».
Presidente, lei corre parecchio: non è ancora certo che il fondamentalismo islamico fosse il protagonista del massacro. O sarà forse uno spartiacque come 111 settembre? Risponde solo alla seconda domanda: «Se vale l'analogia che ho già fatto fra Brigate rosse e terrorismo islamico, la strage degli innocenti potrebbe diventare quello che fu il caso Moro in Italia, cioè l'inversione di rotta. Ahimè, a giudicare dalle prime reazioni non è ancora così».
È il Pera di sempre, anche con l'abbronzatura. Le sue profezie sul terrorismo di pochi giorni fa hanno visto prima di tutti l'urgenza del dibattito sull'Islam. Ma hanno anche sollevato la sinistra... Sventola una copia della Repubblica come una lancia sotto la pergola con l'uva nera. «Ho detto fermiamo la guerra del fondamentalismo due giorni prima del dramma. Nell'appello dell'ambasciatore Scialaia e dei rappresentanti delle comunità islamiche italiane ci sono addirittura due frasi cruciali uguali alle mie. Anche i pensieri espressi da Walter Veltroni e da Ezio Mauro sono simili ai miei. Se queste sono critiche, sono soddisfatto» sorride, Veramente Massimo Cacciari e molti altri hanno urlato che così lei infiamma il conflitto. Quel nome lo fa fosco come la sua macchia: «Il conflitto è la guerra che combattono contro di noi... Di fronte a questa dovremmo restare ciechi, sordi e muti come troppi leader europei?».
Veramente Pier Ferdinando Casini ha detto che la Francia riguardo ai propri ostaggi ha dato una prova di profonda unità nazionale; e che l'unica via oggi è appellarsi all'Islam moderato. Le prime domande non gli stanno simpatiche. «L'Islam moderato è il primo bersaglio dei fondamentalisti che lo vedono come connivente dei miscredenti. Con questo Islam abbiamo già rapporti eccellenti. Per esempio con i paesi del Maghreb e del Mediterraneo che sono diga tra noi e "loro". O anche con i paesi islamici come il Pakistan. Ma il nostro problema rimane l'altro islam, quello fanatico e terrorista.
Che fare? Ho proposto un patto di soli darietà occidentale. Ho parlato prima di tutto all'Europa. Ma se davanti ai massacri la risposta dell'Europa è fare l'appeasement con Hamas o la commissione d'inchiesta su Putin, allora l'Europa è desolante. E di questo passo potrebbe essere perduta». Si alza: «È l'Europa che si deve svegliare, ritrovare se stessa, unirsi all'America, di Bush o di Kerry non importa. E se l'America non piace, almeno si ascolti l'Onu. Non faccia finta di non vedere e capire».
Lei ha chiamato in causa anche i cattolici: qualcuno di loro le ha chiesto se per caso avrebbero dovuto marciare per la guerra. «Dovrebbero marciare per difendere se stessi, il loro Dio, la civiltà della libertà e della tolleranza. Difendere le loro chiese. Non solo il diritto degli islamici a costruire le loro moschee».
Non era lei il primo alfiere del laicismo? Lei a urlare «viva la libertà»? Oppure oggi anche il Cristianesimo diventa il primo dei valori occidentali? «Lo è sempre stato. Ma molti lo dimenticano. O hanno interesse a dimenticarlo».
Ecco il Pera politico che torna filosofo. È forse in questo sdoppiamento il perché dei suoi successi? «Macché sdoppiamento! Non ci sono due Pera. Io sono sempre lo stesso».
Si rituffa nell'Islam: «Il fondamentalismo teorizza la sharia, cioè la fusione di stato e religione. Concetto superato da secoli e avverso ai principi cristiani che dividono il pubblico dalla sfera religiosa. Del resto il Papa a Lourdes ha detto coraggiosamente che uguaglianza, libertà e fraternità sono anche valori cristiani. Perché principi ospitati nel Vangelo. Ma guarda caso gli stessi principi sono per antonomasia fondamento dello stato laico. Dunque Cristianesimo e laicità si incontrano nella libertà e nella democrazia che fanno della nostra una civiltà migliore».
Non l'aveva detto con qualche pro-blemino anche Silvio Berlusconi? «Non dovremmo temere di crederlo e di dirlo. Sì, siamo i migliori. Perché vogliamo integrarci e parlare con tutti. "Loro" ci fanno la guerra. In democrazia le teste si contano e non si tagliano».
Le guardie del corpo appaiono e scompaiono come ombre lontane. «Pochi parlano, sinora. È paura o calcolo miope. La verità è che l'invocato politi-cally correct è un velo dí ipocrisia sulle cose che molti pensano e nessuno dice». Non lo aveva detto Oriana Fallaci? «Lo aveva detto e dovrebbe ringraziarla anche chi non è d'accordo». Non sarà proprio il professor Pera la musa e la fiamma del nuovo neoconservatorismo italiano? A proposito di velo lei è naturalmente contrario a quello nelle scuole... «Assolutamente favorevole».
Ecco lo Zelig delle identità. Ecco il Pera eretico soprattutto nei confronti di se stesso. «Il velo è il segno di un'identità. Chi lo proibisce lo fa imponendo arbitrariamente principi laicisti e nazionalisti. E cioè un'altra religione. Inoltre una scuola con allievi diversi aiuterà la curiosità, lo scambio e l'integrazione».
La signora Antonia con l'abito a fiori chiama alla tavola. Ravioli al pesto, pomodori e mozzarella. E nel finale un'immensa torta alla frutta offerta da una vicina che lo ringrazia per quello che ha detto. Lui non ama smancerie che lo riguardano.... Beh, molta gloria presidente. E poi dice sempre che Casini è più bravo di lei... «Non solo è più bravo, è più bello e più professionale in politica. Forse...». Forse? «È un po' più scarso di me in filosofia».
Eh già, perché l'alieno Pera viene da altri mondi. Oggi a sessant'anni ha già consumato sette vite: funzionario di banca, professsore di filosofia, editorialista, quasi ministro della Giustizia. Ma nessuno è diventato più politico di lui. «O Marcello, non è che oggi tu parli troppo?» lo apostrofa improvvisamente la signora Antonia, che scopre il perché di un matrimonio durato 30 anni.
Tra un raviolo e una mozzarella di bufala si parla della villa di Berlusconi in Sardegna. «E come Versailles... e lui, sa, conosce il nome di ogni pianta». Se dovesse dare l'identikit di Berlusconi? «Fantasia, tenacia e coraggio». E quello di Carlo Azeglio Ciampi? «Ciampi o della sicurezza». Si cade sulla Rai: considera un successo o un fallimento il suo consiglio di amministrazione? Come sempre risponde a un'altra domanda, quella che voleva. «Ho lanciato il presidente di garanzia e rivendico la scelta». Ma se il presidente Lucia Annunziata si è dovuta dimettere... «Non certo per colpa mia. Insomma, la formula non è finita bene ma la rivendico lo stesso. Se poi Annunziata ha deciso di andare...».
Misura anche i millimetri delle parole. «Accidenti, ma che colpa ho io se mi hanno fatto presidente del Senato... Insomma la Rai con il nuovo consiglio della legge Gasparri rischia di tornare a un sistema antico: un consigliere a partito».
Per un intellettuale come lei non è umiliante vedere programmi culturali relegati all'una di notte? «C'è qualcuno che li vedrebbe prima? Io per esempio la tv la vedo solo all'una di notte. Compresi i tg. La tv non è fatta per quelli come noi». E per chi allora? «Insomma, la Rai aveva un obiettivo economico. L'ha raggiunto. Ha migliorato bilanci e audience. E il mercato che decide chi vince».
Si va sul mare col tramonto. Sorpresa: si lascia martirizzare dal fotografo. Pera sotto la tenda. Pera che guarda il mare. Anche se gli piace di più la campagna. Ecco il segreto: «Facevo ritratti. Solo in bianco e nero. Mi interessavano i contorni e le luci delle persone e delle cose», Non era lui il ragazzo che aveva visto La dolce vita sette volte? «Non per le curve di Anita Ekberg. Per entrare nel congegno della storia. Per capire l'anima del nuovo Fellini. Quel film mi insegnò a pensare. Mi spinse a scrivere».
All'epoca è un giovane avido di sapere che lavora in banca di giorno e studia di notte. «Quando lasciai la banca mio padre soffri. Eravamo poveri. Il lavoro fisso era il suo unico traguardo. Bastava ai suoi sogni. Alle medie l'ho aiutato a sostenere un esame: passava da manovale delle ferrovie a operaio... Abitavamo fuori le mura. Dentro ci stavano i borghesi ricchi... Non credo che sarebbe felice di sapermi cosi importante oggi. Smentirebbe la sua rassegnazione, i suoi principi».
Il sole finisce. Come l'estate dei politici. Il 14 settembre si discute alla Camera il testo sul Senato federale. Il tam tam della ripresa non parla che di devoluzione. Quale devolution per quale Italia presidente? «Se ne parla tanto ma pochi, compresi i giornalisti, capiscono davvero cos'è». Ci siamo: il diritto, dopo la filosofia è la sua passione. Come il cinema, come la logica. Pera è una matrioska. Ma non si sa mai quale sarà l'ultimo dei suoi pezzi nascosti. «Oggi pare che sia la devolution il killer e lo smembramento dello Stato italiano! Ma la devolution c'è già: si chiama riforma del Titolo V ed è stata votata dalla scorsa legislatura. Senza che nessuno peraltro abbia mosso un dito. Oggi finalmente gli si scoprono svariati difetti, Questa riforma ha prodotto un'incertezza del diritto che ha già portato 200 volte alla Corte costituzionale lo Stato contro le regioni. E le regioni contro lo Stato. Si rende conto che di molte leggi non sappiamo ancora cosa sono?».
Un caso eclatante? «Il condono. Oggi bisogna correggere e completare la riforma». Perché non decapitarla? «Perché il processo è partito inesorabilmente. E nessuno propone di abolire il Titolo V. Allora io dico partiamo dal Senato federale, dove devono entrare i 20 presidenti delle regioni. Ma aggiungiamo insieme a questi 20 sindaci». I sindaci? «Certo è una novità assoluta. Ma ragionevole, mi creda ». Ennesimo sasso gettato nello stagno. Non molti saranno contenti di questa sua novità presidente. «I comuni sono l'unità politica amministrativa per eccellenza ma soffrono troppo del peso schiacciante delle regioni. Sono anche un'istituzione di primaria identità, come s'è visto con i gonfaloni e i prefissi telefonici mostrati dagli italiani alle Olimpiadi. Inoltre il Senato non dovrà avere potere di veto su decisioni che riguardano materie di governo. Il Senato federale deve funzionare». Alla faccia del filosofo... Sergio Cofferati ha detto: «Se faremo le cose giuste vinceremo alle elezioni». E lei che dice? «Auguri!». Ma quali sono le cose giuste che devono fare i signori della Casa delle libertà? Attaccare elezioni politiche a quelle regionali? «Macché, sono contrario a elezioni anticipate. La legislatura deve durare 5 anni. Stesso leader, niente ribaltoni. Niente cambiamenti di maggioranza». E la Finanziaria la vuole dimenticare? «Come sì fa? Dunque per prima cosa c'è il problema di abbattere le tasse poi interveniamo sulla legge del risparmio. Che si rimetta in moto. L'Italian on può accettare disastri come quello di Parmalat o della Cirio».
Il sole affonda nell'acqua. Che fine ha fatto lo spirito liberale di Forza Italia, cioè il suo? Che fine hanno fatto i liberali del partito? «Forza Italia dovrebbe insistere sui temi del liberalismo popolare e democratico per i quali era nata: liberalizzazione, privatizzazione, desta-talizzazione. Dovrebbe essere un vero traino e non consumarsi a spegnere baruffe nella coalizione. I liberali? Alcuni dei cosiddetti professori sono tornati da dove erano venuti, cioè a sinistra. Mai fidarsi dei professori».