Norme impugnate: Art. 1-ter, c. 6, della legge 24/03/2001, n. 89.
La giurisprudenza costituzionale è ormai costante nell’affermare che i rimedi preventivi sono non solo ammissibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma addirittura preferibili, in quanto volti a evitare che i procedimenti giudiziari si protraggano eccessivamente nel tempo. Occorre, tuttavia, che ne consegua un rimedio effettivo, ciò che accade soltanto laddove venga realmente resa più sollecita la decisione da parte del giudice competente.
Alla luce della vigente disciplina processuale, infatti, la presentazione [dell’istanza di accelerazione] non vincola il giudice «a quanto richiestogli», ossia ad instradare su un binario preferenziale il processo nel quale l’istanza di accelerazione è depositata nei termini prescritti. In altre parole, nulla esclude che il processo, «pur a fronte di una siffatta istanza, [possa] comunque proseguire e protrarsi oltre il termine di sua ragionevole durata», in violazione anche dell’art. 111, secondo comma, Cost.
Il deposito dell’istanza di accelerazione in parola, in tempo utile ad evitare il superamento dei termini di ragionevole durata del processo, costituisce manifestazione della volontà di ottenere una decisione rapida. La mancata presentazione di tale istanza, quindi, «può eventualmente assumere rilievo (come indice di sopravvenuta carenza o non serietà dell’interesse al processo del richiedente) ai fini della determinazione del quantum dell’indennizzo ex lege n. 89 del 2001». Quel che, invece, non risulta conforme ai parametri costituzionali evocati è che l’omesso deposito dell’istanza possa condizionare la stessa ammissibilità della domanda di equa riparazione.
Presentata il 13 luglio 2023; annunciata nella seduta n. 88 del 18 luglio
2023. DOC.
VII, N. 33.
Assegnata alla 1a Commissione permanente (Affari Costituzionali); 2a
Commissione permanente (Giustizia); 5a Commissione permanente (Bilancio).