Norme impugnate: Art. 495 del codice penale e, in via subordinata, dell'art. 64, c. 3°, del codice di procedura penale, nonché dello stesso art. 495. cod. pen.
Chi è sottoposto a indagini o è imputato in un processo penale deve essere sempre espressamente avvertito del diritto di non rispondere alle domande relative alle proprie condizioni personali.
La Corte ha sottolineato come il diritto al silenzio operi ogniqualvolta l’autorità che procede in relazione alla commissione di un reato “ponga alla persona sospettata o imputata di averlo commesso domande su circostanze che, pur non attenendo direttamente al fatto di reato, possano essere successivamente utilizzate contro di lei nell’ambito del procedimento o del processo penale, e siano comunque suscettibili di avere un impatto sulla condanna o sulla sanzione che le potrebbe essere inflitta.
La Costituzione e le norme internazionali che tutelano i diritti umani consentono, ha osservato la Corte, che si possa imporre ad una persona sospettata di aver commesso un reato il dovere di indicare all’autorità che procede le proprie generalità (nome, cognome, luogo e data di nascita), ma non anche il dovere di fornire ulteriori informazioni di carattere personale, non essendovi per l’indagato o l’imputato alcun obbligo di collaborare con le indagini e il processo a proprio carico.
Per garantire una tutela effettiva a questo diritto, è dunque necessario fornire all’indagato e all’imputato un esplicito avvertimento della facoltà di non rispondere anche a queste domande; ed è altresì necessario escludere la sua punibilità nel caso in cui egli risponda il falso, quando non sia stato debitamente avvertito di questa sua facoltà.
Per maggiori informazioni si veda Comunicato Stampa
Presentata il 5 giugno 2023; annunciata nella seduta n. 76 del 13 giugno
2023. DOC.
VII, N. 27.
Assegnata alla 1a Commissione permanente (Affari Costituzionali); 2a
Commissione permanente (Giustizia).