Nei primi due decenni dell'unione monetaria, la produttività del lavoro
nell'area euro è stata più debole rispetto ad altre economie avanzate:
in media 0,6% all'anno dal 1999 al 2019 (negli Stati Uniti più del doppio).
È stata registrata una leggera ripresa dopo la pandemia, ma di
recente il quadro è nuovamente cambiato in peggio: nel 2023,
la produttività nell'Eurozona è scesa di quasi l'1%, mentre negli Stati Uniti
è cresciuta dello 0,5%. Lo sottolinea un
articolo pubblicato il 6 maggio
dal blog della Banca Centrale Europea (BCE).
Alcuni fattori strutturali - sottolineano gli autori dell'articolo - possono
modificare l'andamento della produttività. In tempi recenti, l'
adozione
inaspettatamente rapida delle tecnologie digitali durante la pandemia può aver
spinto la crescita
. Per contro, alcuni schock esterni, come le gravi
perturbazioni dei mercati energetici seguite all'invasione russa dell'Ucraina,
potrebbero averla influenzata negativamente.
In effetti, la produttività nell'area euro si muove tipicamente in modo
piuttosto marcato con il ciclo economico. Nei periodi di crescita economica
lenta o negativa, anche la produttività del lavoro tende ad attenuarsi,
per poi aumentare con la ripresa dell'economia (vedi grafico).
L'andamento ciclico della produttività può anche derivare
dalla strategia di molte imprese di "tenersi stretti" i lavoratori
nei momenti di crisi
, poiché può essere
molto costoso lasciarli andare per poi riassumerli e riqualificarli
quando gli affari vanno bene. In una certa misura, poi, si tende a dare particolare
importanza alla protezione dell'occupazione rispetto alla flessibilità.
Recenti ricerche condotte dalla BCE rivelano che la percentuale di imprese
che hanno mantenuto la manodopera è stata significativamente
elevata durante la pandemia e nel periodo post-pandemia.
Inoltre, negli ultimi trimestri, una serie di fattori potrebbe aver
ulteriormente amplificato il calo ciclico della produttività,
rafforzando un'insolita combinazione di un mercato del lavoro florido
e di un'attività economica debole.
Una recente analisi della BCE basata su un campione 2014-2023
suggerisce che un aumento di 1 punto percentuale del margine di profitto
di un'impresa aumenta la probabilità di mantenere inalterata la
manodopera di 0,2 punti percentuali.
Bisogna inoltre ricordare che l'assunzione di lavoratori è diventata
meno costosa nel 2022/23, poiché i salari reali sono diminuiti in modo
significativo
. Quando i tassi di inflazione hanno raggiunto il picco
nel 2022, gli aumenti salariali non hanno tenuto il passo
con l'aumento dei prezzi.
Solo con un certo ritardo i salari nominali sono aumentati.
Sebbene la crescita della produttività sia stata debole all'inizio
della recente esplosione inflazionistica, i salari reali sono
diminuiti in misura molto maggiore. Il conseguente divario tra salari reali
e produttività ha spinto al ribasso il costo reale del lavoro.
Quindi, con il persistere del divario salari-produttività,
sono aumentati gli incentivi per le imprese ad assumere più
lavoratori. E questo ha pesato sulla produttività media per lavoratore.
Il blog della BCE segnala anche una riduzione delle ore medie lavorate per persona che avrebbe indotto le imprese ad assumere lavoratori aggiuntivi per mantenere invariata la quantità di lavoro complessivo. Alla fine del 2023, un lavoratore medio nell'area dell'euro lavora cinque ore in meno a trimestre rispetto a prima della pandemia. Ciò equivale a circa 2 milioni di lavoratori a tempo pieno. Gran parte di questo calo di ore è stato certamente compensato a livello aziendale, ad esempio migliorando i processi, riducendo gli orari morti o magari facendo straordinari non registrati. Ma è plausibile che le imprese abbiano dovuto aumentare le assunzioni di lavoratori per compensare la riduzione delle ore medie lavorate. Rispetto a prima della pandemia, la produttività per lavoratore è diminuita dello 0,8%, mentre la produttività oraria è aumentata dello 0,6% nello stesso periodo.