Il percorso di avvicinamento alle celebrazioni dell’ottavo centenario dalla morte di Francesco d’Assisi (2026), patrono d’Italia e figura che ha segnato in modo indelebile le sorti dell’Europa intera, sta coinvolgendo sempre più vivamente le maggiori istituzioni del nostro Paese. In tale contesto un ruolo importante è riconosciuto ai Musei Nazionali di Perugia – Direzione regionale Musei nazionali Umbria e in particolare alla Galleria Nazionale dell’Umbria, che si sta qualificando come centro di convergenza delle sfide progettuali volte a riscoprire i grandi temi intrecciati al tempo e al pensiero del santo.
All’Istituto è stato assegnato a questo proposito un compito prestigioso: la progettazione scientifica e l’organizzazione di una mostra voluta dal Senato della Repubblica e promossa in collaborazione con il Ministero della Cultura, che celebri il “Poverello” in concomitanza della chiusura dell'ottavo centenario delle Stimmate (2024) e dell’inizio dell’Anno Giubilare del 2025.
L’evento espositivo, curato dal Direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria Costantino D’Orazio e da Veruska Picchiarelli, responsabile del Dipartimento di Arte medievale e della prima età moderna del museo, è ospitato in una sede illustre: la Sala Capitolare del Palazzo della Minerva, un tempo convento dei domenicani di Santa Maria sopra Minerva e oggi sede della Biblioteca del Senato.
Il fermo proposito della Direzione regionale Musei nazionali Umbria di farsi portavoce dei valori e dell’identità dell’intera regione ha indotto a voler fare di questo appuntamento un’occasione di promozione per le principali realtà culturali del territorio. È stato dunque immaginato un progetto scientifico nel quale ad alcuni capolavori della Galleria Nazionale si affiancano opere di altri istituti che raccontano in forma sintetica ma esaustiva un ideale percorso di sviluppo dell’iconografia di san Francesco tra Medioevo e Rinascimento.
La mostra si apre con due prestiti eccezionali, resi possibili dall’ormai consolidato rapporto di partnership con le due istituzioni di riferimento per la custodia e la trasmissione della memoria, del messaggio e dell’azione del santo.
Il Sacro Convento di Assisi ha concesso la preziosa Chartula, scritto autografo del “Poverello” che riporta un’ispirata benedizione al compagno e amico frate Leone e che si ritiene vergata dopo la comparsa delle impressioni delle stimmate, evento inaudito dal quale Francesco aveva ricavato un’intensa pace spirituale.
La Provincia Serafica di San Francesco ha messo a disposizione un’ulteriore reliquia, che è al contempo un’opera di notevole importanza storico-artistica: l’effige del santo dipinta da Cimabue negli anni in cui era impegnato ad affrescare la Basilica di Assisi, utilizzando come supporto la tavola che, stando alla tradizione, era servita da copertura della prima umilissima cassa di legno nella quale il corpo di Francesco fu tumulato subito dopo la morte.
Si prosegue con opere di alcuni fra i maggiori pittori del Medioevo e del Rinascimento, dal Maestro di Paciano a Taddeo di Bartolo, da Benozzo Gozzoli a Niccolò di Liberatore, in un percorso concentrato, ma di profonda suggestione, dove è possibile apprezzare l’evoluzione dell’immagine del santo in parallelo all’affermazione sempre crescente del suo culto. Vediamo dunque Francesco in compagnia di altri santi al cospetto della Madonna e del Bambino; lo ritroviamo protagonista dei momenti più dolorosi della Passione di Cristo accanto a coloro che effettivamente ne furono testimoni, in una condivisione nata dalla totale identificazione con l’oggetto del suo amore. Lo scopriamo poi protagonista di raffigurazioni di eccezionale potenza comunicativa e di alto valore simbolico, come l’elemento centrale del Polittico di San Francesco al Prato del citato Taddeo di Bartolo, nel quale egli calpesta i vizi contrapposti alle virtù che avevano orientato la sua straordinaria esperienza spirituale.
L’itinerario si conclude con due capolavori del più celebre pittore a cui la terra del “Poverello” abbia dato i natali: Pietro Vannucci detto Perugino, che nel corso della fortunatissima carriera si misurò più volte con il compito di dare un volto al santo. La capacità del “meglio maestro d’Italia” (come lo definì nel 1500 il mecenate Agostino Chigi) di rendere l’afflato mistico e di interpretare con intensità il manifestarsi della fede attraverso la gestualità e le espressioni dei personaggi rende le sue visioni di Francesco particolarmente vive e vicine, ricordandoci la perdurante attualità di questo grande uomo e del suo messaggio.
1224, settembre
Ambito centro-italiano
Frate Francesco compilò la Chartula fratri Leoni presso la Verna dopo aver ricevuto l'impressione delle stimmate, utilizzando inchiostro bruno e scrivendo di proprio pugno, con una grafia molto semplice. La donò quindi a frate Leone, che la tenne con sé sino alla morte. Su di un lato sono le Laudes Dei altissimi (Lodi di Dio altissimo). L'altro riporta la particolare Benedictio fratri Leoni (Benedizione a frate Leone) con il disegno del sigillo caro a Francesco, il Tau, emergente da una testa d'uomo appoggiata sulla sommità di una roccia. Frate Leone inserì poi, in rosso e con una scrittura elegante e regolare, alcune postille esplicative. Nel 1613 la Chartula venne trasferita all'interno dell'attuale reliquiario in argento, realizzato tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento con il preciso scopo di contenere la piccola pergamena, come recita il cartiglio sopra l'edicola centrale inquadrata tra le statuette di san Francesco e del beato Leone. Sullo scudo ovale frontale del piede a sezione triangolare è rappresentato il trimonzio sormontato dal Tau che separa le lettere "S" e "C", emblema del Sacro Convento.
Inchiostro bruno ferro-gallico e rosso cinabro su pergamena di pelle di capra
Ultimo quarto del XVI secolo - ante 1613
(Firenze, documentato dal 1272 al 1301)
1280-1290 circa
Attribuito a Cimabue su basi stilistiche, il dipinto su tavola raffigurante san Francesco d'Assisi ci restituisce l'immagine più prossima al ritratto delineato da Tommaso da Celano nella Vita Prima (XXIX, 465). L'opera, secondo la tradizione, fu dipinta sul coperchio del primitivo feretro che custodì il corpo di Francesco, transitato dalla Porziuncola alla chiesa di San Giorgio, ove rimase fino alla realizzazione della Basilica a lui intitolata. Il santo di Assisi indossa il saio, ed è ritratto con la chierica, una corta barba, e le grandi orecchie che gli attribuisce la tradizione. Ha con se la Regola e mostra le stimmate sulle mani, sui piedi e sul costato, come vuole la sua iconografia classica a partire dagli anni Cinquanta del Duecento. Lo sfondo, un tempo rivestito di blu oltremare, è oggi ampiamente perduto.
(attivo tra il 1315/20 e il 1350/60 circa)
Madonna col Bambino tra due angeli, un beato francescano (Egidio di Assisi?) e il donatore tra i santi Michele Arcangelo, Chiara d'Assisi, Francesco d'Assisi, Pietro, Paolo, Ludovico di Tolosa, Antonio da Padova, Maria Egiziaca (recto); Bacio di Giuda; Andata al Calpario; Crocifissione; Deposizione dalla croce; Compianto davanti al sepolcro (verso)
post 1319
Il dossale, dipinto su entrambe le facce, era destinato a una visione sia dei fedeli nella navata sia dei religiosi seduti nel coro. La presenza nel fronte di santi riconducibili all'ordine francescano, tra i quali il beato Egidio da Assisi, che fu tra i primi compagni di Francesco, suggerisce una provenienza dal convento perugino di San Francesco del Monte, detto di Monteripido. L'opera è attribuita al Maestro di Paciano, anonimo pittore il cui linguaggio pur aggiornato sulle novità del cantiere assisiate si caratterizza per una vena popolaresca e marcatamente espressionistica, che costituisce la cifra più genuina della cultura figurativa perugina della prima metà del Trecento.
(Siena,1362 circa -1422)
1403 firmato e datato
Il pannello raffigura san Francesco nell'atto di schiacciare i vizi contrapposti ai tre voti sui quali si fonda la formula vitae dell'ordine francescano: l'Orgoglio, opposto all'Obbedienza; la Lussuria, opposta alla Castità; l'Avarizia, opposta alla Povertà. Costituiva l'elemento centrale del lato rivolto verso il coro del grande polittico a due facce dipinto da Taddeo di Bartolo nel 1403 per l'altare maggiore della chiesa di San Francesco al Prato di Perugia, che si conserva oggi per gran parte alla Galleria Nazionale dell'Umbria. Il programma iconografico della pala, ideato probabilmente dai frati minori perugini, era incentrato sui santi protettori della città e sulle più eminenti figure del francescanesimo, incluse Chiara ed Elisabetta d'Ungheria.
(Firenze, 1420/21 circa - Pistoia, 1497)
1466 firmato e datato
La piccola ancona raffigura al centro la Madonna col Bambino in atto di donare l'anello a Caterina d'Alessandria a suggello dell'unione mistica. Attorno si dispongono i santi Bartolomeo, Francesco e Lucia con i tradizionali attributi iconografici. La pala, firmata e datata alla base del trono, risale al periodo trascorso da Benozzo Gozzoli a San Gimignano tra il 1464 e il 1467. In questa raffinata opera il pittore dà prova del suo talento ornamentale, qui ancora legato al gusto tardogotico evidente nella preziosità della materia e nella finezza decorativa.
Tempera su tavola
(notizie dal 1470 al 1501)
Stimmate di san Francesco tra san Francesco d'Assisi e santa Chiara
1496
L'opera, composta da tre tavolette provenienti dalla chiesa di San Francesco al Prato di Perugia, rappresenta nello scomparto centrale la figura di san Francesco che riceve le stimmate al cospetto di un serafino con le sembianze del Cristo crocifisso. Le tavole laterali ospitano rispettivamente il Poverello di Assisi e santa Chiara a piedi nudi su un terreno con piccole aiuole. Studi critici recenti confermano l'attribuzione del tabernacolo a Nicolò del Priore, pittore perugino noto per aver svolto soprattutto attività miniatoria, i cui riflessi sono riconoscibili nella cura per la resa dei dettagli e nella minuziosa esecuzione pittorica.
Tempera su tavola
(Città della Pieve, 1450 circa - Fontignano di Perugia, 1523)
Madonna col Bambino e angeli con i santi Francesco, Bernardino da Siena e i confratelli della Giustizia in adorazione
1496
I documenti permettono di attestare che il gonfalone processionale fu dipinto da Perugino nel 1496 per la confraternita di San Bernardino di Perugia, che nel 1537 si sarebbe fusa con quella di Sant'Andrea, o della Giustizia. Alla Sacra Conversazione fa da sfondo una fedele veduta della città, colta da un punto di vista che privilegia il quartiere in cui il sodalizio aveva la sua sede. Per i confratelli inginocchiati intercede il titolare dell'associazione Bernardino da Siena, esponente di spicco del ramo dell'Osservanza francescana, molto venerato in Umbria. Accanto a lui il fondatore dell'ordine Francesco d'Assisi instaura con la Vergine un muto e dolcissimo dialogo di sguardi.
Olio su tela
(Foligno, notizie dal 1454, morto nel 1502)
(Foligno, notizie dal 1480, morto nel 1527)
Cristo in Pietà tra la Vergine, san Giovanni Evangelista, le Pie donne e san Francesco
1500 circa
La tela corrisponde probabilmente a quella descritta nel testamento di Lattanzio di Niccolò, che nel 1527 ne faceva dono ai francescani osservanti del convento di San Bartolomeo di Marano presso Foligno. È considerata opera di collaborazione fra lui e il più celebre padre Niccolò di Liberatore, a cui è riferibile il disegno della composizione. San Francesco vi è annoverato a tutti gli effetti tra i protagonisti del dramma della Passione, per la forza di un amore che lo identifica con Cristo fino a renderlo "presente" accanto a lui e ai dolenti sul Golgota.
Olio su tela
(Città della Pieve, 1450 circa - Fontignano di Perugia,1523)
1510-1512 circa
L'opera, proveniente dalla chiesa perugina di San Francesco al Prato, raffigura il Battista circondato dai santi Francesco, Girolamo, Sebastiano e Antonio da Padova disposti su un unico piano di posa sullo sfondo di un orizzonte collinare privo di notazioni ambientali e partiture architettoniche, secondo un nuovo schema compositivo che Perugino aveva elaborato in alcune pale d'altare a partire dalla fine del Quattrocento. Il dipinto, datato tra il 1510 e il 1512, si colloca nella piena maturità artistica del pittore, quando lo stile muta a favore di una pittura mobile, vibrante e immersa in un'atmosfera rarefatta.
Olio su tavola