Primo Maggio 2023
❝
L'Italia è una Repubblica democratica,
fondata sul lavoro
❞
Il tema del lavoro è affrontato nella Costituzione sia tra i principi
fondamentali, negli
articoli 1, 3 e 4, sia negli articoli del Titolo terzo della Parte prima, relativo ai
“Rapporti
economici”.
Furono elaborati dalla Prima e dalla Terza Sottocommissione e furono esaminati e votati
dall'Assemblea Costituente nelle sedute del 22 e 24 marzo 1947 (i principi fondamentali) e
8, 9,
10 maggio 1947 (gli articoli del Titolo terzo).
Momenti di lavoro nella Prima Sottocommissione dell'Assemblea Costituente
La formulazione dell'articolo 1 del progetto di Costituzione che giunse all'esame dell'Assemblea Costituente fu il risultato dell’elaborazione di varie proposte che intendevano sottolineare la caratterizzazione della Repubblica dal punto di vista economico-sociale come anche politico e storico.
Formulazione provvisoria di articolo proposta da Palmiro Togliatti
in Prima Sottocommissione il 18 ottobre 1946
❝
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e limiti della
Costituzione❞
Resoconto stenografico dell’approvazione finale del testo dell’articolo 1 della
Costituzione
L'espressione "L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro", era stata
proposta da
Amintore Fanfani - ed accettata da Togliatti, dopo la
bocciatura da parte dell'Assemblea della proposta del gruppo comunista - perché
ritenuta più adatta a definire i
caratteri costitutivi della Repubblica.
Una espressione che afferma solennemente il diritto e il
dovere di ogni uomo, secondo le sue possibilità, di trovare «nel suo sforzo libero la
capacità
di essere se stesso e di contribuire al benessere della Nazione» e che bene rappresentava
la
novità del principio posto a fondamento della Repubblica pur evitando di darle
un'impostazione
classista.
Escludere un'interpretazione classista nella formula solenne di apertura della
Costituzione fu una preoccupazione ribadita nelle dichiarazioni rese dai rappresentanti di
tutti
i gruppi al momento della votazione.
Prime pagine dei giornali in occasione dell’approvazione dell’articolo 1 della
Costituzione (23
marzo 1947)
Prima seduta dell'Assemblea Costituente
FANFANI. [...] Così è nato il nostro testo, accettato anche da altri colleghi di gruppi
differenti dal nostro, testo, che dice: «L'Italia è una Repubblica democratica
fondata sul lavoro».
In questa formulazione l'espressione democratica vuole indicare i caratteri tradizionali,
i fondamenti di libertà e di eguaglianza, senza dei quali non v'è democrazia. Ma in questa
stessa
espressione la dizione «fondata sul lavoro» vuol indicare il nuovo
caratterizzazione
che lo Stato italiano, quale noi lo abbiamo immaginato, dovrebbe assumere.
Dicendo che la Repubblica è fondata sul lavoro, si esclude che essa possa fondarsi
sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica altrui e si afferma invece
che essa si fonda sul dovere, che è anche diritto ad un tempo per ogni uomo, di trovare
nel suo sforzo libero la sua capacità di essere e di contribuire al bene della comunità
nazionale. Quindi, niente pura esaltazione della fatica muscolare, come superficialmente
si potrebbe immaginare, del puro sforzo fisico; ma affermazione del dovere d'ogni uomo
di essere quello che ciascuno può, in proporzione dei talenti naturali, sicché
la massima espansione di questa comunità popolare potrà essere raggiunta solo quando ogni
uomo avrà realizzato, nella pienezza del suo essere, il massimo contributo alla prosperità
comune. L'espressione «fondata sul lavoro» segna quindi l'impegno, il tema
di tutta la nostra Costituzione [...]. Ottenuta quindi una sintetica definizione della
Repubblica fondata sulla libertà e sulla giustizia, si apre la strada al concetto della
sovranità. concetto svolto nel secondo comma: «La sovranià appartiene al popolo,
che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione», forma sufficiente
ad indicare ad un tempo la fonte, il fondamento e il delegante della sovranità,
cioè il popolo.
(Dal resoconto
della seduta n. 72 dell'Assemblea Costituente, 22 marzo 1947)
❝ Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono
eguali davanti alla
legge
senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale
che,
limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo
della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione
politica, economica e sociale del Paese
❞
Nell'affermare il principio di eguaglianza di tutti i cittadini senza
distinzione
i Costituenti
vollero anche sancire l'impegno della Repubblica a consentirne la trasposizione nei fatti,
per
dare contenuto concreto al principio formale. Il rinnovamento istituzionale e politico
dello
Stato repubblicano è espresso dall'impegno a rimuovere gli ostacoli che possono impedire
la
partecipazione dei lavoratori alla organizzazione sociale, politica ed economica del
Paese.
Poiché l'uomo non è un individuo contrapposto allo Stato ma è centro di rapporti sociali,
la
Repubblica, espressione della vita collettiva, trae il suo senso e il suo significato solo
dalla
partecipazione effettiva di tutti alla vita di tutti. Così si espressero, tra gli altri, i
deputati Lelio Basso e Aldo Moro, nel corso della discussione in
Assemblea svoltasi il 24 marzo 1947.
L’attuale formulazione dell’articolo 3 fu proposta, con identici emendamenti, da esponenti
dei
gruppi democristiano e comunista. Dai lavori preparatori emerge il rapporto di
consequenzialità
tra l’articolo 1, primo comma e l’articolo 3, secondo comma. Nel progetto sottoposto dalla
Commissione dei Settantacinque all’Assemblea Costituente, infatti, l’articolo 1, primo
comma
affermava: 'L’Italia è una Repubblica democratica. Essa ha a fondamento il lavoro e la
partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale
del Paese. [...]'. L’Assemblea decise di spostare il secondo periodo all’articolo 3,
adottando
una formulazione che vincolasse in modo più stringente la condotta dello Stato alla
garanzia
della effettività del principio di eguaglianza, ribadendo, in tal modo, il fondamento
costituzionale dei diritti sociali.
(Nelle foto sopra, Lelio Basso e Aldo Moro)
❝ La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al
lavoro e
promuove le condizioni che
rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria
scelta,
un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della
società ❞
In applicazione del principio che il lavoro è alla base dell'organizzazione civile, politica e sociale del Paese, i Costituenti affermarono il diritto al lavoro, proclamato nell'articolo 4, primo comma, al quale corrisponde il dovere del lavoro, contenuto nel secondo comma. Nel progetto di Costituzione sottoposto all'Assemblea l'articolo era collocato nel Titolo terzo, tra le norme che disciplinano i rapporti economici, ma infine fu deciso di spostarlo tra i principi fondamentali. Diritto e dovere, disse Gustavo Ghidini (nella foto), Presidente della terza Sottocommissione incaricata di redigere la parte relativa ai rapporti economici, sono termini correlativi e uno si lega indissolubilmente all'altro. L'affermazione del diritto al lavoro, concepito in tutte le sue forme, non solo materiali ma anche spirituali e morali, sollevò molte perplessità sulla effettiva capacità dello Stato di promuovere efficacemente le condizioni per garantire l'occupazione. Furono dibattute le varie possibili forme di intervento pubblico in economia, e nel corso della discussione del 9 maggio 1947 fu esaminato - e respinto - un emendamento comunista che proponeva l'introduzione della pianificazione statale attraverso atti di 'orientamento e coordinamento'. Fu anche esclusa la possibilità di condizionare l'esercizio dei diritti civili e politici all'adempimento del dovere di lavorare. Tale dovere, fu detto, non ha natura giuridica ma morale, e l'esercizio dei diritti civili è connesso alla semplice qualità di essere cittadino.
❝ La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed
applicazioni.
Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori
Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e
regolare i diritti del lavoro.
Riconosce la libertà di emigrazione salvo gli obblighi stabiliti dalla legge
nell'interesse
generale, e tutela il lavoro italiano all'estero ❞
Durante la discussione dell'articolo 35, l'8 maggio del 1947, fu chiarito che
l'impegno della
Repubblica alla tutela del lavoro in tutte le sue forme è una premessa di principio di
ordine
generale, la quale è posta in apertura del Titolo Terzo per consentire al futuro
legislatore di
introdurre le opportune forme di tutela secondo le esigenze richieste di volta in volta
dai
tempi.
Alcuni Costituenti la ritenevano infatti una formula superflua, che ripeteva il
concetto
già contenuto nel primo articolo sul lavoro come fondamento della Repubblica.
Il deputato
Francesco Colitto, relatore per la terza Sottocommissione, faceva notare come dal diritto/dovere del
lavoro derivi necessariamente il bisogno di garantirne la tutela per consentire il
godimento del
diritto e assicurare l'adempimento del dovere.
Nell'ambito delle tutele i Costituenti
fecero
rientrare anche il principio dell'elevazione professionale garantita tramite una adeguata
formazione, recepito nel secondo comma.
Il terzo comma fu illustrato dalla deputata Angela Maria Guidi Cingolani (nella foto) nel
corso della discussione del 3
maggio con un'appassionata perorazione dei principi sanciti dalla Dichiarazione di
Filadelfia
del maggio 1944 (XXVI sessione della Conferenza internazionale del Lavoro) sulla libertà e
dignità del lavoro e sull'impegno di ogni nazione di lottare contro miseria e bisogno,
favorendo
l'associazionismo sindacale.
La formula del quarto comma, che tende gradualmente all'abolizione dei vincoli al libero
trasferimento dei lavoratori, è il risultato dell'accettazione di due proposte: una
dell'onorevole Francesco Maria Dominedò per il riconoscimento in forma molto ampia della libertà di
emigrazione
e l'altra dell'onorevole Vittorio Foa per la tutela del lavoro italiano all'estero.
❝ Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla
quantità e qualità del suo
lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e
dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può
rinunziarvi ❞
La formula del primo comma dell'articolo 36 fu proposta da Fanfani alla terza
Sottocommissione
il 12 settembre 1946. Due punti di discussione furono subito sollevati: uno sulla
opportunità o
meno di commisurare la retribuzione dei lavoratori anche alle necessità delle loro
famiglie,
cosa che, come fu evidenziato da Francesco Colitto (nella foto), avrebbe finito per produrre disparità
tra
lavoratori; l'altro sulla indicazione di "quantità e qualità del lavoro" come termine di
misura
della retribuzione, perché, come osservarono i deputati della corrente sindacale
comunista, il
salario viene determinato nel contratto collettivo nazionale per categoria e per
specializzazione del lavoro, non per la qualità o la quantità.
Fanfani replicò che questo
non
impedisce di stabilire, nei contratti collettivi, particolari premi per i lavoratori più
solerti
e il parametro della quantità e qualità resta valido per misurare la retribuzione.
Durante
la
discussione generale il deputato comunista Bibolotti propose e difese tanto il principio
del
salario minimo quanto quello della durata massima della giornata lavorativa, ricordando le
lotte
dei lavoratori per conquistare la libertà dallo sfruttamento.
Ottenne l'approvazione della
determinazione per legge dell'orario massimo della giornata lavorativa.
La formulazione
del
terzo comma, sul riposo settimanale e le ferie, fu ispirata da Lelio Basso e sostituì
l'originaria "il diritto al riposo è garantito", ritenuta troppo asciutta e vuota di
contenuto.
❝ La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione ❞
Il riconoscimento della piena eguaglianza alle donne, affermato come principio
fondamentale
nell'articolo 3 della Costituzione e attuato politicamente con l'introduzione del
suffragio
universale a partire dalle elezioni amministrative del 1946 e dal referendum del 2 giugno
1946,
andava opportunamente confermato con il riconoscimento alle donne del diritto al
lavoro.
Alcune
deputate costituenti, tra le quali Nilde Iotti, sottolinearono come il diritto al lavoro
rappresenti una condizione necessaria perché le donne possano raggiungere la piena
emancipazione
dall'inferiorità e dall'arretratezza sociale. Altre indicarono la via del progresso
sociale
proprio nella eliminazione delle barriere giuridiche che impediscono lo sviluppo della
personalità femminile e la partecipazione delle donne alla vita economica, sociale e
politica
del Paese.
Tra le partecipanti alla discussione si ricordano anche Angelina Merlin e
Teresa
Mattei; esse e le costituenti tutte si batterono per garantire il ruolo femminile nella
ricostruzione e nella crescita del Paese.
Nell'Assemblea Costituente il dibattito sull'articolo 37 riguardò inoltre i diritti
particolari
riservati alle lavoratrici madri, al fine di tutelare la maternità proclamata unanimemente
"funzione essenziale" della donna. A questo scopo alcune deputate costituenti, tra le
quali
Maria Federici, auspicavano iniziative concrete come la realizzazione di sale di
allattamento,
nidi e asili per i piccoli nelle fabbriche.
(Nelle foto sopra, Nilde Iotti e Angelina Merlin)
La Domenica del Corriere, 19 settembre 1948
❝ La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro
salariato.
La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a
parità
di lavoro, il diritto a parità di retribuzione ❞
Il secondo e terzo comma dell'articolo 37 si devono a una proposta aggiuntiva del deputato
Bruno Corbi (nella foto), comunista. Egli, criticando l'arretratezza della legislazione sociale italiana
allora in
vigore, che non assicurava alcuna tutela da uno sfruttamento in condizioni di lavoro
durissime e
pericolose, con retribuzioni inadeguate, proclamò la necessità di rendere giustizia ai
giovani
lavoratori.
Corbi attribuiva il grande problema dello sfruttamento del lavoro
giovanile alle
conseguenze del fascismo, ad un sistema sociale che andava cambiato nell'interesse di
tutta la
nazione.
Tuttavia l'indicazione del limite preciso dei 16 anni come età minima non fu
accolta
perché troppo rigida a fronte della varietà di tipi di lavoro. Fu proposto dal deputato
Mario
Cingolani di affidare al legislatore il compito di regolamentare secondo l'opportunità e
il tipo
di occupazione l'età minima di ingresso nel mondo del lavoro.