Senato della Repubblica

Il lavoro in Costituzione

Il tema del lavoro è affrontato nella Costituzione sia tra i principi fondamentali, negli articoli 1, 3 e 4, sia negli articoli del Titolo terzo della Parte prima, relativo ai “Rapporti economici”.
Furono elaborati dalla Prima e dalla Terza Sottocommissione e furono esaminati e votati dall'Assemblea Costituente nelle sedute del 22 e 24 marzo 1947 (i principi fondamentali) e 8, 9, 10 maggio 1947 (gli articoli del Titolo terzo).


Momenti di lavoro nella Prima Sottocommissione dell'Assemblea Costituente

I lavori della Prima Sottocommissione

La formulazione dell'articolo 1 del progetto di Costituzione che giunse all'esame dell'Assemblea Costituente fu il risultato dell’elaborazione di varie proposte che intendevano sottolineare la caratterizzazione della Repubblica dal punto di vista economico-sociale come anche politico e storico.

Togliatti
Formulazione provvisoria di articolo proposta da Palmiro Togliatti in Prima Sottocommissione il 18 ottobre 1946

Fondata sul Lavoro - Articolo 1

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e limiti della Costituzione


Resoconto stenografico dell’approvazione finale del testo dell’articolo 1 della Costituzione

L'espressione "L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro", era stata proposta da Amintore Fanfani - ed accettata da Togliatti, dopo la bocciatura da parte dell'Assemblea della proposta del gruppo comunista - perché ritenuta più adatta a definire i caratteri costitutivi della Repubblica.
Una espressione che afferma solennemente il diritto e il dovere di ogni uomo, secondo le sue possibilità, di trovare «nel suo sforzo libero la capacità di essere se stesso e di contribuire al benessere della Nazione» e che bene rappresentava la novità del principio posto a fondamento della Repubblica pur evitando di darle un'impostazione classista.
Escludere un'interpretazione classista nella formula solenne di apertura della Costituzione fu una preoccupazione ribadita nelle dichiarazioni rese dai rappresentanti di tutti i gruppi al momento della votazione.

Prime Pagine
Prime pagine dei giornali in occasione dell’approvazione dell’articolo 1 della Costituzione (23 marzo 1947)

"Dicendo che la Repubblica è fondata sul lavoro, si esclude che essa possa fondarsi sul privilegio"

Amintore Fanfani
Prima seduta dell'Assemblea Costituente

Amintore Fanfani FANFANI. [...] Così è nato il nostro testo, accettato anche da altri colleghi di gruppi differenti dal nostro, testo, che dice: «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro».
In questa formulazione l'espressione democratica vuole indicare i caratteri tradizionali, i fondamenti di libertà e di eguaglianza, senza dei quali non v'è democrazia. Ma in questa stessa espressione la dizione «fondata sul lavoro» vuol indicare il nuovo caratterizzazione che lo Stato italiano, quale noi lo abbiamo immaginato, dovrebbe assumere.
Dicendo che la Repubblica è fondata sul lavoro, si esclude che essa possa fondarsi sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica altrui e si afferma invece che essa si fonda sul dovere, che è anche diritto ad un tempo per ogni uomo, di trovare nel suo sforzo libero la sua capacità di essere e di contribuire al bene della comunità nazionale. Quindi, niente pura esaltazione della fatica muscolare, come superficialmente si potrebbe immaginare, del puro sforzo fisico; ma affermazione del dovere d'ogni uomo di essere quello che ciascuno può, in proporzione dei talenti naturali, sicché la massima espansione di questa comunità popolare potrà essere raggiunta solo quando ogni uomo avrà realizzato, nella pienezza del suo essere, il massimo contributo alla prosperità comune. L'espressione «fondata sul lavoro» segna quindi l'impegno, il tema di tutta la nostra Costituzione [...]. Ottenuta quindi una sintetica definizione della Repubblica fondata sulla libertà e sulla giustizia, si apre la strada al concetto della sovranità. concetto svolto nel secondo comma: «La sovranià appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione», forma sufficiente ad indicare ad un tempo la fonte, il fondamento e il delegante della sovranità, cioè il popolo.
(Dal resoconto della seduta n. 72 dell'Assemblea Costituente, 22 marzo 1947)

Il principio di uguaglianza - Articolo 3

 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese  

Lelio Basso   Aldo Moro

Nell'affermare il principio di eguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione i Costituenti vollero anche sancire l'impegno della Repubblica a consentirne la trasposizione nei fatti, per dare contenuto concreto al principio formale. Il rinnovamento istituzionale e politico dello Stato repubblicano è espresso dall'impegno a rimuovere gli ostacoli che possono impedire la partecipazione dei lavoratori alla organizzazione sociale, politica ed economica del Paese. Poiché l'uomo non è un individuo contrapposto allo Stato ma è centro di rapporti sociali, la Repubblica, espressione della vita collettiva, trae il suo senso e il suo significato solo dalla partecipazione effettiva di tutti alla vita di tutti. Così si espressero, tra gli altri, i deputati Lelio Basso e Aldo Moro, nel corso della discussione in Assemblea svoltasi il 24 marzo 1947.
L’attuale formulazione dell’articolo 3 fu proposta, con identici emendamenti, da esponenti dei gruppi democristiano e comunista. Dai lavori preparatori emerge il rapporto di consequenzialità tra l’articolo 1, primo comma e l’articolo 3, secondo comma. Nel progetto sottoposto dalla Commissione dei Settantacinque all’Assemblea Costituente, infatti, l’articolo 1, primo comma affermava: 'L’Italia è una Repubblica democratica. Essa ha a fondamento il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. [...]'. L’Assemblea decise di spostare il secondo periodo all’articolo 3, adottando una formulazione che vincolasse in modo più stringente la condotta dello Stato alla garanzia della effettività del principio di eguaglianza, ribadendo, in tal modo, il fondamento costituzionale dei diritti sociali.
(Nelle foto sopra, Lelio Basso e Aldo Moro)

Il diritto al lavoro e il dovere di lavorare - Articolo 4

 La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società  

Gustavo Ghidini In applicazione del principio che il lavoro è alla base dell'organizzazione civile, politica e sociale del Paese, i Costituenti affermarono il diritto al lavoro, proclamato nell'articolo 4, primo comma, al quale corrisponde il dovere del lavoro, contenuto nel secondo comma. Nel progetto di Costituzione sottoposto all'Assemblea l'articolo era collocato nel Titolo terzo, tra le norme che disciplinano i rapporti economici, ma infine fu deciso di spostarlo tra i principi fondamentali. Diritto e dovere, disse Gustavo Ghidini (nella foto), Presidente della terza Sottocommissione incaricata di redigere la parte relativa ai rapporti economici, sono termini correlativi e uno si lega indissolubilmente all'altro. L'affermazione del diritto al lavoro, concepito in tutte le sue forme, non solo materiali ma anche spirituali e morali, sollevò molte perplessità sulla effettiva capacità dello Stato di promuovere efficacemente le condizioni per garantire l'occupazione. Furono dibattute le varie possibili forme di intervento pubblico in economia, e nel corso della discussione del 9 maggio 1947 fu esaminato - e respinto - un emendamento comunista che proponeva l'introduzione della pianificazione statale attraverso atti di 'orientamento e coordinamento'. Fu anche esclusa la possibilità di condizionare l'esercizio dei diritti civili e politici all'adempimento del dovere di lavorare. Tale dovere, fu detto, non ha natura giuridica ma morale, e l'esercizio dei diritti civili è connesso alla semplice qualità di essere cittadino.

La tutela del lavoro - Articolo 35

 La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori
Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro.
Riconosce la libertà di emigrazione salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero  

Angela Maria Guidi CingolaniDurante la discussione dell'articolo 35, l'8 maggio del 1947, fu chiarito che l'impegno della Repubblica alla tutela del lavoro in tutte le sue forme è una premessa di principio di ordine generale, la quale è posta in apertura del Titolo Terzo per consentire al futuro legislatore di introdurre le opportune forme di tutela secondo le esigenze richieste di volta in volta dai tempi.
Alcuni Costituenti la ritenevano infatti una formula superflua, che ripeteva il concetto già contenuto nel primo articolo sul lavoro come fondamento della Repubblica.
Il deputato Francesco Colitto, relatore per la terza Sottocommissione, faceva notare come dal diritto/dovere del lavoro derivi necessariamente il bisogno di garantirne la tutela per consentire il godimento del diritto e assicurare l'adempimento del dovere.
Nell'ambito delle tutele i Costituenti fecero rientrare anche il principio dell'elevazione professionale garantita tramite una adeguata formazione, recepito nel secondo comma.
Il terzo comma fu illustrato dalla deputata Angela Maria Guidi Cingolani (nella foto) nel corso della discussione del 3 maggio con un'appassionata perorazione dei principi sanciti dalla Dichiarazione di Filadelfia del maggio 1944 (XXVI sessione della Conferenza internazionale del Lavoro) sulla libertà e dignità del lavoro e sull'impegno di ogni nazione di lottare contro miseria e bisogno, favorendo l'associazionismo sindacale.
La formula del quarto comma, che tende gradualmente all'abolizione dei vincoli al libero trasferimento dei lavoratori, è il risultato dell'accettazione di due proposte: una dell'onorevole Francesco Maria Dominedò per il riconoscimento in forma molto ampia della libertà di emigrazione e l'altra dell'onorevole Vittorio Foa per la tutela del lavoro italiano all'estero.

Dignità del lavoro - Articolo 36

 Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi  

Francesco Colitto La formula del primo comma dell'articolo 36 fu proposta da Fanfani alla terza Sottocommissione il 12 settembre 1946. Due punti di discussione furono subito sollevati: uno sulla opportunità o meno di commisurare la retribuzione dei lavoratori anche alle necessità delle loro famiglie, cosa che, come fu evidenziato da Francesco Colitto (nella foto), avrebbe finito per produrre disparità tra lavoratori; l'altro sulla indicazione di "quantità e qualità del lavoro" come termine di misura della retribuzione, perché, come osservarono i deputati della corrente sindacale comunista, il salario viene determinato nel contratto collettivo nazionale per categoria e per specializzazione del lavoro, non per la qualità o la quantità.
Fanfani replicò che questo non impedisce di stabilire, nei contratti collettivi, particolari premi per i lavoratori più solerti e il parametro della quantità e qualità resta valido per misurare la retribuzione.
Durante la discussione generale il deputato comunista Bibolotti propose e difese tanto il principio del salario minimo quanto quello della durata massima della giornata lavorativa, ricordando le lotte dei lavoratori per conquistare la libertà dallo sfruttamento.
Ottenne l'approvazione della determinazione per legge dell'orario massimo della giornata lavorativa.
La formulazione del terzo comma, sul riposo settimanale e le ferie, fu ispirata da Lelio Basso e sostituì l'originaria "il diritto al riposo è garantito", ritenuta troppo asciutta e vuota di contenuto.

Il lavoro della donna - Articolo 37, primo comma

 La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione  

Nilde Iotti   Angelina Merlin

Il riconoscimento della piena eguaglianza alle donne, affermato come principio fondamentale nell'articolo 3 della Costituzione e attuato politicamente con l'introduzione del suffragio universale a partire dalle elezioni amministrative del 1946 e dal referendum del 2 giugno 1946, andava opportunamente confermato con il riconoscimento alle donne del diritto al lavoro.
Alcune deputate costituenti, tra le quali Nilde Iotti, sottolinearono come il diritto al lavoro rappresenti una condizione necessaria perché le donne possano raggiungere la piena emancipazione dall'inferiorità e dall'arretratezza sociale. Altre indicarono la via del progresso sociale proprio nella eliminazione delle barriere giuridiche che impediscono lo sviluppo della personalità femminile e la partecipazione delle donne alla vita economica, sociale e politica del Paese.
Tra le partecipanti alla discussione si ricordano anche Angelina Merlin e Teresa Mattei; esse e le costituenti tutte si batterono per garantire il ruolo femminile nella ricostruzione e nella crescita del Paese.
Nell'Assemblea Costituente il dibattito sull'articolo 37 riguardò inoltre i diritti particolari riservati alle lavoratrici madri, al fine di tutelare la maternità proclamata unanimemente "funzione essenziale" della donna. A questo scopo alcune deputate costituenti, tra le quali Maria Federici, auspicavano iniziative concrete come la realizzazione di sale di allattamento, nidi e asili per i piccoli nelle fabbriche.
(Nelle foto sopra, Nilde Iotti e Angelina Merlin)

donne
La Domenica del Corriere, 19 settembre 1948

Il lavoro dei minori - Articolo 37, secondo e terzo comma

 La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.
La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto a parità di retribuzione  

Bruno Corbi Il secondo e terzo comma dell'articolo 37 si devono a una proposta aggiuntiva del deputato Bruno Corbi (nella foto), comunista. Egli, criticando l'arretratezza della legislazione sociale italiana allora in vigore, che non assicurava alcuna tutela da uno sfruttamento in condizioni di lavoro durissime e pericolose, con retribuzioni inadeguate, proclamò la necessità di rendere giustizia ai giovani lavoratori.
Corbi attribuiva il grande problema dello sfruttamento del lavoro giovanile alle conseguenze del fascismo, ad un sistema sociale che andava cambiato nell'interesse di tutta la nazione.
Tuttavia l'indicazione del limite preciso dei 16 anni come età minima non fu accolta perché troppo rigida a fronte della varietà di tipi di lavoro. Fu proposto dal deputato Mario Cingolani di affidare al legislatore il compito di regolamentare secondo l'opportunità e il tipo di occupazione l'età minima di ingresso nel mondo del lavoro.