«Tra l'inverno 1943-44 e la fine degli anni Cinquanta, la comunità italiana dell'Istria,
di Fiume e della Dalmazia
si spopola: a partire dall'esodo da Zara, sino a quello dalla Zona B del Territorio libero di
Trieste,
centinaia di migliaia di cittadini italiani lasciano le loro terre d'origine, passate sotto la
sovranità jugoslava, e raggiungono
la penisola, spinti alla scelta da un complesso di ragioni psicologiche, politiche, sociali,
economiche, culturali.
La quantificazione è approssimativa, per mancanza di una contabilità coeva e di dati d'archivio
certi, ma si può ragionevolmente calcolare
che a partire siano state tra le 250.000 e le 300.000 persone (la grande maggioranza della
comunità giuliano-dalmata). [...]
In Italia, i profughi vengono ospitati in 109 centri di raccolta sparpagliati in tutte le
regioni: si tratta di caserme dismesse
con le camerate tramezzate da legno e cartoni per ricavarne stanze, di scuole e seminari dove
pesanti coperte di lana
separano lo spazio di una famiglia da quello di un'altra, di baraccopoli costruite nei campi
sportivi.
Qui, nella provvisorietà e nella promiscuità, i profughi non vivono per l'emergenza di qualche
mese, ma per periodi assai
più lunghi: prima di ritrovare la normalità di una casa e la prospettiva di un futuro, essi
aspettano cinque anni, sei, in molti casi
persino dieci. Alcuni, più fortunati, si avvalgono di relazioni familiari o amicali
precostituite e riescono a trovare
collocazioni lavorative adeguate e sistemazioni decorose; altri, di fronte alle difficoltà di
inserimento, scelgono
una nuova emigrazione e si trasferiscono in Australia o in America; la maggior parte, invece, si
aggiusta come può, tra lavori precari
e marginalizzazione, con il marchio del "campo" cucito sulla pelle. Storia di miserie e di
abbandoni, di violenza fisica
e di violenza politica, di malinconie e di amarezze. Ma anche storia di dignità morale: le
comunità
istriane e dalmate hanno saputo ancorarsi alla cultura d'origine, custodita come gelosa difesa
della propria
identità, e hanno così evitato la deriva, riuscendo alla fine a traghettare se stesse verso un
nuovo destino».