Giovanni Paolo II in una foto del 2002

San Giovanni Paolo II

2 aprile 2005 - 2 aprile 2025

Il 14 novembre 2002 senatori e deputati riuniti a Palazzo Montecitorio accolsero Papa Giovanni Paolo II per la prima visita di un Pontefice nella sede del Parlamento della Repubblica Italiana. Intervennero in Aula il Presidente del Senato Marcello Pera e il Presidente della Camera Pier Ferdinando Casini.
A vent'anni dalla scomparsa di San Giovanni Paolo II, Senato TV ha chiesto ai senatori Pera e Casini il ricordo di quella storica giornata e una testimonianza del loro rapporto con il Pontefice. Di seguito, le registrazioni delle due interviste.
Pubblichiamo anche in questa pagina il testo dei discorsi pronunciati a Montecitorio dall'allora Presidente del Senato Marcello Pera e da Papa Wojtyla (quest'ultimo ripreso dal sito del Vaticano).
Infine, dal resoconto stenografico della seduta del 5 aprile 2005, riproponiamo la commemorazione di Giovanni Paolo II, con gli interventi in Aula del Presidente Pera e del Ministro Rocco Buttiglione.

Intervista di Senato TV al sen. Marcello Pera

(1 aprile 2025)

Intervista di Senato TV al sen. Pier Ferdinando Casini

(1 aprile 2025)

Giovanni Paolo II a Montecitorio

Discorso pronunciato dal Presidente del Senato Marcello Pera in occasione della visita al Parlamento italiano di Papa Giovanni Paolo II

Roma
14 novembre 2002

Nel darLe il benvenuto a nome dell'istituzione che rappresento - il Senato della Repubblica Italiana - e mio personale, desidero esprimerLe la nostra gratitudine per l'opera infaticabile e così sofferta che continua a svolgere contro ogni forma di totalitarismo, violenza, sopraffazione e degrado morale, nel nome dei valori della Chiesa cattolica di cui Lei è Capo e missionario.

1. I valori cristiani e i diritti dell'uomo. Il primo dei valori cristiani è la dignità della persona. Se, come il Cristianesimo insegna, la Parola si è fatta carne, allora l'uomo e immagine di Dio e ha valore in sé, quale che sia la sua condizione. Da questo messaggio rivoluzionario - lo "scandalo e follia" di cui parla San Paolo - segue che l'uomo è fratello all'altro, e solidale con l'altro, ha compassione per l'altro, ha rispetto dell'altro.

Questi valori - di umanità, fraternità, solidarietà, carità, giustizia - i credenti li basano sulla Rivelazione, e i laici non credenti li giustificano invece con la ragione o la cultura. Ma gli uni e gli altri su questi stessi valori fondano oggi gli stessi diritti. Il diritto alla libertà, all'uguaglianza, alla tolleranza. Il diritto al rispetto e alla giustizia. Il diritto alla libera manifestazione del pensiero ed espressione di culto. Il diritto all'emancipazione da ogni stato di inferiorita.

Segue ...

Questi diritti sono sanciti dalle nostre Carte fondamentali, prima fra tutte quella che più ci è cara, la Costituzione della Repubblica italiana. In queste Carte, Dichiarazioni, Convenzioni, Proclamazioni, è contenuto il meglio che la civiltà, soprattutto quella dell'Occidente, ha dato di sé.

2. L'identità dell'Occidente. Noi abbiamo la consapevolezza che questa civiltà occidentale sia figlia della cultura greco-romana, che ci ha dato il concetto di polis e delle sue istituzioni, e della cultura giudaico-cristiana, che ci ha fornito il concetto di persona e del suo valore intrinseco. Come spiegare l'odierna democrazia senza il concetto greco della boule? Come spiegare la nostra società libera di uomini solidali senza il concetto cristiano di agape?

Sappiamo da quale storia di progresso, ma anche di controversie, dispute, lotte e anche guerre fra uomini di religioni diverse, questa civiltà dell'Occidente sia segnata. Sappiamo come sia difficile mantenere il rispetto e la tolleranza reciproca. Anziché essere fiero, ma non arrogante, di sé, l'Occidente dei diritti oggi rischia di perdere il senso della sua stessa eredita e identità proprio mentre, in Europa, ci apprestiamo a costruire una Unione politica.

Per questo - come ci ha ammonito la Veritatis splendor - anche noi non vorremmo che la nostra democrazia, alla quale siamo così legati, si alleasse con il relativismo etico, del quale invece temiamo le conseguenze. Come potremmo apprezzare, sostenere, difendere le nostre conquiste se ad esse fosse estraneo ogni concetto di verità o di approssimazione alla verità? Come potremmo, in un libero Parlamento come questo, confrontarci su provvedimenti che riteniamo giusti, equi, utili, se poi i giudizi di giustizia, equità, utilità li lasciassimo alla relatività di ogni metro? Non è cosi. Noi i provvedimenti che adottiamo li misuriamo con metri che trascendono i nostri interessi soggettivi e contingenti, il metro del "bene comune" e del rispetto della volontà popolare.

3. Autonomia della politica e laicità delle istituzioni. Quello stesso libero confronto che in questo Parlamento è garantito a tutti ci fa apprezzare anche i valori dell''autonomia della politica e della laicità delle istituzioni democratiche. Dare a Cesare ciò che Cesare - oggi, il popolo sovrano - ritiene opportuno gli sia dato dai suoi rappresentanti nella sfera della politica è la garanzia migliore per dare a Dio ciò che ciascuno ritiene doveroso dargli nella sfera della propria coscienza. Allo stesso modo, mantenere istituzioni che siano rispettose di tutti i valori di singoli o gruppi che in esse regolano la propria vita è la garanzia più forte per conservare la libertà dei loro credi ideologici, filosofici, religiosi.

Noi sappiamo che ciò che diamo a Cesare ha un limite in ciò che molti ritengono appartenere a Dio, così come sappiamo che nessuna istituzione può dirsi neutra rispetto ai valori sui quali essa stessa si fonda. Ma proprio per questo - per fare delle istituzioni un bene di tutti e per proteggere i credi di ciascuno - noi agiamo nel rispetto dei principi di autonomia e laicità. Anche questi principi li consideriamo eredità del Cristianesimo.

Grazie ancora, Santità, della Sua visita e delle parole che ci da l'opportunita di ascoltare.

Giovanni Paolo II a Montecitorio

Visita al Parlamento italiano

Discorso di Sua Santità Giovanni Paolo II

Roma
14 novembre 2002

Signor Presidente della Repubblica Italiana,
Onorevoli Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato,
Signor Presidente del Consiglio dei Ministri,
Onorevoli Deputati e Senatori!

1. Mi sento profondamente onorato per la solenne accoglienza che mi viene oggi tributata in questa sede prestigiosa, nella quale l'intero popolo italiano è da voi degnamente rappresentato. A tutti ed a ciascuno rivolgo il mio saluto deferente e cordiale, ben consapevole del forte significato della presenza del Successore di Pietro nel Parlamento Italiano.

Ringrazio il Signor Presidente della Camera dei Deputati ed il Signor Presidente del Senato della Repubblica per le nobili parole con cui hanno interpretato i comuni sentimenti, dando voce anche ai milioni di cittadini del cui affetto ho quotidiane attestazioni nelle molte occasioni in cui mi è dato di incontrarli. E' un affetto che mi ha accompagnato sempre, fin dai primi mesi della mia elezione alla sede di Pietro. Per esso voglio esprimere a tutti gli italiani, anche in questa circostanza, la mia viva gratitudine.

Segue ...

Già negli anni degli studi a Roma e poi nelle periodiche visite che facevo in Italia come Vescovo, specialmente durante il Concilio Ecumenico Vaticano II, è venuta crescendo nel mio animo l'ammirazione per un Paese in cui l'annuncio evangelico, qui giunto fin dai tempi apostolici, ha suscitato una civiltà ricca di valori universali ed una fioritura di mirabili opere d'arte, nelle quali i misteri della fede hanno trovato espressione in immagini di bellezza incomparabile. Quante volte ho toccato, per così dire, con mano le tracce gloriose che la religione cristiana ha impresso nel costume e nella cultura del popolo italiano, concretandosi anche in tante figure di Santi e di Sante il cui carisma ha esercitato un influsso straordinario sulle popolazioni d'Europa e del mondo. Basti pensare a San Francesco d'Assisi ed a Santa Caterina da Siena, Patroni d'Italia.

2. Davvero profondo è il legame esistente fra la Santa Sede e l'Italia! Ben sappiamo che esso è passato attraverso fasi e vicende tra loro assai diverse, non sfuggendo alle vicissitudini e alle contraddizioni della storia. Ma dobbiamo al tempo stesso riconoscere che, proprio nel susseguirsi a volte tumultuoso degli eventi, esso ha suscitato impulsi altamente positivi sia per la Chiesa di Roma, e quindi per la Chiesa Cattolica, sia per la diletta Nazione italiana.

A quest'opera di avvicinamento e di collaborazione, nel rispetto della reciproca indipendenza e autonomia, hanno molto contribuito i grandi Papi che l'Italia ha dato alla Chiesa ed al mondo nel secolo scorso: basti pensare a Pio XI, il Papa della Conciliazione, ed a Pio XII, il Papa della salvezza di Roma, e, più vicini a noi, ai Papi Giovanni XXIII e Paolo VI, dei quali io stesso, come Giovanni Paolo I, ho voluto assumere il nome.

3. Tentando di gettare uno sguardo sintetico sulla storia dei secoli trascorsi, potremmo dire che l'identità sociale e culturale dell'Italia e la missione di civiltà che essa ha adempiuto ed adempie in Europa e nel mondo ben difficilmente si potrebbero comprendere al di fuori di quella linfa vitale che è costituita dal cristianesimo.

Mi sia pertanto consentito di invitare rispettosamente voi, eletti Rappresentanti di questa Nazione, e con voi tutto il popolo italiano, a nutrire una convinta e meditata fiducia nel patrimonio di virtù e di valori trasmesso dagli avi. E' sulla base di una simile fiducia che si possono affrontare con lucidità i problemi, pur complessi e difficili, del momento presente, e spingere anzi audacemente lo sguardo verso il futuro, interrogandosi sul contributo che l'Italia può dare agli sviluppi della civiltà umana.

Alla luce della straordinaria esperienza giuridica maturata nel corso dei secoli a partire dalla Roma pagana, come non sentire l'impegno, ad esempio, di continuare ad offrire al mondo il fondamentale messaggio secondo cui, al centro di ogni giusto ordine civile, deve esservi il rispetto per l'uomo, per la sua dignità e per i suoi inalienabili diritti? A ragione già l'antico adagio sentenziava: Hominum causa omne ius constitutum est. E' implicita, in tale affermazione, la convinzione che esista una "verità sull'uomo", che si impone al di là delle barriere di lingue e culture diverse.

In questa prospettiva, parlando davanti all'Assemblea delle Nazioni Unite nel 50° anniversario di fondazione, ho ricordato che vi sono diritti umani universali, radicati nella natura della persona, nei quali si rispecchiano le esigenze oggettive di una legge morale universale. Ed aggiungevo: "Ben lungi dall'essere affermazioni astratte, questi diritti ci dicono anzi qualcosa di importante riguardo alla vita concreta di ogni uomo e di ogni gruppo sociale. Ci ricordano che non viviamo in un mondo irrazionale o privo di senso, ma che, al contrario, vi è una logica morale che illumina l'esistenza umana e rende possibile il dialogo tra gli uomini e tra i popoli" (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XVIII/2, 1995, p. 732).

4. Seguendo con attenzione amica il cammino di questa grande Nazione, sono indotto inoltre a ritenere che, per meglio esprimere le sue doti caratteristiche, essa abbia bisogno di incrementare la sua solidarietà e coesione interna. Per le ricchezze della sua lunga storia, come per la molteplicità e vivacità delle presenze e iniziative sociali, culturali ed economiche che variamente configurano le sue genti e il suo territorio, la realtà dell'Italia è certamente assai complessa e sarebbe impoverita e mortificata da forzate uniformità.

La via che consente di mantenere e valorizzare le differenze, senza che queste diventino motivi di contrapposizione ed ostacoli al comune progresso, è quella di una sincera e leale solidarietà. Essa ha profonde radici nell'animo e nei costumi del popolo italiano e attualmente si esprime, tra l'altro, in numerose e benemerite forme di volontariato. Ma di essa si avverte il bisogno anche nei rapporti tra le molteplici componenti sociali della popolazione e le diverse aree geografiche in cui essa è distribuita.

Voi stessi, come responsabili politici e rappresentanti delle Istituzioni, potete dare su questo terreno un esempio particolarmente importante ed efficace, tanto più significativo quanto più la dialettica dei rapporti politici spinge invece ad evidenziare i contrasti. La vostra attività, infatti, si qualifica in tutta la sua nobiltà nella misura in cui si rivela mossa da un autentico spirito di servizio ai cittadini.

5. Decisiva è, in questa prospettiva, la presenza nell'animo di ciascuno di una viva sensibilità per il bene comune. L'insegnamento del Concilio Vaticano II in materia è molto chiaro: "La comunità politica esiste (...) in funzione di quel bene comune nel quale essa trova significato e piena giustificazione e dal quale ricava il suo ordinamento giuridico, originario e proprio" (Gaudium et spes, 74).

Le sfide che stanno davanti ad uno Stato democratico esigono da tutti gli uomini e le donne di buona volontà, indipendentemente dall'opzione politica di ciascuno, una cooperazione solidale e generosa all'edificazione del bene comune della Nazione. Tale cooperazione, peraltro, non può prescindere dal riferimento ai fondamentali valori etici iscritti nella natura stessa dell'essere umano. Al riguardo, nella Lettera enciclica Veritatis splendor mettevo in guardia dal "rischio dell'alleanza fra democrazia e relativismo etico, che toglie alla convivenza civile ogni sicuro punto di riferimento morale e la priva, più radicalmente, del riconoscimento della verità" (n. 101). Infatti, se non esiste nessuna verità ultima che guidi e orienti l'azione politica, annotavo in un'altra Lettera enciclica, la Centesimus annus, "le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia" (n. 46).

6. Non posso sottacere, in una così solenne circostanza, un'altra grave minaccia che pesa sul futuro di questo Paese, condizionando già oggi la sua vita e le sue possibilità di sviluppo. Mi riferisco alla crisi delle nascite, al declino demografico e all'invecchiamento della popolazione. La cruda evidenza delle cifre costringe a prendere atto dei problemi umani, sociali ed economici che questa crisi inevitabilmente porrà all'Italia nei prossimi decenni, ma soprattutto stimola - anzi, oso dire, obbliga - i cittadini ad un impegno responsabile e convergente, per favorire una netta inversione di tendenza.

L'azione pastorale a favore della famiglia e dell'accoglienza della vita, e più in generale di un'esistenza aperta alla logica del dono di sé, sono il contributo che la Chiesa offre alla costruzione di una mentalità e di una cultura all'interno delle quali questa inversione di tendenza diventi possibile. Ma sono grandi anche gli spazi per un'iniziativa politica che, mantenendo fermo il riconoscimento dei diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, secondo il dettato della stessa Costituzione della Repubblica Italiana (cfr art. 29), renda socialmente ed economicamente meno onerose la generazione e l'educazione dei figli.

7. In un tempo di cambiamenti spesso radicali, nel quale sembrano diventare irrilevanti le esperienze del passato, aumenta la necessità di una solida formazione della persona. Anche questo, illustri Rappresentanti del popolo italiano, è un campo nel quale è richiesta la più ampia collaborazione, affinché le responsabilità primarie dei genitori trovino adeguati sostegni. La formazione intellettuale e l'educazione morale dei giovani rimangono le due vie fondamentali attraverso le quali, negli anni decisivi della crescita, ciascuno può mettere alla prova se stesso, allargare gli orizzonti della mente e prepararsi ad affrontare la realtà della vita.

L'uomo vive di un'esistenza autenticamente umana grazie alla cultura. E' mediante la cultura che l'uomo diventa più uomo, accede più intensamente all'"essere" che gli è proprio. E' chiaro, peraltro, all'occhio del saggio che l'uomo conta come uomo per ciò che è più che per ciò che ha. Il valore umano della persona è in diretta ed essenziale relazione con l'essere, non con l'avere. Proprio per questo una Nazione sollecita del proprio futuro favorisce lo sviluppo della scuola in un sano clima di libertà, e non lesina gli sforzi per migliorarne la qualità, in stretta connessione con le famiglie e con tutte le componenti sociali, così come del resto avviene nella maggior parte dei Paesi europei.

Non meno importante, per la formazione della persona, è poi il clima morale che predomina nei rapporti sociali e che attualmente trova una massiccia e condizionante espressione nei mezzi di comunicazione: è questa una sfida che chiama in causa ogni persona e famiglia, ma che interpella a titolo peculiare chi ha maggiori responsabilità politiche e istituzionali. La Chiesa, per parte sua, non si stancherà di svolgere, anche in questo campo, quella missione educativa che appartiene alla sua stessa natura.

8. Il carattere realmente umanistico di un corpo sociale si manifesta particolarmente nell'attenzione che esso riesce ad esprimere verso le sue membra più deboli. Guardando al cammino percorso dall'Italia in questi quasi sessant'anni dalle rovine della seconda guerra mondiale, non si possono non ammirare gli ingenti progressi compiuti verso una società nella quale siano assicurate a tutti accettabili condizioni di vita. Ma è altrettanto inevitabile riconoscere la tuttora grave crisi dell'occupazione soprattutto giovanile e le molte povertà, miserie ed emarginazioni, antiche e nuove, che affliggono numerose persone e famiglie italiane o immigrate in questo Paese. E' grande, quindi, il bisogno di una solidarietà spontanea e capillare, alla quale la Chiesa è con ogni impegno protesa a dare di cuore il proprio contributo.

Tale solidarietà, tuttavia, non può non contare soprattutto sulla costante sollecitudine delle pubbliche Istituzioni. In questa prospettiva, e senza compromettere la necessaria tutela della sicurezza dei cittadini, merita attenzione la situazione delle carceri, nelle quali i detenuti vivono spesso in condizioni di penoso sovraffollamento. Un segno di clemenza verso di loro mediante una riduzione della pena costituirebbe una chiara manifestazione di sensibilità, che non mancherebbe di stimolarne l'impegno di personale ricupero in vista di un positivo reinserimento nella società.

9. Un'Italia fiduciosa di sé e internamente coesa costituisce una grande ricchezza per le altre Nazioni d'Europa e del mondo. Desidero condividere con voi questa convinzione nel momento in cui si stanno definendo i profili istituzionali dell'Unione Europea e sembra ormai alle porte il suo allargamento a molti Paesi dell'Europa centro-orientale, quasi a suggellare il superamento di una innaturale divisione. Coltivo la fiducia che, anche per merito dell'Italia, alle nuove fondamenta della "casa comune" europea non manchi il "cemento" di quella straordinaria eredità religiosa, culturale e civile che ha reso grande l'Europa nei secoli.

E' quindi necessario stare in guardia da una visione del Continente che ne consideri soltanto gli aspetti economici e politici o che indulga in modo acritico a modelli di vita ispirati ad un consumismo indifferente ai valori dello spirito. Se si vuole dare durevole stabilità alla nuova unità europea, è necessario impegnarsi perché essa poggi su quei fondamenti etici che ne furono un tempo alla base, facendo al tempo stesso spazio alla ricchezza e alla diversità delle culture e delle tradizioni che caratterizzano le singole nazioni. Vorrei anche in questo nobile Consesso rinnovare l'appello che in questi anni ho rivolto ai vari Popoli del Continente: "Europa, all'inizio di un nuovo millennio, apri ancora le tue porte a Cristo!".

10. Il nuovo secolo da poco iniziato porta con sé un crescente bisogno di concordia, di solidarietà e di pace tra le Nazioni: è questa infatti l'esigenza ineludibile di un mondo sempre più interdipendente e tenuto insieme da una rete globale di scambi e di comunicazioni, in cui tuttavia spaventose disuguaglianze continuano a sussistere. Purtroppo le speranze di pace sono brutalmente contraddette dall'inasprirsi di cronici conflitti, a cominciare da quello che insanguina la Terra Santa. A ciò s'aggiunge il terrorismo internazionale con la nuova e terribile dimensione che ha assunto, chiamando in causa in maniera totalmente distorta anche le grandi religioni. Proprio in una tale situazione le religioni sono invece stimolate a far emergere tutto il loro potenziale di pace, orientando e quasi "convertendo" verso la reciproca comprensione le culture e le civiltà che da esse traggono ispirazione.

Per questa grande impresa, dai cui esiti dipenderanno nei prossimi decenni le sorti del genere umano, il cristianesimo ha un'attitudine e una responsabilità del tutto peculiari: annunciando il Dio dell'amore, esso si propone come la religione del reciproco rispetto, del perdono e della riconciliazione. L'Italia e le altre Nazioni che hanno la loro matrice storica nella fede cristiana sono quasi intrinsecamente preparate ad aprire all'umanità nuovi cammini di pace, non ignorando la pericolosità delle minacce attuali, ma nemmeno lasciandosi imprigionare da una logica di scontro che sarebbe senza soluzioni.

Illustri Rappresentanti del Popolo italiano, dal mio cuore sgorga spontanea una preghiera: da questa antichissima e gloriosa Città - da questa "Roma onde Cristo è Romano", secondo la ben nota definizione di Dante (Purg. 32, 102) -chiedo al Redentore dell'uomo di far sì che l'amata Nazione italiana possa continuare, nel presente e nel futuro, a vivere secondo la sua luminosa tradizione, sapendo ricavare da essa nuovi e abbondanti frutti di civiltà, per il progresso materiale e spirituale del mondo intero.

Dio benedica l'Italia!

Giovanni Paolo II a Montecitorio

SENATO DELLA REPUBBLICA
Dal resoconto stenografico della seduta n. 772 del 5 aprile 2005

Commemorazione di Papa Giovanni Paolo II

PRESIDENTE. (Si leva in piedi e con lui tutta l'Assemblea). Onorevoli colleghi, signori Ministri, rappresentanti del Governo, Giovanni Paolo II è stato definito e acclamato come "II Grande". Grande certamente per la durata del suo pontificato, che ha abbracciato 27 anni ed è stato il terzo per lunghezza nella storia della Chiesa. Ma grande per la dottrina da egli sempre fermamente affermata. Grande per il coraggio nello sfidare anche le situazioni più difficili o gli eventi più ostili. E grande soprattutto per l'impronta indelebile che egli ha lasciato nella storia, nel cammino della Chiesa, nella coscienza di oltre un miliardo di cattolici e di milioni e milioni di uomini, soprattutto giovani quali si vedono oggi a folle sfilare davanti alla sua salma.

Data questa grandezza è impossibile condensare la figura di Giovanni Paolo II in una sola cifra. In tutta la sua azione credo che ne emergano tre in particolare, non necessariamente in successione e non necessariamente in armonia tra di loro, ma certamente tutte con il segno della profondità.

La prima cifra è quella che è data dalla percezione più evidente che si ha di lui. Giovanni Paolo II è stato il "Papa della missione". Documentano questo impegno più di cento viaggi intercontinentali, dai Paesi dei grattacieli a quelli delle spelonche, dalle metropoli ai deserti, dai luoghi dell'opulenza alle lande poco abitate e più desolate, ovunque vi fosse un uomo da avvicinare, esortare, invitare. Andare ad gentes come un apostolo è stato per lui un dovere evangelico, così come lo è stato quel calvario pubblico cui non ha voluto sottrarsi, ma che al contrario ha accettato e offerto all'umanità con la consapevolezza cristiana che la sofferenza nella vita prepara all'ingresso nel Regno. Niente di simile si era mai visto prima.

Segue ...

Giovanni Paolo II è stato poi il Papa della riconciliazione. Riconciliazione con i cristiani, anglicani e ortodossi, con l'unico sogno rimasto incompiuto dell'abbraccio con la cristianità russa. Riconciliazione con il popolo ebraico, dalla sua visita alla Sinagoga di Roma, quel 13 aprile 1986, la prima volta che un Pontefice mettesse piede in un luogo di culto ebraico, e poi, nel maggio del 2000, con il tributo allo Yad Vashem, il Museo dell'Olocausto di Gerusalemme, e al Muro del Pianto, dove Wojtyla stupì il mondo inserendo una preghiera tra le fessure di quelle storiche pietre dove è tradizione per gli ebrei devoti fare altrettanto. Riconciliazione con quei popoli, in particolare dell'Africa nera, per la predicazione talvolta aggressiva e irrispettosa della dignità umana mostrata dalla Chiesa in altre epoche. Riconciliazione con lo spirito scientifico, per superare la più grande divisione intellettuale, spirituale e morale mai accaduta in Occidente, quella che si verificò con il processo a Galileo. Giovanni Paolo II è stato, infine, il "Papa della rivoluzione". La prima rivoluzione è stata la sua stessa elezione. Karol Wojtyla ne era consapevole e - sempre attento a scrutare i segni oltre le coincidenze, come si vide dall'interpretazione mariana del suo attentato - volle attribuire valore teologico e storico a quella sua provenienza "da un Paese lontano", a cui nell'affacciarsi al balcone di San Pietro quella sera del 16 ottobre 1978 fece un richiamo in apparenza solo spiritoso e accattivante.

In quell'epoca, la cortina di ferro era una realtà che sembrava impossibile potesse scomparire. Wojtyla, il primo Papa non italiano dopo quattro secoli, veniva da lì, dalla Polonia che era uno dei cuori del cattolicesimo europeo: un cuore che, a dispetto di decenni di comunismo, durante il suo storico viaggio nella sua terra d'origine, nel 1979, si scoprì ancora straordinariamente pulsante. Da quel momento, la lotta contro il totalitarismo e il comunismo ateo del regime sovietico ha costituito il primo impegno del suo pontificato. Il 1989, la caduta del Muro di Berlino e due anni dopo il crollo dell'impero sovietico hanno rappresentato il trionfo di un ideale di libertà e di spiritualità che ha avuto in lui un testimone infaticabile.

Ma quella vittoria ha aperto, per Giovanni Paolo II, un altro fronte, non meno importante e non meno sentito, in cui anzi egli ha profuso energie enormi e che ha fatto oggetto di continui richiami pastorali e dottrinali. Si tratta del timore, per lui piuttosto una consapevolezza, che dopo la fine del comunismo, nei Paesi del capitalismo vincente potesse nascere un connubio tra la democrazia e il relativismo culturale, frutto della società consumistica e materialista. Nell'analisi largamente profetica di Giovanni Paolo II, questa alleanza avrebbe prodotto una tragica perdita di identità a causa della secolarizzazione e della scomparsa della dimensione religiosa dalla coscienza degli individui e dai comportamenti collettivi delle società civili.

Nella sua più impegnata Enciclica sociale, la Centesimus annus del 1° maggio 1991, è chiarissimo che la miscela della libertà senza verità apparve a Papa Wojtyla esplosiva e fatale. Da questa consapevolezza nacque o si acuì in lui una diffidenza tenace verso la modernità, la sua pressione, le sue esigenze, i suoi meccanismi e automatismi secolaristici. E questa diffidenza rafforzò in lui il rigetto deciso dei compromessi che la modernità richiede o impone al credente, soprattutto a quel credente che aveva pensato di accettare la logica della modernità, così come avevano inteso fare il Concilio Vaticano II e, dopo il Concilio, molta parte di quel clero e di quei credenti che reclamavano una Chiesa più democratica, più liberale, più in sintonia con i tempi.

Ma la sintonia con i tempi moderni non era sirena che attraesse Giovanni Paolo II. Al pericolo relativista egli oppose il cristianesimo come pensiero forte, la verità come antidoto allo scetticismo, la fede come difesa dal nichilismo, così come mostrano due documenti che non poco divisero le coscienze e non poco procurarono al Papa l'accusa di dogmatismo o conservatorismo o restaurazione pre-conciliare. Uno è l'Enciclica Redemptoris missio del 7 dicembre 1990, in cui si parla di «Gesù Cristo unico salvatore», l'altro è la Dichiarazione Dominus Iesus del 6 agosto 2000, in cui si dichiara «contraria alla fede della Chiesa la tesi circa il carattere limitato, incompleto e imperfetto della rivelazione di Gesù Cristo».

Sempre dal timore dell'alleanza fra democrazia e relativismo discesero le posizioni intransigenti di Papa Wojtyla su due questioni fondamentali. La prima questione è quella dell'identità, in particolare l'identità europea, che Giovanni Paolo II non smise mai di ricondurre alle sue radici cristiane e per il cui riconoscimento, anche formale, in seno alla nuova costituzione dell'Europa egli si batté senza arretramenti.

Di fronte all'Europa dei mercati e dei diritti, egli rivendicò l'Europa dei valori e dello spirito, quella degli apostoli Pietro e Paolo, e dei santi e martiri Cirillo e Metodio, che nell'Est del continente svolsero la medesima opera di cristianizzazione che i primi portarono a Ovest. Era l'Europa dei "due polmoni", l'Europa spiritualmente unificata e non solo politicamente allargata.

La seconda questione è quella del riconoscimento della dignità della persona in qualunque manifestazione e fase di esistenza, da cui nacque la sua condanna ferma e senza tentennamenti di ogni forma di mancanza di rispetto dell'uomo, dall'aborto all'eutanasia, dalla contraccezione alla fecondazione artificiale, dalle sperimentazioni genetiche alle ricerche sugli embrioni. Giovanni Paolo II, quello stesso che aveva chiesto "scusa" per gli errori della Chiesa nel caso Galileo, ma che mai aveva abbracciato il principio scientista della completa autonomia della ricerca scientifica, rifiutò l'idea e la pratica dell'illimitatezza dei confini della bioetica, che invece deve arrestarsi laddove si scontri con il rispetto della vita e della dignità dell'uomo.

La battaglia contro il relativismo culturale segna anche un momento di tensione o di ripensamento nell'opera di Giovanni Paolo II. Egli era stato l'iniziatore del progetto di dialogo interreligioso, il cui scopo era riunire sotto la comune bandiera della spiritualità le tre grandi religioni monoteistiche per esaltarne i punti di contatto e rafforzarne la missione. Ma proprio questo dialogo, per la sua stessa logica, rischiava di incorrere nel relativismo culturale.

Il problema, per Giovanni Paolo II come per tutti noi, è noto e terribilmente intricato. Il dialogo parte dal presupposto che la verità dell'uno può essere scambiata o corretta con la verità dell'altro. Perciò il dialogo rifiuta l'assolutezza e ammette la reciprocità delle posizioni. Ma, allora, se si pratica il dialogo, come può Cristo essere detto la sola, unica verità e dunque la verità assoluta? E di converso, se Cristo è la sola verità, su quali basi, oltre quelle del rispetto personale degli interlocutori, è possibile il dialogo?

Proprio nel mezzo del relativismo dilagante, Giovanni Paolo II si trovò di fronte a questo angosciante dilemma per ogni credente. Non poteva rifiutare il dialogo interreligioso, che fu parte della sua concezione e azione, e non poteva correre il rischio che questo dialogo scuotesse le fondamenta della fede cristiana.

La lotta contro il relativismo culturale ha segnato un'altra tensione nell'opera di Giovanni Paolo II soprattutto negli ultimi anni, quando i cambiamenti globali si sono accelerati drammaticamente e nella storia si è di nuovo profilato il male di un nuovo totalitarismo, quello del fondamentalismo di matrice islamica responsabile dell'11 settembre. Di fronte a questo tragico evento e alle sue conseguenze, papa Wojtyla scelse la posizione forte di schierarsi sul fronte della pace e anche del pacifismo, contro la guerra e recisamente contro l'ipotesi di uno scontro di civiltà. Una tensione anche questa, perché per affermare il bene e portare la pace è necessario a volte lottare contro il male, come Giovanni Paolo II sapeva in prima persona, lui figlio di una terra martire, vittima continua di aggressioni e oppressioni, ultime quella nazista e quella comunista.

Ho parlato di tensioni, altri hanno detto di contraddizioni e hanno assunto posizioni critiche, anche duramente critiche di fronte a quelle che sono sembrate le "chiusure" di Giovanni Paolo II.

Ma per chi comprenda il senso della fede questa critica è decisamente fuori luogo. La contraddizione è lo spirito del Vangelo, è l'essenza del Cristianesimo, che sta nel mondo per dare al mondo un senso che è fuori dal mondo, che vive la condizione storica per redimerla e non per accomodarvisi o adagiarvisi.

I problemi teologici e pastorali provocati da queste tensioni sono sempre essenziali e mai eludibili e saranno il patrimonio e la sfida di chi succederà a Giovanni Paolo II. Con la storia che si è rimessa in moto, il male che ritorna e una nuova esigenza di identità religiosa che preme, a costui occorrerà visione salda e chiara, fermezza e dolcezza, tenacia e apertura. Quelle stesse doti di cui Papa Wojtyla è stato instancabile testimone nei suoi 27 anni di pontificato.

Ha chiesto di intervenire, a nome del Governo, il ministro Buttiglione. Ne ha facoltà.

BUTTIGLIONE, ministro per le politiche comunitarie. Signor Presidente, onorevoli senatori, ha scritto una volta Karol Wojtyla: "La redenzione cercava la tua forma per entrare nella inquietudine di ogni uomo". Credo che queste parole ci offrano una possibilità autentica di entrare nella personalità di Giovanni Paolo II. Prima di riflettere sulle cose grandi che egli ha compiuto, entrando di forza tra i protagonisti del secolo passato e anche di quello che adesso si è aperto, credo valga la pena di analizzare e domandarci come questo sia stato possibile e come il protagonista di questa straordinaria vicenda umana l'abbia vissuta e l'abbia giudicata.

Giovanni Paolo II amava andare alla radice delle cose per capire il loro svolgimento, e queste parole ci introducono alla sua radice. Sono, queste, le parole di un cattolico polacco, nato a Wadowice, dove un quarto della popolazione era ebrea e quasi per intero fu consumata nell'Olocausto e dove elementi della tradizione sapienziale Khassidim entravano nella cultura popolare e si mescolavano con essa. È proprio di quel pensiero l'idea che il Messia sosti sulla soglia del tempo, pronto in ogni momento a varcarla; forse l'idea di una sosta soltanto alla soglia del tempo non è adeguata; forse in ogni momento il Messia questa soglia del tempo la varca e si rende presente per essere respinto, o forse accolto, nella vita di ogni uomo.

Nella nostra cultura occidentale qualcosa di questa attesa messianica è entrato attraverso l'opera di Walter Benjamin. Esiste un livello della storia più profondo di quello degli avvenimenti politici e militari in cui si decide in ogni momento del destino dell'uomo; la decisione avviene attraverso il lavoro e l'amore. In ogni momento è possibile varcare la soglia della speranza ed entrare nel tempo messianico. Per questo ogni attimo del tempo è carico di una straordinaria responsabilità.

La redenzione, il tempo messianico, attende sulla soglia dell'inquietudine della vita di ogni uomo e ognuno di noi è responsabile di offrire al Messia la propria forma, la forma della propria vita, perché il Messia possa entrare nell'inquietudine della vita dell'altro uomo, di ogni altro uomo.

Questa fede cristiana, vissuta in una originaria prossimità e consonanza con quella del popolo ebraico, è la chiave di volta per comprendere la personalità e l'opera di Karol Wojtyla. Egli ha offerto alla redenzione la forma della sua vita, per portarla dentro l'inquietudine di ogni uomo. Credo sia per questo che egli ha interpellato la vita di tanti di noi, cristiani e uomini religiosi di fedi diverse, credenti e non credenti; ha offerto la prospettiva e la speranza di un riposo per l'inquietudine di ogni uomo.

Se ogni uomo è la porta attraverso la quale la redenzione può entrare nella storia del mondo, allora la vita di ogni uomo è straordinariamente importante, ha un valore infinito e merita di essere voluta per se stessa, sollecita, in risposta alla propria presenza, quell'atteggiamento che il linguaggio comune chiama amore.

I greci - ha scritto una volta Giorgio Guglielmo Federico Hegel - sapevano che alcuni uomini potevano elevarsi, attraverso l'esercizio della virtù, fino alla sfera del divino: diventare liberi. Wojtyla era convinto, invece, che tutti gli uomini fossero destinati ad essere liberati per l'irrompere del tempo messianico nelle loro vite: non l'uomo scritto con la lettera maiuscola, ma ogni singolo uomo.

Per lui non esistevano vite banali, poco interessanti, poco significative, vite che possono essere lasciate consumare senza rimorso dall'evolversi della storia. Di qui il suo impegno per gli ultimi, per i carcerati, per i dannati della terra; di qui la sua amicizia per Madre Teresa di Calcutta e la sua difesa del diritto alla vita fin dal concepimento, che tante critiche gli ha attirato nel corso del pontificato.

È da questo nocciolo che dobbiamo partire se vogliamo comprendere anche l'operatività storica di questo pontificato.

L'opera di Giovanni Paolo II nel crollo del comunismo è nota ed io non voglio soffermarmi su di essa. Alcuni hanno scritto che il comunismo sarebbe crollato comunque perché del tutto inefficiente dal punto di vista economico e marcio dal punto di vista spirituale. Può darsi che questo sia vero, benché non fosse certo questo il modo in cui si vedevano le cose in Italia ancora alla fine degli anni Settanta, quando l'Unione Sovietica sembrava avviata verso l'egemonia mondiale e il marxismo godeva uno straordinario prestigio culturale nell'Occidente, tanto da legittimare l'uso del concetto gramsciano di egemonia.

In ogni caso, ciò che più ci importa e su cui vogliamo portare l'attenzione non è il fatto del crollo del comunismo, ma il modo in cui esso è avvenuto. L'impero più grande e più forte, più armato e più dotato di strumenti di repressione che sia apparso nella storia dell'umanità viene abbattuto, senza violenza e senza sangue, non da una forza materiale più grande, ma da un appello disarmato alla coscienza e da un'opposizione intellettuale e morale.

Avremmo potuto avere una Bosnia Erzegovina moltiplicata per cento, un mare di sangue e di fuoco dal Mar Baltico all'Adriatico e forse la Terza guerra mondiale. Giovanni Paolo II ha tenuto il movimento di liberazione nazionale polacco Solidarnosc sul terreno della lotta non violenta, anche davanti alle provocazioni più dure. L'appello alla coscienza degli oppressori ha allora trovato sul suo cammino un uomo, Mikhail Gorbachev, che quell'appello ha saputo comprendere, un comunista dotato di coscienza morale che ha saputo anche lui, a suo modo, offrire alla redenzione la sua forma per entrare nell'inquietudine degli uomini.

Meno ricordato e forse meno noto è il ruolo di Giovanni Paolo II nella transizione dell'intera America Latina e di parti dell'Asia da forme di dittatura, per lo più semifascista, cosiddetta di seguridad nacional o di segurança nacional, a forme di democrazia. Prima ancora di visitare la sua Polonia, nel giugno 1979, il Papa era volato a Puebla, in Messico, nel gennaio dello stesso anno, per lanciare due messaggi convergenti: che il marxismo non era la via della liberazione dell'America Latina e che l'America Latina aveva bisogno di una liberazione e anche di una rivoluzione: la rivoluzione democratica e la liberazione dei diritti umani.

Un grande movimento per la liberazione della persona umana si è sviluppato nell'ultimo quarto del secolo XX. Esso è spesso ispirato all'insegnamento di Giovanni Paolo II e ha sempre visto i cristiani in prima fila nella lotta per la libertà. Vi è un'immagine che riassume simbolicamente questo sviluppo storico: è quella delle suorine di Manila che recitano il rosario davanti ai carri armati inviati a reprimere le manifestazioni popolari per la libertà. I soldati non ebbero il coraggio di schiacciare le suore, tornarono nelle loro caserme e si aprì il percorso verso libere elezioni.

Il Papa, che ha abbattuto il comunismo e che nell'Enciclica "Centesimus Annus" ha lasciato un'analisi penetrante dei valori dell'imprenditorialità e del libero mercato, non è però stato avaro di critiche verso le nostre democrazie occidentali. Non esiste nessun sistema economico, nemmeno quello di libero mercato, che ci liberi dalla nostra responsabilità etica nel campo dell'economia. E' sempre possibile che le ragioni ed i diritti dell'uomo entrino in contraddizione con i meccanismi di funzionamento del sistema. E' in questo caso compito della politica impedire che l'uomo venga stritolato dai meccanismi del sistema.

Non siamo riusciti a costruire un nuovo ordine internazionale più affidabile e più umano, capace di far fronte alle crisi con strumenti diversi dalla guerra. E' la seconda grande critica che il Papa ci ha rivolto. Il Papa certamente non chiede una politica di rassegnazione davanti alla prepotenza e alla oppressione nei rapporti internazionali. Lui stesso, anzi, ha teorizzato il diritto-dovere di intervento umanitario. E tuttavia, pur appoggiando gli sforzi per ristabilire l'ordine internazionale violato, non ha mai cessato di chiedere: non siete capaci di trovare un altro percorso, diverso dalla guerra? Non averlo trovato, non riuscire a trovarlo è il dolore e anche il fallimento della politica nel nostro tempo.

Il Papa rimprovera, infine, alla nostra democrazia occidentale il suo relativismo etico. Molti pensano che chi ha forti convinzioni morali non possa essere un buon democratico perché potrebbe cedere alla tentazione di imporre tali convinzioni agli altri. Il Papa pensa invece che chi non ha forti convinzioni morali non ha freni che lo trattengano dal cedere alla corruzione e al privilegiare gli interessi individuali e di parte sul bene comune.

La garanzia per il rispetto del diritto dell'altro a pensare e ad agire in modo diverso da quello che io vorrei Giovanni Paolo II la cercava piuttosto nel rispetto della dignità trascendente della persona umana: l'altro, in un dialogo diretto con la redenzione, che vuole assumere la sua forma. Questo può avvenire solo attraverso il consenso della sua libertà; per questo tale libertà deve essere rispettata sempre, anche quando sbaglia.

Vi è, infine, la grande questione delle radici cristiane dell'Europa. Come andrà l'Europa al confronto con le altre grandi civilizzazioni nell'epoca della globalizzazione? Il Papa ha fatto di tutto per evitare che i conflitti politici del nostro tempo diventassero guerre di civiltà o, peggio, guerre di religione. E' stato il primo Papa nella storia a chiedere l'intervento umanitario delle Nazioni Unite e della NATO per difendere popolazioni musulmane ingiustamente aggredite e minacciate di sterminio dai loro vicini cristiani. E' però anche il Papa che ci ricorda che la nostra memoria storica è la radice della nostra identità. Esistono cose che nella nostra storia abbiamo riconosciuto come vere e che non possiamo sacrificare sull'altare del relativismo culturale, senza rischiare di scomparire dalla storia.

Sull'ultima lotta ingaggiata dal Papa, quella per la conversione dell'Occidente, i giudizi giustamente sono divisi. Ciascuno legittimamente ne fa propri e ne propaganda alcuni, mentre ne ignora o ne combatte altri; e tuttavia, lasciate che vi dica che molte cose che oggi sono universalmente accettate erano, però, altrettanto universalmente combattute o, peggio, compatite venticinque anni fa, quando il Papa le ha enunciate all'inizio.

Chi può dire se un giorno il richiamo al rinnovamento morale dell'Occidente non risulterà essere altrettanto profetico quanto lo è stato il richiamo ai diritti dell'uomo, venticinque anni fa, contro le dittature di destra e di sinistra?

Ricordiamo, infine, che il Papa che si è spento è stato un grande amico dell'Italia, che ci ha aiutati ad amare il nostro Paese e ad essere orgogliosi di essere italiani.

Mentre lamentiamo la sua scomparsa, ringraziamo per il dono di averlo incontrato sul nostro cammino.

PRESIDENTE. Invito i colleghi ad osservare un minuto di silenzio. (L'Assemblea osserva un minuto di silenzio). Grazie, colleghi. (Applausi).