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Gli Inimitabili
Giuseppe Mazzini
Il 19 giugno 2024 il cortile di Sant'Ivo alla Sapienza ha ospitato lo spettacolo teatrale "Gli Inimitabili: Giuseppe Mazzini" di Edoardo Sylos Labini. Prima dello spettacolo, è intervenuto il Presidente del Senato Ignazio La Russa per un indirizzo di saluto e un ringraziamento agli artisti

Giuseppe Mazzini

Nel 2011, in occasione dei 150 anni dello Stato Italiano, il Senato della Repubblica ha dedicato una pubblicazione ai "Padri Fondatori" (a cura di Giuseppe Talamo, Gangemi Editore). Quello che segue è un profilo biografico di Giuseppe Mazzini, tratto dal volume.

Secondo il celebre motto Dio e popolo, per Mazzini l'individuo può ritrovare se stesso e conformarsi alla volontà divina solo fondendosi liberamente nel popolo e nella comunità universale degli uomini

Giuseppe Mazzini

Giuseppe Mazzini nacque a Genova nel 1805 da Giacomo, medico e professore di anatomia, già membro del governo della repubblica ligure del 1797, e da Maria Drago, appartenente ad un'agiata famiglia borghese.
Educato in famiglia secondo rigidi principi morali di stampo giansenista, proseguì gli studi fino al conseguimento della laurea in legge nel 1827.
Affiliatosi alla Carboneria nel 1830 subì il primo arresto e l'anno dopo fu costretto all'esilio.
Nel 1832 a Marsiglia diede vita al movimento della Giovine Italia, associazione che intendeva superare le ambiguità e le contraddizioni delle precedenti società segrete tramite un programma politico-ideologico chiaro e preciso. La diffusione e la propaganda delle idee mazziniane era poi affidata ad un giornale anch'esso denominato Giovine Italia.

Nel 1834, il fallimento di un progettato moto insurrezionale in Savoia convinse Mazzini della necessità di allargare il suo campo d'azione, fondò così a Berna la Giovine Europa, con il compito di promuovere la coscienza nazionale e democratica su tutto il continente.
Nel 1837 si trasferì a Londra dove accentuò il suo interesse per le classi lavoratrici, rinforzando l'attività della Giovine Italia e fondando l'Unione degli operai.
Contrario ai tentativi insurrezionali attuati dai suoi seguaci in Romagna e dai fratelli Bandiera nel 1844, Mazzini prese invece direttamente parte alle rivoluzioni del 1848 come membro dell'assemblea costituente e poi triumviro, assieme ad Aurelio Saffi e Carlo Armellini, della Repubblica romana.

Costretto nuovamente a riparare in Svizzera dopo la caduta di Roma, si impegnò a riattivare le organizzazioni repubblicane. Nei decenni successivi, dopo i ripetuti fallimenti dei moti d'ispirazione mazziniana e quando infine prevalse la linea monarchico-liberale con l'unità italiana compiuta nel segno dei Savoia, Mazzini cercò comunque di promuovere e valorizzare per quanto possibile l'iniziativa popolare.

Costretto all'esilio anche dal nuovo Stato, visse a Londra per rientrare clandestinamente a Genova solo all'inizio del 1872, si trasferì poi a Pisa dove si spense il 10 marzo.

La dottrina mazziniana si fonda su un'intuizione profondamente spiritualistica della vita, lo spirito domina e fonde assieme nella sua unità quello che materialmente appare frammentario e diviso. Da qui il rifiuto dell'individualismo e la continua tensione verso una ideale fratellanza e concordia fra gli uomini, i popoli e le nazioni.
Secondo il celebre motto Dio e popolo per Mazzini l'individuo può ritrovare se stesso e conformarsi alla volontà divina solo fondendosi liberamente nel popolo e nella comunità universale degli uomini.
Allo stesso modo nel sentire mazziniano, il pensiero, l'elaborazione teorica del singolo acquista valore solo quando si traduce in azione concreta, movimento popolare e collettivo. Da qui la grande importanza attribuita alla propaganda e soprattutto all'educazione dei giovani, al fine di diffondere i principi e le idee di libertà ai più ampi strati di popolazione. Per Mazzini solo attraverso una consapevole azione rivoluzionaria popolare si sarebbe raggiunto l'obiettivo di un'Italia indipendente, unita e repubblicana.

Presentazione dello spettacolo "Gli Inimitabili: Giuseppe Mazzini"

Il 18 giugno 2024 la Sala Nassirya di Palazzo Madama ha ospitato la conferenza stampa di presentazione dello spettacolo teatrale "Gli Inimitabili: Giuseppe Mazzini" di Edoardo Sylos Labini, in programma mercoledì 19 giugno nel cortile di Sant'Ivo alla Sapienza. Sono intervenuti il Presidente del Senato, Ignazio La Russa, Sylos Labini e il direttore generale del Teatro della Toscana Marco Giorgetti.

Cento anni dalla nascita, l'omaggio dell'Illustrazione Italiana

In occasione dei cento anni dalla nascita, l'Illustrazione Italiana del 18 giugno 1905 rese omaggio a Giuseppe Mazzini dedicandogli la prima pagina, articoli e illustrazioni. Di seguito, alcuni brani dall'articolo principale. Cliccando qui e sull'immagine della copertina è possibile visualizzare la versione pdf delle 6 pagine dedicate a Mazzini (29 MB).
(Dalle raccolte della Biblioteca del Senato)

Giovedì, 22 giugno, festa del Corpus Domini, ricorre la festa centenaria di Giuseppe Mazzini, nato il 22 giugno 1805 a Genova, ed ivi ora commemorato con quell'adorazione che i Liguri portano al Grande risvegliatore dell'idea italiana, a quel degno concittadino di Cristoforo Colombo.
Ma non solo a Genova: dall'un capo all'altro della Penisola, Giuseppe Mazzini è ricordato con riconoscenza filiale, con venerazione, da tutti coloro che serbano il culto delle grandi memorie, e una scintilla di amor patrio. Fino a ieri, il nome del Mazzini fu "segnacolo in vessillo" - fu bandiera di partito, di setta. Oggi, non esiste più partito, più setta mazziniana. I pochi mazziniani, rimasti fedeli al Maestro, portano il lutto d'un dio morto, ma non ne continuano l'agitazione. Essi si uniscono a tutti gli ammiratori dell'uomo singolare nell'onorarne l'imperitura memoria.

Giuseppe Mazzini, emerso dai nembi dell'azione, risplende nella storia di una luce più intensa, più viva e più pura

Giuseppe Mazzini, emerso dai nembi dell'azione, risplende nella storia di una luce più intensa, più viva e più pura. Egli grandeggia sul sereno di quel cielo, in cui, incrollabile credente, vedeva Dio; grandeggia sulle generazioni, in cui, democratico tenerissimo, mirava al popolo. Nelle regie scuole, il nome del Mazzini non è più quello d' un ribelle da fuggirsi; è quello d'uno dei Santi Padri della redenzione italiana da venerare; è uno dei più integri e vigorosi moralisti, che additano la via del dovere e del sacrificio. Oggi più che mai, oggi in cui è tutto un affannarsi per conquistare la ricchezza materiale, Giuseppe Mazzini ritorna maestro - e quale maestro! - delle ricchezze ideali del cuore, che s'immola a un principio; della mente che idoleggia ogni bontà, ogni forza magnanima.
L'azione del Mazzini fu tutta di preparazione, fu semente; fu tutta un apostolato di orditure di rivolte e di parola eccitatrice; quelle furono disfatte dagli eventi imperiosi; rimane la parola.
Nessuno quanto il Mazzini usò con magica efficacia la parola, questa forza alata, a cui Ugo Foscolo scioglieva un inno nella sua prolusione letta all'Università di Pavia; e i numerosi scritti del Mazzini, che si vanno raccogliendo e pubblicando ogni giorno con tanto amore, recano il corrusco sigillo di quel prosatore originale, che sarebbe già un grande scrittore se non fosse il risvegliatore d'un popolo addormentato, un eccelso apostolo della libertà dei popoli.

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Il creatore della Giovane Italia pensò ad altre simili sètte generose a favore della libertà d'altri popoli ; onde il suo nome esce dai confini della patria, per unirsi con quelli di tutte le altre patrie anelanti al libero reggimento e alla grandezza del popolo. Giuseppe Mazzini è tipo italianissimo, non solo per l'indomito amor della patria, ma anche per la molteplicità delle sue attitudini possenti, perchè uomo politico, apostolo, pensatore, scrittore, musicista; tuttavia, per l'entusiasmo operativo, per il vasto' ideale il Mazzini appartiene all'umanità pura: egli è uno dei campioni più nobili della razza umana.

La sua vita, qual dramma continuo!... Il principe di Metternich diceva che nessun uomo al mondo lo faceva tanto ammattire come il Mazzini; il quale gli sfuggiva di mano a ogni momento.
Tutte le polizie, tutte le arti segrete, tutti gli uomini, tutti i mozzi de' quali disponeva il potentissimo impero d'Austria, tornarono vani contro quell' uomo, inerme e povero, che viveva spesso solitario, e che scriveva, scriveva, lanciava parole di fuoco, ordiva trame e affascinava i cuori anche rimanendo invisibile, come un nume misterioso, come un mito.

Sempre profugo, non ebbe mai tetto proprio, e morì in casa altrui. E mai ebbe pace! Una tensione, una battaglia continua la sua vita, consolata dall'adorazione di donne di grande animo

Ma non solo l'Austria, altri governi, meno dispotici, lo perseguitarono: il Mazzini fu l'eterno perseguitato. Non parliamo dei sei mesi di fortezza patiti dal Mazzini a Savona, e dell'esilio inflittogli dopo il carcere; accenniamo allo stesso governo inglese, che lo angariò tanto nel 1842, allorché fondò a Londra il giornale L'apostolato popolare. Superfluo ricordare che il Mazzini, compreso con Ledru-Rollin in una cospirazione contro Napoleone III, fu giudicato in contumacia alla deportazione.
Dalla stessa Svizzera, il Mazzini fu espulso, in pieno anno di grazia 1864, per ordine del Consiglio federale di Berna, che non voleva grattacapi con il governo della Senna, il quale aveva colpito di nuovo l'agitatore comprendendolo, insieme con altri profughi, nel famoso processo Greco.

Sempre profugo, non ebbe mai tetto proprio, e morì in casa altrui. E mai ebbe pace! Una tensione, una battaglia continua la sua vita, consolata dall'adorazione di donne di grande animo, ma più da quell'intima luce, che lo manifestava a' proprii occhi uomo di una sfera superiore.
Il segreto della tenacia del Mazzini, nell'azione anche sterile, risiede nella convinzione della propria natura privilegiata, o meglio in un mandato di giustizia e di civiltà che credeva imposto a lui direttamente da Dio.

Questa fede, questa convinzione è anche il segreto d'altri uomini prodigiosi; e mal si possono giudicare se quel segreto non viene scrutato.
Ricchissima, e spesso sublime natura, quella di Giuseppe Mazzini, che mai pensò a dovizie (che poteva facilmente avere), mai pensò a godimenti. Quasi sempre patì, e per gli altri patì; per il suo ideale, per l'Italia.
Molti scrissero di lui, e molti ne scriveranno, e forse, sempre nuovi lati di quello spirito si presteranno alla meditazione del pensiero, che rimane percosso e attonito davanti a quella figura che ha il pallore e la severità dell'asceta, il fulgore d'un poeta biblico nella parola, e la fiamma inconsumabile dell'apostolo ispirato.

Le prime pagine de L'Illustration francese

La prima pagina de L'illustration del 21 luglio 1845

Il 21 luglio 1849 L'Illustration francese dedicò la prima pagina e la "storia della settimana" a Giuseppe Mazzini (cliccare sull'immagine per il pdf completo). «Ma qual è infine l'ostacolo alla libertà dell'Italia? La mancanza di leader», si legge nel periodico d'Oltralpe. «Così, durante i quindici anni di esilio, a volte a Parigi, a volte in Belgio e più spesso a Londra, Mazzini fu dominato da un pensiero, quello di moltiplicare i comitati rivoluzionari, di fare in modo che il movimento avesse dei capi riconosciuti e di attivare la propaganda attraverso i propri scritti. In questi quindici anni la sua attività patriottica è continua, egli attende l'occasione, si prepara alla lotta, stimola l'opinione pubblica, predica l'unità contro il nemico e non cessa di ripetere ai suoi compatrioti la vecchia formula della prima rivoluzione francese: l'insurrezione è il più sacro dei doveri; è la democrazia che risolverà tutti i problemi. Il popolo, scrive egli, trionferà sul provincialismo, sull'aristocrazia, sui grandi battaglioni e sull'inadeguatezza dei leader».

La prima pagina de L'illustration del 23 marzo 1872

Giuseppe Mazzini muore il 10 marzo 1872. Pochi giorni dopo, il 23 marzo 1872, L'Illustration dedica al patriota genovese la prima pagina e un lungo articolo (cosiddetto "coccodrillo"), con illustrazioni, in seconda, terza e quarta pagina (cliccare sull'immagine per il pdf completo). «In politica - si legge nell'articolo - Mazzini non aveva che un sogno: l'unità del suo paese. Dopo il 1815, l'Italia, ridotta in schiavitù, era preda dello straniero. Essa respirava appena sotto il tallone dell'Austria. Mazzini decise di liberarla. Si agiva allora in società segrete, affiliazioni carbonare, con complotti orditi nell'ombra [...]. Austero, piuttosto oscuro, eloquente, dotato di un'eloquenza acuta e fertile, Mazzini esercitò una profonda influenza sui giovani, suoi contemporanei. Dal 1830 (aveva ventidue anni), tentò di riformare, di ringiovanire la già invecchiata società dei Carbonari. Viene denunciato, arrestato, incarcerato. Dopo sei mesi viene rilasciato. Giunto a Marsiglia, fondò la società della Giovane Italia dalla quale, in breve, avrebbe preso avvio l'unità nazionale della sua Patria».

Cento anni della Repubblica Romana

Il 9 febbraio del 1949, in occasione dei cento anni dalla Repubblica Romana del 1849, il "Comitato Nazionale per le onoranze a Giuseppe Mazzini" pubblica "La Repubblica Romana del 1849".
«Nel terzo anno della Repubblica Italiana - si legge a pag. 2 - il nome e lo spirito di Giuseppe Mazzini ritornano con rinnovato splendore. È questo l'anno nel quale - un secolo fa - Giuseppe Mazzini risollevava la bandiera della libertà e dell'indipendenza nazionale caduta, l'anno prima, sui campi lombardi, e la trasferiva a Roma, perché in questo cuore antico della Patria e al soffio del suo spirito possente, si consolidasse l'unità degli italiani e, con una vittoria di popolo, si gettassero le fondamenta della nuova Repubblica. Sorse così in Roma la Repubblica Romana di cui Giuseppe Mazzini fu la mente e Giuseppe Garibaldi la spada e che segnò con il suo inizio - 9 febbraio 1849 - una delle grandi date del nostro portentoso Risorgimento. Se infatti oggi la Repubblica Italiana vuole trovare nel passato una tradizione a cui saldarsi fortemente, è nella repubblica mazziniana, è negli eroismi del 1849, ch'essa deve trovare le ragioni ideali della sua esistenza».
Di seguito, l'articolo di Ivanoe Bonomi, Presidente del Senato nella Prima Legislatura Repubblicana, dal titolo "Mazzini e la Repubblica Romana".
(Dalle raccolte della Biblioteca del Senato)

«È da Roma che il moto deve iniziarsi e concludersi: essa è il principio ed il fine della ridestata rivoluzione»

di Ivanoe Bonomi

Giuseppe Mazzini, entrando in Roma in quel tragico 1849, aveva fisse nella mente, lucide come stelle, idee lungamente meditate.
Per lui, italiano unitario, arrivato al concepimento dell'unità italiana sotto la possente suggestione delle idee liberali e democratiche del suo secolo, non era possibile che uno stato popolare, retto e guidato dalla volontà popolare. Tutta la sua predicazione era stata repubblicana, e la repubblica innalzata in Roma gli appariva come il segno certo del nuovo destino d'Italia. Nel manifesto lanciato ai livornesi, l'8 di febbraio, egli riaffermava la sua fede: «La rivoluzione sarà popolare. L'Italia risorge nelle sue tradizioni di popolo, nei suoi ricordi repubblicani, nel nome santo di Roma».

Dal 9 febbraio Roma è per lui il centro, il cuore del movimento nazionale, che riprende, per iniziativa di popolo, dopo le disfatte monarchiche di Lombardia. E' da Roma che il moto deve iniziarsi e concludersi: essa è il principio ed il fine della ridestata rivoluzione.

I patrioti italiani avevano un po' tutti, in quei mesi gravidi di storia, oscillato intorno alle soluzioni federali che parevano le più facili e le più pronte da conseguirsi. I federalisti alla Gioberti avevano sognato una federazione di Stati italiani, di cui lo sperato regno dell'Alta Italia sotto la Casa dei Savoia avrebbe dovuto costituire il fondamento più saldo; gli altri Stati del centro e del Mezzogiorno, uniti da un patto federale, avrebbero poi data una coscienza nazionale ad un popolo che l'aveva smarrita da secoli. Altri patrioti, non giobertiani ma non ancora del tutto mazziniani, speravano in altrettante rivoluzioni quanti erano gli Stati Italiani. Stabiliti dovunque governi di popolo, si sarebbe proceduto poi a quell'unione, che le prove del 1848 avevano dimostrata impossibile con gli antichi monarchi.

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Contro gli uni e contro gli altri, solo fra tutti, Mazzini aveva propugnato la sua formula: l'Italia non può "unirsi", deve "unificarsi". «Noi siamo (egli scriveva in quell'anno memorando), come fummo sempre, deliberatamente unitari: unitari per concetto filosofico, per conseguenza logica della definizione e dell'intento dello Stato, per convincimento desunto dalla storia di tutti i paesi, per le necessità particolari della nostra contrada, per terrore di pericoli inerenti, segnatamente in Italia, all'ordinamento federativo, per bisogno di forza, per riverenza alla futura missione della nostra Patria e di Roma. Il federalismo, dovunque si predichi, ci sembra errore pericolosissimo; in Roma ci pare sacrilegio».

E in Roma repubblicana Mazzini non può concepire l'unità che come una perfetta fusione in Roma di tutta la penisola. Roma diventa per lui il cuore pulsante della nuova rivoluzione. Se nel 1848, sul Mincio, le speranze federalistiche e monarchiche erano state sconfitte, nel 1849, in Roma, le speranze unitarie e repubblicane dovevano far la loro prova suprema. «Bisognava, egli scriveva in quei giorni, trasferire l'iniziativa del moto al suo centro naturale, alla futura capitale: Roma».

Mentre la quasi generalità dei patrioti italiani concepiva un'Italia che si fa fuori di Roma e che, appena creati i centri della sua nuova storia, marcia su Roma per unificare in Roma la penisola (disegno che si è poi verificato negli undici anni dal 1859 al 1870), Mazzini solo concepisce il movimento unitario in direzione affatto opposta. Non l'Italia si deve unificare in Roma, ma Roma deve unificare l'Italia. Roma repubblicana deve raccogliere intorno a sè la nazione, e la sua bandiera deve essere il segno dell'unità italiana. La rivoluzione romana diventa cosi, nella concezione mazziniana, il fatto decisivo della nuova storia, l'atto creatore della sperata unità, l'urto vittorioso che dal centro si propaga alla periferia, e suscita, allargandosi e diffondendosi, altre energie che, in virtù della loro origine, si collegano e armonizzano con l'energia centrale di schietto carattere popolare e repubblicano.