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Gazzetta Ufficiale del 24 aprile 1946

DECRETO LEGISLATIVO LUOGOTENENZIALE
22 aprile 1946, n. 185

Disposizioni in materia di ricorrenze festive

UMBERTO DI SAVOIA
PRINCIPE DI PIEMONTE
LUOGOTENENTE GENERALE DEL REGNO

In virtù dell'autorità a Noi delegata;

[...] Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, Primo Ministro Segretario di Stato,
di concerto con il Ministro per il lavoro e la previdenza sociale;

Abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue:

Art. 1.

A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale.

Luigi Einaudi

LUIGI EINAUDI
Richiamo unitario ai comuni ideali

Nell'alta parola che le forze della resistenza hanno dedicato al 25 aprile il Paese riconosce i sentimenti onde la sua anima è commossa al ricorrere di questa data. Per ogni Italiano è soprattutto motivo di compiacimento il carattere unitario del richiamo a quei comuni ideali che - nel solco della gloriosa tradizione del Risorgimento - il nostro popolo ancora una volta volle e seppe tradurre in cimenti segnati da martirii e sacrifici. Nella fedeltà di ognuno a quegli ideali, nel saper in essi ritrovarsi di quanti li servirono e nel perpetuarsi in ogni cuore della memoria di coloro che ad essi fecero olocausto della vita, la Patria risorta ravvisa l'auspicio di un migliore avvenire garantito dal costante rafforzamento delle sue istituzioni democratiche e dalla perenne incolumità da ogni servaggio e da ogni tirannide.

Luigi Einaudi
Presidente della Repubblica dal 1948 al 1955
Messaggio per la celebrazione del 25 aprile (24 aprile 1950)

IVANOE BONOMI

Un dovere comune: la custodia e la difesa del patrimonio spirituale dal quale emerse la liberazione

Non è agevole a noi italiani celebrare la vittoria e la liberazione con la stessa rettilineità spirituale con cui possqno celebrarla un inglese, un russo, o un americano.
Noi fummo per oltre due anni in guerra con le potenze che erano scese in campo per difendere la libertà del mondo dal mostruoso sogno di impero delle forze nazi-fasciste. Perciò noi fummo per ben due anni al di là della barricata fra le forze dell'oppressione e della tirannia, mentre la celebrazione odierna della nostra vittoria coincide proprio con la vittoria di quelli che furono i nostri primi nemici nella sciagurata guerra, dalla quale l'Italia fascista uscì con la più clamorosa delle sconfitte.
Gli è, o signori, che già prima che lo Stato fascista unisse le sue forze a quelle (che allora parevano invincibili) della Germania hitleriana, il vero popolo d'Italia e quasi tutti i suoi spiriti più alti e consapevoli erano spiritualmente dall'altra parte, combattenti ideali di una causa che portava sulle sue bandiere i grandi nomi di libertà e di democrazia.
[...] Ma pur nella necessaria differenziazione delle parti politiche un dovere dovrebbe rimanere comune a noi tutti: la custodia e la difesa del patrimonio spirituale dal quale sono emerse la liberazione della patria, la creazione della nuova repubblica italiana, il consolidamento del reggimento democratico. A questo patrimonio comune dovrebbero guardare con eguale animo tutti i nuovi italiani.

Ivanoe Bonomi
Presidente del Senato nella I Legislatura, dall'8 maggio 1948 al 20 aprile 1951
(Dal discorso pronunciato il 25 aprile 1950 nel Teatro Adriano di Roma)

Ivanoe Bonomi
Umberto Terracini

UMBERTO TERRACINI

Non posso non deplorare coloro che, solo in grazia della potenza di cui dispongono, possono aprire e serrare le porte non solo delle prigioni, ma anche della felicità o dell'infelicità dei popoli

Il 24 ottobre 1952 (Prima Legislatura) si svolge nell'Aula del Senato una discussione sulla liberazione dell'ex maresciallo Kesselring, uno dei responsabili del massacro delle Fosse Ardeatine. Di seguito un estratto di quella discussione con l'inervento del sen. Umberto Terracini.

GASPAROTTO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GASPAROTTO. Domando al Senato un solo istante di raccoglimento. Da ieri è stato restituito alla libertà, e forse agli onori della vita civile, il maresciallo Kesserling, il massacratore dei Martiri delle Fosse Ardeatine. Noi Italiani, popolo di antica civiltà, che abbiamo insegnato al mondo le leggi dell'umanità, non intendiamo giudicare gli atti di clemenza, ma non possiamo passare l'avvenimento sotto silenzio. I popoli potenti che hanno a cuore la loro tranquillità e le loro ricchezze possono anche irridere alle sventure dei popoli poveri, ma noi Italiani, memori di tante immeritate sciagure sofferte nei secoli, non possiamo in questo momento che ricordare i nostri morti e dichiarare che resteremo sempre vigili scolte dei nostri dolori, che sono anche le nostre glorie. (Applausi).

TERRACINI. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TERRACINI. Onorevole Presidente, desidero dichiarare la mia piena solidarietà con la dichiarazione fatta or ora dal senatore Gasparotto. Questi ha un animo clementissimo, e ha conseguentemente dichiarato di non volere esprimere giudizio sui sentimenti o sui motivi ragionati che hanno consigliato quest'atto di clemenza.
Ma io sono meno indulgente del senatore Gasparotto, e nell'esprimere il mio profondo senso di tristissimo stupore per l'atto di indulgenza compiuto, non posso non deplorare esplicitamente — implicitamente ciascuno di noi lo fa — coloro che, solo in grazia della potenza di cui dispongono, possono aprire e serrare le porte non solo delle prigioni, ma anche della felicità o dell'infelicità dei popoli. Non vorrei che col gesto sconsigliato si sia inteso di avvertire simbolicamente il mondo che i metodi inumani e spietati che già valsero all'uomo infausto e infame la condanna oggi annullata, sono oggi riabilitati dinanzi agli uomini, o anche solo dinanzi a coloro che governano gli uomini. E avrei voluto che, pur concedendogli la libertà, costui fosse stato almeno condannato a ripercorrere le terre italiane che egli ha reso deserte con la sua spietata ferocia, per chiedervi perdono a quanti ancora vi piangono le vittime che egli ha immolato. Comunque egli è libero! Ma siamo liberi anche noi, e la nostra libertà ci consente di fare tutto quanto è in nostro potere perchè eventi così efferati come quelli di cui quel reo si è macchiato non abbiano più a verificarsi nel mondo! (Vivi applausi).

ANGELINA MERLIN

In un giorno tremendo ci siamo recate al cimitero dove riposavano i morti della guerra ed i morti dell'odio fratricida. Al di sopra delle tombe ci siamo sentite sorelle con le altre donne

Nella seduta 24 ottobre 1952, dopo il sen. Terracini, interviene anche la senatrice Angelina Merlin, esprimendo la propria protesta per la liberazione di Kesselring.

MERLIN ANGELINA. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MERLIN ANGELINA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, non intendo associarmi alle parole che sono state qui dette per la liberazione del maresciallo Kesserling soltanto a nome del Partito socialista al quale appartengo. Lo faccio anche a nome di altri: per l'Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti, alla quale pure appartengo, e anche come donna che comprende il pianto di tutte le donne italiane e soprattutto di quelle che hanno lasciato i loro cari alle Fosse Ardeatine, spenti dall'odio che gli uomini scavano tra gli uomini.

Altre tragedie sono avvenute in Italia che non hanno nome. Ben a ragione l'onorevole Gasparotto ha parlato della nostra civiltà : noi donne italiane, quelle che operavano nella clandestinità a Milano, in un giorno tremendo ci siamo recate al cimitero dove riposavano i morti della guerra ed i morti dell'odio fratricida. Al di sopra delle tombe ci siamo sentite sorelle con le altre donne ed abbiamo auspicato che sulle tombe dei nostri che giacevano altrove, anche in terra straniera, ci fossero madri che piangessero, madri che inneggiassero alla pace tra gli uomini.

Protesto con tutto l'animo mio contro questa liberazione, non perchè ritenga che degli uomini debbano essere puniti, ma perché avrei voluto che quell'uomo, scontando la condanna che gli era stata inflitta, avesse rappresentato la condanna di tutti gli uomini di buona volontà contro la guerra e contro l'odio che divide le creature umane. (Vivi applausi).

Umberto Terracini
Ferruccio Parri

FERRUCCIO PARRI

Un grande evento nella storia del nostro Paese: un popolo che nel momento più critico della sua storia non accetta la libertà dagli altri come un dono

Quando si avvicina il momento della liberazione, a partire dal 20 aprile, i partigiani, non seguendo fortunatamente le istruzioni strategiche del maresciallo Alexander, iniziano senz'altro l'insurrezione che impegna furiosamente tutti i centri, tutte le città dell'Italia settentrionale, travolge le resistenze nemiche, costringe circa duecentomila tedeschi ad arrendersi agli odiati "banditi", a cominciare dal Corpo di armata del generale Meinhold a Genova. È allora che appaiono le grandi realizzazioni della lotta: gli impianti elettrici ed industriali sono salvati quasi completamente. Le città sono liberate prima che giungano gli alleati: a Milano i carri armati sono obbligati ad incolonnarsi ad un certo punto dietro ai tram cittadini. Dappertuto gli alleati sono ricevuti dal Prefetto della liberazione, dal Sindaco della liberazione. Allora, onorevoli colleghi, ecco che registriamo un grande evento nella storia del nostro Paese: un popolo che nel momento più critico della sua storia non accetta la libertà dagli altri come un dono, ma vuole la sua guerra di liberazione, vuole combattere per la propria libertà.

Ferruccio Parri
(Dal discorso pronunciato nell'Aula del Senato il 27 aprile 1965)

PIETRO SCOPPOLA

La «cultura della liberazione» lascito epocale della tragedia del XX secolo

Ha un senso, e quale senso, celebrare ancora il 25 aprile, anniversario della liberazione?
Da cinquant'anni il 25 aprile è festa, la festa della liberazione: è vacanza nelle scuole; si fanno cerimonie e discorsi ufficiali; gli italiani vanno a spasso o in gita fuori città; la primavera contribuisce a dare alla ricorrenza un sapore di evasione e di svago.
Ma quello che la data evoca è un evento grande e terribile; il punto di arrivo di una vicenda sanguinosa. E' la fine per l'Italia della seconda guerra mondiale: una guerra che non ha precedenti nella storia umana, per caratteri ideologici, estensione geografica, numero di vittime, vastità di distruzioni.

[...] Il 25 aprile segna per l'Italia la conclusione di questo dramma con la vittoria degli anglo americani e della Resistenza italiana: è la data della seconda caduta del fascismo, risorto sotto la protezione delle armi germaniche, dopo la prima caduta del 25 luglio 1943; è la data simbolo della Resistenza e della fine della guerra in Italia.

Anche riassumendo così gli eventi, nella maniera più scarna e sommaria, questa data rappresenta dunque qualcosa di decisivo per la storia del paese: punto di arrivo di una vicenda drammatica, punto di partenza della ricostruzione della democrazia italiana.

[...] Non è una forzatura concludere dunque sull'ipotesi di una «cultura della liberazione» come lascito epocale della tragedia di questo secolo; come invocazione inespressa dei milioni di morti del secondo conflitto mondiale.

Il processo di liberazione non è mai compiuto: non è compiuto nelle coscienze dei singoli, non lo è nella vita sociale. La liberazione dell'uomo, di tutti gli uomini, dall'oppressione, dalla miseria, dall'ignoranza, dalla paura - e in una parola dal male - è un obiettivo sempre valido, sempre necessario e sempre aperto. La cultura della liberazione non implica un punto di arrivo, non ha, come la cultura della rivoluzione, modelli definiti di società da proporre, si coniuga con il realismo della politica, ma rappresenta un principio costante di non appagamento rispetto a tutti i risultati raggiunti e costituisce perciò quell'elemento di tensione utopica che tiene viva la democrazia e ne garantisce lo sviluppo.

Pietro Scoppola
Senatore nella XI Legislatura (1983-1987)
(Brani dal libro "25 aprile. Liberazione", Einaudi editore, 1995)

Pietro Scoppola
Carlo Azeglio Ciampi

CARLO AZEGLIO CIAMPI

Il giorno della ricomposizione dell'unità nazionale, nel nome della libertà

Il 25 aprile, sessant'anni fa, fu per le città del Nord d'Italia il giorno della Liberazione. Per l'Italia tutta, fu il giorno della ricomposizione dell'unità nazionale, nel nome della libertà. Si dischiuse, quel giorno, il luminoso orizzonte della democrazia.
Si aprì un'epoca nuova della nostra storia. Ancora la stiamo vivendo.
Un filo ininterrotto lega gli ideali e le gesta del Risorgimento alle imprese della Lotta di Liberazione e alla rinascita dell'Italia: repubblicana, per libera scelta del popolo italiano.

Non furono soltanto le armate alleate, con l'apporto in combattimento delle quattro divisioni dell'Esercito italiano, a liberare, a prezzo di gravi perdite, l'Italia.
Alla propria liberazione diede un contributo determinante il popolo italiano: in primo luogo, con l'opera tenace ed eroica delle formazioni partigiane costituitesi nelle campagne, nelle montagne, nelle città d'Italia.
Quel 25 aprile del 1945, all'indomani dell'ordine di insurrezione generale delle forze della Resistenza dato dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, molte città del Nord, grandi e piccole, vennero liberate dai partigiani, prima dell'arrivo delle forze alleate.
Nei loro cuori batteva forte l'amor di Patria.
Tra le città liberate quel giorno di sessant'anni fa, Milano: Milano delle Cinque Giornate; Milano da sempre protagonista della storia d'Italia.
In quello stesso giorno, nelle città che avevano già visto la fine della lunga occupazione, gli Italiani si unirono in spontanei, esultanti cortei. Il popolo scese nelle strade e nelle piazze, in festa.
Iniziammo allora a vivere l'esperienza esaltante della nostra rinascita di popolo libero e unito. Le gesta di quelle giornate formarono, per sempre, la nostra coscienza democratica.

Rievocando quei momenti, ricordiamo coloro che ne furono protagonisti.
Ricordiamo le donne, anch'esse partecipi della lotta per la liberazione.
Ricordiamo i caduti. Ricordiamo le popolazioni di villaggi trucidate dalle forze naziste.
Ricordiamo le migliaia di Italiani di religione ebraica deportati e sterminati nei campi nazisti.
Ricordiamo la gloria di quella moltitudine di cittadini italiani, donne e uomini di ogni ceto sociale, che a rischio e spesso a prezzo della loro vita protessero e salvarono tutti coloro che si battevano contro l'insana barbarie fascista e nazista.
Gloria a coloro che salvarono l'onore del popolo italiano e diedero il loro vitale contributo alla riconquista della libertà: la libertà per tutti, anche per coloro che li avevano combattuti [...].

Carlo Azeglio Ciampi
Presidente della Repubblica dal 1999 al 2006
Senatore di diritto e a vita
(Dall'intervento in occasione della cerimonia conclusiva delle celebrazioni per il 60° Anniversario della Liberazione
Milano. Piazza del Duomo, 25 aprile 2005)

Cesare Pavese

CESARE PAVESE. Ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione

[...] Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche vinto il nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare chi l'ha sparso. Guardare certi morti è umiliante. Non sono più faccenda altrui; non ci si sente capitati sul posto per caso! Si ha l’impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei corpi, tenga noialtri inchiodati a vederli, a riempircene gli occhi. Non è paura, non è la solita viltà. Ci si sente umiliati perché si capisce – si tocca con gli occhi – che al posto del morto potremmo essere noi: non ci sarebbe differenza, e se viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato. Per questo ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione.

[...] A volte penso se una rappresaglia, un capriccio, un destino folgorasse la casa e ne facesse quattro muri diroccati e anneriti. A molta gente è già toccato. Che farebbe mio padre, che cosa direbbero le donne? Il loro tono è «La smettessero un po'», e per loro la guerriglia, tutta quanta questa guerra, sono risse di ragazzi, di quelle che seguivano un tempo alle feste del santo patrono. Se i partigiani requisiscono farina o bestiame, mio padre dice: – Non è giusto. Non hanno il diritto. La chiedano piuttosto in regalo. – Chi ha il diritto? – gli faccio. – Lascia che tutto sia finito e si vedrà, – dice lui.
Io non credo che possa finire. Ora che ho visto cos'è guerra, cos'è guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: – E dei caduti che facciamo? perché sono morti? – Io non saprei, cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero.

Cesare Pavese, "La casa in collina"

La prima pagina del Nuovo Corriere del 26 aprile 1945

La prima pagina de "il Nuovo Corriere" del 26 aprile 1945.
Dal sito della Fondazione Corriere della Sera

In occasione dell'anniversario della Liberazione del nostro Paese dal nazifascismo, il portale web di Rai Storia ha realizzato un esclusivo WebDoc per ripercorrere quello storico evento nazionale con preziosi video dall'archivio delle teche Rai, infografiche, numeri, fotogallery, etc. Un'attenzione particolare è dedicata da un lato alla prospettiva dei testimoni, di coloro cioè che hanno vissuto quel momento storico sia tra i principali protagonisti della Resistenza che tra i comuni cittadini italiani, dall'altro alle celebrazioni della ricorrenza del 25 aprile nel corso dei decenni della nostra storia repubblicana.

Senatore Luciano Fabio Stirati

Riconoscimento giuridico dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione

Il 20 luglio 1966, la Commissione Istruzione pubblica e belle arti del Senato discuteva e approvava in sede deliberante (cioè senza bisogno di passaggio in Assemblea) il disegno di legge d'iniziativa dei senatori Parri ed altri: «Riconoscimento giuridico dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione» (Atto Senato 1387).
Nella discussione interveniva anche il primo firmatario, il senatore Ferruccio Parri.
Riportiamo di seguito alcuni brani dell'intervento del Relatore, il senatore Luciano Fabio Stirati (nella foto), del Partito Socialista Italiano, e del senatore Parri.
Qui il resoconto stenografico completo.


STIRATI. Onorevoli colleghi: il disegno di legge al nostro esame è d'iniziativa dei senatori Parri, Bergamasco, Schiavetti, Schietroma, Terracini, Tolloy e Zelioli Lanzini. Non a caso ho riletto il nome di tutti i proponenti, ma perché sia subito chiaro alla vostra attenzione che tale proposta legislativa viene da esponenti di tutte le forze democratiche che hanno partecipato alla lotta di liberazione nazionale.

Il disegno di legge ha per oggetto il riconoscimento giuridico dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione. Ritengo di non aver bisogno di spendere molte parole per illustrare il disegno di legge e per raccomandarne l'approvazione, perché voglio nutrire la speranza — anzi, ho la certezza — che un tale provvedimento verrà approvato di slancio da questa Commissione.

Penso che il riconoscimento giuridico dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione non rappresenti, come è detto nella relazione che accompagna il provvedimento, soltanto il degno coronamento delle manifestazioni che si sono svolte in Italia in occasione del ventennale della Resistenza, ma rappresenti qualcosa di più, forse il modo migliore e più concreto per onorare il movimento resistenziale italiano.

Un movimento che, non ho bisogno di aggiungere, si iscrive nella storia italiana come uno dei più eroici e gloriosi movimenti che hanno onorato e onorano il nostro Paese. [...]

PARRI. Devo ringraziare vivamente il Presidente che ha accettato di discutere in sede deliberante questo disegno di legge. C'è una qualche ragione di premura da parte mia: alla fine di questo mese si riunirà il Consiglio direttivo dall'Istituto — il Comitato scientifico — per determinare i programmi di lavoro da svolgere successivamente; è un momento assai importante e sarei molto lieto se potessi portare la notizia del riconoscimento della sua personalità giuridica e questa sicurezza di finanziamento, pur se modesto.

Ringrazio il senatore Stirati per la sua benevolenza e per la sua proposta; vorrei soltanto dire alla Commissione, perchè abbia piena coscienza dell'importanza di questo disegno di legge, che esso segna una svolta decisiva nell'organizzazione degli studi storici, per l'importanza che ha per la nostra storia, sia dal punto di vista della formazione della coscienza nazionale, sia dal punto di vista degli orientamenti della scuola italiana in tutti i suoi ordini e gradi, specialmente quelli superiori.

Questo Istituto è nato per iniziativa di coloro che hanno partecipato alla Resistenza e hanno sentito la necessità di spiegare i movimenti storici, passati e recenti, la cui importanza era maggiormente sentita. Esso è vissuto ormai 16 anni con i limitati mezzi di cui ha parlato il relatore Stirati, svolgendo opera utile che, nel campo storico, è stata molto apprezzata anche sul piano internazionale; infatti l'Italia è un po' il centro dell'attività internazionale per gli studi storici sulla Resistenza.[...]

(Vedi anche Istituto Nazionale Ferruccio Parri - Rete degli Istituti per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea)

PER APPROFONDIRE - Dal catalogo della Biblioteca del Senato

PIERO CALAMANDREI. "Uomini e città della Resistenza. Discorsi, scritti ed epigrafi"

A cura di Sergio Luzzatto. Prefazione di Carlo Azeglio Ciampi (Laterza, 2006)

Sarebbe stoltezza negare che uno dei fondamenti della Resistenza è stata la lotta sociale, l'aspirazione dei sofferenti verso la giustizia sociale; e sarebbe cecità non accorgersi che l'ossatura organizzativa fu data alla Resistenza da quei partiti antifascisti che avevano resistito clandestinamente o che si erano formati sotto il fascismo, e che in quel ventennio di oppressione tennero accesa la fiamma e gettarono i semi nelle coscienze.
Ma, d'altro lato, neppure questo carattere religioso e morale, prima che sociale e politico, della Resistenza, non si potrebbe negare senza cadere in altrettanta cecità in senso opposto. In un libro recente di Raffaele Pettazzoni, insigne studioso di storia delle religioni, mi ha fatto piacere di veder considerata tra i "momenti della storia religiosa d'Italia", la Resistenza: ovunque è un sacrificio per il bene degli altri, ovunque è la disposizione morale a preferire al tradimento lucroso di un'idea, la morte squallida per quell'idea, ivi è religione.

Religione vuol dire serietà della vita, impegno per i valori morali, coerenza tra il pensiero e l'azione: la religione non è soltanto quella che si celebra nelle cerimonie liturgiche. Nelle lettere dei condannati a morte della Resistenza, vi è assai spesso l'estrema preghiera del credente che spera la salvazione dalla religione tradizionale sinceramente professata. Un istante prima di esser fucilato un prete sente di morire per la religione, cioè, come egli scrive, "per aver protetto e nascosto un giovane di cui volevo salvare l'anima; per aver amministrato i sacramenti ai partigiani, e cioè per aver fatto il prete".

Ma, continua il Pettazzoni, «gli altri, i laici, muoiono anch'essi per un'idea che pure è religiosamente sentita e testimoniata e sofferta sino al sacrificio supremo: l'idea di libertà, l'idea di giustizia o l'idea del socialismo o quella del comunismo e insieme, comune a tutti, l'idea della patria, l'idea dell'Italia libera e onorata. Questa fede laica non interferisce nei credenti con la religione tradizionale; per i non credenti è essa la sola religione».

Grave errore sarebbe cercar di annettere la Resistenza a un partito o a una chiesa, farne un'espressione, per quanto alta e purissima, di una ideologia politica o confessionale. La Resistenza fu, e se non è morta dovrà essere, qualcosa di più dell'ideologia di un partito: qualcosa di più profondo, di più universale, di più penetrante nei cuori: come una sintesi, come una premessa, come una volontà di comprensione umana.

Senza questa spontaneità di carattere morale e religioso, non si potrebbe spiegare come all'indomani dell'8 settembre, assai prima che gli organizzatori avessero potuto prendere i primi contatti, assai prima che i partiti avessero messo in azione da regione a regione i loro fili clandestini, fossero sorti in cento luoghi d'Italia, non solo nelle città, ma nei borghi più solitari, nelle montagne, nei casali, nelle officine, nelle scuole, tra i contadini, tra gli operai, tra gli studenti, tra gli intellettuali, cento focolai di insurrezione, l'uno all'insaputa dell'altro, senza mezzi, senza programma chiaro, senza saper bene quel che occorreva fare, ma tuttavia tutti mossi da questa irreprimibile volontà di fare.

PAOLO EMILIO TAVIANI. "L'insurrezione di Genova. 23-25 aprile 1945"

(Rivista trimestrale "Civitas", aprile/giugno, 2/1995)
Paolo Emilio Taviani

Il Comitato di Liberazione Nazionale Ligure

Il Comitato di Liberazione Nazionale si è costituito a Genova il 27 luglio 1943.
Vi partecipavano i rappresentanti del Partito d'Azione, del Partito Socialista, della Democrazia Cristiana, del Partito Comunista, a cui tosto si unirono anche i rappresentanti del Partito Liberale. Nel maggio del 1944 entrò a far parte del C.L.N. anche il Partito Repubblicano.
Durante i 45 giorni badogliani, l'attività del C.L.N. di Genova fu volta soprattutto a far giungere al governo di Roma la voce del popolo ligure, che chiedeva una più efficace epurazione del fascismo e una immediata cessazione delle ostilità con le Nazioni Unite.

L'8 settembre

Giunse, la sera dell'8 settembre, la notizia dell'armistizio. Il Comitato si poneva a disposizione del prefetto Letta per qualsiasi evenienza; la mattina del 9, i membri del C.L.N. si recavano personalmente all'albergo Bristol dal prefetto, ma ormai non c'era più nulla da fare. Gli avvenimenti precipitavano. I reparti germanici sfilavano cantando in via XX Settembre, mentre lunghi convogli di autocarri, carichi di prigionieri dell'esercito regio, si avviavano ai campi di concentramento.

Nella notte fra l'8 e il 9 settembre, i tedeschi si erano impadroniti della città, del porto e delle alture circostanti. Mentre i tedeschi mettevano in atto i loro piani, da gran tempo predisposti, i nostri soldati, senza alcuna consegna, bighellonavano sino a tarda sera in libera uscita. Facile riusciva ai germanici disarmarli e catturarli. Il popolo diseducato e impreparato, anziché combattere, si era abbandonato a intempestive manifestazioni di gioia. Cominciava un triste periodo della nostra storia. Triste, ma non disonorante, perché accanto all'oppressione nazista, ai tradimenti di pochi fanatici e di qualche incosciente, alla vigliaccheria e alla debolezza di alcuni, si deve contare all'attivo di questo periodo la magnifica opera che, all'ombra della cospirazione, hanno compiuto le più belle menti e i più bei cuori di Genova e della Liguria tutta.

La cospirazione

Il Comitato di Liberazione Nazionale cominciò ad agire cospirativamente. Dalle case sinistrate alle sacrestie, ai conventi, poi negli alloggi privati di persone non sospette, nelle umili case di lontani sobborghi: per venti mesi il Comitato si radunò, due, tre volte la settimana, braccato dalla polizia, dalle S.S., dai fascisti; sorvegliato e protetto da uomini fidi - ex carabinieri, operai, giovani studenti inquadrati nelle squadre di città; servito - per l'opera di segreteria e per i collegamenti - da tre sole persone: una signorina abile e coraggiosa fungeva da stenografa; un'altra signorina, dall'aspetto sereno e insospettabile, teneva i collegamenti; e un giovane di 25 anni sopportava, con abnegazione eroica, quasi tutto il peso e il rischio dell'organizzazione delle adunanze e della segreteria.

Volta a volta, quasi tutti i membri del C.L.N. furono rintracciati dalla polizia e dalle S.S. Uno, l'avvocato Lanfranco, fu deportato e ucciso; altri furono deportati, altri arrestati, tutti ricercati. Dei presenti l'8 settembre, soltanto l'autore di queste pagine e l'avvocato Errico Martino, nominato prefetto della provincia di Genova immediatamente dopo la Liberazione, ebbero la ventura di poter continuare la loro opera, sia pure attraverso difficoltà inimmaginabili, fino al momento dell'insurrezione finale.[...]

I partigiani

La storia della vita partigiana non può essere trattata in queste poche pagine: fu storia di eroismi e di sacrifici, di rastrellamenti feroci, di assalti, di colpi di mano, di azioni intrepide e gagliarde.[...]

Mentre i partigiani combattevano sui monti, in città si lavorava in mezzo a difficoltà di ogni sorta, per aiutarli, alimentarli, equipaggiarli e provvederli di denaro. Al tempo stesso, si preparava, moralmente e materialmente, il popolo alla resistenza attiva e all'insurrezione.

Accanto al Comitato di Liberazione centrale una pleiade di Comitati di comune, di delegazione, di rione, di azienda, sorse, poco a poco, attraverso i lunghi mesi della cospirazione. I partiti svolgevano un'opera di fattiva propaganda, di ricerca di fondi, di assistenza alle vittime politiche.
Attraverso mille vie, la voce del C.L.N. per la Liguria - che si considerava unico governo legittimo - giungeva a tutti i ceti sociali; sicché, nell'aprile del '45, quando i tempi erano ormai maturi per l'insurrezione finale, il popolo genovese e ligure si trovava con una ben diversa preparazione di quanto non possedesse l'8 settembre.[...]

Il riscatto della Resistenza

L'insurrezione di Genova ha riscattato l'infausto 8 settembre.

Essa costituisce l'unico episodio della seconda guerra mondiale, considerata in tutti i suoi vari fronti, in cui un corpo di esercito, forte e organizzato, si è arreso dinanzi agli insorti. E' stato, senza dubbio alcuno, l'episodio più significativo nella liberazione dell'Italia settentrionale. Gli Alleati lo hanno riconosciuto; un obiettivo esame dei fatti lo dimostra. Genova era, ed è, una piazzaforte. Effettivi tedeschi, paragonabili a una divisione, erano stanziati nella cinta della Grande Genova e nelle immediate vicinanze; nel porto e a Nervi erano forti reparti della marina germanica oltre a reparti repubblichini; sulle alture: batterie di cannoni leggeri, pesanti e pesantissimi, provviste di abbondanti munizioni.

Le truppe tedesche, nell'aprile, erano ancora bene armate e, per quanto lo spirito non fosse più quello degli anni trascorsi, i loro ufficiali non concepivano neppure la possibilità di dover scendere a patti con dei borghesi e dei popolani in armi.

Invece fu questo il risultato a cui si giunse, dopo due giornate di vivacissima lotta. La sera del lunedì 23 aprile, le autorità fasciste fuggivano dalla città. Il generale germanico Meinhold faceva sapere al Cardinale Arcivescovo Boetto che le truppe tedesche avrebbero abbandonato la città e la provincia in quattro giorni, che non l'avrebbero distrutta, se non in qualche impianto bellico, purché avessero potuto attuare indisturbati i loro movimenti.

Avvertito dal Vescovo coadiutore Mons. Siri di tale comunicazione, io gli feci subito presente che il Comitato di Liberazione non avrebbe potuto accettare alcuna formula di trattative con i tedeschi, poiché troppi esempi scottanti si avevano della malafede nazista. [...]

L'Italia è ancora una Nazione vinta. Sarebbe follia pretendere di cancellare, con tre giornate eroiche i tragici errori del passato. Ma non è follia ritenere che, se il popolo genovese e italiano ha molto perduto, esso non ha perduto, ma soltanto smarrito l'8 settembre, e poi ritrovato, nelle radiose giornate di aprile, il suo onore, la coscienza delle proprie possibilità, il proprio posto nell'ambito dei popoli civili.

Paolo Emilio Taviani fu nominato Senatore a vita il 1° giugno 1991

RAFFAELLO UBOLDI. "25 aprile 1945. I giorni dell'odio e della libertà"

(Mondadori, 2004)
Roma, ore 9,30

Nella seduta del Consiglio dei ministri di questo 25 aprile, ovviamente, ci si occupa per prima cosa della guerra nel Nord del Paese. Bonomi legge un messaggio «alle truppe combattenti», che viene «molto applaudito da tutti i ministri». Un saluto «agli eserciti vittoriosi che hanno varcato il Po e vibrano l'estremo colpo ai tedeschi in ritirata». «Il pensiero riconoscente del governo» continua il messaggio «va in quest'ora storica alle divisioni "Cremona", "Friuli", "Folgore", e "Legnano", che sul fronte di combattimento hanno cooperato all'irresistibile avanzata». Il Consiglio dei ministri infine si dichiara «orgoglioso di additare al mondo che il crollo di quel fantasma di governo che ancora usurpava il nome di Italia... è stato operanon soltanto delle truppe vittoriose», ma anche dell'«occulta, pertinace, eroica opera dei nostri patrioti che ovunque, nelle città, nei villaggi, nelle montagne e nelle pianure, non hanno dato sosta al nemico, lo hanno tormentato, danneggiato, esaurito, contribuendo così alla sua definitiva disfatta».

Milano, ore 8

[...] Piove su quasi tutta l'Italia del Nord. Piove su Milano. Cinque uomini si riuniscono nella biblioteca del Collegio dei salesiani: il liberale Arpesani, il democristiano Marazza, il socialista Pertini, il comunista Sereni, Valiani per gli azionisti. Assenti Parri, vicecomandante del Cvl, e il Presidente del Clnai Pizzoni, che riusciranno ad arrivare a Milano solo la sera dell'indomani. Racconterà uno dei presenti: «Avevamo questa caratteristica comune, di essere ugualmente magri».
[...] I cinque uomini votano un decreto che attribuisce al Clnai tutti i poteri di amministrazione e di governo per l'Italia occupata. Un altro decreto concerne il futuro dei gerarchi e dei membri del governo di Salò.
[...] Infine viene approvato il proclama che invita i cittadini allo sciopero generale e all'insurrezione.
[...] Ore 9. I tedeschi stanno trattando la resa su due binari paralleli: i contatti con gli Alleati in corso tra la Svizzera e Caserta, e la mediazione del cardinale Schuster, che spera di poter ricevere questa resa nelle proprie mani. Nel frattempo, non hanno dimenticato gli amici del tempo che fu: Kappler si è presentato con un gruppo di armati a San Vittore esigendo il rilascio di Koch e di una quarantina di detenuti della stessa risma.