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La direttiva sul copyright: scenari ancora aperti e sfide da raccogliere. Verona, Università degli studi, 22 novembre 2021
Lo scorso 22 novembre, nell'ambito del Master in editoria attivo presso il Dipartimento di culture e civiltà dell'Università di Verona, si è svolto il primo incontro di studi successivo al Decreto legislativo 8 novembre 2021 n. 177 che ha dato attuazione alla Direttiva europea sul Copyright, sul diritto d'autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale (2019/790) del 17 aprile 2019 (G.U. Serie generale n. 28 del 27 novembre 2021).
Come è stato evidenziato nell'introduzione da Federica Formiga (Università di Verona), i lunghi tempi di elaborazione della direttiva - e del successivo recepimento nell'ordinamento nazionale - sollevano alcuni interrogativi in merito all'attuale adeguatezza dei provvedimenti approvati rispetto alle rapidissime evoluzioni del contesto digitale, con cui le nuove norme dovranno confrontarsi per gli anni a venire: di qui l'esigenza di proporre un momento di riflessione e discussione pubblica, che ha coinvolto studiosi ed esperti sui vari aspetti d'interesse della direttiva, moderati dall'avv. Simone Aliprandi.
Il quadro normativo di riferimento è stato tratteggiato dal prof. Marco Ricolfi dell'Università di Torino, dal 2019 presidente del Comitato consultivo permanente sul diritto d'autore in seno al Ministero della cultura, con un intervento dal titolo La direttiva europea e la sua attuazione tra interessi protetti e regolazione delle piattaforme digitali. Ricolfi ha evidenziato la complessa molteplicità degli interessi sottesi alle questioni del diritto d'autore, che vedono diversi soggetti da tutelare: dai creatori (scrittori, artisti ecc.), all'industria (nei molti casi in cui il creatore non raggiunge direttamente il proprio pubblico ma ricorre alle varie forme di mediazione editoriale), fino agli utilizzatori. La densa relazione ha toccato sia i precedenti storici che varie prospettive future, dalle proposte di regolazione dell'intelligenza artificiale alla compiuta realizzazione del Digital Services Act: quest'ultimo, deliberato nel dicembre 2020 a livello di Commissione europea come 'pacchetto' di norme ispirate alla protezione dei diritti fondamentali degli utenti in uno spazio digitale più sicuro, potrebbe cambiare molte cose della disciplina oggi in esame per quanto riguarda le grandi piattaforme digitali.
Qui ci soffermiamo però su alcuni passaggi di particolare interesse per le biblioteche: un settore nei confronti del quale è stato espresso apprezzamento, per la loro funzione sociale e culturale ma anche per le varie azioni intraprese, volte a contemperare la protezione dei diritti col valore del libero accesso alla conoscenza. In riferimento in particolare all'art. 6 della direttiva (Conservazione del patrimonio culturale), che prevede per le biblioteche e gli «istituti di tutela del patrimonio culturale» la possibilità di «realizzare copie [anche digitali] di qualunque opera o altri materiali presente permanentemente nelle loro raccolte» (previsione puntualmente accolta nel nostro ordinamento), ma non consente di riprodurle o diffonderle all'esterno, si è fatto presente che i dark archives (archivi non direttamente accessibili al pubblico) così creati, benché utili in caso di perdita di dati, non rispondono appieno alle esigenze della comunicazione scientifica, anzi creano inevitabilmente insiemi documentali con molti elementi di sovrapposizione, di onerosa realizzazione e con basso rapporto costi/benefici. Gli orientamenti della giurisprudenza europea su questo fronte (come nel caso Technische Universität Darmstadt contro Eugen Ulmer) sembrano andare peraltro verso un'interpretazione meno restrittiva, aprendo la strada alla possibilità, per l'ente che ha realizzato la digitalizzazione, di metterla a disposizione; un'ipotesi è quella di combinare le norme sulla riproduzione con le disposizioni sull'accesso da terminali dedicati.
Un altro punto critico risiede nella cosiddetta discontinuità del digitale, che pur consentendo la creazione di copie perfette comporta esternalità negative, come i costi da sostenere per la loro realizzazione (talvolta appunto a carico delle biblioteche) o le limitazioni nell'accesso ai loro contenuti. Da questo punto di vista appare rilevante il modello delle licenze collettive estese, che ha trovato soprattutto applicazione nei paesi scandinavi ed è solo in parte considerato dalla direttiva: un modello per cui agli enti di gestione collettiva si affida, per conto degli aventi diritto, la negoziazione di licenze con gli operatori, i quali poi offriranno agli utenti finali i contenuti oggetto della licenza.
Dall'ampia disamina si trae un invito a contemperare il diritto d'autore (che ha avuto l'importante ruolo storico di concorrere alla libertà di espressione, consentendo l'indipendenza economica di chi scrive e diffonde i frutti dell'attività intellettuale) con gli spunti offerti dalla teoria dei public goods, beni non rivali fruibili simultaneamente da più persone. Applicando questo principio alle piattaforme informatiche, il cui potere aumenta perché possono di fatto - grazie a limitazioni tecnologicamente imposte - impedire o consentire l'accesso ai contenuti, si ricava l'esortazione a minimizzare la restrittività (anche per non incrementare il contenzioso presso la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, che si è occupata di vari casi relativi ai rapporti tra diritto d'informazione, libertà d'espressione e diritto d'autore), nel rispetto sia dei contenuti, sia delle esigenze degli utilizzatori, sia dell'interesse pubblico alla conservazione di spazi per la manifestazione del pensiero, anche nelle forme della critica e della satira.
Anche la relazione della consulente in proprietà intellettuale Laura Chimienti (Diritti esclusivi: nuove eccezioni e limitazioni alla direttiva) ha preso le mosse dalla fondamentale comprensione dell'esigenza di composizione di interessi diversi, che è tipica del diritto d'autore, ma con la sottolineatura della transizione in atto da una tutela del diritto dell'autore a una tutela dell'oggetto della creazione, secondo uno spostamento di interessi che rischia di non giovare né agli autori né ai titolari di diritti connessi: dall'industria editoriale che mette a disposizione i prodotti dell'ingegno, alle piattaforme di distribuzione, alle società di gestione collettiva. Pure in questo caso non sono mancati gli spunti utili per la riflessione sul ruolo delle biblioteche, considerate fondamentali - specialmente le biblioteche nazionali in quanto titolari del deposito legale - per il loro ruolo di sedimentazione dei giacimenti librari.
Su Il ruolo delle piattaforme di condivisione: scenari attuali e futuri, alla luce dell'esperienza europea e americana si è concentrato invece Giuseppe Mazziotti (Trinity College, Dublin), che ha invitato a considerare come il protagonista ideale del diritto d'autore, cioè il creatore, venga progressivamente dimenticato in favore dei diritti delle industrie. Gli stessi creatori del resto sono più rari di quanto si pensa: quello che generalmente si chiama user generated content, in reti di tipo ibrido come quelle di condivisione 'social', è in effetti per lo più un user uploaded content a basso contenuto di creatività, in cui si pubblicano spesso materiali non originali, limitandosi a farli circolare. L'accento si sposta dunque sulle grandi piattaforme digitali (raramente con sede in Europa), che stanno diventando i nuovi editori globali, non sempre rispettosi dei diritti come gli editori tradizionali. In un'industria della conoscenza che si basa su infrastrutture digitali, il diritto d'autore deve dunque confrontarsi con temi relativamente nuovi quali la riservatezza dei dati, i costi sociali connessi al gap digitale, le disomogeneità a livello internazionale nei criteri di responsabilità delle piattaforme.
Verso la conclusione del convegno le relazioni hanno spostato il focus sul settore dell'editoria. Alessandro Galimberti del Sole24ore (Il recepimento della direttiva copyright: presupposto per la sostenibilità del settore dell'editoria e per l'indipendenza dell'informazione professionale) ha portato la riflessione sul piano del confronto tra modelli editoriali. Rispetto al modello economico tradizionale, in cui il valore della copia cartacea incorporava il valore della produzione, remunerando l'attività di organizzazione aziendale e la produzione di contenuti, la smaterializzazione scinde il valore dei contenuti dalla copia che li veicola e porta invece in rilievo questioni di profilazione dei fruitori e modelli di business in cui i ricavi pubblicitari diventano preponderanti. Nell'epoca delle nuove intermediazioni digitali, in cui anche i motori di ricerca fungono di fatto da editori veicolando contenuti, i canali tradizionali vengono soppiantati dalle grandi piattaforme in rete e da meccanismi di reindirizzamento che pongono nuove sfide al diritto d'autore e nuove prospettive per le opzioni di remunerazione degli aventi diritto.
Infine, Piero Attanasio dell'AIE (Conclusioni da non giuristi: l'Associazione Italiana Editori si confronta) ha sollevato le questioni dell'asimmetria informativa, del rapporto tra tecnologia e normativa, della responsabilità sia legale che sociale degli editori, concludendo che nessuna politica attuale, singolarmente presa, può essere efficace: servono invece politiche prospettiche su concorrenza, dati, fisco, lavoro, che interagiscano con le politiche sul diritto d'autore in un ecosistema complesso.
Ciò che, in questo contesto, ci si aspetta dal recepimento della direttiva, è che possa offrire sostegno al comparto editoriale, mediando tra estremismi neoliberisti o idealistici e insieme portando avanti l'elaborazione di protocolli di dettaglio su questioni di crescente rilevanza come le politiche educative connesse ai nuovi meccanismi della comunicazione o le implicazioni del data mining, su cui si è concentrata Rossana Ducato (University of Aberdeen) con la relazione Le nuove eccezioni per il text and data mining: implicazioni in ambito editoriale.