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Il Presidente: Discorsi

La grande riforma del Concordato

Discorso pronunciato durante il convegno che si è svolto in Sala Zuccari per la presentazione del volume "La grande riforma del Concordato" curato da Gennaro Acquaviva.

Signore e Signori,
ho accettato, davvero con piacere, di promuovere in Senato la presentazione del volume su "La grande riforma del Concordato" curato da Gennaro Acquaviva almeno per tre ragioni:

  • per la rilevanza obiettiva del tema che il libro tratta,
  • perché Gennaro Acquaviva è stato un autorevole Senatore,
  • perchè lo stesso Acquaviva, che ringrazio per la sua proposta di presentare qui questo libro, è stato anche una protagonista diretto degli eventi che oggi ricordiamo.

Proprio in questi giorni ricorrono 23 anni dal 1984, quando, dopo una stretta finale, lo Stato italiano e il Vaticano firmarono un documento che è molto di più di un semplice aggiornamento dei Patti Lateranensi del 1929.

Consentitemi, però, di muovere questa mia breve riflessione introduttiva a partire proprio dal libro che è ricco di contributi autorevoli e di spunti.
Nella sua introduzione il Cardinale Silvestrini - con la prudenza, ma anche con la chiarezza, che lo ha sempre contraddistinto - traccia un primo bilancio di questa esperienza e dei suoi aspetti innovativi. "Credo che il Concordato del 1984 - scrive il Cardinale Silvestrini - abbia veramente chiuso una controversia" con il pieno riconoscimento delle libertà fondamentali della Chiesa, della persona e dello Stato.
Una controversia che era divenuta più acuta per la distanza che si era aperta tra i Patti Lateranensi sottoscritti dalla Santa Sede con il regime fascista, la Costituzione della Repubblica italiana e il Magistero del Concilio Vaticano II.

Ma c'è un altro punto che mi sembra importante sottolineare - sempre nell'introduzione citata - dove si pone in evidenza anche l'importanza del fatto che, con il nuovo Concordato, emerge un interlocutore nuovo, un protagonista peculiare, che è la Conferenza Episcopale Italiana, che molto aveva cooperato per raggiungere l'intesa e per delinearne aspetti di contenuto fondamentali.

A partire dagli anni Settanta, come effetto del Concilio Vaticano II, la CEI si è posta come soggetto collegiale autorevole, fortemente partecipe dei problemi e della crescita della società italiana, e dell'impegno incisivo della Chiesa cattolica, nelle sue molteplici espressioni. Il rilancio dell'iniziativa per l'evangelizzazione e la promozione umana aveva scosso e pervaso tutta la cattolicità con positivi benefici per la crescita e la coesione dell'intero Paese.

D'altra parte, come ben ricorda Acquaviva nel suo contributo, lo stesso Bettino Craxi, ancor prima di essere eletto segretario del Partito socialista nel 1976, animato da una grande curiosità - forse non priva di ragioni personali più profonde oltre a quelle politiche - si era rivolto a lui per essere aiutato e introdotto nella comprensione del variegato e ricco mondo cattolico, con le sue diverse forme di presenza religiosa e di azione sociale.

Se mi è consentito, in questa circostanza, solo un breve riferimento al mio itinerario di impegno personale, non posso non esprimere tutta la mia consapevolezza, della straordinaria vitalità della presenza dei cattolici nella vita italiana, grazie anche agli effetti incisivi del Magistero sociale della Chiesa che ha decisamente influito, lungo tutto il Novecento, per contrastare ideologie totalitarie e per promuovere una costante e forte iniziativa di giustizia sociale e di attenzione ai più deboli.

Proprio questa mia esperienza, che è anche oggi una mia ferma convinzione, mi porta sempre a considerare, con il massimo rispetto la voce autorevole della Chiesa e della sua gerarchia, ogni volta che questa interviene sui problemi della società per sollecitare gli uomini a percorrere le strade per realizzare una più forte e vera promozione umana e una maggiore diffusione del bene comune.

Nel solco di questa storia sento, altresì, con particolare intensità quel principio contenuto nell'articolo 1 del nuovo Concordato che sottolinea come "La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo e del bene del Paese".

Questa affermazione offre, finalmente, le condizioni non per un semplice adeguamento dei Patti del 1929, ma per una loro sostanziale innovazione e per una più incisiva efficacia. Il nuovo Concordato, infatti, da attuazione piena alla Costituzione della Repubblica italiana, e in particolare all'articolo 7, dove nel 1° comma si riconosce, appunto, che "Lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani". Poi, nel 2° comma del medesimo articolo 7, si sancisce il carattere pattizio delle relazioni tra lo Stato e la Chiesa, a partire proprio dallo storico accordo del 1929.

Riconosco come un particolare valore - frutto della profonda maturazione culturale e civile della nostra società, anche grazie al radicamento dei valori religiosi nel nostro Paese - questo carattere "pattizio" dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa che consolida, fino a renderlo carattere fondante delle relazioni, il principio della collaborazione tra lo Stato e la Chiesa per "la promozione dell'uomo e per il bene del Paese".

Se guardo oggi, a più di vent'anni da quella storica firma, non posso non compiacermi per i rilevanti risultati conseguiti perché la libera presenza e azione della Chiesa cattolica potessero esprimersi con continuità e autonomia nei diversi campi religiosi, della vita civile e dell'azione sociale. Anche le soluzioni individuate per dare concretezza a questa riconosciuta libertà mi sembrano ancora oggi moderne ed efficaci, assicurando insieme la continuità delle risorse e la periodica partecipazione dei cittadini alla conferma di questo impegno.

Il fatto che poi le intese fra lo Stato italiano e la Chiesa fossero maturate per impulso decisivo di un leader della sinistra democratica laica mi sembra, in qualche modo, un segno anticipatore di una positiva evoluzione della politica italiana che ancora oggi si viene svolgendo. Sono davvero lieto di questi risultati concreti, che insieme possiamo constatare, non solo come cattolico ma ancor di più come dirigente politico e, oggi, come Presidente del Senato della Repubblica, perché da questa esperienza possiamo trarre utili insegnamenti.

Le trasformazioni della società italiana, ormai sempre più aperta e integrata nel mondo globale, sono di tale intensità e profondità da richiedere che questa collaborazione - nel quadro della previsione Concordataria - non si affievolisca mai, ma, anzi, si rafforzi con lealtà, anche di fronte agli ostacoli più difficili. Una costante, reciproca, assunzione di responsabilità è, infatti, la condizione per la vera autonomia delle Parti, nei propri ambiti.

La lezione che dobbiamo trarre da chi ha operato con determinazione in quegli anni è proprio qui, nel costante richiamo ad assumersi le responsabilità di un confronto per la ricerca delle soluzioni migliori alle cose nuove che si manifestano e che non possono essere eluse. Il Concordato del 1984, che fin qui ha dato buoni frutti, è uno strumento ancora giovane e contiene spazi di più intensa e positiva cooperazione nella libertà e nell'autonomia delle Parti.

Rimettere in discussione gli equilibri e le intese raggiunte mi sembra sbagliato. Bisogna piuttosto, con maturità e responsabilità, dare completa attuazione alle potenzialità che vi sono contenute. Una società politica e civile matura sa distinguere con semplice chiarezza - con laicità vorrei dire - i piani e gli ambiti delle autonomie e delle libertà, nel convincimento altresì che i valori religiosi sono patrimonio profondo della nostra vita civile e di tutto il Paese.

Un Parlamento capace di dialogo e di confronto alto al suo interno, anche sui temi più delicati - e che si muova nella sua piena autonomia e senza vincolo alcuno di mandato per tutti i suoi membri - è la migliore garanzia per la libertà e per l'autonomia della Chiesa.

La garanzia che il confronto e l'impegno comune non siano solo buoni auspici ma, come più volte negli anni è avvenuto, siano costantemente un traguardo possibile da conseguire per il bene del nostro Paese.

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