Senato della RepubblicaXVII LEGISLATURA
N. 724
DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa dei senatori PUGLISI, AMATI, FEDELI, DE PETRIS, FINOCCHIARO, GIANNINI, GIARRUSSO, GRANAIOLA, LANZILLOTTA, MUSSOLINI, PETRAGLIA, VALENTINI, BERTUZZI, BIANCO, CANTINI, CASSON, CHITI, CIRINNÀ, CUCCA, CUOMO, DE BIASI, DI GIORGI, FABBRI, FATTORINI, FAVERO, FORNARO, Rita GHEDINI, GINETTI, LO GIUDICE, MANASSERO, MARGIOTTA, MATTESINI, MATURANI, MICHELONI, MIRABELLI, MOSCARDELLI, ORRÙ, PADUA, PAGLIARI, PALERMO, PARENTE, PEGORER, PEZZOPANE, PIGNEDOLI, PINOTTI, PUPPATO, RICCHIUTI, SAGGESE, SANGALLI, SANTINI, SCALIA, SOLLO, SPILABOTTE, TOMASELLI, Elena FERRARA e LUMIA

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 29 MAGGIO 2013

Disposizioni per la promozione della soggettività femminile e per il contrasto al femminicidio

Onorevoli Senatori. -- È necessaria una nuova legge organica per la promozione della soggettività femminile e il contrasto al femminicidio, che abbia un approccio integrale e multidisciplinare e che sia formulata anche secondo le più recenti convenzioni internazionali e le raccomandazioni del comitato CEDAW.

Un disegno di legge in linea con le raccomandazioni del comitato CEDAW

La Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women (CEDAW), adottata nel 1979 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, viene intesa comunemente come carta internazionale dei diritti per le donne. Secondo l’articolo 1 la discriminazione comprende la violenza di genere, vale a dire, la violenza che è diretta contro le donne in quanto donne, o che colpisce le donne in modo sproporzionato. Vi rientrano le azioni che procurano sofferenze o danni fisici, mentali o sessuali, nonché la minaccia di tali azioni, la coercizione e la privazione della libertà.

L’Italia ha ratificato la CEDAW il 10 giugno 1985 e successivamente ha aderito al protocollo opzionale. Gli Stati che hanno ratificato la CEDAW e le altre carte regionali si sono assunti un obbligo ben preciso: adoperarsi affinché le donne abbiano cittadinanza, ovvero affinché possano in concreto godere dei loro diritti fondamentali. Il che implica per lo Stato l’obbligo di attivarsi per rimuovere le situazioni discriminatorie, non solo attraverso modifiche normative ma anche e soprattutto promuovendo un cambiamento culturale, stabilendo che la libertà di scelta della donna, la sua integrità psico-fisica, sono valori assoluti da riconoscere.

Per muoversi nello spirito delle raccomandazioni del comitato CEDAW è necessario un intervento legislativo organico e integrato che agisca su vari piani: culturale, formativo, legislativo e che soprattutto abbia un forte impatto sulla società. Anche perché, come scritto nel preambolo della CEDAW; «Le pratiche discriminatorie ostacolano la partecipazione delle donne ad ogni aspetto della vita del proprio paese in condizioni di parità con gli uomini, il che intralcia la crescita del benessere delle società e delle famiglie».

La violenza alle donne come genocidio nascosto

La violenza oggi non è solo residuale. È piuttosto una nuova risposta a cambiamenti introdotti dalle donne. La violenza maschile sulle donne è la prima causa di morte delle donne in tutta Europa e nel mondo. la violenza alle donne come genocidio nascosto -- per dirla come Amartya Sen -- non è un residuo del passato e non va assolutamente sottovalutata. Dietro il femminicidio introdotto nel dibattito nazionale ed internazionale c’è non solo l’omicidio di donne – in questo caso si parla di femmicidio, che è concetto diverso -- ma la continua erosione della loro dignità, il tentativo di negare la piena espressione della loro personalità. Il femmicidio costituisce solo la cima di un enorme iceberg sommerso.

La violenza sulle donne non è solo il frutto di un’aggressione individuale. Esiste una dimensione sociale della violenza e il fatto che gran parte della violenza si svolga in famiglia significa che la dimensione sociale include i rapporti coniugali, tra partner e genitoriali. Solo un’infinitesima parte degli aggressori è affetta da alterazione più o meno momentanea (alcolisti, tossicodipendenti, persone con problemi mentali); è un fenomeno trasversale a ceti ed ambienti e bisogna andare a fondo per capire perché cittadini ritenuti assolutamente normali, di ogni professione e livello culturale, attaccano l’identità delle loro mogli o compagne e perché provano, e spesso riescono, ad umiliarla e distruggerla.

Femmicidio e femminicidio

Già nel 1995, la IV Conferenza mondiale delle Nazioni Unite definì la violenza di genere come il manifestarsi delle relazioni di potere storicamente ineguali fra donne e uomini. L’elaborazione teorica accademica utilizza il concetto di femminicidio per identificare le violenze fisiche e psicologiche contro le donne che avvengono in (e a causa di) un contesto sociale e culturale che contribuisce a una sostanziale impunità sociale di tali atti, relegando la donna, in quanto donna, a un ruolo subordinato e negandole, di fatto, il godimento del diritti fondamentali. Il termine è il frutto della collaborazione tra istituzioni accademiche, enti non governativi e movimenti in difesa del diritti delle donne, da questa congiuntura di idee e competenze nasce una nuova prassi e un fondamentale sviluppo concettuale.

Il concetto di femminicidio comprende, infatti, non solo l’uccisione di una donna in quanto donna (femmicidio), ma ogni atto violento o minaccia di violenza esercitato nel confronti di una donna in quanto donna, in ambito pubblico o privato, che provochi o possa provocare un danno fisico, sessuale o psicologico o sofferenza alla donna. L’uccisione della donna è quindi solo una delle sue estreme conseguenze, l’espressione più drammatica della diseguaglianza esistente nella nostra società.

L’antropologa messicana Marcela Lagarde, fra le teoriche del concetto di femminicidio, sottolinea il carattere strutturale del problema evidenziando come «La cultura in mille modi rafforza la concezione per cui la violenza maschile sulle donne è un qualcosa di naturale, attraverso una proiezione permanente di immagini, dossier, spiegazioni che legittimano la violenza, siamo davanti a una violenza illegale ma legittima, questo è uno dei punti chiave del femminicidio». È, infatti, proprio il contesto culturale ad implicare la sostanziale impunità sociale e la «normalizzazione» del fenomeno che legittimano il femminicidio, soprattutto quando le istituzioni si mostrano inadeguate ad affrontarne la drammaticità e specificità.

Occorre una nuova stagione delle relazioni

Molti studi dicono che la violenza sulle donne non è mal reazione ad un torto e neanche e soltanto lo sfogo maschile a proprie insoddisfazioni o frustrazioni. È molto di più, richiama un livello qualitativamente diverso. Attiene a profonde motivazioni culturali, ai modelli del rapporto tra i generi, tra le persone. Per questo la violenza oggi non è purtroppo frutto di arcaismi. La violenza in tutte le sue forme è piuttosto un modo per riappropriarsi di un ruolo gerarchicamente dominante a cui sono connessi privilegi. Ma soprattutto è crisi d’identità. Il punto vero è la crisi di identità nelle relazioni tra uomini e donne, nel campo più intimo della relazione, nella relazione amorosa. Occorre una nuova grammatica delle relazioni. A fronte di una nuova identità femminile stenta ad affermarsi una nuova identità maschile in grado di porvisi in relazione.

La radice della moderna violenza sta nella fragilità dei ruoli e nella fragilità della relazione. Ancora non abbiamo conseguito una forma di relazione tra soggetti autonomi che siano in grado di stare su di un piano di pari autonomia e dignità. Per questo dobbiamo compiere un salto di qualità nella battaglia culturale, nell’assunzione di responsabilità dello Stato, perché la violenza ha radici moderne e non è quindi frutto di arcaismi. Un salto di qualità nell’azione, perché c’è un salto di qualità nella violenza, non già azione residua le di un mondo arretrato, bensì risposta nuova di una consapevolezza nuova delle donne rispetto ai loro diritti.

Un fenomeno in gran parte ancora sommerso

Dagli studi e dai media emerge un panorama inquietante di un fenomeno in gran parte ancora sommerso. «È violenza di genere -- sostiene Linda Sabbadini, direttore del dipartimento per le statistiche sociali e ambientali dell’ISTAT -- perché le donne la subiscono in quanto donne, in relazione alla loro diversità sessuale. È la violenza dell’intimità e non dell’estraneità, è la violenza di chi pensi che ti ami e non di chi ritieni sia un nemico. È una violenza vissuta in solitudine che non viene denunciata nella quasi totalità del casi».

Da ulteriori studi si è constatato che gran parte delle donne uccise lo sono per mano del marito o del partner. Ma questa è ancora violenza rumorosa, eclatante. Come lo è quella legata agli stupri etnici e alla prostituzione coatta, moderna forma di «tratta delle bianche». È purtroppo solo una minima parte delle violenze. La gran parte della violenza è però silenziosa e non si lascia rinchiudere, in modo rassicurante, nelle gabbie delle patologie o del mondo esterno cattivo. Le case e i centri delle donne ci dicono poi che i dati sono sempre in difetto rispetto alle realtà. Infatti nel maltrattamenti e negli abusi intrafamiliari una percentuale molto alta non viene denunciata all’autorità giudiziaria o alla denuncia seguono spesso periodi così lunghi di violenza morale che poi (in particolare per violenze non di tipo sessuale) è molto difficile procedere. La lenta reattività dell’ordinamento e della risposta giudiziaria espone le donne a ulteriore violenza e le induce anche alla fine ad accettare accordi che costituiscono in realtà una resa incondizionata al più forte e violento. Il presente disegno di legge muove dalla consapevolezza che i processi di cambiamento possono essere anche interrotti. La violenza, oltre che un danno alle singole persone, alle donne e alle bambine, è anche un attacco al cambiamento e al progresso sociale, alla nostra Costituzione e ai diritti umani.

Dimensione sociale della violenza e gerarchia del rapporti

La violenza di cui ci si occupa non appartiene quindi ad un mondo posto ai margini di rapporti quotidiani improntati normalmente al rispetto reciproco in famiglia e nel lavoro o esclusivamente a mondi che esplodono in guerre o in crisi drammatiche. Certamente una parte di violenza è legata a questi mondi «particolari» ed essa ha toccato negli ultimi anni in modo terribile molte donne In Paesi a noi vicini, molte ragazze, giovani, bambine, costrette da gruppi criminali a prostituirsi o a cadere nelle maglie terribili della tratta. Ma c’è una connessione tra mondi particolari e mondo normale, sì che il mondo che unisce insieme i tipi di violenza compiuti, nell’uno e nell’altro mondo, va a costruire una robusta trama in cui si cerca di impigliare l’identità individuale e collettiva delle donne e di congelare ruoli sociali e culturali.

La violenza, morale, psicologica, fisica, economica, sessuale, da parte del partner è piuttosto un modo per riappropriarsi di un ruolo a cui sono connessi privilegi e soprattutto di un ruolo gerarchicamente dominante. La violenza diventa quindi uno strumento usato contro la donna che non vuole riconoscere questo potere, questa gerarchia nel rapporti, così come ci è stata consegnata dal passato. Forse per questo la violenza non si ferma neanche di fronte alla gravidanza.

Il sostegno dei centri anti violenza

È significativo che, laddove esistono forti centri antiviolenza, se a sostenere le donne ci sono le case ed i centri delle donne, e se si formano pool antiviolenza, anche con protocolli d’intesa tra le istituzioni, le denunce di violenza aumentino. Si allenta la paura, si rafforza la volontà di rompere la complicità con la violenza anche perché c’è chi può aiutare nella volontà di tornare libere. In Italia non tutti i centri possono offrire ospitalità alle donne vittime di violenza e al loro figli. Secondo i dati di Telefono Rosa, complessivamente su 127 centri esistenti in Italia 99 sono gestiti da associazioni di solo donne e solo 61 hanno una casa rifugio per una capacità complessiva di circa 500 posti letto. Non c’è una equa distribuzione di centri antiviolenza su tutto il territorio nazionale: molte regioni ne hanno pochissimi, alcune regioni nessuno.

Il Consiglio d’Europa raccomanda un centro antiviolenza ogni 10.000 persone e un centro d’emergenza ogni 50.000 abitanti. In Italia dovrebbero esserci 5.700 posti letto ce ne sono solo 500. Siamo lontano dagli standard europei richiesti.

L’importanza della prevenzione

La violenza, per essere realmente combattuta ha bisogno di un cambiamento culturale, e nessuna legge, anche la più rigorosa dal punto di vista penale, può arginare la violenza se non è accompagnata da una volontà di cambiamento nel rapporto tra i sessi e le persone. Decisivo il ruolo di prevenzione che possono svolgere le scuole, come potenti agenti di cambiamento, con iniziative di sensibilizzazione, informazione e formazione che conferiscano agli studenti autonomia e capacità d’analisi. La presenza di un referente per l’educazione alla relazione, come indicato dal disegno di legge, può sollecitare misure educative a favore delle pari opportunità tra generi e della promozione della soggettività femminile. importante anche la presenza di nuclei specializzati tra le Forze dell’ordine e nelle ASL.

La sottolineatura della prevenzione della violenza sollecita le istituzioni a farsi carico del fenomeno a 360°: ciò significa agire anche sugli uomini che la perpetrano. L’ipotesi di un lavoro con gli uomini era, fino a pochi anni fa, assolutamente non considerata, ma in questi ultimi anni è diventata evidente la necessità di lavorare anche con gli uomini, nell’ambito della lotta agli stereotipi culturali e di genere. L’articolo 5 del CEDAW sottoscritto anche dall’Italia vuole il nostro impegno in questa direzione. Tra le esperienze internazionali più interessanti c’è quella realizzata da anni in Canada: il Correctional service of Canada (CSC) nel National family violence prevention programs dell’anno 2001, che ha tracciato le linee guida di programmi riabilitativi forniti principalmente su autori di sesso maschile che sono stati violenti verso le loro partner. Anche nel Regno Unito dal 1991 è stato creato e avviato un progetto dal titolo «Domestic violence intervention project», il cui fulcro è la conduzione di gruppi di uomini con l’obiettivo di comprenderei motivi alla base della violenza e porre fine all’uso della stessa all’interno delle relazioni affettive. In Italia esistono già interessanti esperienze in tal senso a Roma e a Torino. Il disegno di legge affronta tutti questi aspetti della prevenzione; questi programmi mirati vanno sostenuti perché possono migliorare la sicurezza della vittima e concorrere ad interrompere il circuito della violenza.

Il panorama nazionale e internazionale

Una nuova cultura dei diritti umani

Dalla Quarta conferenza Internazionale sulle donne tenutasi a Pechino nel 1995 alla Conferenza mondiale di Stoccolma contro lo sfruttamento sessuale dei minori del 1996, dalle ultime iniziative dell’ONU a quelle europee, emergono una più matura elaborazione del fenomeno della violenza e una più forte assunzione di responsabilità.

Negli ultimi anni si sono infatti moltiplicate le prese di posizione, le raccomandazioni, le risoluzioni deIl’ONU, dell’UNICEF, del Parlamento e del Consiglio d’Europa.

Il filo conduttore è dato dall’innestarsi di una nuova cultura dei diritti umani, inclusiva di quelli delle donne e del bambini e bambine. Lo sguardo alla violenza diviene, allora, sempre più lo sguardo alla violazione dei loro diritti. La stessa concreta solidarietà a chi incontra la violenza, perché non rimanga -- anche se è importante in sé -- fenomeno momentaneo ed isolato, sollecita una più moderna concezione del rapporti tra donne e uomini, una più elevata visione dell’infanzia e dell’adolescenza.

L’Unione europea

Il fenomeno produce un rifiuto collettivo e un evidente allarme sociale nella cittadinanza europea. Secondo Eurobarometro, l’87 per cento dei cittadini europei condivide e appoggia le politiche dell’Unione europea contro la violenza domestica.

Il fenomeno nel suo complesso è all’attenzione nel panorama europeo e internazionale. Fra i numerosi documenti delle istituzioni europee relativi al fenomeno della violenza di genere citiamo la risoluzione del Parlamento europeo sulla violenza contro le donne e programma Daphne del 1999 (proclamato dallo stesso Parlamento «Anno europeo della lotta contro la violenza nei confronti delle donne»), che sollecita un approccio coordinato per contrastare su scala nazionale la violenza di genere, implementando strategie che coinvolgano diversi strumenti per prevenire le violenze e affrontarne le conseguenze. A questa risoluzione ha fatto seguito il Programma d’azione comunitaria sulle misure preventive intese a combattere la violenza contro i bambini, i giovani e le donne (2000-2003, programma DAPHNE), emanato dal Parlamento europeo e dal Consiglio d’Europa e la raccomandazione Rec (2002) 5 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulla protezione delle donne dalla violenza adottata il 30 aprile 2002. Una delle priorità indicate dalla strategia quinquennale 2010-2015 adottata dalla Commissione europea è il contrasto alla violenza di genere.

La risoluzione del Parlamento europeo del 5 aprile 2011 in materia di lotta alla violenza contro le donne (2010/2209(INI)) riporta che il 20-25 per cento delle donne europee ha subito atti di violenza fisica almeno una volta nella vita adulta e che più del 10 per cento ha subito violenze sessuali che comportano l’uso della forza. Il Parlamento europeo indica il mezzo per ridurre significativamente il fenomeno in un insieme di azioni infrastrutturali, giuridiche, giudiziarie, esecutive, didattiche, sanitarie e di interventi nel settore dei servizi. Inoltre, la risoluzione invita commissione e Stati membri ad affrontare il problema della violenza contro le donne e la dimensione di genere delle violazioni del diritti umani sul piano internazionale. Fra gli strumenti internazionali esistenti per riconoscere e contrastare il fenomeno citiamo: la CEDAW del 1979, la Dichiarazione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne del 1993, la Piattaforma per l’azione approvata dalla IV Conferenza mondiale sulla donna dell’ONU a Pechino nel 1995, per la quale il Consiglio europeo del 1995 ha stabilito la stesura di rapporti annuali sull’implementazione, che prevede un approccio integrato al fenomeno e ribadisce che i diritti umani delle donne e delle bambine sono parte inalienabile, integrale e indivisibile dei diritti umani universali, la risoluzione dell’Assemblea mondiale della sanità «Prevenzione della violenza: una priorità della sanità pubblica» del 1996, dove l’OMS riconosce la violenza come problema cruciale per la salute delle donne; la risoluzione (n. 52/86) dell’Assemblea generale dell’ONU su «Prevenzione del reati e misure di giustizia penale per eliminare la violenza contro le donne». Tutti i documenti citati concordano nel riconoscere come la violenza di genere sia generata dal contesto culturale e violi e limiti i diritti fondamentali delle donne in un quadro di grave inadeguatezza delle risposte istituzionali.

L’ONU

Nel 1985 anche l’Italia ha ratificato la più volte citata CEDAW adottata dall’Assemblea generale dell’ONU nel 1979, impegnandosi ad adottare «misure adeguate per garantire pari opportunità a donne e uomini in ambito sia pubblico che privato». Il monitoraggio dei risultati avviene ogni quattro anni. Gli Stati firmatari presentano un rapporto governativo con tutti gli Interventi portati avanti per raggiungere i risultati richiesti dalla CEDAW.

Le ultime raccomandazioni del comitato CEDAW al nostro Paese sono state fatte in occasione della 49ª sessione di valutazione tenutasi nel luglio 2011 presso le Nazioni Unite a New York e sono state pubblicate il 3 agosto 2011. Tra tre anni sarà la volta di un nuovo rapporto periodico, il settimo da quando esiste la Convenzione. Nelle raccomandazioni del 2011, il comitato CEDAW ha accolto con favore l’adozione del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, che introduce il reato di stalking in Italia, «Il Piano di azione nazionale per combattere la violenza nei confronti delle donne e lo stalking, casi come la prima ricerca completa sulla violenza fisica, sessuale e psicologica nei confronti delle donne, sviluppata daIl’ISTAT». Azioni che, però, non bastano: «il Comitato rimane preoccupato per l’elevata prevalenza della violenza nei confronti di donne e bambine nonché per il persistere di attitudini socio-culturali che condonano la violenza domestica, oltre ad essere preoccupato per la mancanza di dati sulla violenza contro le donne e bambine migranti, Rom e Sinte». E prosegue: «Il Comitato è inoltre preoccupato per l’elevato numero di donne uccise dai propri partner o ex-partner, che possono indicare Il fallimento delle Autorità dello Stato-membro nel proteggere adeguatamente le donne, vittime del loro partner o ex-partner».

Oltre al rapporto governativo, in parallelo e autonomamente anche la società civile redige un proprio rapporto, il «Rapporto Ombra». Il comitato CEDAW, composto da 23 esperti provenienti da tutto il mondo, eletti dagli Stati firmatari, esamina entrambi i rapporti e formula le proprie raccomandazioni allo Stato, che è tenuto a considerarle nell’ottica dell’avanzamento delle donne nella società e a risponderne negli anni successivi.

Secondo il Rapporto Ombra elaborato dalla Piattaforma «Lavori in corsa: 30 anni CEDAW» presentato il 17 gennaio 2012 alla Camera dei deputati, insieme alle raccomandazioni del Comitato CEDAW, la violenza maschile sulle donne è la prima causa di morte per le donne in tutta Europa e nel mondo. Nel nostro continente ogni giorno sette donne vengono uccise dai propri partner o ex-partner. In Italia solo nel 2010 i casi di femminicidio sono stati 127: 116,7 per cento in più, rispetto all’anno precedente. Di queste, 114 sono state uccise da membri della famiglia. In particolare, 68 sono state uccise dal partner e 29 dall’ex partner. Dunque, in più della metà dei casi il femmicidio è stato commesso nell’ambito di una relazione sentimentale, in corso o appena terminata, per mano del coniuge, convivente, fidanzato o ex. La maggior parte delle vittime è italiana (78 per cento), così come la maggior parte degli uomini che le hanno uccise (79 per cento). Solo una minima parte di questi delitti è avvenuta per mano di sconosciuti. Nella restante parte dei casi è avvenuto per mano di un altro parente della vittima o comunque di persona conosciuta. È uno degli aspetti più delicati su cui si concentra il «Rapporto Ombra» della società civile sulla condizione delle donne in Italia.

I media – si legge nel Rapporto – spesso presentano i casi di femmicidio come frutto di delitti passionali, di un’azione improvvisa ed imprevedibile di uomini vittime di raptus e follia omicida. In realtà questi sono l’epilogo di un crescendo di violenza a senso unico e generalmente sono causati da un’incapacità di accettare le separazioni, da gelosie, da un sentimento di orgoglio ferito, dalla volontà di vendetta e punizione nei confronti di una donna che ha trasgredito a un modello comportamentale tradizionale. Un ruolo che in Italia è ancora relegato a quello di madre e moglie, oppure di oggetto del desiderio sessuale. Secondo il Rapporto Ombra, nel momento in cui la donna italiana cerca di uscire da questi schemi, nasce il rifiuto del partner maschile alla sua emancipazione che si trasforma in forme di controllo economico, di violenza psicologica, di violenza fisica, e che può arrivare fino all’uccisione della donna.

Il 25 giugno 2012 è stato presentato all’ONU il primo Rapporto tematico sul femminicidio, frutto del lavoro realizzato in Italia da Rashida Manjoo, preceduto nell’ottobre 2011 da un seminario convocato a New York dalla relatrice speciale. Il seminario ha coinvolto 25 esperti provenienti da diverse aree geografiche e appartenenti al mondo universitario, alle organizzazioni della società civile, ad agenzie delle Nazioni Unite, tutti con comprovate competenze tecniche e professionali in materia di femminicidio.

Si afferma nel Rapporto che il continuum della violenza nella casa si riflette nel crescente numero di vittime di femminicidio. Dall’inizio degli anni 1990, il numero di omicidi di uomini da parte di uomini è diminuito, mentre il numero delle donne uccise da uomini è aumentato. Un rapporto sul femminicidio basato sulle informazioni fornite dai media indica che nel 2010 ben 127 donne sono state assassinate da uomini. Di queste, il 78 per cento erano italiane e anche il 79 per cento degli autori erano italiani. Ciò contrasta con l’opinione comune che tali crimini siano commessi da uomini stranieri, percezione rinforzata dai media. Nel 54 per cento del casi l’autore era o un partner o ex partner, solo nel 4 per cento dei casi l’autore era sconosciuto alla vittima.

Un aspetto sottovalutato è la forza emulativa del femminicidio. I femminicidi sono stati considerati degli «eventi seriali», non perché l’omicida fosse lo stesso, ma perché gli omicidi perpetrati erano simili nel modus operandi, nelle dinamiche, nella forza evocativa. Il pericolo sociale degli stessi, pertanto, ha un impatto da non sottovalutare e per questo delle misure integrate e interdisciplinari sono e rimarranno l’unico deterrente.

Secondo la Manjoo la maggior parte delle violenze non sono denunciate perché perpetrate in un contesto culturale maschilista dove la violenza domestica non è sempre percepita come un crimine, dove le vittime sono economicamente dipendenti dai responsabili della violenza e persiste la percezione che le risposte fornite dallo Stato non sono adeguate per riconoscere il fenomeno, perseguire per via legale gli autori di tali crimini e garantire assistenza e protezione alle vittime.

Il rapporto ONU rileva che in Italia gli stereotipi di genere sono profondamente radicati e predeterminano i ruoli di uomini e donne nella società. Analizzando i dati relativi alla presenza nei media, il 46 per cento delle donne appare associato a temi quali il sesso, la moda e la bellezza e solo il 2 per cento a questioni di impegno sociale e professionale.

Iniziative italiane come il Piano di azione nazionale contro la violenza non hanno portato miglioramenti significativi. Inoltre, la mancanza di dati ufficiali disaggregati per genere, raccolti da istituzioni nazionali, impedisce di misurare accuratamente la portata del fenomeno. Si tratta di una grave mancanza del nostro Paese, che non ha ancora dato seguito alle numerose sollecitazioni da parte degli organismi internazionali che richiedono a tutti gli Stati di predisporre strumenti adeguati per il monitoraggio del fenomeno.

Conclude Rashida Manjoo, special rapporteur ONU, che l’attuale situazione politica ed economica dell’Italia non può essere utilizzata come giustificazione per la diminuzione di attenzione e risorse dedicate alla lotta contro tutte le manifestazioni della violenza su donne e bambine in questo Paese. Si tratta a tutti gli effetti di un contesto di negazione, limitazione e violazione di quei diritti fondamentali che costituiscono la base di uno Stato democratico.

In Italia

Studi accademici e autorevoli analisi dei dati raccolti dai media, da organizzazioni non governative e da numerose associazioni, indicano un aumento degli episodi di discriminazione e violenza di genere in Italia. I dati istituzionali che misurano il fenomeno della violenza contro le donne sono limitati ad anni o temi particolari, ancora non esiste un piano nazionale per le indagini in questo ambito e spesso, pur in presenza di dati disaggregati, le istituzioni non si mostrano in grado di leggerli in un’ottica di genere, trascurando così cruciali caratteristiche dei fenomeni analizzati.

I dati del Rapporto annuale ISTAT evidenziano una diminuzione generale degli omicidi nell’ultimo ventennio. Tuttavia, disaggregando i dati per genere, si nota che le variazioni nei tassi di omicidio dagli anni ’70 -- come rileva Linda Laura Sabbadini, direttore del dipartimento per le Statistiche sociali e ambientali dell’ISTAT -- sono dipese esclusivamente da variazioni nella conflittualità tra uomini: sono diminuiti gli omicidi dei maschi sui maschi e non sono stati intaccati quelli dei maschi sulle femmine. I dati -- prosegue -- parlano chiaro: la violenza più diffusa contro le donne è quella domestica, che non ti aspetti, che viene da mariti, fidanzati, ex. Lo hanno sempre detto i centri antiviolenze, lo abbiamo confermato con la nostra indagine. Nel 2011 sono state 137 le donne uccise in Italia, dieci in più dell’anno precedente, nel 2012 le donne uccise sono state 124 e nel 2013 fino ad oggi già più di 25 donne sono state uccise da uomini, spesso mariti, compagni o ex-partner.

Se oggi l’ONU, e di conseguenza l’informazione di massa, parla senza mezzi termini di femminicidio anche in relazione all’Italia, è perché ci sono state donne che da anni hanno reclamato il riconoscimento anche per le donne, in quanto donne, di quei diritti umani affermati a livello universale, ed in particolare del diritto inalienabile alla vita e all’integrità psicofisica. Il riconoscimento e il contrasto del femminicidio in Italia è un ulteriore passo fondamentale di riconoscimento degli storici sforzi delle donne per godere dei diritti fondamentali inalienabili e universali propri di ogni individuo. L’elaborazione del presente disegno di legge ha beneficiato degli apporti teorici e pratici frutto del lavoro e dell’esperienza di donne e gruppi di donne, associazioni e organizzazioni, che lavorano in tutti gli ambiti del contesto internazionale, nazionale e locale. L’obiettivo è predisporre uno strumento efficace che contribuisca a sradicare ogni forma di discriminazione e violenza contro la donna in quanto donna, evitando prospettive falsamente neutrali che non rispecchiano la realtà in questo ambito e che affronti in modo integrale un fenomeno che ostacola il raggiungimento dell’uguaglianza sostanziale della donna in tutte le dimensioni della sua vita.

Il percorso normativo

La nostra Costituzione stabilisce all’articolo 3 il ripudio di ogni forma di discriminazione e attribuisce allo Stato il dovere di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». I poteri pubblici non possono, quindi, omettere di predisporre misure adeguate a contrastare un fenomeno che evidenzia lo squilibrio fra i generi ancora esistente nella nostra società e, costituisce un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi di uguaglianza sostanziale delle donne. Negli ultimi anni lo Stato italiano ha provveduto a diversi adeguamenti della legislazione interna, oltre ad aver stabilito interventi volti ad avanzare verso il raggiungimento di un’uguaglianza sostanziale fra i generi nel godimento del diritti fondamentali. Fra le iniziative più rilevanti possiamo citare la legge 15 febbraio 1996, n. 66, «Norme contro la violenza sessuale», la direttiva del Presidente del Consiglio del ministri 27 marzo 1997, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 116 del 21 maggio 1997, «Azioni volte a promuovere l’attribuzione di poteri e responsabilità alle donne, a riconoscere e garantire libertà di scelte e qualità sociale a donne e uomini», che stabilisce di sviluppare con l’ISTAT e il Sistema statistico nazionale nuove metodologie d’indagine sui fenomeni di violenza e abusi sessuali e di procedere alla raccolta ed elaborazione di dati disaggregati per sesso e per età, la legge 3 agosto 1998, n. 269, «Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù», la legge 4 aprile 2001, n. 154, «Misure contro la violenza nelle relazioni familiari», il decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori», cosiddetta «legge anti-stalking». Questi interventi hanno avuto importanti impatti nel diversi ambiti regolati e costituiscono interventi cruciali per il raggiungimento dell’uguaglianza sostanziale fra uomini e donne.

Il 27 settembre 2012, dopo numerose sollecitazioni del Parlamento, delle associazioni e delle organizzazioni, l’Italia ha finalmente firmato la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e la violenza domestica, firmata ad Istanbul l’11 maggio 2011 da più di dieci Stati europei. Ora si deve provvedere al più presto alla relativa ratifica.

Ma soprattutto c’è bisogno di una nuova legge in materia di contrasto al femminicidio.

Il testo del disegno di legge

Riconoscendo la gravità del fenomeno del femminicidio nel nostro Paese e proponendo misure specifiche per contrastarlo, questo disegno di legge risponde alla necessità di contribuire alla risposta globale alle violenze di genere, proponendo un approccio integrale e multidisciplinare.

Al capo I si introducono le nozioni di femminicidio e discriminazione di genere.

Tra le norme di carattere preventivo il disegno di legge prevede una serie di misure volte a sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto al fenomeno della violenza di genere e a promuovere una rappresentazione della donna come soggetto portatore di una propria soggettività e dignità da rispettare. Il disegno di legge vuole predisporre adeguati strumenti per agire su quelle che sono le principali cause del femminicidio, ovvero la rappresentazione di stereotipi sessisti nelle relazioni, tali da perpetuare determinati rapporti di potere tra sessi, che implicano la subordinazione della donna. In tal senso, ad esempio, si prevede al capo II (Formazione, informazione, sensibilizzazione, promozione culturale), l’adozione di un codice di autoregolamentazione per i media, redatto secondo il modello della soft law dagli stessi operatori e dagli organi rappresentanti delle categorie interessate, trasfuso in un apposito regolamento e reso cogente dal richiamo che lo stesso disegno di legge vi effettua. Il ricorso al modello della self regulation appare particolarmente efficace in relazione a un fenomeno, quale quello in esame, le cui cause risiedono in larga parte nella rappresentazione e riproduzione di rapporti stereotipati fra i generi, spesso veicolate anche dai media. Il capo II del disegno di legge prevede inoltre, nella stessa ottica di prevenzione delle cause del femminicidio, l’istituzione nelle scuole della figura del referente per l’educazione alla relazione e inserimento nei programmi scolastici dell’educazione alla relazione, nonché protocolli d’intesa promossi dalle prefetture tra soggetti istituzionali, quali province, comuni, aziende sanitarie, consigliere di parità, uffici scolastici provinciali, Forze dell’ordine e del volontariato che operano sul territorio, al fine di contrastare efficacemente il fenomeno degli atti persecutori e della violenza contro le donne (articoli 3 e 4). Al fine di consentire un adeguato monitoraggio del fenomeno, e per rispondere alle richieste del Parlamento europeo ed altre istituzioni internazionali, si attribuisce all’ISTAT, sulla base di finanziamenti appositamente stanziati e aggiuntivi rispetto a quelli ordinari, il compito di assicurare lo svolgimento di una rilevazione statistica sulla discriminazione e la violenza di genere e sui maltrattamenti in famiglia, che ne misuri le caratteristiche fondamentali e individui i soggetti più a rischio con cadenza almeno quadriennale, istituendo un apposito Osservatorio sulla violenza nei confronti delle donne, accessibile anche agli enti impegnati in attività di ricerca.

Il capo III del disegno di legge (Tutela delle vittime di violenza) prevede norme per la tutela della vittima di violenze o discriminazioni di genere, volte a predisporre garanzie peculiari nel rapporto con le Forze dell’ordine al fine di evitare fenomeni di vittimizzazione secondaria. Le norme relative all’adeguamento delle strutture sanitarie prevedono la formazione di operatori specializzati e preparati ad accogliere, sostenere e soccorrere le donne vittime di tali abusi.

Per le vittime della violenza di genere si prevede una tutela peculiare anche sul piano previdenziale e lavorativo, inserendo tra i livelli essenziali delle prestazioni di accoglienza e socio-assistenziali le attività volte a fornire misure di sostegno alle donne vittime di violenza sessuale, stalking e maltrattamenti. Si sancisce il riconoscimento della possibilità di costituirsi nel giudizio penale per il centro che abbia assistito la vittima di violenza sessuale, maltrattamenti, tratta, stalking e altri delitti contro la personalità individuale o contro la famiglia o la libertà sessuale. Qualora ad essere vittime di violenza o abusi sessuali, maltrattamenti o stalking siano donne migranti, si estende a loro la sfera di applicazione del permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 18 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’Immigrazione e norme sulla condizione dello straniero di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 280. Al fine di interrompere il circuito della violenza, eliminandone le cause (molto spesso radicate in disagi psichici) si promuove l’istituzione di programmi di riabilitazione, su base volontaria, destinati agli autori della violenza. Si realizza poi un database interforze alimentato con dati di fonte giudiziaria o investigativa sulla violenza.

Il capo IV (Case e centri delle donne) comprende la disciplina delle case e dei centri delle donne, quali luoghi nei quali non solo possa trovare tutela la vittima di violenza o di discriminazioni di genere, ma nei quali possa pure darsi libero corso a iniziative volte alla promozione della soggettività femminile, anche mediante azioni di solidarietà e accoglienza rivolte ai figli minori delle stesse donne, a prescindere dalla loro cittadinanza.

Il capo V (Norme penali), contiene appunto le norme penali si apre con la codificazione di un’aggravante comune per tutti ì delitti contro la persona commessi mediante violenza, realizzati alla presenza di minori; si qualifica poi un’aggravante specifica per il reato di maltrattamenti commesso, parimenti, alla presenza di minori (violenza assistita) e si estende il reato di maltrattamenti anche ai casi in cui la «persona di famiglia» non sia convivente (sulla scia delle indicazioni della Convenzione di Istanbul del 2011).

Si prevedono poi puntuali modifiche alla disciplina della violenza sessuale in relazione a talune fattispecie circostanziate e l’estensione dell’aggravante per lo stalking anche alle ipotesi in cui il fatto sia commesso dal coniuge, anche se separato solo di fatto. Tale modifica mira a correggere un’anomalia presente nel testo vigente, che sul piano applicativo determina l’incongrua conseguenza di dover irrogare al coniuge una pena inferiore a quella irrogabile all’ex partner della vittima ovvero di escludere la configurabilità dello stalking -- rispetto al coniuge -- riconoscendo invece sempre, in questi casi, la sussistenza del delitto di maltrattamenti in famiglia, con una sorta di interpretatio abrogans della novella di cui al citato decreto-legge n. 11 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 38 del 2009.

Si prevede infine l’estensione delle aggravanti per discriminazione, previste tra l’altro dal decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, la cosiddetta «legge Mancino», anche alle discriminazioni di genere. Inoltre, nella convinzione che la recidiva non possa sconfiggersi se non con un adeguato percorso di riabilitazione, si prevedono programmi specifici di questo tipo per i detenuti per reati di violenza contro le donne, al termine dei quali la magistratura si sorveglianza, valutando la frequenza e l’applicazione del detenuto, può acquisire elementi per decidere circa la concedibilità o meno di permessi penitenziari.

Il capo VI (Tutela della vittima nel procedimento penale) intende conferire maggiori diritti alla vittima la fase più delicata del procedimento penale, ovvero quella delle indagini, prevedendo in particolare l’obbligo di comunicazione alla persona offesa della cessazione di misure cautelari, della chiusura delle indagini preliminari o della richiesta di archiviazione (così da poter esercitare tutti i poteri riconosciuti dal codice); maggiori garanzie rispetto al sequestro conservativo anche in fase d’indagini, così da rafforzare la tutela patrimoniale della vittima; cautele analoghe a quelle previste per i minori in sede di esame dibattimentale anche per le vittime maggiorenni particolarmente vulnerabili. Al fine di consentire alle vittime di vedere nel più breve tempo possibile soddisfatti i loro diritti, si attribuisce poi carattere prioritario ai procedimenti penali per i reati sessuali o contro la personalità individuale.

Il capo VII (Violenza economica e domestica), al fine di contrastare quelle forme sottili di violenza consistenti nel rendere la donna economicamente dipendente o privarla delle risorse necessarie (ove dovute) per l’indipendenza, qualifica come reato proprio l’occultamento doloso delle proprie risorse patrimoniali al fine di non corrispondere quanto dovuto, a titolo dì mantenimento o di alimenti, al coniuge o ai figli. Inoltre, si estende il reato di frode processuale all’ipotesi di occultamento fraudolento delle proprie risorse patrimoniali; si prevede altresì che tale comportamento rilevi ai fini dell’affidamento e della fissazione degli obblighi di mantenimento. In materia di violenza domestica, si consente l’adozione, la modifica, la conferma ovvero la revoca degli ordini di protezione anche nell’ambito del bunale ai sensi dell’articolo 708, terzo comma, del codice di procedura civile, si estendono gli ordini di protezione anche ai non conviventi e si prevede la procedibilità d’ufficio (anziché a querela) del reato di mancata esecuzione dei provvedimenti giudiziali e, anche al fine di superare l’inammissibilità delle deposizioni de relato, si ammette la prova della violenza con ogni mezzo.

Tra le norme di carattere finanziario, si sottolinea poi l’istituzione del Fondo per il contrasto della violenza nei confronti delle donne, destinato a finanziare le iniziative previste dal presente disegno di legge e alimentato, tra l’altro, dalle sanzioni irrogate per violazione del codice di regolamentazione dei media per la promozione della soggettività femminile.

DISEGNO DI LEGGE

Capo I

OBIETTIVI

Art. 1.

(Definizioni e finalità)

1. La presente legge è volta a contrastare ogni tipo di violenza e discriminazione di genere, in quanto lesiva della libertà, della dignità, dell'inviolabilità della persona.

2. Ai fini della presente legge, si intende per:

a) «violenza nei confronti delle donne»: violazione dei diritti umani e discriminazione contro le donne, ancorché minorenni, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata;

b) «violenza domestica»: atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima e che tra l'autore e la vittima sia cessata la relazione o sia intervenuta separazione, ancorché solo di fatto;

c) «violenza contro le donne basata sul genere»: atti di violenza, persecuzione o molestia diretti contro una donna, ancorché minorenni, in quanto tale, o che colpiscono le donne in modo sproporzionato;

d) «discriminazione di genere»: ogni distinzione o limitazione basata sul sesso, o sull'orientamento di genere, che abbia l'effetto o lo scopo di compromettere o annullare il riconoscimento, il godimento o l'esercizio da parte di ogni individuo dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, culturale, civile, o in qualsiasi altro campo.

3. La presente legge promuove, in particolare, i diritti e la dignità delle donne e prescrive misure volte a contrastare ogni forma di femminicidio, inteso quale negazione della soggettività femminile.

Capo II

FORMAZIONE, INFORMAZIONE, SENSIBILIZZAZIONE, PROMOZIONE CULTURALE

Art. 2.

(Misure per la promozione, da parte del media, della soggettività femminile)

1. L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e il Ministro con delega per le pari opportunità promuovono l'adozione, da parte del Consiglio nazionale dell'ordine del giornalisti e degli operatori radiofonici, di un codice di deontologia denominato «codice del media per la promozione della soggettività femminile», recante princìpi e prescrizioni volti a promuovere, nell'esercizio dell'attività giornalistica, nei messaggi pubblicitari, nei palinsesti e nelle trasmissioni radiofonici, il rispetto della dignità delle donne e della soggettività femminile, nonché a prevenire ogni forma di discriminazione di genere o di femminicidio. Tale codice impegna a non rappresentare la donna come oggetto sessuale, a non diffondere comunicazioni che associno il sesso alla violenza, e a sensibilizzare l'opinione pubblica in merito al significato e al contenuto del concetto di uguaglianza e pari dignità dei generi, nonché in merito alla violenza nei confronti delle donne come fenomeno sociale.

2. Il codice di cui ai comma 1 del presente articolo è adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti e periodicamente aggiornato con la procedura di cui al medesimo comma 1.

3. Nei casi di inosservanza dei divieti sanciti dal codice di cui al comma 1, la Commissione per i servizi e i prodotti dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, previa contestazione della violazione agli interessati ed assegnazione di un termine non superiore a quindici giorni per le giustificazioni, delibera l'irrogazione della sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 250 a 2.500 euro e, nei casi più gravi, la sospensione dell'efficacia della concessione o dell'autorizzazione per un periodo da tre a trenta giorni. Della violazione dei suddetti divieti è data senza ritardo notizia all'organo titolare del potere disciplinare ai fini dell'adozione dei conseguenti provvedimenti.

4. All'articolo 36-bis, comma 1, lettera c), numero 2), del testo unico del servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «o di genere».

Art. 3.

(Campagne di sensibilizzazione, informazione e formazione)

1. Al fine di contrastare efficacemente il fenomeno degli atti persecutori e della violenza nel confronti delle donne, le prefetture-uffici territoriali del Governo possono promuovere, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio, protocolli d'intesa tra i seguenti soggetti istituzionali: province, comuni, aziende sanitarie, consigliere di parità, uffici scolastici provinciali, Forze dell'ordine e del volontariato che operano sul territorio.

2. I protocolli di cui al comma 1 hanno i seguenti obiettivi:

a) l'analisi e il monitoraggio del fenomeno degli atti persecutori e della violenza di genere;

b) lo sviluppo di azioni finalizzate alla prevenzione e al contrasto del fenomeno di cui alla lettera a), attraverso mirati percorsi educativi e informativi;

c) la formazione degli operatori del settore;

d) la promozione dell'emersione del fenomeno, anche tramite iniziative volte a facilitare la raccolta delle denunce;

e) l'assistenza e il sostegno alle vittime della violenza in tutte le fasi susseguenti al verificarsi di un episodio di violenza.

3. Le amministrazioni, pubbliche, nell'ambito delle proprie competenze, promuovono iniziative, campagne e attività di sensibilizzazione, formazione e informazione volte alla prevenzione della discriminazione di genere, della violenza nei confronti delle donne e del femminicidio in ogni loro forma.

4. Le amministrazioni pubbliche di cui al comma 3, nell'ambito della disciplina vigente in materia di formazione, promuovono iniziative e appositi moduli formativi sulla violenza di genere, mirando alla valorizzazione della pari dignità sociale tra uomo e donna e alla promozione della soggettività femminile.

Art. 4.

(Educazione scolastica contro la violenza e la discriminazione di genere)

1. Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio, promuove l'educazione alla relazione contro la violenza e la discriminazione di genere nell'ambito dei programmi scolastici delle scuole di ogni ordine e grado, al fine di sensibilizzare, informare, formare gli studenti e prevenire la violenza nei confronti delle donne, la discriminazione di genere e il femminicidio e promuovere la soggettività femminile, sviluppando negli studenti una maggiore autonomia e capacità di analisi, ai fini della promozione di una reale autodeterminazione dei generi, anche attraverso un'adeguata valorizzazione della tematica nei libri di testo. L'educazione alla relazione è rivolta a favorire il rapporto con l'altro ed è fondata su una cultura delle pari opportunità.

2. Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio, promuove l'istituzione, nei consigli d'istituto e nei collegi dei docenti delle scuole di ogni ordine e grado, del referente per l'educazione alla relazione, preposto alla sollecitazione di misure educative a favore delle pari opportunità tra generi e della promozione della soggettività femminile.

3. Con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, adottato, di concerto con il Ministro con delega per le pari opportunità, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono previste le misure di attuazione delle disposizioni di cui al commi 1 e 2.

Art. 5.

(Statistiche sulla violenza e Osservatorio sulla violenza nei confronti delle donne)

1. Nel titolo II del libro II del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, dopo l'articolo 24 è aggiunto il seguente:

«Art. 24-bis. - (Statistiche sulla violenza). -- 1. Ai fini della progettazione e della realizzazione di politiche di contrasto alla violenza nei confronti delle donne e alle discriminazioni di genere e del monitoraggio delle politiche di prevenzione, l'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), sulla base di finanziamenti dedicati, assicura lo svolgimento di una rilevazione statistica sulla discriminazione e la violenza di genere fisica, sessuale, economica, psicologica, atti persecutori e sui maltrattamenti in famiglia, che ne misuri le caratteristiche fondamentali e individui i soggetti più a rischio con cadenza almeno quadriennale».

2. La rilevazione del dati relativi al reati accertati e denunciati, condotta dal Ministero della giustizia e dal Ministero dell'interno, prevede la disaggregazione per genere, età e cittadinanza, sia degli autori che delle vittime, nonché la relazione tra autore e vittima, rendendo i dati, previamente anonimizzati, fruibili e garantendone la qualità, secondo quanto previsto dal decreto di cui al comma 4.

3. Presso l'ISTAT è costituito un apposito sistema informativo sulla violenza nei confronti delle donne, di seguito denominato: «Osservatorio sulla violenza nel confronti delle donne», in cui confluiscono, secondo le modalità previste dal decreto di cui al comma 4 e previa anonimizzazione, le informazioni rilevate al sensi del commi 1 e 2, nonché gli ulteriori dati prodotti dal Ministero della giustizia, dell'interno, della salute, nonché dal Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, dai centri antiviolenza e da tutti gli enti che dispongano di dati utili alla conoscenza e descrizione del fenomeno, coordinando gli stessi nella raccolta, secondo quanto previsto dal decreto di cui al comma 4. I dati contenuti nell'Osservatorio sono resi accessibili alle università e agli enti, pubblici e privati che perseguono finalità di ricerca, secondo le modalità previste dal decreto di cui al comma 4.

4. Con decreto avente natura non regolamentare del Presidente del Consiglio del ministri, da emanare di concerto con i Ministri della giustizia e dell'interno entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere del Garante per la protezione dei dati personali, sono indicate le variabili fondamentali da descrivere ai sensi del comma 1; le garanzie per la qualità e la confidenzialità statistica dei dati di cui al comma 2; le modalità per la trasmissione del flussi informativi di cui al comma 3, nel rispetto delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, nonché le condizioni per la consultazione dei dati contenuti nel sistema informativo di cui al comma 3, da parte dei soggetti legittimati.

Capo III

TUTELA DELLE VITTIME DI VIOLENZA

Art. 6.

(Tutela della donna vittima di delitti contro la personalità individuale e la libertà sessuale)

1. Entro un anno dalla data dì entrata in vigore della presente legge, ciascuna questura è tenuta ad assicurare la presenza, nel propri uffici, di una quota di personale, titolare di una formazione specifica in materia di delitti contro la personalità individuale e la libertà sessuale, competente a ricevere le denunce o querele da parte di donne vittime di uno o più dei delitti previsti dagli articoli 572 e dalla sezione I del capo III del titolo XII del libro II del codice penale, dagli articoli da 609-bis a 609-octies e 612-bis del medesimo codice, nonché dei reati di cui all'articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75.

2. La quota di personale di cui al comma 1 è stabilita dal Ministero dell'interno con proprio decreto da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

3. Il decreto dì cui al comma 2 stabilisce altresì le caratteristiche e le modalità di organizzazione dei corsi di formazione professionale in materia di tutela delle vittime del delitti di cui al comma 1, compresivi anche di una formazione specifica in materia di tutela e assistenza delle vittime minorenni del medesimi delitti. La partecipazione ai corsi di cui al periodo precedente è condizione per l'assegnazione alle quote di personale di cui al comma 1.

4. Ciascuna donna, anche minorenne, che intenda presentare presso una questura denuncia o querela per uno o più dei delitti di cui al comma 1, di cui affermi essere vittima, ha il diritto di farsi assistere, qualora, debitamente informata della possibilità, dichiari di volersene avvalere, dal personale di cui al medesimo comma 1, anche nelle fasi successive alla presentazione della denuncia o della querela.

Art. 7.

(Nuclei specializzati per l'assistenza delle vittime di violenza nei confronti delle donne)

1. Le aziende ospedaliere e le aziende sanitarie locali assicurano l'attivazione di almeno un nucleo specializzato per i problemi correlati alla violenza nei confronti delle donne.

2. Il nucleo specializzato di cui al comma 1, al fine di assicurare assistenza integrata alle vittime di violenza, garantisce l'intervento di personale sanitario adeguatamente formato per l'accoglienza, l'assistenza e la cura delle vittime della violenza. L'assistenza richiesta garantisce, oltre agli interventi per la cura della vittima, l'adeguata effettuazione di esami, prelievi e refertazioni, che possono essere utilmente prodotti come prove della violenza in un eventuale fase giudiziaria.

3. Il personale sanitario operante presso il nucleo specializzato di cui al comma 1 segue corsi di formazione appositamente organizzati.

4. Ogni struttura ospedaliera e azienda sanitaria assicura che almeno una parte del personale sanitario sia adeguatamente formato per l'accoglienza, l'assistenza integrata e la cura delle vittime della violenza. La formazione di tale personale è realizzata, secondo quanto previsto dal Ministro della salute con proprio decreto, emanato di concerto con i Ministri della giustizia e del lavoro e delle politiche sociali, attraverso seminari organizzati da esperti specializzati nella prevenzione della violenza di genere e sostegno alle vittime provenienti dai consultori pubblici, senza costi aggiuntivi per la finanza pubblica. Nelle rete dei consultori pubblici o nelle unità sanitarie è possibile individuare le professionalità adeguate agli scopi della presente legge.

5. Il personale specializzato, secondo quanto previsto dal decreto di cui al comma 4, può predisporre piani di organizzazione annuale e di aggiornamento, richiedere l'appoggio di professionalità esterne al servizio pubblico come le organizzazioni non governative e le case e i centri delle donne, la cui professionalità nell'appoggiare le donne vittime di violenza si è resa evidente nella loro esperienza sul campo. In quest'ottica il suddetto personale può costituire un punto di riferimento anche per la formazione del personale tirocinante proveniente dall'università.

Art. 8.

(Tutela lavorativa)

1. Le vittime di violenza di genere hanno diritto alla riorganizzazione dell'orario di lavoro e alla mobilità geografica.

2. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro delegato per le pari opportunità emana, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un regolamento a tutela del diritti lavorativi delle vittime di cui al comma 1, per definire le misure idonee a realizzare i diritti di cui al comma 1.

Art. 9.

(Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286)

1. Al comma 1 dell'articolo 18 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dopo le parole: «di un procedimento», sono inserite le seguenti: «per taluno del delitti previsti dalla sezione I del capo III del titolo XII del libro II del codice penale ovvero dagli articoli 572, 581, 582, 583-bis, da 609-bis a 609-octies e 612-bis del medesimo codice, ovvero» e dopo le parole: «per effetto dei tentativi di sottrarsi» sono inserite le seguenti «alla violenza o agli abusi, ovvero».

Art. 10.

(Modifiche alla legge 8 novembre 2000, n. 328)

1. All'articolo 22 della legge 8 novembre 2000, n. 328, al comma 2, dopo la lettera e), sono inserite le seguenti:

«e-bis) misure di sostegno alle donne vittime di violenza sessuale, atti persecutori e di maltrattamenti che consentano anche l'allontanamento dal nucleo familiare quando lo si renda necessario, anche attraverso il finanziamento dei centri anti violenza, nonché misure di assistenza anche di tipo psicologico ai minori testimoni di violenza nel confronti di donne.

e-ter) interventi per l'ascolto e la riabilitazione psicologica, su base volontaria, degli autori di violenze di genere, di abusi sessuali o maltrattamenti in famiglia».

Art. 11.

(Intervento in giudizio)

1. Nei procedimenti per taluno dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 572, 609-bis, 609-quater, 609-octies e 612-bis del codice penale, ovvero della sezione I del capo III del titolo XII del libro II del codice penale, il centro antiviolenza che presta assistenza alla persona offesa può intervenire in giudizio ai sensi degli articoli 91 e seguenti del codice di procedura penale.

2. Nei procedimenti per taluno dei delitti previsti dall'articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, ovvero per taluno dei delitti di cui all'articolo 380, comma 2, lettere d) e d-bis), del codice di procedura penale, nel quali la persona offesa sia stata destinataria di un programma di assistenza ed integrazione sociale ai sensi dell'articolo 18 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, ovvero di interventi nell'ambito del programma speciale di assistenza di cui all'articolo 13 della legge 11 agosto 2003, n. 228, l'ente locale o il soggetto privato che ha prestato assistenza alla persona offesa nell'ambito dei suddetti programmi possono intervenire in giudizio ai sensi degli articoli 91 e seguenti del codice di procedura penale.

Art. 12.

(Banca dati interforze per il contrasto della violenza nei confronti delle donne)

1. Presso il Ministero dell'interno-Dipartimento della pubblica sicurezza è istituita la banca dati interforze per il contrasto della violenza nei confronti delle donne, nella quale confluiscono gli atti di denuncia o di querela, le sentenze di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti nonché i provvedimenti applicativi di misure cautelari personali per i delitti previsti dagli articoli 572, 575, commessi nei confronti di donne o minorenni, e dalla sezione I del capo III del titolo XII del libro II del codice penale, dagli articoli da 609-bis a 609-octies e 612-bis del medesimo codice, nonché per i reati di cui all'articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, i provvedimenti di adozione degli ordini di protezione di cui gli articoli 342-ter del codice civile e 736-bis del codice di procedura civile e i provvedimenti emanati ai sensi degli articoli da 330 a 333 del codice civile.

2. I dati di cui, al comma 1 sono raccolti nella banca dati con l'osservanza del segreto investigativo e del limiti di cui all'articolo 7 della legge 1º aprile 1981, n. 121, e sono resi accessibili, esclusivamente per finalità di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, nonché di prevenzione e contrasto dei reati, ad ufficiali e agenti di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria nell'ambito dell'attività delegata, secondo modalità stabilite entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia, previo parere del Garante per la protezione dei dati personali.

Capo IV

CASE E CENTRI DELLE DONNE

Art. 13.

(Disposizioni in materia di case e centri delle donne)

1. Le case e i centri destinati all'accoglienza, all'ospitalità o alla residenza temporanea, i centri d'ascolto, di accoglienza, di consulenza legale e psicologica, di raccolta dati, di informazione e di ricerca, di seguito denominati «case e centri delle donne», che agiscono senza fini di lucro e sono autonomi nelle metodologie, nei progetti, nella gestione e nelle modalità di rapporto con le istituzioni pubbliche o private, assicurano sostegno e solidarietà ad ogni donna, cittadina italiana o straniera, presente sul territorio italiano.

2. Le case e i centri delle donne di cui al comma l si avvalgono di competenze appositamente acquisite e maturate nelle pratiche e nell'esperienza dell'accoglienza.

3. L'attività delle case e centri delle donne persegue i seguenti obiettivi:

a) offrire solidarietà ed accoglienza ad ogni donna che a essi si rivolga e, su sua richiesta, ricorrendo le condizioni previste dalla legge, ai suoi figli minori;

b) predisporre progetti di uscita dalla violenza mediante una relazione tra donne che renda ogni singola donna protagonista di un percorso autonomo;

c) sperimentare, studiare ed affinare le pratiche e le competenze al fine di prevenire la violenza e superarne i danni, favorire un'educazione alla non violenza, formare consulenti d'accoglienza per le case e i centri delle donne nonché operatrici ed operatori sociali esterni;

d) favorire e promuovere interventi di rete, sia con l'insieme delle istituzioni, associazioni, organizzazioni, enti pubblici e privati, sia con l'insieme delle competenze e delle figure professionali, al fine di offrire le differenti risposte in merito alle diverse tipologie di violenza, ai danni inferti e alle loro conseguenze sulle singole donne, siano esse cittadine italiane o straniere.

Art. 14.

(Gestione delle case e dei centri delle donne)

1. La gestione delle case e del centri delle donne è assicurata attraverso convenzioni tra gli enti locali e i loro consorzi ed una o più associazioni o cooperative di donne, che perseguono, esclusivamente o in prevalenza, le finalità di cui all'articolo 13. Nelle convenzioni può essere previsto l'apporto di idoneo soggetto bancario, anche già convenzionato con l'ente locale, al fine di garantire la regolarità delle erogazioni e la continuità del servizio.

2. Le associazioni e le cooperative di cui al comma 1 assicurano la gestione delle case e dei centri delle donne attraverso proprio personale opportunamente formato e redigono annualmente una relazione sull'attività svolta da presentare agli enti locali e ai loro consorzi.

3. Alle erogazioni liberali a favore delle case e dei centri delle donne si applicano le disposizioni di cui all'articolo 15, comma 1-bis, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni.

4. Per le finalità di cui all'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, e successive modificazioni, nell'ambito dei settori rilevanti, e in particolare nel settore dell'assistenza alle categorie sociali deboli, le case e i centri delle donne possono esercitare, con contabilità separate, imprese direttamente strumentali ai propri fini.

Capo V

NORME PENALI

Art. 15.

(Modifiche al codice penale in materia di violenza assistita)

1. All'articolo 61, comma primo, del codice penale, dopo il numero 11-ter) è inserito il seguente;

«11-ter. – 1. L'avere il colpevole commesso un delitto contro la persona mediante violenza alla presenza di un minorenne».

2. All'articolo 572 del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo comma, le parole da: «maltratta» fino a: «convivente», sono sostituite dalle seguenti: «maltratta una persona con sé convivente o una persona della famiglia, ancorché non convivente»;

b) dopo il secondo comma, è inserito il seguente:

«La pena è della reclusione da tre a otto anni se il fatto è commesso alla presenza di un minorenne».

Art. 16.

(Modifiche agli articoli 609- bis , 609- ter e 609- quater del codice penale in materia di circostanze)

1. All'articolo 609-bis del codice penale, il terzo comma è sostituito dal seguente:

«Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi. Ai fini della concedibilità dell'attenuante il giudice valuta, oltre all'intensità del dolo e alla materialità del fatto, le modalità della condotta criminosa e il danno arrecato alla parte offesa».

2. All'articolo 609-ter, primo comma, del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al numero 2), dopo le parole: «stupefacenti o» sono inserite le seguenti: «comunque idonee a ridurne la capacità di determinarsi, o»;

b) il numero 5) è sostituito dai seguenti:

«5) nei confronti di persona della quale il colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore;

5.1 nei confronti di persona della quale il colpevole sia il coniuge, il convivente o comunque la persona che sia o sia stata legata da stabile relazione affettiva anche senza convivenza;

5.2 nel confronti di persona che non ha compiuto gli anni diciotto, quando il colpevole sia persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest'ultimo, una relazione di convivenza;

5.3 nei confronti di donna in stato di gravidanza;».

3. All'articolo 609-quater del codice penale, il quarto comma è sostituito dal seguente:

«Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi. Ai fini della concedibilità dell'attenuante il giudice valuta, oltre all'intensità del dolo e alla materialità del fatto, le modalità della condotta criminosa e il danno arrecato alla persona offesa».

Art. 17.

(Modifiche all'articolo 612- bis del codice penale)

1. All'articolo 612-bis, secondo comma, del codice penale, le parole: «legalmente separato o divorziato» sono sostituite dalle seguenti: «, anche separato o divorziato,».

Art. 18.

(Modifiche alla legge 13 ottobre 1975, n. 654, e al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n 205)

1. All'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1:

1) la lettera a) è sostituita dalle seguenti:

«a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico;

a-bis) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati su opinioni politiche, sulle condizioni personali o sociali ovvero sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere»;

2) alla lettera b), le parole: «o religiosi» sono sostituite dalle seguenti: «, religiosi o fondati sulle opinioni politiche, sulle condizioni personali o sociali ovvero sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere»;

b) al comma 3, le parole: «o religiosi» sono sostituite dalle seguenti: «, religiosi o fondati sulle opinioni politiche, sulle condizioni personali o sociali ovvero sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere».

2. Al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 1, la rubrica è sostituita dalla seguente: «Discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati sulle opinioni politiche, sulle condizioni personali o sociali ovvero sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere»;

b) all'articolo 3, comma 1, le parole: «o religioso» sono sostituite dalle seguenti: «, religioso o motivato dalle opinioni politiche, dalle condizioni personali o sociali ovvero dall'orientamento sessuale o dall'identità di genere»;

c) all'articolo 6, comma 1, dopo le parole: «comma 1,» sono inserite le seguenti: «ad eccezione di quelli previsti dagli articoli 609-bis e 612-bis del codice penale,»;

d) il titolo è sostituito dal seguente: «Misure urgenti in materia di discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, religiosi o fondati su altre motivazioni».

Art. 19.

(Previsioni di programmi di riabilitazione da parte dell'amministrazione penitenziaria)

1. L'Amministrazione penitenziaria realizza programmi specifici di riabilitazione, tenuti da personale qualificato anche esterno al carcere, per i detenuti condannati per uno o più del delitti previsti dalla sezione I del capo III del titolo XII del libro II del codice penale e dagli articoli 572, da 609-bis a 609-octies e 612-bis del medesimo codice, nonché dei reati di cui all'articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, sulla base di quanto disposto dal Ministro della giustizia con proprio decreto da emanare, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 17 agosto 1988, n. 400.

2. A seguito del primi tre mesi di trattamento, il magistrato può valutare la frequenza e l'applicazione del detenuto nell'ambito di taluno dei programmi di cui al comma 1 al fini della concessione dei permessi o della libertà condizionata.

Capo VI

TUTELA DELLA VITTIMA NEL PROCEDIMENTO PENALE

Art. 20.

(Comunicazione alla persona offesa della cessazione di misure cautelari)

1. All'articolo 299 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo il comma 2 è inserito il seguente:

«2-bis. I provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 relativi alle misure previste dagli articoli 282-bis e 282-ter sono comunicati alla persona offesa e ai servizi socio-assistenziali del territorio»;

b) al comma 3, dopo il primo periodo è inserito il seguente:

«La richiesta di revoca o di sostituzione delle misure previste dagli articoli 282-bis e 282-ter è comunicata alla persona offesa»;

c) ai comma 4-bis è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «La richiesta di revoca o di sostituzione delle misure previste dagli articoli 282-bis e 282-ter è comunicata alla persona offesa».

Art. 21.

(Tutela patrimoniale della persona offesa nelle indagini preliminari)

1. All'articolo 316, comma 1, del codice di procedura penale, la parola: «processo» è sostituita dalla seguente: «procedimento».

Art. 22.

(Informazioni alla persona offesa)

1. All'articolo 337, comma 4, del codice di procedura penale, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «L'autorità che riceve la querela provvede altresì ad informare la persona che la propone della facoltà di farsi assistere sin dall'inizio del procedimento penale da un difensore di fiducia nonché di avvalersi del patrocinio a spese dello stato, ricorrendone i presupposti».

Art. 23.

(Tutela della vittima di maltrattamenti in sede di incidente probatorio)

1. All'articolo 398, comma 5-bis, primo periodo, del codice di procedura penale, dopo le parole: «articoli» sono inserite le seguenti: «572,»;

2. All'articolo 498 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 4-ter, dopo le parole: «agli articoli», sono inserite le seguenti: «572,»;

b) dopo il comma 4-ter è aggiunto il seguente:

«4-quater. Quando si procede per i reati previsti dal comma 4-ter, se la persona offesa è maggiorenne il giudice assicura che l'esame venga condotto tenendo conto della particolare vulnerabilità della stessa persona offesa, desunta anche dal tipo di reato per cui si procede, e ove ritenuto opportuno dispone, a richiesta della persona offesa o del suo difensore, l'adozione di modalità protette».

Art. 24.

(Avviso alla persona offesa della richiesta di archiviazione o della conclusione delle indagini preliminari)

1. All'articolo 408 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 2, le parole da: «che, nella notizia», fino alla fine del comma, sono soppresse;

b) al comma 3, la parola: «dieci» è sostituita dalla seguente: «venti».

2. All'articolo 415-bis, comma 1, del codice di procedura penale, le parole: «e al difensore» sono sostituite dalle seguenti: «, al suo difensore e alla persona offesa».

Art. 25.

(Priorità nella trattazione del procedimenti penali per violenza nei confronti delle donne)

1. All'articolo 132-bis, comma 1, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, dopo la lettera a) è inserita la seguente:

«a-bis) ai delitti previsti dalla sezione l del capo III del titolo XII del libro II del codice penale e dagli articoli 570, 572, da 609-bis a 609-octies e 612-bis del medesimo codice, nonché ai reati di cui all'articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75;».

Capo VII

VIOLENZA ECONOMICA E DOMESTICA

Art. 26.

(Modifiche all'articolo 374 del codice penale in materia di occultamento di risorse patrimoniali)

1. All'articolo 374 del codice penale, dopo il primo comma è inserito il seguente:

«Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la pena di cui al primo comma si applica altresì alla parte di un procedimento civile che, con dichiarazioni o attestazioni fraudolente o reticenti, immuta le proprie condizioni patrimoniali, al fine di trarre in inganno il giudice».

Art. 27.

(Modifiche all'articolo 388 del codice penale in materia di procedibilità)

1. All'articolo 388 del codice penale, l'ultimo comma è abrogato.

Art. 28.

(Modifiche all'articolo 570 del codice penale in materia di violenza economica)

1. All'articolo 570 del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo comma, dopo le parole: «qualità di coniuge», sono inserite le seguenti: «ovvero occulta dolosamente le proprie risorse patrimoniali al fine di non corrispondere quanto dovuto, a titolo di mantenimento o di alimenti, al coniuge o ai figli»;

b) al secondo comma, numero 2), le parole da: «fa mancare» fino a: «coniuge» sono sostituite dalle seguenti: «non fornisce il proprio contributo al mantenimento dei discendenti di età minore o inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge».

Art. 29.

(Modifiche all'articolo 155- sexies del codice civile in materia di prova della violenza)

1. All'articolo 155-sexies del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Ai fini dell'emanazione dei provvedimenti di cui agli articoli 151, comma secondo, 155, 155-bis, 155-ter e 156, la prova degli atti di violenza subiti dal figli, dal coniuge, dal convivente o comunque dall'altro genitore, può essere data con ogni mezzo»;

b) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Poteri del giudice, ascolto del minore e prova della violenza».

Art. 30.

(Norme in materia di occultamento doloso delle risorse patrimoniali nei giudizi di separazione personale dei coniugi e cessazione degli effetti civili del matrimonio)

1. Al codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 155 è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Costituisce comportamento rilevante ai sensi del secondo comma dell'articolo 116 del codice di procedura civile l'occultamento doloso delle proprie risorse patrimoniali da parte di uno dei genitori»;

b) all'articolo 155-bis, primo comma, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Costituisce parametro da valutarsi a tal fine, in particolare, l'occultamento doloso delle proprie risorse patrimoniali da parte di uno dei genitori»;

c) all'articolo 155-sexies, ultimo comma, la parola: «coniugi» è sostituita dalla seguente: «genitori» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Costituisce comportamento rilevante al fini della valutazione dell'opportunità del rinvio di cui al periodo precedente l'occultamento doloso delle proprie risorse patrimoniali da parte di uno dei genitori».

d) all'articolo 156 è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Costituisce comportamento rilevante ai sensi del secondo comma dell'articolo 116 del codice di procedura civile l'occultamento doloso delle proprie risorse patrimoniali da parte di uno dei coniugi».

2. All'articolo 5, comma 9, della legge 1º dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Costituisce comportamento rilevante al sensi del secondo comma dell'articolo 116 del codice di procedura civile l'occultamento doloso delle proprie risorse patrimoniali da parte di uno dei coniugi».

Art. 31.

(Modifiche agli articoli 342- bis e 342- ter del codice civile in materia di ordini di protezione)

1. L'articolo 342-bis del codice civile è sostituito dal seguente:

«Art. 342-bis. - (Ordini di protezione contro gli abusi familiari). -- Il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all'articolo 342-ter in presenza di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'istante».

2. All'articolo 342-ter del codice civile, primo comma, le parole: «coniuge o convivente, che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone l'allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente» sono sostituite dalle seguenti: «soggetto che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone l'allontanamento dalla casa dell'istante».

Art. 32.

(Modifiche all'articolo 708 del codice di procedura civile in materia di ordini di protezione)

1. All'articolo 708, terzo comma, del codice di procedura civile, dopo le parole: «dei coniugi» sono inserite le seguenti: «, dispone con decreto motivato, ove ritenuto opportuno, l'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 736-bis ovvero la revoca, la conferma o la modifica di quelli precedentemente adottati».

Capo VIII

DISPOSIZIONI FINANZIARIE

Art. 33.

(Fondo per il contrasto della violenza nei confronti delle donne)

1. È istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, un apposito fondo destinato al cofinanziamento degli interventi di cui alla presente legge, con le seguenti finalità:

a) finanziamento della programmazione regionale a favore degli interventi di cui alla presente legge;

b) finanziamento degli interventi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge per l'attività delle case e del centri delle donne;

c) promozione dei nuovi interventi di competenza statale previsti dalla presente legge.

2. Al fondo di cui al comma 1 affluiscono, secondo modalità definite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare, entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il 5 per cento delle disponibilità del Fondo unico di cui all'articolo 61, comma 23, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nonchè l'ammontare delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate ai sensi dell'articolo 709-ter, comma secondo, numero 4), del codice di procedura civile, e delle sanzioni previste dall'articolo 4, comma 3, della presente legge.

3. A favore delle regioni, anche a statuto speciale, e delle province autonome di Trento e di Bolzano che redigono, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un programma triennale per favorire l'attività delle case e dei centri delle donne, che preveda finanziamenti o conferimenti di beni o di strutture, possono essere disposti trasferimenti a carico del fondo di cui al comma 1.

4. Alle province, ai comuni e ai loro consorzi che stipulano o hanno già stipulato alla data di entrata in vigore della presente legge le apposite convenzioni per la gestione delle case e del centri delle donne è riservato, a titolo di cofinanziamento dello Stato, almeno il 50 per cento delle disponibilità annuali del fondo di cui al comma 1. I presidenti delle province e i sindaci dei comuni destinatari dei cofinanziamenti sono tenuti ad iscrivere nei rispettivi bilanci triennali, con distinte specificazioni, lo stanziamento di spesa per il finanziamento delle convenzioni derivante dal trasferimento e quello di cofinanziamento provinciale o comunale.

5. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i presidenti delle province e i sindaci delle aree metropolitane e dei comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti presentano al Ministro del lavoro, e delle politiche sociali, anche ai fini del cofinanziamento, un programma per la promozione di nuove case e centri delle donne ai sensi della presente legge, con i relativi schemi di convenzione.

6. Entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e dell'Unione delle province d'Italia (UPI), il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, approva, con proprio decreto, la ripartizione del fondo di cui al comma 1 per il primo triennio di attuazione della presente legge, sulla base della popolazione delle regioni, della distribuzione territoriale del servizio come definito dalla presente legge, dei progetti di sviluppo delle case e dei centri delle donne su base territoriale. Sono escluse dalla ripartizione le regioni e le province autonome che non hanno provveduto agli adempimenti di cui al comma 3, nel termini ivi indicati. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono disporre, con proprio provvedimento, anche al fine di attivare il cofinanziamento del fondo di cui al comma l, finanziamenti, incentivi ed agevolazioni nonché l'utilizzo di disponibilità per investimenti presso conti correnti di tesoreria.

7. Al termine di ogni esercizio finanziario, le eventuali somme assegnate agli enti locali e territoriali e non utilizzate possono essere riassegnate, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, alla realizzazione di programmi regionali o di specifici progetti locali rientranti nelle finalità di cui alla presente legge.

8. Al termine del primo triennio di attuazione della presente legge, le eventuali somme assegnate e non utilizzate sono computate in aggiunta alle somme del fondo di cui al comma 1 disponibili nel successivo triennio di attuazione.

Art. 34.

(Copertura finanziaria)

1. Agli oneri derivanti dalla presente legge, pari a 85 milioni di euro annui a decorrere dal 2014, si provvede a valere sui maggiori risparmi di spesa di cui al comma 2.

2. In aggiunta a quanto previsto dall'articolo 1, comma 01, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, al fine di consentire alle amministrazioni centrali di pervenire ad una progressiva riduzione della spesa corrente primaria in rapporto al PIL, le spese di funzionamento relative alle missioni di spesa di ciascun Ministero sono ridotte in via permanente di un ammontare aggiuntivo pari a 55 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014. Le dotazioni finanziarie per le missioni di spesa per ciascun Ministero previste dalla legge di bilancio relative agli oneri comuni di parte corrente sono ridotte in via permanente di un ammontare aggiuntivo di 30 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014.