Legislatura 13º - Disegno di legge N. 3816

SENATO DELLA REPUBBLICA

———–     XIII LEGISLATURA    ———–





N. 3816


DISEGNO DI LEGGE




d'iniziativa dei senatori RUSSO SPENA, CÓ e CRIPPA

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 18 FEBBRAIO 1999

Norme sulla riforma della leva obbligatoria, sull'istituzione del Ministero della protezione civile e del Dipartimento della difesa popolare nonviolenta






ONOREVOLI SENATORI. - Il presente disegno di legge mira a riformare l'insieme del sistema difesa del nostro Paese, a renderlo piú attinente al nuovo scenario internazionale e a quel ripudio della guerra sancito dall'articolo 11 della Costituzione che rimane - alle soglie del terzo millennio - il faro che deve ispirare la politica estera della Repubblica italiana.
Trattandosi di una riforma istituzionale tra le piú delicate (alle Forze armate la Costituzione delega l'uso delle armi e della forza), che ha ripercussioni sia sull'ordinamento interno sia sulla politica internazionale del nostro Paese, appare necessario precisare qual é il quadro internazionale complessivo nel quale il nuovo strumento di difesa deve agire.
Questa visione globale é particolarmente necessaria in un pianeta sempre di piú attraversato da ingiustizie colossali e da disparità crescenti tra aree ricche e aree povere. Senza questa analisi si puó cadere - come propongono gli assertori del Nuovo Modello di Difesa (NMD) - nella tentazione di affrontare la sfera militare come un qualcosa a se stante dal resto delle dinamiche mondiali. Questa impostazione, dominante nelle posizioni espresse in materia dal Governo, porta inevitabilmente a soluzioni di "contenimento" militare della instabilità planetaria, dando - in questo crescente disordine mondiale - per scontati ed immutabili gli scenari di ingiustizia e di impoverimento progressivo di settori sempre piú vasti dell'umanità.
La prima questione essenziale é dare priorità alla politica; la sfera militare deve essere subordinata ad essa, non puó essere una variante indipendente.
Nel processo di globalizzazione capitalista gli Stati nazionali sono messi fortemente in discussione alla radice dalla libertà di mercato senza regole e confini. Si tratta di un esproprio dei poteri e di una loro concentrazione verso il vertice della piramide (sempre piú ristretto se é vero che 358 persone detengono nelle loro mani private ricchezze pari a quelle di 2 miliardi e mezzo di persone) che, esautorando gli Stati nazionali delle loro tradizionali politiche di protezione (lo stato sociale, la politica ridistributiva, eccetera), rischia di delegare loro solo l'uso della forza (di polizia e militare).
Questo scenario é pericolosissimo sotto il profilo democratico e foriero di una involuzione autoritaria di dimensioni inimmaginabili.
Se si accetta questo quadro, con la conseguente parcellizzazione del tema militare, allora il NMD come ci é stato prospettato ne é una obbligatoria conseguenza.
Se invece si opera per modificare questo quadro allora ne discende un sistema di difesa altro, piú compatibile alle politiche di pace che, in questa fase storica, significano in primo luogo rimozione delle violentissime ingiustizie prodotte dal sistema economico dominante.
Da questa scelta politica discende la nostra proposta di organizzazione della difesa, che per le sue caratteristiche dovrà essere doppiamente innovativa sia rispetto al vecchio sistema basato sull'esercito di massa sia nei confronti di chi vorrebbe delegare a degli specialisti della guerra (esercito professionale) il sacro dovere della difesa della Patria stabilito dall'articolo 52 della Costituzione.
In questi decenni é andato modificandosi lo stesso concetto di difesa. Un tempo esso era organizzato intorno alla tutela dell'integrità territoriale del Paese (i confini della patria); oggi, vuoi per il processo di costruzione europea e per la globalizzazione dei mercati, vuoi per l'improbabilità di una aggressione diretta ed armata nei confronti della Nazione, la difesa necessariamente deve tutelare interessi collettivi del Paese e dell'insieme dell'umanità.
Gli assertori del NMD hanno tentato in questi anni (riuscendoci con atti concreti mai discussi ed approvati dal Parlamento) di spostare il concetto di difesa da quello dei confini a quello degli interessi nazionali, addirittura definendo le aree di intervento strategico a tutela degli stessi (area balcanica e mediterranea, corno d'Africa, le rotte del petrolio).
Nelle missioni in Somalia ed in Albania si é assistito al riproporsi di un nazionalismo vecchia maniera (l'idea dei protettorati anche se chiamati in altro modo) dove l'interesse nazionale all'intervento militare sovrastava lo stesso interesse di appartenenza al mondo occidentale (ed al suo modo di produrre e consumare). Nella Guerra del Golfo del 1991, invece, gli interessi nazionali venivano fatti coincidere con quelli piú generali dei Paesi industrializzati in una crociata per la difesa della vena giugulare del petrolio.
Gli interessi nazionali non dovrebbero essere tali quando non coincidono (anzi ledono) con gli interessi collettivi della comunità umana. Siccome non crediamo all'esistenza di due categorie nell'ambito del genere umano (una degli eletti, quella dei Paesi ricchi che devono detenere l'80 e passa per cento della ricchezza mondiale; l'altra quella dei derelitti, condannati a contendersi le briciole o addirittura cancellati da ogni futuro dalle politiche degli "aggiustamenti strutturali" della Banca Mondiale), é bene che la definizione degli "interessi nazionali" ritorni a tenere conto di questo presupposto.
Il fondamentalismo del mercato sta producendo fondamentalismi di risposta che stanno portando indietro l'umanità. Si puó fingere di arginare il fondamentalismo islamico, per esempio, con le forze d'intervento rapido, il sostegno al massacratore Zerual, il tenere in vita la comoda figura di Saddam Hussein, il consentire alla Turchia ogni impunità e ad Israele di stracciare gli accordi siglati (ma é appunto una finzione, perché in questa impostazione si ha "l'effetto colabrodo"; tappi un buco da una parte e ne riesplodono due da un'altra).
Ma si puó anche, come si dovrebbe, rimettere in discussione il fondamentalismo generatore di altri, quello che innesta l'effetto "vortice". Di nuovo si tratta d'intervenire sulle cause e non sulle conseguenze. Di nuovo spetta alla politica indicare altre strade che redistribuiscano ricchezza verso il basso disarmando alla radice gli argomenti dei terroristi, rilanciando la cooperazione allo sviluppo, sviluppando un concetto di sicurezza includente e rinunciando a quello escludente.
In questa concezione nuova della "difesa allargata" occorre comprendere che l'elemento militare - pur rimanendo importante - non puó piú essere concepito come esclusivo. Non solo la Corte costituzionale ha precisato che si puó servire la Patria, come prevede l'articolo 52 della Costituzione, anche senza le armi, ma la stessa nuova legge sull'obiezione di coscienza ha reso parte integrante della nostra giurisprudenza il concetto che la difesa appartiene all'insieme della collettività. Per questo, la salvaguardia e la modernizzazione del carattere popolare della difesa non rappresentano una questione - come asseriscono i fautori dell'esercito esclusivamente professionale - di nostalgici della rivoluzione francese. Al contrario, tale questione acquisisce una moderna centralità democratica, nel momento in cui i poteri vengono sempre di piú concentrati verso l'alto e alla crisi degli Stati nazionali non fa seguito - al contrario di quanto accade per le leggi di mercato, libere di invadere ogni spazio della vita umana - un riposizionamento in una sede democratica sovranazionale della volontà e partecipazione popolare. Per decenni l'impostazione sostanzialmente sabauda della coscrizione obbligato ria si é approcciata, nei confronti del cittadino maschio, come se il servizio di leva fosse una sorta di servitú, una sottrazione della libertà dell'individuo da parte dello Stato. I fenomeni di spersonalizzazione dei militari di leva derivano anche e soprattutto da questa concezione punitiva della leva obbligatoria e dalla sua incapacità di farla vivere secondo i valori fondanti della nostra Costituzione. L'ostinata separazione tra mondo militare e mondo civile non é solo dovuta ad una supposta e sbagliata indipendenza del primo dal secondo ma deriva anche dalla incapacità di adeguare i valori delle Forze armate al comune sentire della società nel suo complesso.
Di fronte a questa innegabile difficoltà, la scappatoia di occultare il problema passando a forze armate di professionisti pronti ad "uccidere e morire", come ebbe a dire alcuni anni fa il generale Canino, é al contempo pericolosa e sbagliata.
Si vuole impedire alla società di rompere la separatezza tra mondo militare e civile attraverso il perverso strumento della delega a poche persone di una funzione delicatissima, espropriando i cittadini non solo di un dovere, ma anche di un diritto democratico.
Sempre piú sovente l'invasione di campo avviene all'opposto: é il mondo militare, proprio perché separato dal resto della società, a cercare d'invadere spazi propri del mondo civile. Si pensi all'impiego delle Forze armate in funzione di ordine pubblico (proprio quando si tagliano gli ausiliari di leva nei Carabinieri e nella Polizia di Stato), nella distribuzione di aiuti umanitari, nella costruzione di scuole ed ospedali nei Paesi bisognosi.
Con il nostro disegno di legge pensiamo che non siano percorribili scorciatoie di forze armate mercenarie, ma che sia necessaria l'assunzione da parte della collettività del problema difesa. Per questo vediamo nel Sistema-difesa del futuro una riduzione del peso numerico delle Forze armate (anche se con una riqualificazione delle funzioni) ed una maggiore presenza della componente civile.
Per questo proponiamo di passare dai 296.269 militari attuali, tra Aeronautica, Marina ed Esercito, a 180.000 unità delle Forze armate per metà professionisti (ufficiali, sottufficiali e volontari in servizio permanente) e per metà militari di leva. La componente di leva (che attualmente é circa il 60 per cento delle tre armi) passerebbe dagli attuali 170.000 soldati a 90.000 includendo i militari a ferma prolungata.
Questa riduzione del contingente di leva consentirà la progressiva riduzione del periodo di ferma nei prossimi anni fino a sei mesi, mentre il personale professionistico eccedente dovrebbe essere dislocato sia nel costituendo Corpo della protezione civile (smilitarizzato), sia nelle altre amministrazioni dello Stato, sia con una politica oculata di prepensionamenti.
Tutte le mansioni non militari che oggi vedono invece impiegato personale militare (cucine, pulizie, gestione spacci, amministrazione, eccetera) dovrebbero passare ai civili.
Il cittadino davanti alla leva obbligatoria si troverebbe a dover scegliere tra quattro possibilità:

a) svolgere il servizio militare di leva normale o a ferma prolungata;
b) richiedere di far parte del contingente di leva impegnato nella protezione civile;
c) fare l'ausiliare nei Corpi di polizia e nella Guardia di finanza;
d) dichiararsi obiettore di coscienza ed entrare a far parte della Difesa popolare nonviolenta (DPN).

L'articolo 9 del nostro disegno di legge, infatti, istituisce il Dipartimento della difesa popolare nonviolenta con il compito di pianificare, coordinare ed organizzare le forme non militari di difesa dell'unità della Repubblica, della sovranità, dell'indipendenza e integrità dello Stato, del libero esercizio dei poteri costituzionali, della protezione della vita e dell'incolumità dei cittadini. La DPN costituisce quindi la concretizzazione dei valori che fondano l'obiezione di coscienza, nella consapevolezza che si puó agire nei luoghi del conflitto (anche in forma preventiva) senza ricorrere alla violenza delle armi. La sua istituzione darebbe valore alla scelta di obiezione, in piena sintonia con la giurisprudenza della Corte costituzionale già citata, evitando che gli obiettori si trasformino - come tristemente sta avvenendo - in massa di mano d'opera sostitutiva a basso costo della forza lavoro. La DPN é una risposta anche ai tanti obiettori che si sono recati all'estero in luoghi di guerra per ricostruire punti di dialogo e di pace. Con l'istituzione del Dipartimento e della Scuola di formazione alla DPN lo Stato assume questa forma di difesa come legittima e propria ed inserisce i quadri dirigenti della stessa nel dispositivo difensivo della Nazione.
Di grande rilievo sono inoltre le disposizioni volte a superare, nella forma possibile, la concezione di esercito da caserma, come l'obbligo fatto ai comandi di mettere in permesso o in licenza il personale non impegnato in servizio, l'istituzione di un Ufficio del difensore civico e di un telefono verde per i militari di leva.
Si prevede inoltre l'accesso delle donne nei Corpi di polizia a carattere militare (Carabinieri, Guardia di finanza e Capitaneria di porto) oltre che nella protezione civile e nel Corpo della DPN.
Una scelta, questa, per rispondere all'ipocrisia portata avanti da chi propone le donne soldato.
Del tutto strumentale é infatti il discorso sulla democrazia e sulla parità in riferimento all'introduzione del servizio militare per le donne. Esso é funzionale al tentativo di accreditare una immagine dell'esercito piú moderna e all'altezza dei tempi, piú accattivante sia rispetto all'opinione pubblica, senza il cui consenso risultano impraticabili le missioni militari all'estero, sia rispetto ai potenziali volontari. La presenza delle donne nelle Forze armate puó contribuire ad occultare le reali finalità del NMD e ad avallare propagandisticamente presso l'opinione pubblica la pretesa delle Forze armate di porsi come tutrici della pace e dei diritti umani violati.
Destinatari della campagna pubblicitaria a cui il servizio volontario femminile é funzionale sono probabilmente anche giovani che le Forze armate aspirano ad arruolare come professionisti nelle loro fila. Forse é un tentativo di rassicurare questi ultimi proponendo loro un esercito che per composizione é meno difforme dall'ambiente sociale esterno. O forse é un tentativo di suscitare nei giovani maschi una sorta di orgoglio di genere che li sproni a porsi in competizione con le donne nell'esercizio di quel ruolo che tradizionalmente solletica in misura maggiore certi istinti virilisti: la professione bellica. Ed é questa probabilmente la funzione principale dell'accesso delle donne all'esercito: il tentativo di presentare quella del soldato come una professione qualsiasi. E tutto allora si concatena logicamente: infatti, se il militare é solo un lavoro ne consegue che, per pari opportunità, anche le donne debbano averne diritto; ovvero viene loro concesso questo diritto per dimostrare che il militare é solo un lavoro. Ancora una volta, la parità che viene riconosciuta alle donne é quella di fare come gli uomini. Noi pensiamo che si debba cominciare invece da quei corpi che per loro natura - compiti di polizia - agiscono tra la società civile, contribuendo a demilitarizzare gli stessi.
In sintesi dunque il presente disegno di legge:

1) riduce il personale delle Forze armate (Aeronautica, Marina ed Esercito) dalle attuali 300.000 unità a 180.000 militari per metà professionisti (ufficiali, sottufficiali, volontari in servizio permanente) e per l'altra metà di leva. In questo modo:
a) si ottiene il rispetto dell'articolo 52 della Costituzione e del carattere popolare della difesa (al contrario di quanto asserito dai fautori dell'esercito professionale, la cancellazione della leva non puó avvenire per legge ordinaria ma implica che sia modificata la Costituzione);
b) si perviene ad una prima riduzione ad otto mesi della ferma (arrivando a sei mesi entro tre anni);
c) si avranno Forze armate snelle ed efficienti, con un forte risparmio sulle strutture e sugli uomini limitando il ricorso agli incentivi (posti riservati nella pubblica amministrazione per i volontari) che avrebbero fatto lievitare tantissimo i costi e militarizzato il pubblico impiego;
d) si rende piú umana la leva, prevedendo un orario massimo di servizio (40 ore settimanali), la libertà nei week-end (limitabile solo per ragioni di servizio), un innalzamento, proporzionale alla distanza da casa, della paga per i militari di leva verso i quali non é possibile soddisfare l'esigenza di effettuare la ferma in caserme distanti massimo 100 chilometri dalla residenza; un accesso facilitato alle licenze (non piú concessione ma diritto); l'istituzione di un difensore civico e di un numero verde per combattere il "nonnismo" ed eventuali soprusi dei superiori nei confronti della truppa;
e) si affidano a personale civile gli incarichi burocratici, amministrativi e logistici non di specifico interesse militare (non piú militari di leva usati come sguatteri nei circoli ufficiali);

2) istituisce una leva della protezione civile, con un proprio Ministero e strutture territoriali (in rapporto con le regioni e gli enti locali e potenziando i vigili del fuoco) in grado di impegnare i giovani nella prevenzione dei cataclismi naturali o per responsabilità umana, lottando contro incendi boschivi, alluvioni, terremoti, e valorizzando il volontariato civile. Si riconvertono in questo modo risorse umane e finanziarie dal militare al civile, impiegando nella nuova struttura della protezione civile il personale militare (smilitarizzato) che deriva dalla riduzione degli organici delle Forze armate e le risorse liberate dalla contrazione delle spese militari;
3) istituisce il Dipartimento della difesa popolare nonviolenta, con un proprio Corpo ed una propria scuola di formazione che si avvale di personale permanente e dei giovani che hanno scelto l'obiezione di coscienza. Si valorizzano i valori dell'obiezione di coscienza (ripudio della guerra e della violenza delle armi) con un servizio che abbia pari dignità con quello militare e serva alla difesa della Nazione e degli interessi di pace del nostro Paese evitando l'uso improprio degli obiettori come manodopera sostitutiva a scarso costo da parte di enti pubblici e privati;
4) istituisce regole certe e democratiche per l'impiego dei militari ed obiettori di coscienza all'estero, evitando che importanti missioni possano attuarsi senza il voto ed il controllo del Parlamento. Si istituisce un Comitato parlamentare di controllo e di indirizzo che vigilerà per tutta la durata delle missioni;
5) prevede la messa a disposizione del Segretario generale dell'ONU di un contingente permanente di militari (caschi blu) ed uno equivalente di obiettori di coscienza (caschi bianchi) per missioni di interposizione, di ristabilimento della pace, di aiuto alle popolazioni colpite dalla guerra o da cataclismi.





DISEGNO DI LEGGE



CAPO I
PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI

AL SACRO DOVERE DELLA DIFESA

DELLA PATRIA



Art. 1.

(Scopo della difesa nazionale)

1. La difesa nazionale ha lo scopo di garantire in modo permanente l'unità della Repubblica, la sovranità, l'indipendenza e l'integrità dello Stato, il libero esercizio dei poteri costituzionali, la protezione della vita e dell'incolumità dei cittadini.
2. L'organizzazione della difesa nazionale é conforme ai princípi fissati dall'articolo 11 della Costituzione ed é regolata dalle leggi dello Stato, dai trattati internazionali di cui il Parlamento abbia autorizzato la ratifica ai sensi dell'articolo 80 della Costituzione, nonché dalla Carta delle Nazioni Unite.

Art. 2.

(Partecipazione dei cittadini)

1. Tutti i cittadini devono concorrere alla difesa nazionale nei modi stabiliti dalla legge.
2. La struttura operativa della difesa nazionale si articola:

a) in una componente armata, di cui fanno parte l'Esercito italiano, la Marina militare e l'Aeronautica militare, che costituiscono le Forze armate dello Stato, nonché l'Arma dei Carabinieri, il Corpo della Guardia di finanza e il Corpo delle Capitanerie di porto;
b) in una componente non armata, di cui fanno parte le strutture operative del Dipartimento della difesa popolare nonviolenta, di cui all'articolo 9, e del Ministero della protezione civile, di cui all'articolo 13.

3. Gli obblighi di leva possono essere espletati presso una delle componenti in cui si articola la struttura operativa della difesa nazionale, di cui al comma 2.
4. I cittadini che, per obbedienza alla propria coscienza, non intendano prestare servizio nell'ambito della componente armata della difesa nazionale, di cui al comma 2, lettera a) , adempiono agli obblighi di cui all'articolo 52 della Costituzione prestando, in luogo del servizio militare, un servizio civile, nell'ambito della componente non armata della difesa nazionale, di cui al comma 2, lettera b) .
5. Le cittadine non soggette agli obblighi di leva possono accedere, nelle forme e limitatamente alle quote stabilite dai Ministri competenti, e con i medesimi diritti di carriera dei cittadini di sesso maschile, all'Arma dei Carabinieri, al Corpo della Guardia di finanza, al Corpo delle Capitanerie di porto, al Corpo della difesa popolare nonviolenta ed al Corpo della protezione civile.

CAPO II
DISPOSIZIONI SULLA LEVA

OBBLIGATORIA NELLE FORZE

ARMATE



Art. 3.

(Delega al Governo per la riforma della leva obbligatoria e per la riduzione degli organici delle Forze armate)

1. Il Governo é delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o piú decreti legi slativi per provvedere alla riforma della leva obbligatoria nonché per disciplinare la riduzione degli effettivi delle Forze armate dello Stato, come definite all'articolo 2, comma 2, lettera a) .

Art. 4.

(Materie della delega al Governo)

1. I decreti legislativi di cui all'articolo 3 sono emanati sulla base dei seguenti princípi e criteri direttivi:

a) progressiva riduzione della durata della ferma di leva obbligatoria, portandola ad otto mesi nel primo anno successivo all'entrata in vigore dei decreti legislativi medesimi ed a sei mesi entro i successivi due anni;
b) suddivisione della ferma di leva in un periodo dedicato all'addestramento e un periodo di attività operativa;
c) previsione che il personale in servizio di leva obbligatoria o prolungata non sia numericamente inferiore al 50 per cento degli effettivi delle Forze armate dello Stato;
d) ripartizione di quote del personale militare professionale fra ufficiali, sottufficiali e volontari in servizio permanente effettivo;
e) transito nella pubblica amministrazione del personale militare professionale in eccedenza rispetto alla quota stabilita ai sensi della lettera d);
f)
riduzione, entro un periodo di sei anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi, del personale militare a 180.000 unità, con la seguente ripartizione:
1) Esercito: 110.000 unità;
2) Marina: 30.000 unità;
3) Aeronautica: 40.000 unità;

g) affidamento a personale civile degli incarichi di natura burocratica, amministrativa e logistica, e comunque non di specifico carattere militare, nelle strutture centrali e in quelle territoriali;
h) previsione e regolamentazione dell'accesso delle cittadine di sesso femminile di cui all'articolo 2, comma 5.

Art. 5.

(Norme generali sulla ferma di leva)

1. Il servizio obbligatorio di leva é prestato presso le unità o i reparti ubicati nel luogo piú vicino al comune di residenza del militare e comunque distanti non piú di 100 chilometri da esso, sempre che ció non risulti incompatibile con le direttive strategiche o con le esigenze logistiche delle Forze armate.
2. Il Ministro della difesa, con proprio decreto emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, disciplina le modalità di erogazione di un contributo speciale in favore dei militari di leva che, per le superiori ragioni di servizio indicate al comma 1, adempiono all'obbligo di leva presso unità o reparti ubicati a una distanza superiore a 100 chilometri dal loro comune di residenza.
3. Il contributo speciale di cui al comma 2 é comprensivo del rimborso totale delle spese di viaggio e di un incremento dell'indennità mensile proporzionale alla distanza della sede di servizio dal comune di residenza.
4. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli obiettori di coscienza che prestano servizio civile, di cui all'articolo 2, comma 4.

Art. 6.

(Impiego dei militari di leva)

1. Il Ministro della difesa, con proprio decreto, fissa i criteri generali per la determinazione di una quota obbligatoria di presenza per i militari di leva e per il restante personale militare a fini di pronto impiego, presso ciascuna unità o reparto operativo, cui devono attenersi i rispettivi comandanti nelle disposizioni applicative di loro competenza.
2. I militari di leva hanno l'obbligo di presenza e di pernottamento nelle caserme limitatamente alle esigenze di servizio e di pronto impiego. I comandanti dispongono gli obblighi di accasermamento, attenendosi ai criteri generali stabiliti ai sensi del comma 1 e sulla base di criteri di rotazione.
3. Il Ministro della difesa, con proprio decreto ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, disciplina l'impiego dei militari di leva con riferimento ai periodi di addestramento, ai periodi di attività operativa e alla normale attività di caserma, che non deve protrarsi oltre le quaranta ore settimanali, con previsione della possibilità della concessione di licenze e di un'anticipazione del congedo in relazione ai servizi ordinari di caserma svolti in eccedenza rispetto al predetto orario.

Art. 7.

(Disposizioni sul diritto alla licenza
per i militari di leva)


1. La licenza é un diritto del militare. Il Ministro della difesa emana le relative disposizioni regolamentari.
2. Nei fine settimana e nei giorni festivi, il personale non impegnato nelle caserme per esigenze di servizio o di pronto impiego é posto in libertà. Si applicano le disposizioni dell'articolo 6, comma 1.
3. Il comma 10 -bis dell'articolo 24 della legge 24 dicembre 1986, n. 958, introdotto dall'articolo 2 della legge 19 marzo 1990, n. 50, é sostituito dal seguente:

" 10- bis. É computabile ai fini dell'assolvimento degli obblighi di leva il periodo trascorso in licenza speciale per campagna elettorale dai militari di leva candidati ad elezioni politiche ed amministrative".

Art. 8.

(Difensore civico e telefono verde)

1. É istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari sociali, l'Ufficio del difensore civico per la tutela dei cittadini che prestano servizio di leva. Il difensore civico é nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e dura in carica per un periodo di cinque anni, rinnovabile alla scadenza non oltre un ulteriore mandato.
2. Le funzioni del difensore civico, nonché le dotazioni di mezzi e di personale del suo Ufficio, sono definite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro della difesa, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
3. Presso l'Ufficio del difensore civico é attivato un "telefono verde" per la segnalazione di eventuali abusi e violenze fisiche o psichiche nei confronti dei militari in servizio di leva. Il difensore civico provvede tempestivamente alla verifica delle segnalazioni ed ai conseguenti e necessari interventi.

CAPO III
ORGANISMI DELLA COMPONENTE NON ARMATA DELLA DIFESA NAZIONALE


Art. 9.

(Dipartimento della difesa popolare
nonviolenta)


1. É istituito presso il Ministero della difesa il Dipartimento della difesa popolare nonviolenta (DPN), che opera nell'ambito delle finalità di cui all'articolo 1 con il compito di dirigere e organizzare le strutture della componente non armata della difesa nazionale e di pianificare e coordinare l'impiego dei mezzi e del personale ad essa assegnati.
2. Sono istituiti nell'ambito del Dipartimento della DPN:

a) il Corpo della difesa popolare nonviolenta;
b) la Scuola per la formazione degli operatori della difesa popolare nonviolenta e per la divulgazione delle forme alternative di difesa.

Art. 10.

(Personale della DPN)

1. Il Corpo della DPN, di cui all'articolo 9, comma 2, lettera a) , si avvale:

a) dei giovani che per imprescindibili motivi di coscienza rifiutino l'uso delle armi e che siano assegnati al servizio civile sostitutivo, ai sensi dell'articolo 2, comma 4;
b) di personale in servizio permanente;
c) di mezzi e di personale messi a disposizione da altre amministrazioni dello Stato e dagli enti locali.

2. La Scuola per la formazione degli operatori della DPN e per la divulgazione delle forme alternative di difesa si avvale:

a) di quote di personale di cui al comma 1, lettera a) ;
b) di operatori abilitati presso la medesima scuola;
c) di strutture messe a disposizione dalle università e dalle scuole statali e dei docenti di queste ultime che ne abbiano fatto richiesta e che siano stati selezionati in base a criteri che dimostrino la loro comprovata esperienza nel settore.

Art. 11.

(Direttore generale del Dipartimento
della DPN)


1. Al Dipartimento della DPN é preposto un direttore generale, che si avvale di due vice direttore generali. In caso di assenza o impedimento, il direttore generale é sostituito dal vice direttore generale piú anziano.
2. Il direttore generale e i vice direttori generali sono nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della difesa. Non possono ricoprire le predette cariche i cittadini che siano o siano stati inquadrati nei ruoli del personale militare del Ministero della difesa, con eccezione dell'eventuale periodo di assolvimento della ferma di leva obbligatoria.
3. Il direttore generale del Dipartimento della DPN:

a) esercita tutte le competenze relative alla gestione dei mezzi e del personale della DPN, sulla base delle direttive del Ministro della difesa, e predispone i relativi strumenti di pianificazione; a tal fine, in particolare:
1) elabora il programma annuale e pluriennale di previsione delle spese di competenza del Dipartimento e lo trasmette al Segretario generale della Difesa;
2) predispone il programma relativo agli impieghi operativi del Corpo della DPN e lo comunica al Ministro della difesa;

b) predispone i piani per la mobilitazione e per il richiamo del personale in congedo;
c) formula proposte ed esprime pareri, ove richiesto, in materia di stato giuridico, avanzamento, impiego e benessere morale e materiale del personale;
d) predispone il piano annuale e pluriennale di addestramento del personale della Scuola di formazione per operatori della DPN, di concerto con il direttore della Scuola medesima.

3. Il direttore generale del Dipartimento della DPN, a seguito della deliberazione dello stato di guerra ai sensi degli articoli 78 e 87 della Costituzione, é posto alle dirette dipendenze del Presidente del Consiglio dei ministri ed assume il comando operativo del Corpo della DPN.

Art. 12.

(Direttore della Scuola di formazione
per operatori della DPN)


1. Alla Scuola di formazione per operatori della DPN e per la divulgazione delle forme alternative di difesa é preposto un direttore, nominato dal Ministro della difesa, di concerto con i Ministri della pubblica istruzione e dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, sentito il direttore generale del Dipartimento della DPN.

Art. 13.

(Ministero della protezione civile)

1. É istituito il Ministero della protezione civile, al quale sono attribuite tutte le funzioni conferite al Presidente del Consiglio dei ministri o, per sua delega, al Ministro per il coordinamento della protezione civile, di cui alla legge 24 febbraio 1992, n. 225.
2. Il Ministro della protezione civile, d'intesa con il Ministro della difesa, delibera annualmente la quota di personale da destinare al Corpo della protezione civile, fra i cittadini che assolvono gli obblighi di leva nell'ambito della componente non armata della difesa nazionale, ai sensi dell'articolo 2, comma 4, che ne abbiano fatto richiesta e che ne possiedano i requisiti. Il Corpo della protezione civile puó avvalersi anche di personale femminile che ne abbia fatto richiesta e che sia in possesso dei requisiti previsti dal decreto legislativo di cui all'articolo 3.
3. Il primo comma dell'articolo 2 della legge 28 luglio 1950, n. 624, é sostituito dal seguente:

"Il Consiglio supremo di difesa é presieduto dal Presidente della Repubblica ed é composto dal Presidente del Consiglio dei ministri, con funzioni di vice presidente, dal Ministro degli affari esteri, dal Ministro dell'interno, dal Ministro della difesa, dal Ministro della protezione civile e dal direttore generale del Dipartimento della difesa popolare nonviolenta".

4. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con uno o piú regolamenti adottati ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono emanate le necessarie disposizioni per disciplinare il trasferimento al Ministero della protezione civile delle competenze e delle strutture del Dipartimento della protezione civile presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, nonchè del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco e degli altri Corpi, organismi, enti ed uffici dell'Amministrazione centrale e periferica dello Stato, ivi compresi quelli appartenenti alle Forze armate o ai Corpi armati dello Stato, che svolgano esclusivamente o prevalentemente compiti di protezione civile.

CAPO IV
NORME GENERALI PER L'IMPIEGO DELLE FORZE ARMATE E DEL CORPO DELLA DIFESA POPOLARE NONVIOLENTA, NONCHÉ PER LA GESTIONE DELLE CRISI



Art. 14.

(Impiego delle Forze armate
in Italia e all'estero)


1. Le missioni e i compiti delle Forze armate italiane si conformano ai princípi di cui all'articolo 1 della legge 11 luglio 1978, n. 382.
2. L'impiego delle Forze armate italiane sul territorio nazionale, anche in concorso con quello dei Corpi armati dello Stato, é consentito solo a seguito di dichiarazione dello stato di allarme o di emergenza, o dello stato di guerra.
3. Salvi i casi previsti dal comma 2, l'impiego di reparti delle Forze armate puó essere disposto, su deliberazione del Consiglio dei ministri, esclusivamente per compiti di protezione civile.
4. L'impiego all'estero, nell'ambito di formazioni armate, di singoli militari o di reparti delle Forze armate italiane é consentito solo a seguito dell'approvazione di una specifica legge di autorizzazione.
5. Le disposizioni di cui al comma 4 si applicano anche alle operazioni militari da effettuare all'estero su mandato del Consiglio di sicurezza o del Segretario generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), ovvero alle operazioni promosse da organizzazioni internazionali cui l'Italia abbia aderito sulla base di trattati o accordi internazionali di cui il Parlamento abbia autorizzato la ratifica.
6. Il Presidente del Consiglio dei ministri comunica annualmente al Parlamento il programma delle esercitazioni militari previste fuori dal territorio nazionale ed alle quali partecipino singoli militari o reparti delle Forze armate italiane, nonchè il programma delle esercitazioni militari previste sul territorio nazionale ed alle quali partecipino truppe straniere in attuazione di trattati o accordi internazionali di cui il Parlamento abbia autorizzato la ratifica.

Art. 15.

(Comitato parlamentare di controllo
e di indirizzo)


1. Nei casi di impiego di truppe italiane fuori dal territorio nazionale, ai sensi dell'articolo 14, commi 4 e 5, o in seguito alla dichiarazione dello stato di allarme, di emergenza o dello stato di guerra, é costituito un Comitato parlamentare di controllo e di indirizzo, composto da venti parlamentari nominati dai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, d'intesa fra loro, in modo da rappresentare tutti i Gruppi parlamentari.
2. Il Governo riferisce al Comitato parlamentare di cui al comma 1 su tutti i provvedimenti conseguenti alla dichiarazione dello stato di allarme o emergenza o dello stato di guerra, nonchè su tutti i fatti conseguenti all'impiego delle truppe italiane fuori dal territorio nazionale, con particolare riferimento alla condotta tenuta dalle predette truppe nel corso delle operazioni in cui sono impiegate.
3. In seguito alla dichiarazione dello stato di emergenza o di guerra, gli atti e i lavori del Comitato parlamentare di cui al comma 1 sono segreti.
4. Al di fuori dei casi previsti al comma 3, il Comitato medesimo, su richiesta del Presidente del Consiglio dei ministri, determina di volta in volta gli atti o i lavori che debbano essere dichiarati segreti o riservati.

Art. 16.

(Impiego delle Forze armate e del Corpo della DPN in caso di aggressione improvvisa)

1. In caso di aggressione improvvisa e non prevedibile al territorio nazionale o a navi o aeromobili italiani operanti in spazi internazionali, il Capo di stato maggiore della Difesa e il direttore generale del Dipartimento della DPN, ognuno per quanto di propria competenza e previa autorizzazione del Presidente del Consiglio dei ministri, possono ordinare l'uso della forza in modo proporzionato all'offesa o alla minaccia e al solo fine di fermare l'aggressione, di impedirne la prosecuzione o di contenerne gli effetti.
2. L'autorizzazione di cui al comma 1 puó essere concessa in via preventiva e permanente a condizione che siano formalmente specificate le tipologie delle minacce contro le quali é autorizzato l'intervento e le relative regole di ingaggio. L'autorizzazione ha durata non superiore a dodici mesi e puó essere rinnovata.
3. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche alle unità delle Forze armate italiane poste in via permanente o temporanea sotto l'autorità di comandi militari dell'Alleanza atlantica per effetto di accordi internazionali di cui il Parlamento abbia autorizzato la ratifica.

Art. 17.

(Contingente permanente a disposizione
dell'ONU)


1. Il Governo é autorizzato ad istituire, anche in deroga ai limiti numerici di cui all'articolo 4, comma 1, lettera f) , un contingente permanente da porre a disposizione del Segretario generale dell'ONU, composto da personale militare e da personale del Corpo della DPN, da utilizzare ove necessario ai fini del ristabilimento della pace e come forza di interposizione, nonchè per il soccorso a popolazioni colpite da catastrofi naturali o provocate dall'uomo.

Art. 18.

(Abrogazioni)

1. Sono abrogate tutte le disposizioni vigenti in contrasto con quanto disposto dalla presente legge.

Art. 19.

(Entrata in vigore)

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale .