DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa dei senatori RUSSO SPENA, CÓ e CRIPPA
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 18 FEBBRAIO 1999
Norme sulla riforma della leva obbligatoria, sull'istituzione del Ministero della protezione civile e del Dipartimento della difesa popolare nonviolenta
ONOREVOLI SENATORI. - Il presente disegno di legge mira a riformare
l'insieme del sistema difesa del nostro Paese, a renderlo piú
attinente al nuovo scenario internazionale e a quel ripudio della guerra
sancito dall'articolo 11 della Costituzione che rimane - alle soglie del
terzo millennio - il faro che deve ispirare la politica estera della
Repubblica italiana.
Trattandosi di una riforma istituzionale tra le piú delicate (alle
Forze armate la Costituzione delega l'uso delle armi e della forza), che ha
ripercussioni sia sull'ordinamento interno sia sulla politica internazionale
del nostro Paese, appare necessario precisare qual é il quadro
internazionale complessivo nel quale il nuovo strumento di difesa deve
agire.
Questa visione globale é particolarmente necessaria in un pianeta
sempre di piú attraversato da ingiustizie colossali e da
disparità crescenti tra aree ricche e aree povere. Senza questa
analisi si puó cadere - come propongono gli assertori del Nuovo
Modello di Difesa (NMD) - nella tentazione di affrontare la sfera militare
come un qualcosa a se stante dal resto delle dinamiche mondiali. Questa
impostazione, dominante nelle posizioni espresse in materia dal Governo,
porta inevitabilmente a soluzioni di "contenimento" militare della
instabilità planetaria, dando - in questo crescente disordine
mondiale - per scontati ed immutabili gli scenari di ingiustizia e di
impoverimento progressivo di settori sempre piú vasti
dell'umanità.
La prima questione essenziale é dare priorità alla
politica; la sfera militare deve essere subordinata ad essa, non puó
essere una variante indipendente.
Nel processo di globalizzazione capitalista gli Stati nazionali sono
messi fortemente in discussione alla radice dalla libertà di mercato
senza regole e confini. Si tratta di un esproprio dei poteri e di una loro
concentrazione verso il vertice della piramide (sempre piú ristretto
se é vero che 358 persone detengono nelle loro mani private ricchezze
pari a quelle di 2 miliardi e mezzo di persone) che, esautorando gli Stati
nazionali delle loro tradizionali politiche di protezione (lo stato sociale,
la politica ridistributiva, eccetera), rischia di delegare loro solo l'uso
della forza (di polizia e militare).
Questo scenario é pericolosissimo sotto il profilo democratico e
foriero di una involuzione autoritaria di dimensioni inimmaginabili.
Se si accetta questo quadro, con la conseguente parcellizzazione del tema
militare, allora il NMD come ci é stato prospettato ne é una
obbligatoria conseguenza.
Se invece si opera per modificare questo quadro allora ne discende un
sistema di difesa altro, piú compatibile alle politiche di pace che,
in questa fase storica, significano in primo luogo rimozione delle
violentissime ingiustizie prodotte dal sistema economico dominante.
Da questa scelta politica discende la nostra proposta di organizzazione
della difesa, che per le sue caratteristiche dovrà essere doppiamente
innovativa sia rispetto al vecchio sistema basato sull'esercito di massa sia
nei confronti di chi vorrebbe delegare a degli specialisti della guerra
(esercito professionale) il sacro dovere della difesa della Patria stabilito
dall'articolo 52 della Costituzione.
In questi decenni é andato modificandosi lo stesso concetto di
difesa. Un tempo esso era organizzato intorno alla tutela
dell'integrità territoriale del Paese (i confini della patria); oggi,
vuoi per il processo di costruzione europea e per la globalizzazione dei
mercati, vuoi per l'improbabilità di una aggressione diretta ed
armata nei confronti della Nazione, la difesa necessariamente deve tutelare
interessi collettivi del Paese e dell'insieme dell'umanità.
Gli assertori del NMD hanno tentato in questi anni (riuscendoci con atti
concreti mai discussi ed approvati dal Parlamento) di spostare il concetto
di difesa da quello dei confini a quello degli interessi nazionali,
addirittura definendo le aree di intervento strategico a tutela degli stessi
(area balcanica e mediterranea, corno d'Africa, le rotte del petrolio).
Nelle missioni in Somalia ed in Albania si é assistito al
riproporsi di un nazionalismo vecchia maniera (l'idea dei protettorati anche
se chiamati in altro modo) dove l'interesse nazionale all'intervento
militare sovrastava lo stesso interesse di appartenenza al mondo occidentale
(ed al suo modo di produrre e consumare). Nella Guerra del Golfo del 1991,
invece, gli interessi nazionali venivano fatti coincidere con quelli
piú generali dei Paesi industrializzati in una crociata per la difesa
della vena giugulare del petrolio.
Gli interessi nazionali non dovrebbero essere tali quando non coincidono
(anzi ledono) con gli interessi collettivi della comunità umana.
Siccome non crediamo all'esistenza di due categorie nell'ambito del genere
umano (una degli eletti, quella dei Paesi ricchi che devono detenere l'80 e
passa per cento della ricchezza mondiale; l'altra quella dei derelitti,
condannati a contendersi le briciole o addirittura cancellati da ogni futuro
dalle politiche degli "aggiustamenti strutturali" della Banca Mondiale),
é bene che la definizione degli "interessi nazionali" ritorni a
tenere conto di questo presupposto.
Il fondamentalismo del mercato sta producendo fondamentalismi di risposta
che stanno portando indietro l'umanità. Si puó fingere di
arginare il fondamentalismo islamico, per esempio, con le forze d'intervento
rapido, il sostegno al massacratore Zerual, il tenere in vita la comoda
figura di Saddam Hussein, il consentire alla Turchia ogni impunità e
ad Israele di stracciare gli accordi siglati (ma é appunto una
finzione, perché in questa impostazione si ha "l'effetto colabrodo";
tappi un buco da una parte e ne riesplodono due da un'altra).
Ma si puó anche, come si dovrebbe, rimettere in discussione il
fondamentalismo generatore di altri, quello che innesta l'effetto "vortice".
Di nuovo si tratta d'intervenire sulle cause e non sulle conseguenze. Di
nuovo spetta alla politica indicare altre strade che redistribuiscano
ricchezza verso il basso disarmando alla radice gli argomenti dei
terroristi, rilanciando la cooperazione allo sviluppo, sviluppando un
concetto di sicurezza includente e rinunciando a quello escludente.
In questa concezione nuova della "difesa allargata" occorre comprendere
che l'elemento militare - pur rimanendo importante - non puó
piú essere concepito come esclusivo. Non solo la Corte costituzionale
ha precisato che si puó servire la Patria, come prevede l'articolo 52
della Costituzione, anche senza le armi, ma la stessa nuova legge
sull'obiezione di coscienza ha reso parte integrante della nostra
giurisprudenza il concetto che la difesa appartiene all'insieme della
collettività. Per questo, la salvaguardia e la modernizzazione del
carattere popolare della difesa non rappresentano una questione - come
asseriscono i fautori dell'esercito esclusivamente professionale - di
nostalgici della rivoluzione francese. Al contrario, tale questione
acquisisce una moderna centralità democratica, nel momento in cui i
poteri vengono sempre di piú concentrati verso l'alto e alla crisi
degli Stati nazionali non fa seguito - al contrario di quanto accade per le
leggi di mercato, libere di invadere ogni spazio della vita umana - un
riposizionamento in una sede democratica sovranazionale della volontà
e partecipazione popolare. Per decenni l'impostazione sostanzialmente
sabauda della coscrizione obbligato ria si é approcciata, nei
confronti del cittadino maschio, come se il servizio di leva fosse una sorta
di servitú, una sottrazione della libertà dell'individuo da
parte dello Stato. I fenomeni di spersonalizzazione dei militari di leva
derivano anche e soprattutto da questa concezione punitiva della leva
obbligatoria e dalla sua incapacità di farla vivere secondo i valori
fondanti della nostra Costituzione. L'ostinata separazione tra mondo
militare e mondo civile non é solo dovuta ad una supposta e sbagliata
indipendenza del primo dal secondo ma deriva anche dalla incapacità
di adeguare i valori delle Forze armate al comune sentire della
società nel suo complesso.
Di fronte a questa innegabile difficoltà, la scappatoia di
occultare il problema passando a forze armate di professionisti pronti ad
"uccidere e morire", come ebbe a dire alcuni anni fa il generale Canino,
é al contempo pericolosa e sbagliata.
Si vuole impedire alla società di rompere la separatezza tra mondo
militare e civile attraverso il perverso strumento della delega a poche
persone di una funzione delicatissima, espropriando i cittadini non solo di
un dovere, ma anche di un diritto democratico.
Sempre piú sovente l'invasione di campo avviene all'opposto:
é il mondo militare, proprio perché separato dal resto della
società, a cercare d'invadere spazi propri del mondo civile. Si pensi
all'impiego delle Forze armate in funzione di ordine pubblico (proprio
quando si tagliano gli ausiliari di leva nei Carabinieri e nella Polizia di
Stato), nella distribuzione di aiuti umanitari, nella costruzione di scuole
ed ospedali nei Paesi bisognosi.
Con il nostro disegno di legge pensiamo che non siano percorribili
scorciatoie di forze armate mercenarie, ma che sia necessaria l'assunzione
da parte della collettività del problema difesa. Per questo vediamo
nel Sistema-difesa del futuro una riduzione del peso numerico delle Forze
armate (anche se con una riqualificazione delle funzioni) ed una maggiore
presenza della componente civile.
Per questo proponiamo di passare dai 296.269 militari attuali, tra
Aeronautica, Marina ed Esercito, a 180.000 unità delle Forze armate
per metà professionisti (ufficiali, sottufficiali e volontari in
servizio permanente) e per metà militari di leva. La componente di
leva (che attualmente é circa il 60 per cento delle tre armi)
passerebbe dagli attuali 170.000 soldati a 90.000 includendo i militari a
ferma prolungata.
Questa riduzione del contingente di leva consentirà la progressiva
riduzione del periodo di ferma nei prossimi anni fino a sei mesi, mentre il
personale professionistico eccedente dovrebbe essere dislocato sia nel
costituendo Corpo della protezione civile (smilitarizzato), sia nelle altre
amministrazioni dello Stato, sia con una politica oculata di
prepensionamenti.
Tutte le mansioni non militari che oggi vedono invece impiegato personale
militare (cucine, pulizie, gestione spacci, amministrazione, eccetera)
dovrebbero passare ai civili.
Il cittadino davanti alla leva obbligatoria si troverebbe a dover
scegliere tra quattro possibilità:
a)
svolgere il servizio militare di leva normale o a ferma prolungata;
L'articolo 9 del nostro disegno di legge, infatti, istituisce il
Dipartimento della difesa popolare nonviolenta con il compito di
pianificare, coordinare ed organizzare le forme non militari di difesa
dell'unità della Repubblica, della sovranità,
dell'indipendenza e integrità dello Stato, del libero esercizio dei
poteri costituzionali, della protezione della vita e dell'incolumità
dei cittadini. La DPN costituisce quindi la concretizzazione dei valori che
fondano l'obiezione di coscienza, nella consapevolezza che si puó
agire nei luoghi del conflitto (anche in forma preventiva) senza ricorrere
alla violenza delle armi. La sua istituzione darebbe valore alla scelta di
obiezione, in piena sintonia con la giurisprudenza della Corte
costituzionale già citata, evitando che gli obiettori si trasformino
- come tristemente sta avvenendo - in massa di mano d'opera sostitutiva a
basso costo della forza lavoro. La DPN é una risposta anche ai tanti
obiettori che si sono recati all'estero in luoghi di guerra per ricostruire
punti di dialogo e di pace. Con l'istituzione del Dipartimento e della
Scuola di formazione alla DPN lo Stato assume questa forma di difesa come
legittima e propria ed inserisce i quadri dirigenti della stessa nel
dispositivo difensivo della Nazione.
Di grande rilievo sono inoltre le disposizioni volte a superare, nella
forma possibile, la concezione di esercito da caserma, come l'obbligo fatto
ai comandi di mettere in permesso o in licenza il personale non impegnato in
servizio, l'istituzione di un Ufficio del difensore civico e di un telefono
verde per i militari di leva.
Si prevede inoltre l'accesso delle donne nei Corpi di polizia a carattere
militare (Carabinieri, Guardia di finanza e Capitaneria di porto) oltre che
nella protezione civile e nel Corpo della DPN.
Una scelta, questa, per rispondere all'ipocrisia portata avanti da chi
propone le donne soldato.
Del tutto strumentale é infatti il discorso sulla democrazia e
sulla parità in riferimento all'introduzione del servizio militare
per le donne. Esso é funzionale al tentativo di accreditare una
immagine dell'esercito piú moderna e all'altezza dei tempi,
piú accattivante sia rispetto all'opinione pubblica, senza il cui
consenso risultano impraticabili le missioni militari all'estero, sia
rispetto ai potenziali volontari. La presenza delle donne nelle Forze armate
puó contribuire ad occultare le reali finalità del NMD e ad
avallare propagandisticamente presso l'opinione pubblica la pretesa delle
Forze armate di porsi come tutrici della pace e dei diritti umani violati.
Destinatari della campagna pubblicitaria a cui il servizio volontario
femminile é funzionale sono probabilmente anche giovani che le Forze
armate aspirano ad arruolare come professionisti nelle loro fila. Forse
é un tentativo di rassicurare questi ultimi proponendo loro un
esercito che per composizione é meno difforme dall'ambiente sociale
esterno. O forse é un tentativo di suscitare nei giovani maschi una
sorta di orgoglio di genere che li sproni a porsi in competizione con le
donne nell'esercizio di quel ruolo che tradizionalmente solletica in misura
maggiore certi istinti virilisti: la professione bellica. Ed é questa
probabilmente la funzione principale dell'accesso delle donne all'esercito:
il tentativo di presentare quella del soldato come una professione
qualsiasi. E tutto allora si concatena logicamente: infatti, se il militare
é solo un lavoro ne consegue che, per pari opportunità, anche
le donne debbano averne diritto; ovvero viene loro concesso questo diritto
per dimostrare che il militare é solo un lavoro. Ancora una volta, la
parità che viene riconosciuta alle donne é quella di fare come
gli uomini. Noi pensiamo che si debba cominciare invece da quei corpi che
per loro natura - compiti di polizia - agiscono tra la società
civile, contribuendo a demilitarizzare gli stessi.
In sintesi dunque il presente disegno di legge:
1) riduce il personale delle Forze armate (Aeronautica, Marina ed
Esercito) dalle attuali 300.000 unità a 180.000 militari per
metà professionisti (ufficiali, sottufficiali, volontari in servizio
permanente) e per l'altra metà di leva. In questo modo:
a)
si ottiene il rispetto dell'articolo 52 della Costituzione e del carattere
popolare della difesa (al contrario di quanto asserito dai fautori
dell'esercito professionale, la cancellazione della leva non puó
avvenire per legge ordinaria ma implica che sia modificata la Costituzione);
b)
si perviene ad una prima riduzione ad otto mesi della ferma (arrivando a
sei mesi entro tre anni);
c)
si avranno Forze armate snelle ed efficienti, con un forte risparmio sulle
strutture e sugli uomini limitando il ricorso agli incentivi (posti
riservati nella pubblica amministrazione per i volontari) che avrebbero
fatto lievitare tantissimo i costi e militarizzato il pubblico impiego;
d) si rende piú umana la leva, prevedendo un orario
massimo di servizio (40 ore settimanali), la libertà nei
week-end
(limitabile solo per ragioni di servizio), un innalzamento, proporzionale
alla distanza da casa, della paga per i militari di leva verso i quali non
é possibile soddisfare l'esigenza di effettuare la ferma in caserme
distanti massimo 100 chilometri dalla residenza; un accesso facilitato alle
licenze (non piú concessione ma diritto); l'istituzione di un
difensore civico e di un numero verde per combattere il "nonnismo" ed
eventuali soprusi dei superiori nei confronti della truppa;
e)
si affidano a personale civile gli incarichi burocratici, amministrativi e
logistici non di specifico interesse militare (non piú militari di
leva usati come sguatteri nei circoli ufficiali);
2) istituisce una leva della protezione civile, con un proprio Ministero
e strutture territoriali (in rapporto con le regioni e gli enti locali e
potenziando i vigili del fuoco) in grado di impegnare i giovani nella
prevenzione dei cataclismi naturali o per responsabilità umana,
lottando contro incendi boschivi, alluvioni, terremoti, e valorizzando il
volontariato civile. Si riconvertono in questo modo risorse umane e
finanziarie dal militare al civile, impiegando nella nuova struttura della
protezione civile il personale militare (smilitarizzato) che deriva dalla
riduzione degli organici delle Forze armate e le risorse liberate dalla
contrazione delle spese militari;
3) istituisce il Dipartimento della difesa popolare nonviolenta, con un
proprio Corpo ed una propria scuola di formazione che si avvale di personale
permanente e dei giovani che hanno scelto l'obiezione di coscienza. Si
valorizzano i valori dell'obiezione di coscienza (ripudio della guerra e
della violenza delle armi) con un servizio che abbia pari dignità con
quello militare e serva alla difesa della Nazione e degli interessi di pace
del nostro Paese evitando l'uso improprio degli obiettori come manodopera
sostitutiva a scarso costo da parte di enti pubblici e privati;
4) istituisce regole certe e democratiche per l'impiego dei militari ed
obiettori di coscienza all'estero, evitando che importanti missioni possano
attuarsi senza il voto ed il controllo del Parlamento. Si istituisce un
Comitato parlamentare di controllo e di indirizzo che vigilerà per
tutta la durata delle missioni;
5) prevede la messa a disposizione del Segretario generale dell'ONU di un
contingente permanente di militari (caschi blu) ed uno equivalente di
obiettori di coscienza (caschi bianchi) per missioni di interposizione, di
ristabilimento della pace, di aiuto alle popolazioni colpite dalla guerra o
da cataclismi.
DISEGNO DI LEGGE |
CAPO I
Art. 1.
(Scopo della difesa nazionale)
1. La difesa nazionale ha lo scopo di garantire in modo permanente
l'unità della Repubblica, la sovranità, l'indipendenza e
l'integrità dello Stato, il libero esercizio dei poteri
costituzionali, la protezione della vita e dell'incolumità dei
cittadini.
|
Art. 2.
(Partecipazione dei cittadini)
1. Tutti i cittadini devono concorrere alla difesa nazionale nei modi
stabiliti dalla legge.
a) in una componente armata, di cui fanno parte l'Esercito italiano, la Marina militare e l'Aeronautica militare, che costituiscono le Forze armate dello Stato, nonché l'Arma dei Carabinieri, il Corpo della Guardia di finanza e il Corpo delle Capitanerie di porto;b) in una componente non armata, di cui fanno parte le strutture operative del Dipartimento della difesa popolare nonviolenta, di cui all'articolo 9, e del Ministero della protezione civile, di cui all'articolo 13.
3. Gli obblighi di leva possono essere espletati presso una delle
componenti in cui si articola la struttura operativa della difesa nazionale,
di cui al comma 2.
DISPOSIZIONI SULLA LEVA
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Art. 3.
(Delega al Governo per la riforma della leva obbligatoria e per la riduzione
degli organici delle Forze armate)
1. Il Governo é delegato ad adottare, entro un anno dalla data di
entrata in vigore della presente legge, uno o piú decreti legi
slativi per provvedere alla riforma della leva obbligatoria nonché
per disciplinare la riduzione degli effettivi delle Forze armate dello
Stato, come definite all'articolo 2, comma 2, lettera a) .
|
Art. 4.
(Materie della delega al Governo)
1. I decreti legislativi di cui all'articolo 3 sono emanati sulla base
dei seguenti princípi e criteri direttivi:
a) progressiva riduzione della durata della ferma di leva obbligatoria, portandola ad otto mesi nel primo anno successivo all'entrata in vigore dei decreti legislativi medesimi ed a sei mesi entro i successivi due anni;b) suddivisione della ferma di leva in un periodo dedicato all'addestramento e un periodo di attività operativa; c) previsione che il personale in servizio di leva obbligatoria o prolungata non sia numericamente inferiore al 50 per cento degli effettivi delle Forze armate dello Stato; d) ripartizione di quote del personale militare professionale fra ufficiali, sottufficiali e volontari in servizio permanente effettivo; e) transito nella pubblica amministrazione del personale militare professionale in eccedenza rispetto alla quota stabilita ai sensi della lettera d); f) riduzione, entro un periodo di sei anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi, del personale militare a 180.000 unità, con la seguente ripartizione: 1) Esercito: 110.000 unità; 2) Marina: 30.000 unità; 3) Aeronautica: 40.000 unità; g) affidamento a personale civile degli incarichi di natura burocratica, amministrativa e logistica, e comunque non di specifico carattere militare, nelle strutture centrali e in quelle territoriali;h) previsione e regolamentazione dell'accesso delle cittadine di sesso femminile di cui all'articolo 2, comma 5. |
Art. 5.
(Norme generali sulla ferma di leva)
1. Il servizio obbligatorio di leva é prestato presso le
unità o i reparti ubicati nel luogo piú vicino al comune di
residenza del militare e comunque distanti non piú di 100 chilometri
da esso, sempre che ció non risulti incompatibile con le direttive
strategiche o con le esigenze logistiche delle Forze armate.
|
Art. 6.
(Impiego dei militari di leva)
1. Il Ministro della difesa, con proprio decreto, fissa i criteri
generali per la determinazione di una quota obbligatoria di presenza per i
militari di leva e per il restante personale militare a fini di pronto
impiego, presso ciascuna unità o reparto operativo, cui devono
attenersi i rispettivi comandanti nelle disposizioni applicative di loro
competenza.
|
Art. 7.
(Disposizioni sul diritto alla licenza
1. La licenza é un diritto del militare. Il Ministro della difesa
emana le relative disposizioni regolamentari.
" 10- bis. É computabile ai fini dell'assolvimento degli
obblighi di leva il periodo trascorso in licenza speciale per campagna
elettorale dai militari di leva candidati ad elezioni politiche ed
amministrative".
|
Art. 8.
(Difensore civico e telefono verde)
1. É istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri -
Dipartimento per gli affari sociali, l'Ufficio del difensore civico per la
tutela dei cittadini che prestano servizio di leva. Il difensore civico
é nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e
dura in carica per un periodo di cinque anni, rinnovabile alla scadenza non
oltre un ulteriore mandato.
ORGANISMI DELLA COMPONENTE NON ARMATA DELLA DIFESA NAZIONALE
|
Art. 9.
(Dipartimento della difesa popolare
1. É istituito presso il Ministero della difesa il Dipartimento
della difesa popolare nonviolenta (DPN), che opera nell'ambito delle
finalità di cui all'articolo 1 con il compito di dirigere e
organizzare le strutture della componente non armata della difesa nazionale
e di pianificare e coordinare l'impiego dei mezzi e del personale ad essa
assegnati.
a) il Corpo della difesa popolare nonviolenta;b) la Scuola per la formazione degli operatori della difesa popolare nonviolenta e per la divulgazione delle forme alternative di difesa. |
Art. 10.
(Personale della DPN)
1. Il Corpo della DPN, di cui all'articolo 9, comma 2, lettera
a) , si avvale:
a) dei giovani che per imprescindibili motivi di coscienza rifiutino l'uso delle armi e che siano assegnati al servizio civile sostitutivo, ai sensi dell'articolo 2, comma 4;b) di personale in servizio permanente; c) di mezzi e di personale messi a disposizione da altre amministrazioni dello Stato e dagli enti locali.
2. La Scuola per la formazione degli operatori della DPN e per la
divulgazione delle forme alternative di difesa si avvale:
a) di quote di personale di cui al comma 1, lettera a) ;b) di operatori abilitati presso la medesima scuola; c) di strutture messe a disposizione dalle università e dalle scuole statali e dei docenti di queste ultime che ne abbiano fatto richiesta e che siano stati selezionati in base a criteri che dimostrino la loro comprovata esperienza nel settore. |
Art. 11.
(Direttore generale del Dipartimento
1. Al Dipartimento della DPN é preposto un direttore generale, che
si avvale di due vice direttore generali. In caso di assenza o impedimento,
il direttore generale é sostituito dal vice direttore generale
piú anziano.
a) esercita tutte le competenze relative alla gestione dei mezzi e del personale della DPN, sulla base delle direttive del Ministro della difesa, e predispone i relativi strumenti di pianificazione; a tal fine, in particolare:1) elabora il programma annuale e pluriennale di previsione delle spese di competenza del Dipartimento e lo trasmette al Segretario generale della Difesa; 2) predispone il programma relativo agli impieghi operativi del Corpo della DPN e lo comunica al Ministro della difesa; b) predispone i piani per la mobilitazione e per il richiamo del personale in congedo;c) formula proposte ed esprime pareri, ove richiesto, in materia di stato giuridico, avanzamento, impiego e benessere morale e materiale del personale; d) predispone il piano annuale e pluriennale di addestramento del personale della Scuola di formazione per operatori della DPN, di concerto con il direttore della Scuola medesima.
3. Il direttore generale del Dipartimento della DPN, a seguito della
deliberazione dello stato di guerra ai sensi degli articoli 78 e 87 della
Costituzione, é posto alle dirette dipendenze del Presidente del
Consiglio dei ministri ed assume il comando operativo del Corpo della DPN.
|
Art. 12.
(Direttore della Scuola di formazione
1. Alla Scuola di formazione per operatori della DPN e per la
divulgazione delle forme alternative di difesa é preposto un
direttore, nominato dal Ministro della difesa, di concerto con i Ministri
della pubblica istruzione e dell'università e della ricerca
scientifica e tecnologica, sentito il direttore generale del Dipartimento
della DPN.
|
Art. 13.
(Ministero della protezione civile)
1. É istituito il Ministero della protezione civile, al quale sono
attribuite tutte le funzioni conferite al Presidente del Consiglio dei
ministri o, per sua delega, al Ministro per il coordinamento della
protezione civile, di cui alla legge 24 febbraio 1992, n. 225.
"Il Consiglio supremo di difesa é presieduto dal Presidente della
Repubblica ed é composto dal Presidente del Consiglio dei ministri,
con funzioni di vice presidente, dal Ministro degli affari esteri, dal
Ministro dell'interno, dal Ministro della difesa, dal Ministro della
protezione civile e dal direttore generale del Dipartimento della difesa
popolare nonviolenta".
4. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge,
con uno o piú regolamenti adottati ai sensi dell'articolo 17 della
legge 23 agosto 1988, n. 400, sono emanate le necessarie disposizioni per
disciplinare il trasferimento al Ministero della protezione civile delle
competenze e delle strutture del Dipartimento della protezione civile presso
la Presidenza del Consiglio dei ministri, nonchè del Corpo nazionale
dei Vigili del fuoco e degli altri Corpi, organismi, enti ed uffici
dell'Amministrazione centrale e periferica dello Stato, ivi compresi quelli
appartenenti alle Forze armate o ai Corpi armati dello Stato, che svolgano
esclusivamente o prevalentemente compiti di protezione civile.
NORME GENERALI PER L'IMPIEGO DELLE FORZE ARMATE E DEL CORPO DELLA DIFESA POPOLARE NONVIOLENTA, NONCHÉ PER LA GESTIONE DELLE CRISI
|
Art. 14.
(Impiego delle Forze armate
1. Le missioni e i compiti delle Forze armate italiane si conformano ai
princípi di cui all'articolo 1 della legge 11 luglio 1978, n. 382.
|
Art. 15.
(Comitato parlamentare di controllo
1. Nei casi di impiego di truppe italiane fuori dal territorio nazionale,
ai sensi dell'articolo 14, commi 4 e 5, o in seguito alla dichiarazione
dello stato di allarme, di emergenza o dello stato di guerra, é
costituito un Comitato parlamentare di controllo e di indirizzo, composto da
venti parlamentari nominati dai Presidenti del Senato della Repubblica e
della Camera dei deputati, d'intesa fra loro, in modo da rappresentare tutti
i Gruppi parlamentari.
|
Art. 16.
(Impiego delle Forze armate e del Corpo della DPN in caso di aggressione
improvvisa)
1. In caso di aggressione improvvisa e non prevedibile al territorio
nazionale o a navi o aeromobili italiani operanti in spazi internazionali,
il Capo di stato maggiore della Difesa e il direttore generale del
Dipartimento della DPN, ognuno per quanto di propria competenza e previa
autorizzazione del Presidente del Consiglio dei ministri, possono ordinare
l'uso della forza in modo proporzionato all'offesa o alla minaccia e al solo
fine di fermare l'aggressione, di impedirne la prosecuzione o di contenerne
gli effetti.
|
Art. 17.
(Contingente permanente a disposizione
1. Il Governo é autorizzato ad istituire, anche in deroga ai
limiti numerici di cui all'articolo 4, comma 1, lettera f) , un
contingente permanente da porre a disposizione del Segretario generale
dell'ONU, composto da personale militare e da personale del Corpo della DPN,
da utilizzare ove necessario ai fini del ristabilimento della pace e come
forza di interposizione, nonchè per il soccorso a popolazioni colpite
da catastrofi naturali o provocate dall'uomo.
|
Art. 18.
(Abrogazioni)
1. Sono abrogate tutte le disposizioni vigenti in contrasto con quanto
disposto dalla presente legge.
|
Art. 19.
(Entrata in vigore)
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale . |