Legislatura 13º - Disegno di legge N. 263 (I rist.)

SENATO DELLA REPUBBLICA

———–     XIII LEGISLATURA    ———–





N. 263 I rist.



DISEGNO DI LEGGE




d'iniziativa dei senatori PETRUCCI, BETTONI BRANDANI, DANIELE GALDI, BRUNO GANERI, BUCCIARELLI, CASADEI MONTI, CIONI, DE LUCA Michele, GIOVANELLI, DE MARTINO Guido, FORCIERI, MICELE, ROGNONI, SMURAGLIA e STANISCIA

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 10 MAGGIO 1996

Interventi di sostegno sociale, per la prevenzione delle condizioni di disagio e povertà, per la promozione di pari opportunità e di un sistema di diritti di cittadinanza







ONOREVOLI SENATORI. - In un sistema socio-economico pluralistico dove l'economia non sia governata da forze selvagge, l'ordine economico non puó essere separato da un ordine sociale che persegua nel concreto le esigenze quotidiane della popolazione: riconosca merito e opportuna affermazione ai piú capaci, imposizione fiscale equa in rapporto al reddito, protezione sociale per i piú deboli.
Protezione che si esprime attraverso un concetto moderno di solidarietà "dello Stato sociale", operando alcune grandi scelte qualificanti, meccanismi correttivi dei fattori di distorsione del sistema sociale, promuovendo e lasciando spazio allo spirito di impresa anche all'interno dello stesso welfare, che deve essere trasformato in organizzazione sburocratizzata, flessibile, contenuta nei costi e misurabile in termini di efficacia e qualità.
In base a tali presupposti non é pensabile aver avviato una trasformazione dello Stato sociale solo con la riforma del Servizio sanitario nazionale e del sistema previdenziale, si tratterebbe di un sistema di protezione "monco" e soprattutto di un sistema che esclude la vera fascia di popolazione piú bisognosa della solidarietà, e, non ultimo, va ricordato come il mancato contenimento e gestione dei problemi e delle diseguaglianza sociali, possa condurre anche a gravi condizioni di instabilità politica e sociale. Naturalmente la riforma dei regimi di sicurezza sociale va supportata da un'altrettanto rigorosa riforma del sistema fiscale.
L'indirizzo della ricostruzione degli interventi di sostegno sociale deve altresí trasferire risorse verso i servizi alla persona, oggi compressi al 10 per cento della spesa sociale, stimolando nuova occupazione. Non ci sarà allora solo intrinseco valore di equilibrio sociale ma anche affermazione concreta del "valore umano".

1. I servizi socio-assistenziali oggi: perché una legge quadro sull'assistenza.

Il decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, aveva modificato il contenuto di assistenza-beneficienza pubblica derivato dagli articoli 38 e 117 della Costituzione introducendo il concetto di "servizi sociali", che ha permesso una piú moderna organizzazione del settore, specie in alcune realtà del Paese, evidenziando, anche in questo campo, pesanti squilibri tra Nord, Centro e Sud.
L'aspetto piú rilevante della mancanza di una legge quadro in materia di assistenza, é stato, ed é, quello di non permettere una sostanziale trasformazione del settore verso nuove ipotesi organizzative che tengano conto del nuovo ordinamento delle autonomie locali, del processo amministrativo di redistribuzione delle responsabilità nel pubblico impiego, delle potenzialità derivanti da un rapporto pubblico-privato, privato non profit , capaci di costituire una circolo virtuoso per ottimizzare le risposte del welfare e modularle alla nuova e pressante domanda sociale.
Pertanto, anche le innovazioni e sperimentazioni di grande interesse, condotte dalle regioni piú sensibili, spesso non possono essere convalidate per problemi legati alla finanza locale e soprattutto perché al di fuori di livelli assistenziali omogenei individuati come standard nazionali di riferimento. Livelli che dovrebbero permettere anche la possibilità di razionalizzare e coordinare le prestazioni assistenziali locali a prestazioni nazionali, quali possono essere le pensioni di invalidità civile e le pensioni sociali.
Queste ultime, pur nella loro natura di emolumento prettamente assistenziale, sono stati fino ad oggi collegate al comparto previdenziale e non hanno potuto costituire una componente "gestibile" dagli enti locali di riferimento ai fini di complessivi programmi di recupero e integrazione sociale dell'individuo.
La legge di riforma previdenziale 8 agosto 1995, n. 335, ha di fatto separato gli emolumenti assistenziali, quali le pensioni sociali entrando con l'assegno sociale nell'ottica di un "minimo vitale" da garantire ad ogni cittadino ultrasessantacinquenne privo di reddito, nel contempo ha posto le condizioni per regolamentare altri benefici economici legati alle disabilità del cittadino, quali le pensioni di invalidità civile e le indennità di accompagnamento, collegandole piú che alla inabilità al lavoro, come é avvenuto fino ad oggi, ad una complessiva tutela del portatore di handicap , particolarmente se non autosufficiente, integrata con le altre prestazioni del sistema sociale (articolo 3, comma 3, della legge n. 335 del 1995).
Per riassumere, i mutamenti legislativi del settore previdenziale a seguito della legge n. 335 del 1995 e quelli del settore sanitario già avvenuti ad opera dei decreti legislativi 30 dicembre 1992, n. 502, e 7 dicembre 1993, n. 517, prevalentemente collegati al contenimento ed alla razionalizzazione della spesa pubblica, richiedono un complessivo ripensamento dello "Stato sociale" che peraltro non ignori i profondi mutamenti dell'assetto socio-demografico del Paese, riscontrabili anche in altri Stati dell'Unione europea (Germania, Francia, Inghilterra, solo per citare quelli che hanno provveduto o stanno provvedendo alla revisione del Welfare ).
Alcuni indicatori del cambiamento del quadro sociale italiano, rinvenibili anche nella "relazione Carniti" sulla condizione di povertà, sottolineano le criticità degli anni 2000:

mutamento della struttura demografica della popolazione, con il grave problema dell'invecchiamento;
aumento delle classi povere, causa l'allargamento del gap tra redditi alti e bassi;
crisi istituzionale della famiglia, sovraccarico di lavoro per la donna;
aumento della immigrazione stabile e di quella irregolare;
permanere di sacche di disoccupazione anche di fronte ad una ripresa industriale che accenna a divenire sempre piú consistente; particolarmente per il problema della povertà é doverosa una riflessione analitica sulla dimensione qualitativa del fenomeno: infatti, se lo stesso viene analizzato sul piano statistico della ciclicità del fenomeno, i dati dimostrano una sorta di paradosso: la diminuzione di povertà assoluta nell'ultimo decennio dal 7-8 per cento degli anni '80 al 6-5 per cento degli anni '90 (5 per cento nel 1994). Lo stesso non si puó dire per le povertà relative, ovvero, diseguaglianze sociali nell'accesso al reddito e quindi ai consumi.

I rapporti ISTAT e CNEL del 1995 sottolineano l'aumento di questo fenomeno definibile come maggior diffusione del rischio sociale, peraltro presente in tutti i Paesi europei, anche se con tassi inferiori a quelli italiani.
Il fenomeno delle povertà relative é una pesante eredità degli anni 1980-1990 per gli squilibri esistenti tra salari e loro potere d'acquisto. Dagli anni '90 e particolarmente dal patto sociale del luglio 1993 sul costo del lavoro, il fenomeno é stato contenuto attraverso la maggior attenzione al rapporto inflazione/salari.
Ovviamente le misure affrontate non sono sufficienti per il completo controllo delle povertà relative, sono necessari interventi piú strutturali per la redistribuzione del reddito, collegati ad una reale riforma del sistema fiscale, ma anche e soprattutto a nuove modalità di intendere il welfare come promozione di pari opportunità e di un sistema di "diritti di cittadinanza".
I soggetti maggiormente colpiti dal fenomeno delle diseguaglianze, sono tali per provenienza territoriale e per limitazioni personali (età, malattia cronicizzata. incapacità di occuparsi per mancanza di informazioni e formazione). Basta far riferimento al PIL regionale del 1993 per rilevare che la distanza per abitante registra differenze Nord-Sud superiori al 50 per cento (126.3 per cento Valle d'Aosta; 57.8 per cento Calabria).
La soluzione di questi problemi, come detto in premessa, é frutto di politiche integrate sulle modalità distributive del reddito, sull'accesso al lavoro e sul sostegno non assistenzialistico alle diseguaglianze prodotte dal "rischio sociale" di chi ha meno per accedere ai consumi.
Gli interventi di contenimento del costo del lavoro e della spesa pubblica, posti in essere nell'ultimo biennio, con attenzione alle fasce deboli, vanno in questa direzione, ma nel contempo non puó essere ulteriormente disatteso un provvedimento piú organico di riordino delle funzioni socio-assistenziali, con lo scopo di intervenire direttamente nel processo di formazione della diseguaglianza, supportando le carenze degli individui in termini di maggior informazione e formazione, attraverso benefici assistenziali, possibilmente temporanei e comunque mobilizzando gli emolumenti economici permanenti che nei decenni precedenti sono stati utilizzati all'unico scopo di "monetizzare il danno fisico", senza tendere al recupero delle abilità residue della persona.
Questi descritti, sono tutti problemi a cui é necessaria una risposta a breve per non esasperare tensioni che possono divenire incontrollabili se non vengono "gestite".
Ció che abbiamo di fronte oggi sono grandi scelte di politica sociale, come lo é stata la riforma previdenziale, come dovrà essere, sia l'incentivazione a nuova occupazionalità, specie nel Sud, sia una reale riforma del sistema fiscale, per allineare l'Italia con le piú avanzate Nazioni europee.
É su questa linea che il Parlamento deve compiere scelte "mirate" di politica sociale, in favore della famiglie e delle categorie fragili, con particolare riferimento ad anziani e disabili non autosufficienti, riordinando anche gli emolumenti economici permanenti quali le pensioni di invalidità civile e le indennità di accompagnamento, attribuendo loro la reale funzione di supporto alla non autonomia (dipendenza) del cittadino inabile per età o handicap , piuttosto che il ruolo di fittizio compenso alla perdita di capacità lavorativa, utilizzabile in maniera impropria, anche da chi non é portatore di gravi disabilità.
La redistribuzione degli interventi sociali deve far assumere al Paese uno schema di sviluppo basato sulla sostenibilità economica e sulla equità, sull'assunzione di una nuova concezione di giustizia sociale che consideri le differenze tra i cittadini, di reddito, età e condizione di salute, non come discriminanti per l'espulsione dal circuito sociale, ma come soglie di accesso ad un sistema di servizi che abbia come scopo la permanenza, l'inserimento o il reinserimento nello stesso circuito sociale.
Si tratta in sintesi di selezionare bisogni e utenti intervenendo nelle situazioni di maggior criticità, sia con interventi diretti, sia con prestazioni integrative o alternative anche attraverso riduzione del carico fiscale.
Quanto si propone nel provvedimento di legge di riordino del sistema socioassistenziale, per gli aspetti della selezione del bisogno, é particolarmente calibrato per rispondere ai problemi dell'invecchiamento della popolazione italiana e comunque per affrontare i problemi della lungo-assistenza (o cronicità) particolarmente incidenti nell'epidemiologia degli anni 2000 a seguito dell'aumento delle malattie degenerative e delle polipatologie senili.
Infatti, nello stabilire indici medi sul costo della vita, incrementati nel caso della mancanza di autonomia della persona (prescindendo comunque dall'età), si mobilizzano risorse economiche risolutive - non solo per il soggetto assistito - ma per un nuovo mercato di lavoro dedicato ai "servizi alla persona", di cui si dirà in seguito, che coniuga la solidarietà sociale alla redistribuzione del reddito verso nuovi profili occupazionali.
L'assetto dei servizi socio-assistenziali presenta oggi molte lacune, sul piano dei contenuti, dell'organizzazione, del raccordo con il sistema sanitario, con il sistema scolastico e della formazione professionale; particolarmente difficoltosa é l'analisi dei flussi di spesa. I nodi di maggior entità sono ascrivibili a:

inesistenza di una progettualità sociale organizzata di fronte all'aumento della po vertà (il 12 per cento circa della popolazione vive con redddito inferiore al 50 per cento del reddito medio pro capite ) e delle fragilità sociali: alta percentuale di popolazione ultrasessantacinquenne, pari, come media italiana, a circa il 15 per cento, mentre in alcune regioni del Nord-Centro supera il 20-24 per cento, alta incidenza della disoccupazione e inoccupazione, immigrazione;
inesistenza di un livello "minimo" di interventi sociali omogenei: la differenza nelle diverse aree regionali, rende difficilmente comparabili a livello nazionale le tipologie di prestazioni, sia per i contenuti che per le modalità di accesso; il divario aumenta anche in base alle aree geografiche Nord, Centro, Sud;
spesa pubblica elevata, incontrollata e incontrollabile (oltre 62 mila miliardi per l'assistenza a cui si aggiungono circa 14,5 mila miliardi per pensioni e assegni sociali). Difficilmente rilevabile anche la spesa dei comuni, perché afferente a diverse imputazioni;
quasi inesistente il rapporto qualità/spesa;
limitato ruolo dell'ente locale nell'assunzione di "regia" per la progettualità sociale, configurando l'intervento sulla persona o sul nucleo familiare, piú come un insieme di segmenti (talvolta obbligatoriamente effettuati da diversi gestori), che come intervento globale sul bisogno;
offerta di interventi sociali "preconfezionati" piuttosto che "pacchetti di prestazioni" o "percorsi assistenziali integrati tra pubblico/privato/volontariato" adattabili al bisogno del singolo tramite un'attenta lettura delle sue condizioni;
persistenza di assistenzialismo a scapito di un intervento di recupero e restituzione delle potenzialità individuali con la rimozione delle cause-problema (in particolare per l'inserimento ed il reintegro in attività occupazionali);
confusione tra i diversi emolumenti economici continuativi derivati da invalidità, età, mancanza di reddito, con la necessità di ricondurli ad un disegno complessivo di "minimo vitale" e di percorsi assistenziali integrati" per non autosufficenti;
disomogeneo anche il ruolo del volontariato e del privato non lucrativo, in relazione alle differenti normative regionali e regolamentazioni locali, con difficoltà a rilevare il carico e la qualità delle prestazioni;
esistenza di una forte spesa sommersa, senza possibilità di controlli qualitativi, in assistenza privata a scopo di lucro, specialmente praticata per attività di ricovero ad anziani non autosufficienti ed a soggetti con cronicità psichiatrica (le strutture private sfuggono spesso a controlli autorizzativi ed in alcune zone non esistono normative in proposito; esiste inoltre, in questo settore, una riconversione "forzata" di strutture sanitarie declassate, quali ex case di cura);
raccordi problematici e conflittuali tra le attività sociali e quelle sanitarie, particolarmente accentuati dopo l'aziendalizzazione delle USL, per i servizi sociali in situazione di delega alle USL, ma anche nel caso di servizi gestiti separatamente da comuni e USL;
mancanza di forme assistenziali integrative a scelta individuale o collettiva, particolarmente necessarie negli stati di cronicità che richiedono assistenza "impegnata", prevalentemente non sanitaria, per lunghi periodi (gli stati patologici di lungoassistenza non sono presi in considerazione nemmeno dalle assicurazioni private).

2. Alcuni princípi teorici per la revisione del sistema socioassistenziale.

Sono già stati richiamati i princípi di sostenibilità economica ed equità sociale per impostare una riforma del sistema socio-assistenziale, ad essi va aggiunto lo scopo di perseguire con la riorganizzazione del welfare , anche una riforma istituzionale e gestionale dello Stato sociale tramite rigorosa separazione tra funzioni di indirizzo e di controllo da funzioni gestionali, che comprenda la fissazione di princípi quadro ad opera dello Stato, il decentramento delle sedi di programmazione e destinazione delle risorse alle regioni, la realizzazione delle attività ai comuni con l'introduzione di sog getti non profit e for profit nel "mercato" dei servizi.
In tal senso, sembra opportuno prendere in esame, sia pure in estrema sintesi, le tipologie di welfare culturalmente e storicamente piú consolidate.
L'approccio storico-economico individua nel welfare state "strutture tipiche di organizzazione sociale", di redistribuzione del reddito, di mediazione dei conflitti sociali, che si realizzano in diversi modelli in successione temporale, con varie articolazioni ed interconnessioni fra loro.
Le tipologie di welfare fino ad oggi proposte sono state prevalentemente espresse in termini normativi, ossia attraverso schemi teorici che individuano i principali obiettivi di "dover essere" dello Stato sociale, mentre sono invece carenti tipologie elaborate su indicatori a base empirica.
Il maggior teorico del welfare degli anni '50, Richard Titmuss, ha considerato lo sviluppo assistenziale in tre sistemi:

a) benefici occupazionali ( occupational welfare ), riguardanti i particolari benefici, servizi e risorse ricevuti dal lavoratore come risultato del suo lavoro, al di là dei benefici pubblici derivanti da assicurazioni generali o da sicurezza sociale;
b) benefici fiscali ( fiscal welfare ) consistenti in "assegni esenzioni da tasse" e in tutte quelle forme di trasferimento di reddito che si riferiscono in complesso alle esenzioni, assegni e detrazioni sotto sistemi diretti di tassazione centrale e locale, nonché altre tasse quali i cosidetti contributi alle assicurazioni nazionali;
c) benefici di servizi sociali ( social welfare ) riferito, nella classica tradizione inglese di amministrazione sociale, ai cinque servizi del welfare : l'istruzione primaria e secondaria, il servizio sanitario nazionale, i servizi sociali di aiuto al cittadino (ivi compreso il finanziamento ad agenzie di volontariato), l'edilizia locale, eccetera.

All'interno della trilogia sistemica di Titmuss va fatta una fondamentale distinzione tra "modello residuale" e "modello istituzionale".
Il modello residuale, legato alle teorie "ottimistiche" della crescita economica, dell'imborghesimento e della convergenza dei sistemi, sostiene, dunque, che una prosperità crescente e diversificata spinta dal libero mercato riduce e fa declinare i problemi sociali legati alla povertà.
Conseguentemente, lo scopo degli interventi di welfare dovrebbe essere quello di focalizzarsi in modello selettivo, su una minoranza residuale e decrescente di gruppi sociali bisognosi.
In questo modo le risorse scarse saranno usate in maniera piú efficiente perché nei casi appropriati verranno elargite ad un livello cosí consistente da portare effettivi miglioramenti nelle situazioni sociali di maggior bisogno e di emarginazione.
Il nodo centrale di questo modello é dunque che i privati cittadini dovrebbero sopperire normalmente ai bisogni quotidiani attraverso le proprie risorse e capacità, mentre lo Stato dovebbe intervenire solo quando e dove falliscono.
Il focus economico é che i "servizi universalistici" sono causa di sperperi perché permettono abusi mentre i "servizi selettivi" (che sono basati sulla prova dei mezzi) verrebbero usati solo da chi é veramente bisognoso.
Il modello istituzionale, all'opposto, interpreta la crescita economica come un fatto che ha connaturati in sé fenomeni di povertà e critica la teoria dell'imborghesimento e la teoria della convergenza dei sistemi
In sostanza, il modello istituzionale, enfatizza il persistere e l'accentuarsi in alcuni casi ed in determinate aree sociali della povertà e dei fenomeni di deprivazione e di emarginazione.
Il focus economico consiste nel fatto che il mercato é strutturalmente incapace di raggiungere qualcosa che anche lontanamente somigli ad una "giusta collocazione dei beni e dei servizi", questo rende necessario che i "servizi sociali" - in senso lato - siano costituiti come "istituzioni basilari" piuttosto che come agenzie residuali.
Gli effetti della industrializzazione elevano i rischi e le conseguenze di fenomeni come la disoccupazione, la povertà, la man canza di conoscenze appropriate, la malattia, la mancanza di una casa. Pertanto, lo scopo del modello istituzionale é che i servizi del welfare state debbono essere forniti "su basi universalistiche" ( at large ) espandendoli anziché riducendoli nelle loro finalità e dimensioni.
Sembra evidente, che i due modelli sono in qualche modo tra loro opposti nella sia pur sintetica declinazione delle loro caratteristiche, per tali motivi, si é oggi piú propensi a non radicalizzare né l'uno né l'altro modello, ma a ricercare un mix di entrambi ovvero a configurare il welfare come "infrastruttura di servizi" che comprende un livello essenziale di prestazioni accessibile a tutte le categorie fragili, e "pacchetti assistenziali" integrativi da acquisire a costi limitati, anche attraverso detrazioni fiscali e meccanismi regolativi di un piú ampio rapporto tra sfera pubblica e istituzioni sociali, familiari e "agenzie private" non profit e profit .
Ed infine, per evidenziare anche una tesi di carattere economico largamente espressa da autori di saggi sul welfare (Ardigó, Donati, Piperno, Ascoli, La Rosa, Paci, Pennacchi, Porcu, Serpellon, Vian): i diversi modelli non si possono leggere in chiave evoluzionistica o antagonista, si tratta invece di interpretarli secondo una linea di "transazione tra un polo e l'altro" nelle dimensioni principali di "Stato" e "mercato", e secondo le differenti tipologie dei soggetti erogatori e distributori di beni e servizi.

3. Il nuovo modello di politica sociale.

La riforma del sistema sociale non puó considerarsi, anche in un momento di crisi finanziaria come quello attuale, una operazione economica di contenimento della spesa, ma un modo di ricercare una piú equilibrata allocazione di risorse e soprattutto una razionalizzazione "selettiva" dei flussi di spesa verso le reali categorie di bisogno con la convergenza di risorse provenienti dallo Stato e dalla finanza locale.
Rispetto agli ordini di grandezza delle spese va ricordato come nel nostro Paese la spesa previdenziale aveva raggiunto il 17 per cento del PIL e, senza la riforma avrebbe raggiunto in pochi anni il 25 per cento, mentre in altri settori del welfare la spesa é largamente al di sotto della media europea:

interventi per la disoccupazione 0,5 per cento del PIL;
ricerca e innovazione 1 per cento del PIL;
scuola e istruzione 6 per cento del PIL;
assistenza sanitaria 5,5 per cento del PIL;
assistenza sociale 4,7 per cento del PIL.

In relazione a quanto precedentemente affermato in materia di sistemi di politica sociale quello da adottare in Italia é il modello misto tra modello selettivo e modello istituzionale, in cui i livelli essenziali della protezione sociale vanno intesi come:

1) strumento a sostegno del cittadino e della famiglia per facilitare l'uso dei servizi pubblici e privati collegati ad esigenze assistenziali;
2) sostegno continuativo per le categorie fragili sul piano psico-fisico, inabili al lavoro, intendendo per le stesse i portatori di patologie o esiti cronicizzanti delle stesse (portatori di handicap gravi, soggetti con gravi patologie psichiatriche, anche stabilizzate, grandi senili con problemi di non-autosufficienza psico-fisica;
3) sostegno temporaneo (se necessario continuativo) alle fragilità familiari, sono qui inserite sia le attività a favore del nucleo familiare quanto quelle sostitutive allo stesso realizzate per uno o piú componenti del nucleo (con particolare riferimento ai minori). Le attività di sostegno si possono realizzare attraverso servizi diretti, sia tramite sgravi fiscali; o veri e propri strumenti di sostegno alla famiglia;
4) sostegno temporaneo per i fragili sociali: soggetti abili al lavoro ma temporaneamente impediti a forme di occupazione che permettano loro ed al nucleo familiare un sostentamento continuativo;
5) promozione di attività atte a favorire l'integrazione sociale dei fragili per patologia o per causa sociale (vedansi in proposito extracomunitari, ex detenuti, esclusi dal circuito sociale per patologia e disadattamento).
I servizi essenziali sono offerti attraverso una rete di prestazioni che si accompagna anche ad altre forme "alternative" di intervento sociale, quali i "buoni servizio", le detrazioni fiscali, l'assistenza integrativa, erogate da un mix istituzionale pubblico, privato non profit, volontariato e privato for profit.
In questa prospettiva la riforma assistenziale diventa anche occasione per potenziare il mercato del lavoro attraverso la creazione ed il potenziamento del cosiddetto "terzo settore", intendendo con tale termine il settore che produce "servizi alla persona", affidato alle organizzazioni non profit (in talune occasioni anche "for profit" ), e che come tale, non puó essere regolato dai soli meccanismi di mercato, pena le discrasie già evidenziate a proposito delle strutture di ricovero per anziani, ma va protetto in termini di professionalizzazione degli addetti, qualità, controllo e vigilanza.
Alle potenzialità occupazionali del terzo settore fa espresso riferimento il "Libro bianco" di Delors (1993) che richiama "l'imprenditorialità sociale" come strumento per aumentare l'offerta di servizi alle famiglie e occasione di lavoro (anche temporaneo) per disoccupati e sotto-occupati, stimando in circa 3 milioni i posti di lavoro da creare in tale settore, da parte dei Paesi europei.
Senza entrare nel merito delle dinamiche economiche e dei sistemi di welfare dei singoli Paesi, si citano alcuni dati sull'influenza del settore "non profit" servizi alla persona, negli anni 1980-1990, rispetto alla crescita dell'occupazione: USA incremento del 12,7 per cento, contro il 6,8 per cento dell'intera economia; Germania 11 per cento contro il 3,7 per cento; Francia 15,8 per cento contro il 4,2 per cento; Italia 39 per cento contro il 7,5 per cento dell'intera economia (BORZAGA, GUI, SCHENKEL: La Performance delle organizzazioni senza fini di lucro in Italia, ricerca CNR 1994).
Secondo i princípi e le tesi precedentemente esposte, si é costruito un disegno di legge che ha individuato interventi di sostegno sociale per la prevenzione delle condizioni di disagio sociale e di povertà, cogliendo anche i tratti essenziali della separazione assistenza-previdenza introdotti nella riforma previdenziale, con la disciplina degli emolumenti economici continuativi per anziani, invalidi e famiglie, recependo quindi gli aspetti del "minimo vitale" già considerati, a proposito dell'assegno sociale di cui alla legge n. 335 del 1995 nella proposta di legge di riordino della assistenza sociale, di inziativa popolare promossa dalle organizzazioni sindacali, CGIL, CISL, UIL (vedi atto Senato n. 1063 della XII legislatura, poi atto n. 1 della legislatura in corso).

4. Il disegno di legge: princípi e contenuti.

Il disegno di legge si articola in sei capi:

capo I: disposizioni generali, gli articoli 1, 2, 3, 4, ricomprendono:
a) la configurazione di una "progettualità sociale", come risposta ai bisogni sociali dell'individuo ed al tempo stesso obiettivo di responsabilità di tutti i partecipanti al progetto di integrazione sociale, costituendo cosí una forma nuova di comunità ( welfare society ) pienamente responsabile, in grado di svolgere e di essere coinvolta in forme di partecipazione e di controllo sociale. In questa ottica é prevista, laddove possibile in termini di reddito, la partecipazione economica ai costi del servizio da parte del cittadino-utente. La "progettualità" é intesa come rinnovamento della "pratica assistenziale" sino ad oggi conosciuta, che spesso ha deresponsabilizzato i soggetti, diventando di fatto un impedimento allo sviluppo della rete dei servizi sociali;
b) forme alternative di acquisto di servizi, tramite la emissione e circolazione di "buoni servizio", che costituiscono una sorta di "seconda moneta" all'interno del mercato dei servizi sociali;
c) la regolazione della politica sociale attraverso la forma innovativa del Dipartimento, articolato in due Agenzie una per la promozione della salute e l'altra per le attività sociali, intendendo la politica sociale (sanità e assistenza) come strumento complessivo di miglioramento della qualità di vita, per valorizzare l'individuo e le famiglie, tramite l'offerta di servizi (pubblici/privati e volontariato), di emolumenti economici temporanei e permanenti e favorendo l'ingresso o il reingresso nel lavoro;
d) la disciplina delle istituzioni private in campo assistenziale;

capo II: disposizioni per il riordino dell'assistenza sociale, gli articoli 5, 6, 7, 8, ricomprendono:
a) i compiti dello stato in materia di assistenza;
b) l'illustrazione dei livelli essenziali di prestazioni socioassistenziali, esigibili dai cittadini in stato di bisogno, su tutto il territorio nazionale;
c) la proposta di un modello funzionale di rete di servizi strutturata su un mix di prestazioni (domiciliari, residenziali, economiche, di inserimento e reinserimento sociale, eccetera), quali risposte a problemi omogenei (esempio: mancanza di autonomia, insufficienza di reddito, fragilità familiare e personale), piuttosto che a categorie di persone, con regole fondamentali fissate a livello nazionale e dimensioni realizzative demandate ai livelli regionali e locali;
d) il mix di prestazioni é sc;elto come il modello organizzativo piú adatto a consentire la maggior flessibilità dei percorsi assistenziali, attraverso la composizione e ricomposizione "a mosaico" delle diverse prestazioni ( modello Canadese) realizzata in base al progetto di recupero individuale, previa valutazione delle risorse personali e del nucleo familiare di chi richiede "assistenza";
e) l'istituzione e la regolamentazione della Commissione nazionale per le politiche sociali;
f) la messa a punto di un sistema informativo automatizzato e telematico per i servizi sociali;

capo III: disposizioni per l'organizzazione regionale e locale, gli articoli 9, 10, 11, 12, 13, ricomprendono:
a) gli indirizzi a regioni e comuni per la programmazione e realizzazione della rete di servizi, utilizzando forme di gestione e associative rinnovate secondo il dettato della legge 8 giugno 1990, n. 142, con particolare riferimento agli accordi di programma, quale strumento per definire ed attuare interventi e programmi che richiedono l'azione coordinata di piú enti (comuni, province, eccetera);
b) la regolamentazione dei modelli operativi funzionali in cui si prevede l'organizzazione in rete e l'apporto sinergico pubblico, privato non profit, volontariato e privato, é affidata a regioni e comuni singoli e associati. In questi termini, il comune diventa soggetto progettuale di "percorsi assistenziali integrati" coordinando con le prestazioni locali, gli emolumenti economici statali (assegno sociale, pensioni di invalidità civile, indennità di accompagnamento, eccetera), secondo le migliori finalità di recupero della persona;
c) la non predeterminazione a livello nazionale, la dimensione territoriale per l'erogazione ottimale delle prestazioni é quindi lasciata alle realtà locali l'iniziativa per scegliere, secondo il dettato della legge 8 giugno 1990, n. 142, le grandezze territoriali per la gestione ottimale dei servizi socio-assistenziali secondo le disponibilità economiche e le necessità della popolazione;
d) l'indicazione per un'intesa comuni/USL ai fini della distribuzione territoriale di particolari servizi socio-sanitari quali le residenze sanitarie assistenziali (RSA), i centri socio-riabilitativi per disabili, le comunità terapeutiche per tossicodipendenti, l'assistenza domiciliare integrata. La coincidenza distributiva di tali servizi é richiesta per l'efficacia e l'economicità delle prestazioni;
e) una nuova impostazione del coordinamento e dell'integrazione tra assistenza e sanità, ripensati secondo un criterio tecnicostrutturale piú moderno e decisamente rapportato alla domanda, dove il coordinamento diventa un fatto programmatorio di coincidenza tra le politiche dei diversi enti che si occupano del "soggetto da assistere" (comune USL, scuola) e integrazione é una processualità "operativa" ottenibile componendo le prestazioni erogate rispettivamente dai diversi comparti, in un progetto integrato sulla persona;
f) la previsione di un registro regionale a cui si iscrivono le istituzioni private non profit, di volontariato e private;
g) una procedura di accreditamento per le istituzioni private non profit e private per operare in convenzione con i comuni. La norma prevede per le strutture accreditate anche controlli eseguiti da associazioni di tutela dei diritti dei cittadini;

capo IV: disposizioni per il riordino degli emolumenti economici dello Stato a favore di anziani, invalidi e famiglie, gli articoli 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, ricomprendono:
a) il riordino e la modifica nominale dell'assegno sociale, delle pensioni di invalidità civile e di inabilità, dell'assegno di accompagnamento e della indennità di accompagnamento, che in base alla funzione svolta rispetto al grado di autonomia del soggetto destinatario, vengono ridefiniti rispettivamente, "minimo vitale", "assegni di inabilità e invalidità", "assegno di mantenimento" (per i minori completamente dipendenti), "assegno di dipendenza" (per adulti e anziani completamente dipendenti);
b) le modalità di richiesta e di erogazione degli assegni, con la precisazione che gli stessi, come componenti di un percorso assistenziale integrato, vengono erogati anche nel caso di ricovero residenziale e sono utilizzati, tranne una somma che rimane al destinatario per le proprie spese, per concorrere al pagamento delle prestazioni assistenziali (ricovero o altri tipi di intervento);
c) le indicazioni agli enti locali per porre in essere programmi di "inserimento protetto al lavoro per disabili", prevendendo la revoca dell'assegno d'invalidità quando il titolare puó provvedere al suo mantenimento in modo autonomo;
d) la disciplina degli accertamenti medico-legali per ottenere gli assegni di cui alla precedente lettera a) ;

capo V: disposizioni finanziarie, gli articoli 23, 24, ricomprendono:
a) la costituzione del fondo sociale nazionale e le modalità per procedere al suo finanziarnento;
b) il concorso di un budget regionale per finanziare i programmi locali dei servizi socio-assistenziali;
c) il trasferimento al fondo sociale "come quota distinta" dei capitoli del bilancio dello Stato già utilizzati per le pensioni di invalidità civili e le indennità di accompagnamento (ivi comprese quelle per ciechi e sordomuti);
d) il trasferimento al fondo sociale dei finanziamenti già previsti dal comma 6 dell'articolo 3 (assegno sociale) della legge 8 agosto 1995 n. 335;

capo VI: disposizioni varie e finali, gli articoli 25, 26, 27, ricomprendono:
a) l'abrogazione delle norme incompatibili con la presente legge, tra cui la soppressione delle attuali Commissioni per l'accertamento della invalidità civile e la loro sostituzione con i collegi medico-legali di cui all'articolo 22;
b) la disciplina dell'assistenza integrativa collegata anche a detrazioni fiscali;
c) norme transitorie che consentono il passaggio dagli attuali sistemi alle procedure previste dalla presente legge, con particolare riferimento all'istituzione del Dipartimento per le politiche sociali, di cui all'articolo 2.





RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

A. ARDIGÓ, Crisi di governabilità e mondi vitali, Cappelli, Bologna, 1980.

EMILE LEVY, A la recherche d'indicateurs de santè, Revue internationale des sciences sociales, UNESCO, 1977.

G. ROSSI, P. DONATI (a cura di), Welfare State - Problemi e alternative, Franco Angeli, Milano, 1985.

A. SINFIELD, Analysis in the Social Division of Welfare, "Journal of Social Policy", vol. 7, 1978.

R. A. PINKER, The Idea of Welfare, Heinemann, London, 1975.

R. MISHRA, Society a Social Policy, MacMillan, London, 1977.

N. FURNISS, T. TILTON, The Case for the Welfare State. From Social Security to Social Equality, Indiana U. P., Bloomington - London.

A. HELLER, La famiglia nel Welfare State, "Critica marxista", n. 6.

CH. LINDBLOM, Politica e mercato. I sistemi politico-economici mondiali, Etas Libri, Milano, 1979.





DISEGNO DI LEGGE



CAPO I
DISPOSIZIONI GENERALI



Art. 1.

(Finalità della legge)

1. In attuazione degli articoli 2, 3, 38, commi primo e quarto, e 117 della Costituzione, sono garantiti al cittadino italiano e alle famiglie interventi socio-assistenziali finalizzati al benessere e allo sviluppo della personalità di ciascun individuo ed alla prevenzione delle condizioni di disagio sociale e di povertà.
2. Gli interventi socio-assistenziali sono realizzati attraverso servizi offerti da strutture pubbliche o da organizzazioni non lucrative di utilità sociale, prestazioni acquisite direttamente dal cittadino tramite "buoni servizio", emolumenti economici temporanei e continuativi, promozione dell'inserimento e del reinserimento al lavoro.
3. A tal fine, sul piano programmatorio e operativo le attività socio-assistenziali si coordinano con gli interventi sanitari, dell'istruzione, con le politiche di formazione, di avviamento o di reinserimento al lavoro. In particolare si predispongono programmi integrati per obiettivi complessi, di tutela e qualità della vita, nei confronti di minori, giovani, e anziani, per la promozione e tutela della maternità e del nucleo familiare, per la prevenzione e riabilitazione delle disabilità e della tossicodipendenza.
4. Analogamente a quanto stabilito per i servizi sanitari dall'articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modifiche ed integrazioni, compete allo Stato la definizione di livelli uniformi essenziali di assistenza sociale, alle regioni la definizione regionale di tali livelli, ai comuni singoli o associati la realizzazione delle prestazioni ricomprese in ciascun livello, adottando le forme associative e gestionali previste dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni.
5. Le associazioni di volontariato, le cooperative sociali, le istituzioni e gli organismi di assistenza sociale senza fini di lucro, gli enti di patronato e le organizzazioni sindacali e di tutela dei diritti dei cittadini concorrono al raggiungimento dei fini istituzionali di cui al comma 1, nei modi e nelle forme stabilite dalla presente legge.
6. Le regioni e le province autonome, con riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, emanano norme legislative nei limiti dei princípi fondamentali stabiliti dalla presente legge.

Art. 2.

(Istituzione del Dipartimento
per la promozione della salute

e delle attività sociali)


1. Per gli adempimenti in materia di politica sociale é istituito il Dipartimento per la promozione della salute e delle attività sociali. Il Dipartimento, tenuto conto del processo di regionalizzazione già in atto per la materia sanitaria e di quanto disciplinato dalla presente legge, é articolato in due Direzioni, denominate Agenzie, che provvedono, rispettivamente, alle funzioni di programmazione indirizzo e coordinamento degli interventi sanitari e degli interventi socio-assistenziali e di integrazione sociale.
2. Per l'istituzione del Dipartimento per la promozione della salute e delle attività sociali, il Governo é delegato ad emanare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo inteso a riordinare le competenze dello Stato in materia di politica sociale, trasferendo al predetto Dipartimento le funzioni e le strutture competenti in materia del Ministero della sanità, quelle attribuite al Dipartimento della famiglia e della solidarietà sociale, nonché quelle attribuite al Ministe ro degli interni per gli emolumenti a favore degli invalidi civili, ciechi e sordomuti.
3. Con il decreto di cui al comma 2, sono altresí disciplinate le modalità di trasferimento del personale già operante nelle strutture di cui al comma 2, secondo la normativa in materia di pubblico impiego di cui al decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modifiche ed integrazioni, nonché le modalità di coordinamento tra le due Agenzie del Dipartimento e delle stesse con altri Ministeri, quando si individuano azioni programmatiche integrate per particolari obiettivi di sostegno sociale o prevenzione delle condizioni di disagio dei singoli cittadini o delle famiglie.
4. Le attività assistenziali, già disciplinate da normative previdenziali e scorporate dallo stesso settore con la riforma previdenziale, sono assegnate alle competenze del Dipartimento, Agenzia per le attività sociali, che provvede alla loro regolamentazione nell'ambito della rete dei servizi socio-assistenziali.

Art. 3.

(Definizione degli interventi
socio-assistenziali e di integrazione sociale)


1. I cittadini italiani e le loro famiglie hanno diritto a fruire dei servizi sociali senza distinzione di carattere giuridico, economico, sociale, ideologico, religioso o di sesso.
2. Sono altresí ammessi ai servizi sociali gli stranieri ed i loro familiari, residenti in Italia per motivi di lavoro e in possesso di regolare permesso di soggiorno, o in attesa di rinnovo dello stesso e i soggetti tutelati dalle convenzioni internazionali sottoscritte dall'Italia.
3. I servizi socio-assistenziali e di integrazione sociale si realizzano attraverso:

a) attività di informazione e consulenza al cittadino ed alle famiglie, sulla rete di servizi pubblici, privati e di volontariato dell'area sociale, sanitaria, dell'istruzione e dell'inserimento al lavoro. Per tale attività ci si avvale anche dell'apporto delle associa zioni di tutela dei diritti dei cittadini e di volontariato;
b) interventi economici temporanei e permanenti, per la sussistenza di soggetti inabili, anziani ed invalidi, privi di mezzi di sostentamento;
c) interventi di sostegno alle fragilità personali e dei nuclei familiari derivate da stati di invalidità, mancata autosufficienza psico-fisica, tramite prestazioni domiciliari e residenziali, anche a carattere diurno;
d) interventi di sostegno e mediazione alle fragilità personali per favorire l'accesso all'istruzione dell'obbligo, alla formazione professionale ed al lavoro;
e) promozione di attività atte a favorire l'integrazione sociale di emarginati (extra-comunitari, ex detenuti, disadattati sociali)

4. Per i servizi di cui alla lettera c) del comma 3, in alternativa all'offerta pubblica, l'ente erogatore puó concedere al cittadino "buoni servizio" corrispondenti al costo della prestazione richiesta ed utilizzabili per acquistare tale prestazione presso organismi ed istituzioni private accreditate, scelte dal cittadino stesso.
5. In relazione al reddito é richiesto agli utilizzatori dei servizi, alle famiglie o alle persone tenute al loro mantenimento ed alla corresponsione degli alimenti, il concorso al costo delle prestazioni socio-assistenziali individuate al comma 3, lettera c) .
6. Le regioni disciplinano sul piano regionale i criteri per la concessione di buoni servizio, nonché le modalità di concorso alla spesa secondo indicazioni concordate ed approvate nella Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni, e le province autonome di Trento e di Bolzano.
7. Presso il Dipartimento per gli affari sociali viene istituito annualmente un fondo per l'integrazione sociale da destinare ai soggetti di cui al comma 2, per provvedere ad una protezione sociale di base, secondo un protocollo d'intesa con la Conferenza di cui al comma 6.
8. Le regioni, in relazione a specifiche situazioni di immigrazione verificatesi nei loro territori, possono altresí avviare progetti sperimentali anche per stranieri in attesa di definire la loro posizione lavorativa e il permesso di soggiorno.
9. Per l'attuazione delle attività di cui ai commi 3 e 4, le regioni stabiliscono apposite intese con i comuni e con le associazioni di volontariato.

Art. 4.

(Istituzioni private di assistenza sociale)

1. In conformità all'ultimo comma dell'articolo 38 della Costituzione é garantita la libertà di costituzione e di attività alle associazioni, fondazioni o altre istituzioni - dotate o meno di personalità giuridica - che perseguano finalità assistenziali, anche a scopo di lucro, purché le stesse si adeguino alla normativa nazionale e regionale.

CAPO II
DISPOSIZIONI PER IL RIORDINO

DELL'ASSISTENZA SOCIALE



Art. 5.

(Programmazione delle attività
socio-assistenziali)


1. Alla programmazione delle attività socio-assistenziali si provvede attraverso il piano nazionale triennale dei servizi socio-assistenziali e di integrazione sociale, di seguito denominato "piano sociale nazionale", da adottarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
2. Il piano sociale nazionale indica:

a) i livelli essenziali di prestazioni socio-assistenziali che lo Stato e le regioni devono garantire al cittadino ed alle famiglie, ivi compreso l'individuazione delle attività sostituibili con "buoni servizio".
b) le priorità di intervento: progetti obiettivo e azioni programmate con particolare riferimento alla diffusione dei servizi di informazione al cittadino e alle famiglie, agli interventi nei confronti delle persone in condizione di povertà, alle attività per soggetti con fragilità psico-fisica quali: anziani, portatori di handicap , emarginati sociali;
c) le azioni da coordinare con l'intervento sanitario e con le politiche della scuola e della formazione professionale, le attività sperimentali;
d) le sperimentazioni innovative, particolarmente legate ad interventi di superamento dell'emarginazione sociale;
e) gli indirizzi relativi alla formazione di base e all'aggiornamento del personale;
f) i criteri per la distribuzione del finanziamento alle regioni secondo la struttura demografica dei residenti, con indicatori pesati per la popolazione anziana e minore, per il numero dei nuclei familiari, i livelli di reddito, gli addetti alle attività produttive, gli indici di disoccupazione;
g) le misure e gli indicatori per la verifica dei livelli di assistenza effettivamente assicurati in rapporto a quelli previsti.

3. Il Dipartimento per la promozione della salute e delle attività sociali, attraverso l'Agenzia per gli interventi socio-assistenziali e di integrazione sociale, con l'apporto delle regioni, predispone annualmente per il Parlamento una relazione sui risultati conseguiti rispetto agli obiettivi fissati dal piano sociale nazionale.
4. In funzione dell'applicazione coordinata del piano sociale nazionale e della normativa di settore, il Dipartimento, tramite la specifica Agenzia, promuove forme di collaborazione con le regioni per l'emanazione di apposite linee guida.
5. Sulla base del piano nazionale, le regioni predispongono, con il concorso dei soggetti istituzionali e sociali interessati, piani e programmi triennali in cui sono prevedibili anche revisioni annuali.
6. Le regioni individuano, con la stessa periodicità della redazione dei piani e programmi regionali, metodi e strumenti per il controllo di gestione, rivolti ad accertare il livello di efficacia e di efficienza dei servizi ed i risultati delle azioni previste. Le risultanze dei rapporti di gestione sono trasmesse al Governo ai fini della programmazione nazionale e sono ricomprese nella relazione sullo stato dei servizi socio-assistenziali del Paese, di cui al comma 3.
7. I piani regionali e le linee attuative dei medesimi, sono tenuti ad adeguarsi a particolari programmi e progetti nazionali, adottati da Governo e dal Parlamento, in aggiunta al piano annuale dei servizi socio-assistenziali.
8. In particolare, nel primo anno di attuazione della presente legge, il Dipartimento di cui all'articolo 2, d'intesa con il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, con altri Ministeri interessati e con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, promuove un progetto speciale per la rimozione del disagio giovanile finalizzato a sostenere la prima occupazione di giovani entro i venticinque anni. Il progetto é avviato, in fase sperimentale, in almeno nove regioni, secondo il principio del "partenariato".
9. Per gli aspetti finanziari, il progetto di cui al comma 8, fa riferimento ai finanziamenti speciali per l'occupazione giovanile ed ai finanziamenti messi a disposizione dall'Unione europea per le azioni finalizzate al lavoro per giovani inoccupati.

Art. 6.

(Compiti dello Stato)

1. Sono di competenza dello Stato:

a) la funzione di indirizzo e di coordinamento delle attività amministrative delle regioni a statuto ordinario in materia di servizi socio-assistenziali e di integrazione sociale, di sostegno e prevenzione del disagio sociale e delle condizioni di povertà.
b) gli interventi straordinari di prima necessità, richiesti da eventi eccezionali e urgenti, che trascendono l'ambito regionale o, per i quali l'ente locale non possa provvedere, o resi necessari per assolvere un dovere di solidarietà nazionale;
c) gli interventi di prima assistenza in favore di connazionali profughi e rimpatriati in conseguenza di eventi straordinari ed eccezionali, nonché gli interventi in favore dei profughi stranieri, limitatamente al periodo strettamente necessario alle operazioni di identificazione e di riconoscimento della qualifica di rifugiato e per il tempo che intercorre fino al loro trasferimento in altri Paesi o al loro inserimento nel territorio nazionale, nonché gli oneri relativi all'assistenza agli stranieri e agli apolidi, ai coniugi di italiano o di italiana fino alla concessione del permesso di soggiorno o la definizione della posizione di acquisizione della cittadinanza;
d) i rapporti, in materia di assistenza e di integrazione sociale, con organismi stranieri ed internazionali e gli adempimenti previsti dagli accordi internazionali e dai regolamenti comunitari;
e) l'assegno di minimo vitale per i soggetti anziani, l'assegno di mantenimento, l'assegno di inabilità, l'assegno di invalidità e l'assegno di dipendenza per i soggetti portatori di handicap ;
f) fino all'entrata in vigore della riforma del sistema fiscale in senso regionalista, la ripartizione tra le regioni del fondo sociale nazionale di cui alla presente legge, distintamente per la spesa corrente e per la spesa in conto capitale, tenuto conto degli indicatori demografici e di reddito di cui all'articolo 4, comma 2, lettera f) , nonché degli indicatori di risultato previsti dallo stesso articolo 4, comma 2, lettera g) ;
g) l'emanazione di atti sostitutivi nel caso di riscontrata inadempienza delle singole regioni, sentita la Commissione nazionale per le politiche sociali:
h) la fissazione dei requisiti per la determinazione dei profili professionali degli operatori sociali, le disposizioni generali in materia di ordinamento e durata dei corsi e la determinazione dei requisiti necessari per l'ammissione agli stessi.

Art. 7.

(Commissione nazionale
per le politiche sociali)


1. All'interno della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolza no, é istituita una Commissione per le politiche sociali a cui partecipano, in rappresentanza dei presidenti delle giunte regionali, sei assessori ai servizi sociali e sei assessori alla sanità, i Ministri responsabili delle Agenzie del Dipartimento per la promozione della salute e delle attività sociali e il Ministro del tesoro.
2. La Commissione di cui al comma 1 ha compiti di verifica sulla realizzazione delle pianificazioni nazionali e funzioni di consulenza e proposta nei confronti del Governo per la determinazione delle linee generali della politica sociale nazionale, nonché per gli indirizzi da fornire in materia di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, e successive modificazioni.
3. É istituito un Osservatorio permanente per il monitoraggio dei fenomeni sociali, con particolare riferimento alla tutela della salute dei cittadini, alla povertà, ai problemi della famiglia e dei minori, all'integrazione sociale dei portatori di handicap e degli anziani, all'emarginazione ed al disagio sociale.
4. Per gli aspetti operativi l'Osservatorio sulle politiche sociali, si collega a quello del volontariato e dell'immigrazione, alle politiche della formazione e del lavoro.

Art. 8.

(Sistema informativo
dei servizi sociali - SISS)


1. Lo Stato, le regioni e i comuni istituiscono un sistema informativo dei servizi sociali (SISS) al fine di assicurare una compiuta conoscenza dei bisogni sociali, delle reti dei servizi, nonché per poter disporre tempestivamente dei dati e delle informazioni necessarie per la programmazione e la gestione delle politiche sociali, per il coordinamento con le strutture sanitarie, formative, con le politiche del lavoro e dell'occupazione. Per una maggior qualificazione ed uso dei dati, il sistema informativo si avvale anche degli strumenti telematici.
2. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge é nomi nata, con decreto del Ministro per la famiglia e la solidarietà sociale, una commissione tecnica, composta da sei esperti di cui due designati dal Ministro stesso, due dalle regioni, due dall'Associazione nazionale dei comuni d'Italia. La commissione, ha il compito di definire i contenuti, il modello e gli strumenti attraverso i quali dare attuazione ai diversi livelli operativi del SISS. La commissione é presieduta da uno egli esperti designati dal Ministro.
3. Le risultanze della commissione sono trasferite dal Ministro in linee guida; le regioni e i comuni, in base a tali linee, individuano le forme organizzative e gli strumenti necessari ed appropriati per l'attivazione e la gestione del sistema informativo a livello locale.

CAPO III
DISPOSIZIONI PER L'ORGANIZZAZIONE REGIONALE E LOCALE



Art. 9.

(Compiti delle regioni)

1. Le regioni perseguono le finalità della presente legge, in armonia con i princípi fissati nei rispettivi statuti e con gli obiettivi della programmazione nazionale e locale, mediante il concorso effettivo dei comuni e dei soggetti di cui all'articolo 1, comma 5. 2. Le regioni, in particolare:

a) determinano, d'intesa con i comuni e le province gli ambiti territoriali per la gestione dei servizi socio-assistenziali;
b) emanano norme sui requisiti per l'apertura, il funzionamento, l'accreditamento e la vigilanza delle strutture gestite da soggetti privati;
c) definiscono gli standards di qualità da raggiungere nella gestione dei presidi pubblici e privati e delle diverse forme di prestazioni;
d) provvedono al coordinamento dei piani e dei programmi in materia di assi stenza, sanità e istituzioni scolastiche, avviamento al lavoro e reinserimento nelle attività lavorative, servizi del tempo libero, trasporti e comunicazioni. Le regioni disciplinano altresí le modalità per la programmazione coordinata tra comuni e USL tramite gli accordi di programma di cui alla citata legge n. 142 del 1990, e successive modificazioni, ed in tale ambito individuano le prestazioni socio-sanitarie in cui é necessaria l'erogazione contestuale di prestazioni sanitarie e sociali, quali l'assistenza consultoriale, assistenza domiciliare integrata (ADI), l'assistenza diurna e residenziale ad anziani e portatori di handicap ;
e) redigono il piano regionale socio-assistenziale, in cui disciplinano e regolamentano, in relazione alle attività prestate, il ruolo delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB), collegandolo con gli interventi sociali realizzati dai comuni singoli o associati e con le attività sanitarie esercitate dalle USL in materia di emergenza, trasporto sanitario e di assistenza residenziale socio-sanitaria;
f) promuovono e coordinano azioni di assistenza tecnica per la istituzione ed il miglioramento di servizi di assistenza e di integrazione sociale, particolarmente per la promozione di forme associative tra i comuni e di gestione dei servizi ai sensi degli articoli 23 e 26 della citata legge n. 142 del 1990;
g) promuovono e favoriscono sperimentazioni innovative in materia di modelli organizzativi e gestionali;
h) stabiliscono, nel rispetto dei princípi di cui alla presente legge:
1) le condizioni ed i requisiti per l'iscrizione delle istituzioni private di assistenza sociale negli specifici registri regionali;
2) i criteri per l'accreditamento delle strutture non profit e private;
3) i criteri per l'emissione dei buoni servizio da parte dei comuni;
4) i criteri per la determinazione della entità di concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni, tenendo come punto di riferimento i criteri ed i princípi stabiliti in sede nazionale;

i) predispongono e finanziano piani per la formazione e l'aggiornamento professionale per personale addetto ai servizi sociali.

3. Per garantire il costante adeguamento delle strutture e delle prestazioni socio-assistenziali alle esigenze dei cittadini, le regioni individuano indicatori, verifiche di qualità. Le regioni individuano altresí forme di consultazione, anche da parte dei comuni, di organismi associativi di tutela dei diritti del cittadino e del volontariato . Tali soggetti devono comunque essere sentiti nelle fasi di impostazione della programmazione regionale e comunale.
4. Per sviluppare la conoscenza delle condizioni sociali della popolazione, le regioni favoriscono la sperimentazione di modalità organizzative e gestionali, nonché forme innovative di intervento per la qualificazione dei servizi sociali, mediante l'utilizzazione delle risorse interne ai servizi, con l'apporto di istituti specializzati e delle università.

Art. 10.

(Compiti dei comuni)

1. I comuni sono titolari delle funzioni amministrative concernenti l'assistenza e l'integrazione sociale, salvo quanto diversamente disposto dalla presente legge, e le esercitano in forma singola o associata.
2. I comuni realizzano le attività socio-assistenziali di cui all'articolo 3 in forma singola o associata secondo le indicazioni regionali e secondo le forme amministrative e gestionali previste dalla citata legge n. 142 del 1990.
3. In particolare, in relazione alle dimensioni territoriali individuate dal piano regionale, i comuni singoli e associati, organizzano i servizi socio-assistenziali e di integrazione sociale:

a) mediante un modello a rete ed organizzando l'informazione ai cittadini, tramite uffici decentrati, con le forme e gli strumenti piú idonei anche sul piano dell'informatizzazione e dei collegamenti telematici;
b) provvedendo al coordinamento dei programmi e delle attività con altri enti, attraverso specifici accordi di programma, secondo le modalità fissate dalla regione;
c) erogando, per particolari programmi individuati dal piano regionale o dagli stessi comuni, prestazioni socio-assistenziali integrate con quelle sanitarie, in base a specifici progetti di recupero individuale o di intervento sulla famiglia definiti da unità di valutazione multidisciplinari con la presenza di personale sanitario (medico e non) e personale sociale quali, l'Unità di valutazione geriatrica, l'Unità di valutazione dell' handicap , l'Unità di valutazione consultoriale;
d) garantendo il diritto dei cittadini alla partecipazione e al controllo dei servizi, stabilendo altresí le modalità di intervento degli assistiti, delle loro famiglie e delle formazioni sociali operanti nel territorio;
e) autorizzando il funzionamento, vigilando e controllando, in base alle norme regionali, le strutture socio-assistenziali residenziali ed a ciclo diurno;
f) accreditando le istituzioni private iscritte nel registro regionale di cui all'articolo 12 e le associazioni di volontariato, corrispondendo alle stesse emolumenti economici per le prestazioni erogate sulla base di tariffe determinate in sede regionale;
g) convocando almeno con cadenza annuale, o secondo quanto stabilito dagli accordi di programma, apposite conferenze dei servizi sociali, alle quali assicurano la partecipazione dei soggetti di cui all'articolo 1, comma 3, per esaminare la situazione sociale del proprio territorio e formulare proposte per l'aggiornamento del piano e dei programmi regionali;
h) controllando ogni attività ed iniziativa di assistenza sociale che si svolge nel loro territorio, secondo i criteri determinati dalla legge regionale;
i) realizzando collegamenti operativi con tutti i servizi dell'area giovanile, del tempo libero e della comunicazione per gli aspetti che hanno rilevanza nei confronti delle categorie assistite.

4. I comuni, in alternativa o a completamento delle prestazioni assistenziali erogate in gestione diretta o tramite strutture accreditate, emettono ai sensi degli articoli 3 e 9, buoni servizio, per l'acquisizione diretta da parte del cittadino di prestazioni socio-assistenziali da organismi o da privati accreditati.
5. I comuni esercitano, anche attraverso la collaborazione con le organizzazioni di tutela dei diritti, attività di vigilanza e controllo, ai sensi dell'articolo 9, sulla qualità delle prestazioni socio-assistenziali a gestione diretta e da parte degli organismi accreditati. Il comune programma sistematicamente verifiche sulla qualità dei servizi, adottando le metodologie dei processi di qualità, analizzando anche il rapporto costi-efficacia e provvedendo a controlli campione sulla qualità delle prestazioni acquisite direttamente dal cittadino o dalle famiglie, tramite buoni servizi, ai sensi del comma 4.

Art. 11.

(Coordinamento delle attività
socio-assistenziali con le prestazioni

sanitarie)


1. Fermo restando quanto disciplinato in materia finanziaria e della delega di funzioni socio-assistenziali alle USL da parte dei comuni, dal citato decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modifiche e integrazioni, il coordinamento delle attività sociali con quelle sanitarie viene inteso dai comuni e dalle USL come metodo di programmazione da adottarsi per obiettivi assistenziali relativi ai seguenti interventi:

a) assistenza domiciliare ad anziani, ed altri soggetti in condizioni disagevoli;
b) assistenza residenziale anche diurna ad anziani, disabili, sofferenti psichiatrici e tossicodipendenti.

2. All'interno della programmazione coordinata, l'integrazione delle attività consiste nell'adozione di procedure unitarie da parte dei servizi degli enti interessati, quali la stesura di progetti assistenziali per la persona e la famiglia, seguiti dall'erogazione contestuale di prestazioni sanitarie e socio-assistenziali realizzate secondo protocolli operativi contenuti nel progetto assistenziale.
3. La programmazione coordinata prevede la stesura di progetti assistenziali integrati alla persona o alla famiglia, realizzati tramite protocolli operativi che comprendono l'erogazione contestuale di prestazioni sanitarie e socio-assistenziali.
4. La regione, con proprio provvedimento regolamenta le modalità di predisposizione dei programmi coordinati e le forme di coordinamento istituzionale, sia per la promozione dei programmi integrati che per il controllo e la valutazione dei risultati attesi.

Art. 12.

(Registro regionale delle istituzioni private
e di volontariato)


1. In ogni regione, oltre al registro delle organizzazioni di volontariato di cui all'articolo 6 della legge 11 agosto 1991, n. 266, é istituito un registro per la iscrizione delle associazioni, fondazioni e istituzioni private anche a carattere cooperativo, dotate o meno di personalità giuridica, che intedono esercitare attività socio-assistenziali e concorrere alla realizzazione della rete di servizi tramite l'accreditamento.
2. Il registro é articolato in sezioni secondo la natura associativa, le finalità economiche e lo stato patrimoniale delle organizzazioni, con particolare riferimento alla presenza o meno dello scopo di lucro. Per la classificazione economica delle organizzazioni private sono applicate le norme vigenti in materia finanziaria.
3. La regione determina i criteri per la revisione periodica del registro, nonché per la cancellazione delle organizzazioni non in regola con i requisiti. La regione, d'intesa con i comuni, disciplina altresí le forme e le modalità per la consultazione delle organizzazioni di cui al comma 2, nella fase preparatoria del piano socio-assistenziale.
4. Alla tenuta del registro ed all'iscrizione delle organizzazioni nella specifica sezione, provvede la regione previo accertamento dei seguenti requisiti:

a) esame delle finalità economiche e della situazione patrimoniale;
b) idonei livelli di prestazioni, di qualificazione del personale e di efficienza organizzativa ed operativa, secondo gli standard dei servizi sociali fissati dalle leggi regionali;
c) adozione, per i dipendenti del contratto collettivo nazionale di categoria, fatta eccezione per i casi in cui si tratti di prestazioni volontarie o rese in forza di convenzioni di cui al comma 1 con organismi della Chiesa cattolica o delle altre Confessioni religiose;
d) corrispondenza ai princípi stabiliti dalla presente legge e dalla legge regionale.

5. Le istituzioni operanti in piú regioni chiedono l'iscrizione al registro della regione in cui l'istituzione ha sede legale, che provvede, sentite le altre regioni interessate.

Art. 13.

(Accreditamento)

1. L'accreditamento é una procedura tecnico-amministrativa effettuata dai comuni singoli o associati, secondo le indicazioni regionali, che valuta, in base alla qualità delle prestazioni offerte, l'inserimento dell'organizzazione nella rete locale dei servizi.
2. I comuni, per la realizzazione dei programmi locali di attuazione dell'assistenza e dell'integrazione sociale, accreditano e si avvalgono di organizzazioni del volontariato, organismi non profit , enti morali, enti privati e iscritti nel registro di cui all'articolo 12, secondo quanto previsto dalla legge regionale.
3. In relazione alla classificazione a loro assegnata ai sensi della presente legge, arti colo 9, comma 2, lettera e) , i comuni provvedono altresí, all'accreditamento delle IPAB.

CAPO IV
DISPOSIZIONI PER IL RIORDINO DEGLI EMOLUMENTI ECONOMICI A FAVORE DI MINORI, ANZIANI, INVALIDI E FAMIGLIE



Art. 14.

(Programmi assistenziali integrati)

1. Per la realizazzione dei programmi assistenziali integrati atti a compensare lo stato di dipendenza dei soggetti disabili o anziani e garantire agli stessi dignitose condizioni esistenziali, le prestazioni a carattere socio-assistenziale e riabilitativo erogate dai comuni e dalle USL, si integrano con gli emolumenti economici permanenti dello Stato in materia di invalidità civile e assegno sociale.
2. All'accertamento del bisogno socio-sanitario ed alla conseguente stesura del progetto assistenziale personalizzato, provvedono, secondo le disposizioni regionali, le unità di valutazione multidisciplinari, costituite dalla aziende sanitarie e dai comuni ai sensi della lettera c) del comma 3 dell'articolo 10. Il progetto personalizzato, oltre alla valutazione diagnostica medico-sociale che accerta il grado di autonomia del soggetto e le condizioni familiari, indica le prestazioni da erogare, i soggetti che vi provvedono e le modalità di partecipazione alla spesa da parte dell'assistito.
3. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Dipartimento di cui all'articolo 2, previo parere dei Ministri del tesoro e delle finanze, stabilisce con proprio decreto l'ammontare del minimo vitale a livello nazionale, tenendo conto del costo medio della vita, rapportato al tasso di inflazione, con aliquote di incremento per i cittadini con totale o parziale riduzio ne dell'autonomia. Con il medesimo decreto vengono fissati anche i tempi di revisione del minimo vitale e dei livelli di reddito.
4. Le regioni, in relazione al prodotto interno lordo ed al reddito medio dei cittadini residenti possono incrementare, provvedendo con entrate proprie, il minimo vitale fino al 20 per cento.
5. Per consentire la predisposizione e la gestione dei programmi assistenziali integrati il dipartimento di cui all'articolo 2 a cui compete l'erogazione delle provvidenze statali di cui al comma 1, invia mensilmente ai comuni l'elenco nominativo dei propri residenti beneficiari delle provvidenze in oggetto, con l'indicazione dell'emolumento percepito. Nel caso di decesso dei beneficiari, il comune provvede alla tempestiva comunicazione all'amministrazione erogatrice delle provvidenze economiche.

Art. 15.

(Riordino degli emolumenti economici
dello Stato a favore di minori,

anziani e disabili)


1. In attuazione delle leggi: 10 febbraio 1962, n. 66, 26 maggio 1970, n. 381, 27 maggio 1970, n. 382, 30 marzo 1971, n. 118, 11 febbraio 1980, n. 18 e successive modificazioni e integrazioni, nonché della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e della legge 8 agosto 1995, n. 335, lo Stato corrisponde a cittadini che abbiano compiuto sessantacinque anni di età e a cittadini inabili per disabilità fisiche e psichiche e sensoriali, ivi compresi ciechi e sordomuti, nelle condizioni reddituali previste dalle specifiche normative, emolumenti economici continuativi per favorire il loro mantenimento e la permanenza nel normale ambiente di vita.
2. In relazione alla funzione attribuita a ciascun emolumento, dalle specifiche normative di cui al comma 1, gli interventi assistenziali di tipo economico, a carico dello Stato, si riclassificano come segue:

a) é denominato assegno di minimo vitale, l'assegno sociale per i cittadini ultrasessantacinquenni nelle condizioni di reddi to di cui al comma 6 dell'articolo 3 della legge 8 agosto 1995, n. 335;
b) é denominato assegno di mantenimento, l'assegno di accompagnamento, già disciplinato dall'articolo 17 della legge 30 marzo 1971, n. 118, e successive modificazioni;
c) é denominato assegno di inabilità la pensione di inabilità, di cui all'articolo 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118, e la pensione non reversibile per ciechi assoluti, di cui alla legge 10 febbraio 1966, n. 62, modificata ed integrata dalla legge 27 maggio 1970, n. 382, nonché l'assegno mensile di assistenza per sordomuti in età superiore ai diciotto anni, di cui alla legge 26 maggio 1970, n. 381;
d) é denominato assegno di invalidità l'assegno mensile di cui all'articolo 12 della citata legge n. 118 del 1971 e la pensione non reversibile per i soggetti con residuo visivo non superiore ad un ventesimo per entrambi gli occhi, di cui alla legge 10 febbraio 1966, n. 62, modificata e integrata dalla legge 27 maggio 1970, n. 382;
e) é denominato assegno di dipendenza l'indennità di accompagnamento, già erogata ai sensi dell'articolo 4 della legge 27 maggio 1970, n. 382 ai ciechi assoluti, nonché agli invalidi civili totali di cui al comma 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18.

3. Per gli emolumenti già erogati all'INPS in materia di integrazione ai trattamenti minimi di pensione e di maggiorazione sociale dei trattamenti stessi in relazione al reddito del pensionato, il Governo della Repubblica é delegato ad emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, specifiche disposizioni per la compatibilità degli emolumenti in oggetto con il minimo vital di cui al comma 3 dell'articolo 14. Le disposizioni emanate ai sensi del presente comma si coordinano con le disposizioni di cui al comma 24 dell'articolo 1 della legge 8 agosto 1995, n. 335.
4. Gli emolumenti di cui ai commi 2 e 3, nei casi di elevata riduzione di autonomia personale, con conseguente necessità di interventi assistenziali o sanitario-assistenzia li permanenti, sono utilizzati, nel progetto assistenziale integrato di cui all'articolo 14, per concorrere ai costi delle prestazioni domiciliari, residenziali e semiresidenziali.

Art. 16.

(Assegno di minimo vitale)

1. Al cittadini italiani, residenti in Italia, che abbiano compiuto sessantacinque anni e si trovino nelle condizioni reddituali di cui all'articolo 3 della legge 8 agosto 1995, n. 335, é corrisposto un assegno mensile denominato assegno di minimo vitale, non reversibile e per un ammontare annuo per il 1996 pari a lire. 6.240.000. I requisiti per la concessione dell'assegno di cui al comma 6 dell'articolo 3 della legge 8 agosto 1995, n. 335, sono accertati dal comune. L'incremento dell'assegno sociale é stabilito annualmente in sede di legge finanziaria.
2. L'assegno di minimo vitale sostituisce a tutti gli effetti la pensione sociale e viene corrisposto ai cittadini che abbiano compiuto sessantacinque anni anche conviventi con il nucleo familiare il cui reddito sia inferiore a 70 milioni lordi annui, nonché all'anziano ospitato in strutture residenziali e concorre al pagamento del costo di ospitalità.
3. A modifica di quanto disposto dal comma 7 dell'articolo 3 della citata legge n. 335 del 1995, l'assegno é corrisposto per intero anche all'ultrasessantacinquenne ricoverato in istituti o comunità con retta a carico di enti pubblici. La legge regionale di programmazione delle attività socio-assistenziali di cui all'articolo 9, stabilisce l'aliquota dell'assegno da attribuire al titolare e quella da utilizzarsi per il pagamento dell'ospitalità residenzialle. Tali dati vengono comunicati con provvedimento del sindaco al Dipartimento di cui all'articolo 2.
4. L'assegno di minimo vitale é concesso anche ai cittadini stranieri in possesso del permesso di soggiorno da oltre un quinquennio e che si trovano nelle condizioni di reddito di cui ai commi 1 e 2.
5. La concessione dell'assegno é subordinata alla presentazione di specifica doman da presso il comune di residenza, in cui siano precisate le condizioni familiari e reddituali. In base a quanto previsto dalla presente legge, lo schema di domanda é adottato a livello nazionale.

Art. 17.

(Assegno di mantenimento)

1. L'assegno di mantenimento é concesso a soggetti di età inferiore agli anni diciotto, non deambulanti e portatori di disabilità fisica psichica e sensoriale, nelle condizioni di reddito di cui alla legge 21 novembre 1988, n. 508, frequentanti la scuola dell'obbligo o corsi di addestramento professionale, o centri di riabilitazione o socializzazione.
2. La domanda per accedere all'assegno di mantenimento é presentata dal legale rappresentante del minore, al comune di residenza corredata della documentazione sanitaria e da attestazione della scuola, del centro di formazione professionale o di riabilitazione comprovante la frequenza del soggetto a tali attività.
3. Tenuto conto delle condizioni di reddito del nucleo familiare, già indicate all'articolo 14, l'assegno di mantenimento é erogato in aggiunta all'assegno per i figli.

Art. 18.

(Assegno di inabilità)

1. A favore di cittadini da diciotto a sessantaquattro anni, totalmente inabili ad attività lavorativa a seguito di disabilità fisica, psichica e sensoriale o già riconosciuti invalidi civili totali, ciechi assoluti e sordomuti, nelle condizioni di reddito rispettivamente previste all'articolo 12 della legge n. 118 del 1971, alla legge 27 maggio 1970, n.382, e alla legge 26 maggio 1970, n. 381, é concesso l'assegno di inabilità.
2. Al compimento del sessantacinquesimo anno di età l'assegno di inabilità, sostituisce l'assegno di minimo vitale di cui all'articolo 2.
3. La domanda per accedere all'assegno di inabilità é presentata dal richiedente, da un componente del nucleo familiare o da persona o ente che ha la tutela dell'inabile al comune di residenza, corredata della documentazione sanitaria comprovante la disabilità.

Art. 19.

(Assegno di invalidità)

1. Ai cittadini dai diciotto ai sessantaquattro anni con disabilità fisica, psichica e sensoriale con riduzione della capacità lavorativa di oltre due terzi, o già riconosciuti invalidi ai sensi dell'articolo 13 della legge 30 marzo 1971, n.118, o ciechi non assoluti ai sensi dell'articolo 1 della legge 27 maggio 1970 n. 382, nelle condizioni reddituali previste dalle stesse leggi e incollocati al lavoro, viene concesso l'assegno di invalidità.
2. L'assegno viene concesso per il tempo in cui sussiste la condizione di incollocabilità al lavoro. Con l'inserimento dell'invalido in attività lavorativa l'assegno é revocato.
3. I comuni, ai sensi della vigente normativa in materia di avviamento protetto al lavoro, provvedono d'intesa con i servizi di supporto ai portatori di handicap delle aziende sanitarie e con altre amministrazioni interessate al collocamento, a programmi di collocamento protetto.
4. Nei confronti dei cittadini ultrasessantacinquenni, l'assegno di invalidità sostituisce l'assegno di minimo vitale di cui all'articolo 16
5. La domanda per accedere all'assegno di invalidità é presentata dal richiedente, da un componente del nucleo familiare o da persona o ente che ha la tutela dell'inabile al comune di residenza, corredata della documentazione sanitaria comprovante la disabilità continuativa, nelle condizioni di cui all'articolo 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18 o ciechi assoluti nelle condizioni previste all'articolo 4 della legge 27 maggio 1970 n. 382, é concesso l'assegno di dipendenza.
2. Ai cittadini con età superiore a sessantacinque anni nelle condizioni di cui al comma 1, già titolari dell'assegno di minimo vitale di cui all'articolo 2 o all'assegno di inabilità di cui all'articolo 4, l'assegno di dipendenza viene erogato in aggiunta a tali emolumenti.
3. La domanda per accedere all'assegno di dipendenza é presentata dal richiedente, da un componente del nucleo familiare o da persona o ente che ha la tutela del disabile, al comune di residenza, corredata della documentazione sanitaria comprovante la disabilità.

Art. 20.

(Interventi a favore dei soggetti
con mancanza di autonomia,

assegno di dipendenza)


1. Si intendono soggetti con mancanza di autonomia i minori di anni diciotto, portatori di disabilità fisica, psichica e sensoriale, incapaci di compiere senza assistenza continua, gli atti propri dell'età o gli adulti e anziani che non sono in grado di provvedere autonomamente alla cura della persona, alla gestione della casa e dell'ambiente di vita e sono quindi bisognosi di assistenza continuativa. Sono ricompresi in tali soggetti anche coloro che si trovano nelle condizioni previste dall'articolo 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18, o ciechi assoluti di cui all'articolo 4 della legge 27 maggio 1970, n. 382.
2. Ai soggetti di cui al comma 1 é concesso l'assegno di dipendenza. La domanda per accedere all'assegno di dipendenza é presentata dal richiedente, da un componente del nucleo familiare o da persona o ente che ha la tutela del disabile, al comune di residenza, corredata della documentazione sanitaria comprovante la disabilità.
3. Ai soggetti di età superiore a sessantacinque anni, nelle condizioni di cui al comma 1, già titolari dell'assegno di minimo vitale o dell'assegno di inabilità con reddito pari o inferiore al minimo vitale stabilito ai sensi dell'articolo 14, comma 3, aumentato delle aliquote previste per la parziale o totale riduzione dell'autonomia, in aggiunta ai predetti emolumenti e fino a concorrere al tetto del minimo vitale come sopra incrementato, é concesso anche l'assegno di dipendenza.
4. Per agevolare la permanenza del soggetto non autonomo nel proprio ambiente di vita si provvede, secondo il progetto personalizzato di cui all'articolo 14 del comma 2, tramite i servizi dei comuni delle USL, servizi accreditati o del settore privato autorizzato ai sensi della presente legge. Nel progetto personalizzato é programmato anche l'utilizzo dell'assegno di dipendenza e degli eventuali altri emolumenti richiamati al comma 3.
5. Per gli emolumenti economici a carico dello Stato, l'accertamento della disabilità é effettuato dal collegio medico-legale di cui all'articolo 23, integrato per la valutazione del grado di autonomia, da professionalità mediche specialistiche e professionalità sociali delle unità multidisciplinari di cui all'articolo 10.
6. Puó accedere all'assegno sociale, o all'assegno di dipendenza anche un componente del nucleo familiare che provvede alla cura e alla tutela del disabile o anziano nelle condizioni di cui al comma 1 del presente articolo, purché in possesso delle condizioni di reddito stabilite per l'accesso a tali emolumenti.

Art. 21.

(Riduzioni degli assegni
e controllo dei requisiti)


1. Gli assegni di invalidità, inabilità e di dipendenza, qualora il titolare si é ricoverato in strutture residenziali anche con costi, o parte di essi, a carico di ente pubblico, sono dati in gestione al comune che provvede ad erogare al titolare una quota dell'assegno, secondo quanto stabilito dalla legge regionale, la restante parte é utilizzata per ammortizzare i costi, o parte di essi, dell'ospitalità in struttura protetta, sanitario-assistenziale e di riabilitazione.
2. I titolari di assegno di invalidità, inabilità e dipendenza sono sottoposti ad accer tamenti sanitari periodici nei modi previsti dal regolamento predisposto d'intesa tra il Dipartimento per la promozione della salute e delle attività sociali sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

Art. 22.

(Modalità di richiesta degli assegni)

1. Le domande relative agli assegni di cui agli articoli 15, 16, 17, 18 e 19 sono presentate in carta libera al comune di residenza secondo schemi di domanda approvati con decreto del Dipartimento per la promozione della salute e delle attività sociale, d'intesa con il Ministro del tesoro e sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
2. La domanda per gli assegni di cui agli articoli 15, 16, 17, 18 e 19 in relazione al tipo di provvidenza a cui si intende a cedere, deve essere corredata da certificazioni mediche da parte del medico di medicina generale e, se del caso, i medici specialisti, attestanti le condizioni psico-fisiche del richiedente.
3. É vietata l'elezione di domicilio, ai fini della presente legge, in luogo diverso di quello di residenza.
4. Il richiedente o il suo legale rappresentante devono dichiarare nella domanda, sotto la propria personale responsabilità, se sono state presentate nell'ultimo quinquennio altre domande per pensioni, assegni o indennità, indicando l'ente o l'ufficio cui sono state presentate.

Art. 23.

(Collegio per l'istruttoria medico-legale)

1. Le domande per gli assegni di cui agli articoli 16, 17, 18, 19 e 20 danno luogo ad accertamento medico-legale presso un collegio medico di tre membri di cui: uno specialista in medicina legale appartenente ai colleghi medico-legali dell'INPS, due medici specialisti designati dalla USL di cui uno specialista nelle discipline connesse alle maggiori patologie invalidanti e uno specialista delle unità di valutazione multidisciplinare, di cui all'articolo 10, comma 3, lettera c) , competente in base all'età del richiedente. Il medico legale ha funzioni di presidente di collegio.
2. Il collegio di cui al comma 1, per la valutazione del grado di autonomia é integrato, ai sensi dell'articolo 14, comma 2 e dell'articolo 1, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni, da due componenti: uno psicologo e un assistente sociale dell'unità di valutazione multidisciplinare di cui fa parte il medico specialista indicato al comma 1, rispettivamente designati dalla USL e dalla conferenza dei sindaci dell'ambito territoriale corrispondente alla USL di ubicazione del collegio.
3. La costituzione del collegio é effettuata dalla regione che provvede anche alla designazione del medico con funzioni di presidente scegliendolo da un elenco predisposto dall'INPS in base alle norme stabilite dall'Istituto stesso per l'appartenenza ai collegi medico-legali. Nel caso di inadempienza da parte della regione, provvede il presidente del tribunale territorialmente competente.
4. La sede del collegio medico legale di cui al comma 1 é ubicata presso l'INPS provinciale. Le funzioni di segreteria del collegio, sono esercitate da un funzionario della carriera direttiva dipendente del comune in cui ha sede il collegio stesso. La direzione dell'INPS, d'intesa con la conferenza dei sindaci degli ambiti territoriali ricompresi nella provincia, puó disporre di sedi distaccate presso i maggiori comuni della provincia.
5. La regione provvede altresí alla nomina di un collegio medico legale di seconda istanza, composto da cinque membri scelti tra i dipendenti di grado apicale del Servizio sanitario regionale o degli Istituti scientifici di ricovero e cura o dell'università, di cui due specialisti nelle discipline dell'area medica e della riabilitazione e tre specialisti in medicina legale. Tra gli specialisti in medicina legale uno é designato alla presidenza del collegio. A fini informativi inerenti l'esame del ricorso puó partecipare alle riunioni del collegio di seconda istanza, anche il medico legale presidente del collegio di prima istanza interessato al ricorso stesso.
6. Il richiedente assegno di inabilità o di invalidità, puó essere assistito nell'esame effettuato dal collegio medico di cui al comma 5, da un proprio medico di fiducia.
7. Il collegio medico-legale conclude gli accertamenti entro centoventi giorni dalla data di presentazione della domanda. Avverso il giudizio del collegio si puó ricorrere al collegio di seconda istanza di cui al comma 5.
8. Il provvedimento di riconoscimento del diritto ad assegno é immediatamente esecutivo e l'assegno viene liquidato da tale data.

CAPO V
DISPOSIZIONI FINANZIARIE



Art. 24.

(Finanziamento degli interventi
socio-assistenziali)


1. In attesa della riforma del sistema fiscale e della finanza regionale, agli oneri derivanti dall'attuazione degli interventi di integrazione e di assistenza sociale previsti dalla presente legge, si provvede con l'istituzione di un Fondo sociale nazionale, alimentato dal sistema fiscale generale, per la copertura degli emolumenti di cui all'articolo 14, nonché da altri finanziamenti a carico dello Stato, relativi a leggi con finalità assistenziali, già confluiti nel fondo comune di cui all'articolo 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281, ai sensi del decreto del Ministero del tesoro 7 agosto 1982 modificato con decreto 17 dicembre 1982 e successivamente regolamentato con legge 1º febbraio 1989, n. 40, recante norme in materia di finanza regionale.
2. L'ammontare complessivo del finanziamento del fondo sociale nazionale di cui al comma 1 é riferito alla durata e agli obiettivi dei piani e dei programmi annuali e pluriennali nazionali stabiliti ai sensi della presente legge ed é determinato in sede di legge finanziaria.
3. Le risorse finanziarie attribuite al Fondo sociale nazionale sono determinate in relazione al prodotto interno lordo (PIL) e non possono essere comunque inferiori al 3,5 per cento dello stesso PIL.
4. In sede di prima applicazione della presente legge, a decorrere dall'anno 1996, lo stanziamento del Fondo sociale nazionale da assegnare alle regioni é determinato dall'ammontare della spesa per il 1995 destinata alla pensione sociale e relative maggiorazioni, opportunamente rivalutata, secondo gli incrementi disposti per tale prestazione con la trasformazione in assegno sociale di cui alla legge 8 agosto 1995,n. 335, nonché dai finanziamenti per le funzioni di integrazione e maggiorazione dei trattamenti minimi di pensione erogati dall'INPS, di cui al comma 3 dell'articolo 15, dagli stanziamenti già destinati agli emolumenti a carico del Ministero dell'interno per invalidi civili, ciechi e sordomuti, nonché dai trasferimenti alle regioni del fondo di cui all'articolo 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281, già derivati dalle leggi con finalità assistenziali, secondo l'ammontare degli stessi nel bilancio dello Stato per l'esercizio 1995, aumentato del tasso di incremento nominale del PIL. Sono altresí ricompresi nel Fondo sociale altri finanziamenti, non individuati nel presente comma e comunque destinati dallo Stato ad intervenire di carattere socio-assistenziale.
5. La ripartizione del Fondo sociale alle regioni, ad esclusione delle componenti derivate dagli stanziamenti per l'assegno sociale e relative maggiorazioni e per gli emolumenti già a carico del Ministero dell'interno, é effettuata secondo i criteri di cui all'articolo 5, comma 2, lettera f) . Il trasferimento delle somme spettanti alle regioni é disciplinato dalle disposizioni di cui ai commi da 1 a 14 dell'articolo 3 della legge 28 dicembre 1995,n. 549, fatte salve even tuali e successive modifiche alla finanza regionale adottate nel corso del 1996.

Art. 25.

(Fondo sociale regionale)

1. Per la realizzazione degli interventi di assistenza e di integrazione sociale di cui alla presente legge, la regione provvede al riparto delle somme del fondo sociale regionale determinato ai sensi dell'articolo 18, a favore dei comuni, nonché dei soggetti di cui all'articolo 1, comma 5, regolarmente accreditati. Detti soggetti sono autorizzati a presentare, per finanziamenti diretti, progetti di assistenza e reinserimento sociale, distinti per aree geografiche e per gruppi di utenti.
2. La regione stabilisce nel piano di cui all'articolo 8 i criteri di finanziamento diretto dei progetti di cui al comma 1. All'esame degli stessi provvede un nucleo di valutazione regionale nominato dal presidente della giunta e comprendente anche esperti designati dai comuni, secondo le modalità previste dal piano regionale.
3. Il fondo sociale regionale é complementare e sussidiario rispetto alle disponibilità finanziarie che i comuni, in qualità di soggetti a cui compete l'erogazione delle prestazioni socio-assistenziali, debbono prevedere nei bilanci annuali e poliennali. I finanziamenti regionali per il primo triennio di applicazione della presente legge, si utilizzano in prevalenza per il riequilibrio economico delle dotazioni comunali in relazione agli indicatori di reddito dei comuni che ne hanno determinato l'entità e per avviare sperimentazioni innovative in termini di organizzazione dei servizi secondo le indicazioni della presente legge.

CAPO VI
DISPOSIZIONI VARIE E FINALI



Art. 26.

(Soppressione di organismi
e abrogazione di norme)


1. Sono soppresse le commissioni di accertamento dell'invalidità civile, cecità e sordomutismo di cui alle leggi 30 marzo 1971, n. 118, 26 maggio 1970, n. 381, e 27 maggio 1970, n. 382, e successive modificazioni e integrazioni, per l'accesso alle relative provvidenze economiche. Dette commissioni sono sostituite, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, dai collegi medico-legali previsti all'articolo 23.
2. Le regioni entro sessanta giorni dall'emanazione del regolamento previsto al comma 1 dell'articolo 22 forniscono direttive alle USL per la sostituzione delle Commissioni di cui al comma 1. Fino alla data di sostituzione delle commissioni per l'accertamento dell'invalidità civile, le stesse continuano ad effettuare le valutazioni medico-legali per la concessione degli assegni di cui agli articoli 15, 16, 17, 18 e 19.
3. In materia di accertamento della disabilità, fermo restando quanto stabilito dai commi 1 e 2 per gli aspetti relativi all'accesso ai benefici economici di cui agli articoli 15, 16, 17, 18 e 19, all'articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, é aggiunto il seguente comma:

"1- bis . All'accertamento delle disabilità che danno origine, ai sensi dell'articolo 3, ivi compresi i benefici dell'articolo 33, ad interventi assistenziali temporanei o permanenti per facilitare l'integrazione sociale, scolastica e lavorativa, esclusi gli emolumenti economici dello Stato, provvedono i servizi della USL attraverso valutazioni diagnostiche multidimensionali, di tipo medico-sociale mirate ad accertare il grado di autonomia del disabile e gli interventi necessari per la rimozione degli ostacoli individuali e sociale ai fini dell'integrazione".

4. Le competenze in materia sanitaria già esercitate dalle commissioni di accertamento dell'invalidità civile, con particolare riferimento al grado di invalidità per l'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria, al diritto all'assistenza protesica ed all'avviamento al lavoro, sono esercitate dai competenti servizi delle USL che provvedono all'accertamento della disabilità in conformità a quanto stabilito dal comma 1- bis dell'articolo 4 legge 5 febbraio 1992, n. 104.

Art. 27.

(Assistenza integrativa)

1. Per necessità assistenziali di particolare intensità, aggiuntive rispetto alle prestazioni socio-assistenziali essenziali disciplinate dalla presente legge, é prevista l'istituzione di fondi integrativi sociali derivanti da:

a) contratti ed accordi collettivi anche aziendali ovvero, in mancanza, accordi di lavoratori, promossi da sindacati firmatari di contratti collettivi nazionali di lavoro;
b) accordi tra lavoratori autonomi o fra liberi professionisti, promossi da loro sindacati o associazioni di rilievo almeno provinciale;
c) regolamenti di enti o aziende o enti locali o associazioni senza scopo di lucro o società di mutuo soccorso giuridicamente riconosciute;
d) versamento di contributi volontari in regime di capitalizzazione.

2. Il fondo integrativo sociale é autogestito, ovvero puó essere affidato in gestione mediante convenzione con società di mutuo soccorso o con impresa assicurativa autorizzata.
3. I fondi integrativi sociali seguono le norme vigenti per la detrazione fiscale in materia di assicurazioni.
4. Entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Dipartimento per la promozione della salute e delle attività sociali, di concerto con il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, emana apposito regolamento per l'ordinamento dei fondi integrativi sociali.

Art. 28.

(Norma transitoria)

1. Fino all'istituzione del Dipartimento per la promozione della salute e delle attività sociali di cui all'articolo 2, le funzioni previste dalla presente legge sono affidate al Ministro per la solidarietà sociale.