Pubblicato il 15 gennaio 2014, nella seduta n. 167
MATTESINI , MANCONI , FEDELI , FERRARA Elena , MICHELONI , MATURANI , DE MONTE , CANTINI , PEZZOPANE , BERTUZZI , ORRU' , DI GIORGI , SCALIA , ZANONI , GIACOBBE , CASSON , MANASSERO , VACCARI , CHITI , BORIOLI , D'ADDA , PAGLIARI , GRANAIOLA , ESPOSITO Stefano , SOLLO - Al Ministro dell'interno. -
Premesso che:
la legge 6 marzo 1998, n. 40, ha istituito i centri di identificazione ed espulsione (CIE) previsti inoltre dal testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286) quali strutture di trattenimento degli stranieri in condizione di irregolarità, destinati all'espulsione;
la legge 30 luglio 2002, n. 189, cosiddetta legge Bossi-Fini, prevede che i centri di identificazione ed espulsione siano strutture destinate al trattenimento, convalidato dal giudice di pace, dei cittadini stranieri extracomunitari irregolari e destinati all'espulsione qualora non sia possibile eseguire immediatamente l'espulsione mediante accompagnamento e che «il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario» (art. 32);
dall'8 agosto 2009, con l'entrata in vigore della legge 15 luglio 2009, n. 94 (cosiddetto pacchetto sicurezza), è stato introdotto nel nostro ordinamento il «reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato». Inoltre, è stato modificato il termine massimo di permanenza degli stranieri nei centri, che è passato da 60 giorni a 18 mesi, modificando la loro natura e trasformandoli da centri di temporanea e brevissima permanenza in luoghi di detenzione amministrativa dei migranti. Tuttavia l'aumento della permanenza in questi centri si è rivelato inutile ai fini del miglioramento dell'efficacia delle espulsioni dal momento che, secondo i dati della Polizia di Stato, nel 2012 soltanto il 50,54 per cento dei migranti trattenuti nei centri è stato rimpatriato e che tale percentuale è aumentata rispetto al 2010 di appena il 2 per cento;
sia il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, all'articolo 14, comma 2, sia il decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, all'articolo 21, tutelano le necessità primarie, i diritti e le libertà fondamentali della persona dei migranti trattenuti nei centri, disponendo esplicitamente che siano garantiti i servizi sanitari essenziali e le esigenze fondamentali di cura, assistenza, promozione umana e sociale;
la Corte costituzionale, nella sentenza n. 105 del 2001, ha rilevato che: «Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia dell'immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani»;
la direttiva 2008/115/CE, nota come «direttiva rimpatri», all'art. 1 si pone l'obiettivo di stabilire «norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nel rispetto dei diritti fondamentali in quanto principi generali del diritto comunitario e del diritto internazionale, compresi gli obblighi in materia di protezione dei rifugiati e di diritti dell'uomo», e a giudizio degli interroganti il suo rispetto necessita di una profonda rivisitazione della legislazione del nostro Paese;
secondo numerose inchieste giornalistiche e ricerche di associazioni di volontariato e di associazioni per la tutela dei diritti umani, nonché dall'indagine interministeriale presentata dall'ambasciatore De Mistura nel 2007 e dalle numerose visite ispettive di delegazioni parlamentari, emergono fatti gravissimi che si sono verificati e che continuano a verificarsi all'interno dei centri;
l'indagine «Arcipelago CIE» realizzata tra il febbraio 2012 ed il febbraio 2013 realizzata da Medici per i diritti umani delinea un quadro gravissimo per quanto riguarda le condizioni sanitarie dei centri. «In generale all'interno dei CIE non è previsto personale medico specialistico anche laddove sarebbe certamente necessario», inoltre, «L'inattività forzosa per prolungati periodi di tempo, in spazi angusti ed inadeguati, insieme all'incertezza sulla durata e l'esito del trattenimento, rendono il disagio psichico dei migranti uno degli aspetti più preoccupanti e di più difficile gestione all'interno dei centri»;
la forte eterogeneità delle persone trattenute nei CIE rappresenta un altro elemento di grande preoccupazione. Assieme a persone che hanno a lungo risieduto regolarmente in Italia e che, per ragioni diverse, hanno perso il permesso di soggiorno, ci sono coloro che hanno richiesto asilo politico dopo essere giunti al centro e quelli che rientrano nel centro dopo essere stati rilasciati. Infine c'è un elevato numero di ex detenuti che dopo aver scontato la propria pena vengono trasferiti nei CIE in attesa di essere identificati e rimpatriati. Ciò accade nonostante una direttiva interministeriale del 30 luglio 2007, dei Ministri pro tempore Amato e Mastella, stabilisce che l'identificazione per i detenuti debba avvenire in carcere e non nei centri che devono essere considerati come luoghi destinati al riconoscimento di altri soggetti;
dalle indagini svolte emerge una totale inadeguatezza degli enti gestori dei centri nel garantire un corretto ed efficiente compimento del loro ruolo causata anche dai forti tagli ai bilanci. Da una parte i servizi sanitari, erogati in tutti i centri direttamente dagli enti gestori, non sembrano garantire in modo adeguato il diritto alla salute e permangono ostacoli rilevanti nell'accesso alle cure specialistiche e agli approfondimenti diagnostici. Dall'altra gli standard di erogazione degli altri servizi cui gli enti gestori sono tenuti, quali i servizi di mediazione linguistico-culturale, l'orientamento legale e il supporto socio-psicologico, risultano insoddisfacenti;
i soli regolamenti esistenti sono adottati dalle prefetture di competenza. L'assenza di un regolamento comune per tutti i CIE presenti in Italia determina un diverso grado di flessibilità nei diritti concessi, anche sulla base della diversa interpretazione delle «ragioni di sicurezza»;
le criticità circa il malfunzionamento dei centri e le loro lacune strutturali hanno portato nel giugno 2012 alla chiusura del centro «Serraino Vulpitta» di Trapani e del «Malgrado tutto» di Lamezia Terme;
il Tribunale di Crotone con la sentenza 12 dicembre 2012, n. 1410, ha stabilito che i protagonisti della rivolta nel CIE di Crotone non sono colpevoli in quanto agirono per «legittima difesa» e la reazione degli stranieri alle «offese ingiuste» è da considerarsi proporzionata a causa del penoso stato dei centri definiti come «strutture al limite della decenza», intendendo dire che si tratta di strutture non adatte ad accogliere essere umani secondo condizioni di alloggio pari a quelle di un cittadino medio senza distinzione di condizione o di nazionalità o di razza;
il filmato apparso nelle televisioni italiane il 16 dicembre 2013, che mostra l'usuale pratica di "disinfestazione" dei migranti trattenuti nel centro di Lampedusa, ha portato alla luce delle pratiche inaccettabili che hanno suscitato indignazione nell'opinione pubblica, che hanno ricevuto la condanna di tutte le massime autorità istituzionali del nostro Paese, del sindaco di Lampedusa che le ha definite «pratiche da lager» e dell'Unione europea che ha minacciato la sospensione degli aiuti se nel centro di Lampedusa e in tutti gli altri centri del nostro Paese non verranno garantite «condizioni umane e dignitose nel ricevimento di migranti, richiedenti asilo e rifugiati»;
il deputato del Partito democratico Khalid Chaouki, che si era rinchiuso dentro il centro di Lampedusa per protestare contro il trattamento riservato ai migranti, ha documentato le condizioni in cui costoro sono costretti a vivere all'interno di un centro costruito ed organizzato solamente per la prima accoglienza;
nel centro di accoglienza immigrati di Ponte Galeria a Roma, nei giorni precedenti al Natale 2013, alcuni immigrati si sono cuciti la bocca con ago e filo improvvisati con il materiale a disposizione per protestare contro il sovraffollamento del centro, la lunga permanenza e le condizioni di vita nel centro. Nel febbraio 2013 lo stesso centro era stato teatro di un'altra sommossa degli immigrati che salirono sui tetti dando fuoco a materassi e tavolini;
il Presidente del Consiglio dei ministri, durante la conferenza stampa di fine anno, ha annunciato che uno dei temi che il Governo avrebbe dovuto affrontare nell'inizio del 2014 sarebbe stato quello del cambiamento della legge Bossi-Fini, procedendo anche ad una revisione complessiva degli standard di accoglienza dei CIE in una logica di attenzione alla sicurezza dei cittadini e di rispetto dei diritti umani: una risposta resa obbligatoria dall'aumento degli sbarchi dei migranti che a causa delle tensioni del Mediterraneo nell'anno 2013 sono triplicati;
le numerose commissioni, l'ultima delle quali istituita dal Ministro dell'interno pro tempore, Anna Maria Cancellieri, istituite per lo studio del funzionamento dei centri e delle modifiche da apportare sia a livello amministrativo che operativo uniformando il loro funzionamento sul suolo nazionale, hanno elaborato rapporti e documenti che fino ad adesso non hanno trovato né un'attuazione, né una pragmatica disamina parlamentare dei risultati. Inoltre i lavori delle commissioni hanno portato ad esiti differenti e prospettano soluzioni diverse, pur rilevando tutte dei palesi malfunzionamenti all'interno dell'amministrazione dei centri,
si chiede di sapere:
in quali tempi e con quale iter legislativo il Governo intenda procedere per ripensare gli attuali strumenti di gestione delle espulsioni, oggi inefficaci ed eccessivamente costosi, riducendo a misura eccezionale il trattenimento dei cittadini stranieri ai fini del rimpatrio, favorendo i rimpatri volontari assistiti rispetto agli allontanamenti coatti e riducendo drasticamente i tempi di permanenza nei centri di identificazione ed espulsione;
in quali tempi e con quali atti intenda intervenire per evitare il trattenimento nei CIE dei cittadini stranieri che necessitano di protezione, quali i richiedenti asilo, i minori, le vittime di tratta;
in quali tempi e con quale iter legislativo intenda intervenire per evitare il trattenimento all'interno dei CIE di coloro che, dopo un periodo di detenzione penale, non siano già stati identificati in carcere;
con quali tempi e atti di competenza intenda intervenire per garantire la massima trasparenza nelle procedure di identificazione e di rimpatrio, garantendo ai profughi un'adeguata assistenza di tipo sanitario, psicologico e legale;
come il Governo intenda procedere per ripensare la normativa che sanziona l'ingresso e il soggiorno irregolare, pur mantenendo in essere la possibilità di ricorrere all'espulsione quando non esistano i requisiti per il soggiorno regolare o per l'accoglimento dell'istanza di protezione umanitaria, secondo quanto previsto dalle norme internazionali vigenti;
come intenda procedere per ripensare le politiche migratorie con l'obiettivo di garantire l'effettiva possibilità di ingresso regolare nel nostro Paese e di inserimento sociale;
con quali strumenti intenda rafforzare e garantire il monitoraggio delle prefetture sulle condizioni di vita nei centri, verificando la congruenza dei servizi offerti rispetto alle convenzioni in essere e con l'obiettivo di uniformare i regolamenti dei centri e le convenzioni assicurando unità di trattamento all'interno dei centri su tutto il territorio nazionale;
se ritenga opportuno attivarsi per rimuovere le restrizioni e le difficoltà al normale ingresso di associazioni umanitarie e organizzazioni non governative all'interno dei centri;
se intenda assumere un'iniziativa normativa organica in materia di asilo nel rispetto dell'articolo 10 della Costituzione.