Atto n. 3-00302 (con carattere d'urgenza)

Pubblicato il 5 agosto 2013, nella seduta n. 88

PUGLISI , FEDELI , GRANAIOLA , ALBANO , AMATI , CANTINI , CIRINNA' , CUOMO , D'ADDA , DI GIORGI , FAVERO , FERRARA Elena , GHEDINI Rita , LO GIUDICE , LO MORO , MANASSERO , MARGIOTTA , MATURANI , ORRU' , PEZZOPANE , PIGNEDOLI , PUPPATO , SAGGESE , SPILABOTTE , VALENTINI , BERTUZZI , SOLLO , PADUA - Al Ministro della giustizia. -

Premesso che:

il Parlamento poche settimane fa (il 19 giugno 2013) ha ratificato la Convenzione di Istanbul che, per combattere la violenza, punta su azioni di "prevenzione, protezione, persecuzione del reato e del persecutore e promozione di una cultura differente";

per questo serve una giustizia rapida, che sappia prendere in carico le donne che denunciano violenze e molestie e le aggravanti per gli omicidi di genere e nel caso in cui ci siano minori ad assistere alla violenza;

nel nostro Paese la rete dei centri antiviolenza è largamente sottodimensionata e sottofinanziata, lontano dagli standard europei; infatti, mentre il Consiglio d'Europa raccomanda un centro antiviolenza ogni 10.000 persone e un centro d'emergenza ogni 50.000 abitanti, in Italia vi sono attualmente soltanto 500 posti letto a fronte dei 5.700 stabiliti;

nonostante l'obbligo di fornire alla vittima stessa tutte le informazioni relative ai centri antiviolenza presenti sul territorio e, in particolare, nella zona di residenza della vittima, succede ancora molto spesso che le forze dell'ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche non provvedano a mettere in contatto la vittima con i centri stessi secondo di quanto previsto dal decreto-legge n. 11 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 38 del 2009, cosiddetta legge sullo stalking ;

considerato che:

l'esperienza degli avvocati che assistono le donne vittime di reati di violenza da parte degli attuali o precedenti coniugi o partner evidenzia numerosi punti di criticità nel percorso che va dalla redazione della denuncia-querela, alla presa in carico e all'applicazione delle misure cautelari, come di seguito riportato nel particolare;

per quanto riguarda la redazione e la presentazione della denuncia-querela, essa è un momento importante perché se la donna si presenta da sola alle Forze dell'ordine non è detto che racconti tutto, che sappia che cosa è importante riferire e che dia adeguata importanza a tutti gli episodi che le sono capitati (spesso viene messa in guardia dal fare "false accuse" o "accuse senza prove", viene avvertita che può avere problemi se denuncia un uomo senza che ci siano testimoni o prove, eccetera. Inoltre se la donna presenta una o più querele, non è detto che queste abbiano un seguito. Soprattutto se sono relative a reati all'interno della famiglia (maltrattamenti, minacce, lesioni), esse subiscono una sorta di "pregiudizio" e vengono archiviate perché considerate relative ad un contesto conflittuale di separazione, anche quando questo non corrisponde alla realtà (archiviazioni de plano);

nella prassi delle procure della Repubblica, le querele presentate in momenti diversi finiscono a pm diversi (secondo i turni) e non è affatto detto che confluiscano dentro il medesimo fascicolo: questo impedisce di verificare la reale pericolosità dell'aggressore; non viene fatta alcuna verifica sull'eventuale presentazione di denunce successive o precedenti. Solo quando il difensore della parte offesa è stato incaricato, si mettono insieme le diverse denunce, segnalandole al pm e consentendo di capire che la condotta non è cessata e che la situazione è pericolosa. Ad esempio: se sono state presentate 4 denunce per ingiurie e lesioni non gravi, queste sono affidate a 4 diversi pm e nasceranno 4 procedimenti avanti al giudice di pace, per i quali, se va bene, l'aggressore prenderà solo una multa. Nessuno si renderà conto, a parte la donna, che ci sono stati ben 4 episodi di aggressione dello stesso soggetto che denotano una situazione di pericolo concreto;

i procedimenti penali per stalking e maltrattamenti non hanno procedure diverse rispetto agli altri, non vengono segnalati e trattati come più urgenti. Le denunce-querele seguono lo stesso percorso delle altre, con gli stessi tempi di rubricazione e presa in carico degli altri reati;

non viene fatta alcuna valutazione del rischio (applicazione di strumenti utilizzati per individuare elementi di rischio; tra i tanti: SARA - sponsal assault risk assessment: elenco di indicatori che segnalano gli elementi di cui tenere conto per valutare un maggiore rischio rispetto ad altre situazioni - ad esempio: uso di alcool o sostanze stupefacenti; precedenti episodi di violenza; minaccia di suicidio eccetera). L'esperienza sui femminicidi e gli approfondimenti che sono stati fatti ormai consentono di individuare le situazioni di maggiore rischio; ciononostante, l'esistenza di queste circostanze (come la fine della relazione sentimentale, la separazione, eccetera) non fa scattare alcuna maggiore forma di tutela per la donna;

non c'è alcuna rilevazione dei dati: il Ministero della giustizia richiede alla procura solo dati aggregati dai quali non è possibile ricavare elementi utili per le indagini su questi reati (questo problema è evidente se si pensa che all'ONU sono stati forniti, come dati sul femminicidio per l'Italia, quelli della ricerca fatta dalla casa delle donne di Bologna che li prende dalla stampa);

le misure cautelari vengono applicate pochissimo rispetto al numero di procedimenti esistenti e si segnala che l'applicazione degli ordini di protezione civili e penali è diversa in tutta Italia (dati della rete associazione DIRE). Attualmente è in corso l'aggiornamento dei dati sulla ricerca fatta nel 2006-2008;

quando le misure cautelari vengono applicate i tempi sono troppo lunghi: la donna rimane esposta a ripetuti episodi di violenza o persecuzione, non è tutelata, l'aggressore si sente forte del fatto che può continuare tanto nessuno gli fa niente. Ci vogliono mesi tra il momento in cui viene presentata la denuncia-querela e quello in cui (nei pochi casi in cui succede) viene applicata la misura cautelare. Quando accade, anche in ipotesi di violazione della misura stessa, non viene data alcuna aggravante, il che aumenta moltissimo il pericolo per la donna e la sensazione di impunità dell'aggressore (ad esempio: all'indagato viene ordinato di non avvicinarsi alla casa della persona offesa; lui non rispetta il provvedimento e si fa trovare sotto casa; il fatto viene segnalato alla polizia e al pm, ma non c'è nessuna conseguenza concreta, quando invece le restrizioni potrebbero aumentare ad esempio con l'applicazione degli arresti domiciliari);

non vi sono obblighi di comunicazione alla parte offesa delle misure cautelari applicate, eccetto l'art. 282-quater del codice di procedura penale (semisconosciuto e disapplicato) che prevede che le misure restrittive di cui ai precedenti 282-bis e 282-ter vengano "comunicate" alla parte offesa. Questo si traduce nella mera lettura del provvedimento alla parte offesa, di solito al telefono. Il provvedimento contiene un elenco di divieti relativi alle cose che l'indagato non può fare (ad esempio non avvicinarsi a casa, alle scuole, a 100 metri dalla persona, comunicare con qualsiasi mezzo con la parte offesa). Alla donna non viene consegnata una copia del provvedimento e, per averla, il suo difensore deve fare istanza scritta al pm. Il tutto si traduce nel non sapere bene cosa l'indagato può fare o no, dove la donna è tutelata o no. Se ci sono provvedimenti di modifica della misura essi non vengono comunicati alla parte offesa poiché non ne ha diritto (si passa sempre attraverso l'autorizzazione del pm per avere queste informazioni con tempi molto lunghi. Si può immaginare il pericolo se un indagato viene arrestato e poi rilasciato e la donna non lo sa);

per quanto riguarda, infine, le criticità collegate con i procedimenti civili di affidamento di figli di coppie non coniugate e di separazione, è difficile far emergere il problema della violenza nonostante sia ormai certo che la fase della separazione o comunque la fine della relazione aumentano moltissimo il rischio per l'incolumità della donna: dal 2006 vi è applicazione indiscriminata dell'affido condiviso anche in favore di padri violenti (violenti direttamente con la madre mentre i minori subiscono "violenza assistita"); spesso i figli vengono strumentalizzati dal padre per arrivare alla madre e le occasioni di incontro tra padre e figli diventano fonte di grandissimo pericolo per l'incolumità della donna e dei figli stessi. Il fatto che il padre sia violento non è considerato un motivo sufficiente per proteggere minori e madre limitando gli incontri e attuandoli con modalità protette,

si chiede di sapere quali misure urgenti il Ministro in indirizzo intenda adottare per rendere davvero efficaci nel nostro ordinamento le indicazioni in tema di protezione delle vittime e di persecuzione del reato contenute nella Convenzione di Istanbul, visti anche i recenti casi di femminicidio di Marina di Massa e di infanticidio di Ono San Pietro (Brescia), avvenuti nonostante le ripetute denunce che le donne coinvolte avevano sporto nei confronti degli ex coniugi.