Atto n. 3-02610 (in Commissione)

Pubblicato il 15 giugno 2021, nella seduta n. 336
Svolto nella seduta n. 267 della 6ª Commissione (05/08/2021)

TOFFANIN - Ai Ministri dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico. -

Premesso che:

l'articolo 3 del decreto-legge n. 145 del 2013, successivamente sostituito dall'articolo 1, comma 35, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015) e modificato dall'articolo 1, comma 209, della legge n. 160 del 2019, riconosce un credito d'imposta a tutte le imprese che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo;

l'introduzione della misura ha avuto ampia ripercussione mediatica e ha indotto numerose imprese ad avvalersi dei benefici introdotti;

giova evidenziare che mentre fino al 2017 la certificazione poteva essere rilasciata da un professionista terzo rispetto al fruitore anche nell'ipotesi in cui il beneficiario fosse dotato dell'organo di revisione, a partire dal 2018 tale possibilità è stata soppressa, per cui le società che hanno nominato un revisore non possono che rivolgersi a lui per la certificazione;

da tempo si stanno verificando situazioni poco chiare tra l'Agenzia delle entrate e i contribuenti a causa di interpretazioni e indirizzi di prassi amministrativa oggetto dell'attuale attività ispettiva da parte degli uffici per valutare la corretta fruizione del credito d'imposta (a cui si aggiunge la posizione assunta dalla Corte di cassazione che con decisione n. 29717/2020 ha fatto coincidere il concetto di credito "non spettante" con quello di "credito inesistente"), sostenendo che devono considerarsi escluse dall'ambito di applicazione della misura le spese per attività di ricerca svolte da alcune imprese;

si sta riscontrando infatti che qualora il progetto avviato dovesse risultare non coerente con la norma ed emergesse un'indebita fruizione del credito, lo stesso viene considerato "inesistente", con conseguenze gravi per le aziende e gli imprenditori;

occorre evidenziare che l'attività ispettiva da parte dell'Agenzia delle entrate non può prescindere dall'acquisizione del parere ad hoc, sui casi verificati, del Ministero dello sviluppo economico, in mancanza del quale gli accertamenti non possono essere ritenuti validi per carenza di motivazione e per infondatezza degli addebiti segnalati;

da quanto sopra emerge l'impossibilità di definire un corretto perimetro applicativo delle norme;

l'articolo 23 della Costituzione, che tutela la libertà e la proprietà individuale, impone il rispetto della funzione primaria della legalità e, conseguentemente, il contenimento della discrezionalità finanziaria;

nel sistema tributario italiano, l'imposizione è un compito demandato alla legge e non ad atti della finanza che deve limitarsi a verificare l'esistenza di quanto stabilito dalle norme,

si chiede di sapere:

se i Ministri in indirizzo, ciascuno per la propria competenza, ritengano di adottare misure volte a chiarire la portata della norma richiamata e ad indicare la sua corretta applicazione, al fine di evitare ulteriori gravi conseguenze per le imprese destinatarie, da parte dell'Agenzia delle entrate, di controlli a posteriori che rilevano indiscriminatamente l'assenza del presupposto costitutivo del credito d'imposta;

se non ritengano, in ogni caso, che l'attività ispettiva dell'Agenzia delle entrate debba essere ricondotta in un perimetro che non lasci spazio ad interpretazioni aleatorie alle quali inevitabilmente consegue incertezza applicativa delle norme;

quanti siano gli accertamenti effettuati ad oggi dall'Agenzia delle entrate in merito alla fruizione del credito d'imposta;

quanti pareri, ad oggi, siano stati richiesti al Ministero dello sviluppo economico