Senato della Repubblica | XVII LEGISLATURA |
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 15 MARZO 2013
Divieto di allevamento, cattura e uccisione di animali
per la produzione di pellicce
Onorevoli Senatori. -- Negli ultimi anni è sempre più marcato il dualismo di cui gli animali sono oggetto nella nostra società.
Da un lato sempre più attenzione e limitazione di attività ingeneranti sofferenza, dall'altro persiste una forma di sfruttamento finanche arrivando alla loro uccisione, per il soddisfacimento delle più svariate esigenze.
In forza dell'evoluzione dei costumi sociali e dei principi comunitari in materia, le attività che comportano l'uccisione ed il maltrattamento di animali devono essere riviste dal legislatore nazionale.
In questo quadro, l'attenzione si volge in primis all'attività di uccisione per appropriarsi della loro pelliccia, indubbiamente la più crudele e immotivata.
La pelliccia non ha alcuna utilità, non è un prodotto funzionale a scaldare e riparare dal freddo tanto è vero che oggigiorno è prevalentemente commercializzata sottoforma di guarnizioni a decorazione di capi di abbigliamento e accessori di ogni genere, dalle borse alle calzature.
Le pellicce animali provengono per l'85 per cento dalle «fabbriche allevamento» (veri e propri allevamenti intensivi) e per la restante percentuale dalle catture in natura (nei casi consentiti dalla legislazione nazionale). Negli allevamenti, gli animali sono costretti a sopravvivere quasi immobilizzati, confinati in minuscole gabbie interamente costruite in rete metallica (anche nella pavimentazione su cui sono costretti a stare).
Gli animali intrappolati invece, subiscono il terrore della cattura e l'atroce dolore che li tormenterà sino al momento dell'abbattimento, spesso altrettanto cruento.
È cosa nota che ogni animale, seppur nato in cattività, necessita di soddisfare le proprie esigenze etologiche. Gli animali rinchiusi negli allevamenti per la produzione di pellicce, manifestano comportamenti anormali come l'eccessiva paura, l'infanticidio, le autolesioni da morsicature, stereotipie comportamentali come saltare per diverse ore senza tregua all'interno della gabbia; leccare, graffiare, mordere e scavare la gabbia; inseguire la propria coda in circolo.
In Italia l'allevamento di animali per la produzione di pellicce non è mai stato un'attività di particolare rilevanza economica e negli ultimi 40 anni ha registrato un continuo ed inesorabile trend negativo: nel 1988 erano attivi 170 allevamenti con circa 500.000 animali; nel 2003 si sono ridotti a 50, con circa 200.000 animali; nel 2013 sono 12 con una produzione di 100-150.000 animali.
La specie allevata in Italia è il visone. L'allevamento di volpi per la produzione di pellicce non è più praticato ormai dalla fine degli anni Ottanta, mentre l'ultimo all'allevamento di cincillà ha cessato l'attività nel 2012.
Diversi Paesi hanno già vietato l'allevamento di animali per la produzione di pellicce, direttamente o per il tramite di forti restrizioni che hanno poi portato alla naturale dismissione di questa attività: già dal 2000, la Gran Bretagna ha bandito gli allevamenti in quanto ritenuti crudeli; l'Olanda ha vietato l'allevamento delle volpi e dei cincillà (dal 1995) e più recentemente, il 18 dicembre 2012, ha approvato il divieto di allevamento di tutti gli animali per la principale finalità di utilizzare la loro pelliccia (divieto che sarà effettivo dal 2024); anche Austria (dal 2004), Danimarca (dal 2009 e limitatamente alle volpi, con bando vigente a partire dal 2024), Irlanda del Nord e Scozia (2003), Croazia (dal 2007, con bando vigente a partire dal 2017), e la Bosnia (dal 2009, con bando vigente a partire dal 2018), hanno vietato l'allevamento di qualsiasi specie di animali per la produzione di pellicce.
Svizzera, Svezia e Bulgaria hanno adottato forti restrizioni a tale attività, finalizzate a migliorare gli standard abitativi degli animali da pelliccia, così come già avvenuto in Germania dal 2011 con l'entrata in vigore di nuovi standard strutturali e gestionali che comportano sostanziali modifiche degli allevamenti di visoni da complementare entro il 2016 (come la disponibilità di vasche d'acqua di 3mq e della libertà di accesso a più ampi bacini d'acqua).
È indubbio che l'Italia non può essere da meno, anche considerato il primato in ambito comunitario nell'approvazione della legge 189 del 2004, ove all'articolo 2 è stato disposto il divieto di commercio di pellicce di cani e gatti, con ben cinque anni di anticipo rispetto all'entrata in vigore del bando comunitario. Così come è stato nella messa al bando dei prodotti derivanti dalla caccia commerciale delle foche.
Alla base della decisione di mettere al bando una attività che riveste innegabilmente un potenziale economico, seppur come si diceva in premessa di scarsa entità, vi è l'imprescindibile necessità, in base ai valori della società odierna di rispetto per l'ecosistema in ogni sua forma, per cui oggigiorno ogni attività economica debba fondarsi su fattori di sostenibilità, di rispetto dell'ambiente, di responsabilità sociale e, non per ultimo, di rispetto del benessere degli animali.
Alla luce delle considerazioni che seguono, l'allevamento di animali per la produzione di pellicce non soddisfa nessuno di questi requisiti.
Per quanto concerne il fattore di benessere animale, già nel 2001 il Comitato Scientifico per la Salute e il Benessere Animale della Commissione Europea ha elaborato uno specifico studio strutturato esclusivamente su valutazioni scientifiche relative ai problemi di benessere degli animali utilizzati per tale pratica, tralasciando le valutazioni etiche (http://ec.europa.eu/food/animal/welfare/international/out67_en.pdf).
In base alle evidenze osservate in allevamenti di visoni, volpi, cincillà, cane procione, nutrie, furetti, il Comitato Scientifico concluse che i sistemi di allevamento in gabbia di questi animali (ed in particolare per visoni e volpi) sono gravemente lesivi del benessere animale.
Specificamente negli allevamenti di visoni si registra una mortalità del 20 per cento per i cuccioli e fino al 5 per cento per gli adulti entro un anno di vita. Comuni sono i problemi di salute quali l'ulcera gastrica, problemi renali e la caduta dei denti. Stereotipie comportamentali sono ampiamente diffuse nei visoni d'allevamento e causate da diversi fattori, uno dei più importanti è l'ambiente di stabulazione.
I visoni d'allevamento manifestano spesso comportamenti innaturali e per periodi prolungati nel corso della giornata, come il succhiarsi o mordersi la coda o altre parti del corpo sino a procurarsi automutilazioni o gravi lesioni.
Lo studio rileva altresì che in condizioni sperimentali, i visoni manifestano la preferibilità a nuotare in vasche d'acqua, opportunità non consentita nei tradizionali sistemi di allevamento.
Nelle considerazioni conclusive è affermato che i tradizionali sistemi di allevamento in gabbie rialzate da terra, con il pavimento in rete metallica, non consentono il soddisfacimento di fattori essenziali per il benessere dei visoni quali correre, arrampicarsi, nuotare, nascondersi in tunnel.
Anche nell'allevamento delle volpi per la produzione di pellicce il report rileva l'eccessiva frequenza di episodi di infanticidio che si consumano nei primi sei giorni dal parto.
Le volpi così allevate manifestano comportamenti anormali come l'eccessiva paura, l'infanticidio, le autolesioni da morsicature, stereotipie comportamentali (saltare per diverse ore senza tregua all'interno della gabbia; leccare, graffiare, mordere e scavare la gabbia; inseguire la propria coda in circolo).
L'ambiente di allevamento risulta privo di stimoli positivi, impedisce il naturale movimento e, tra le conseguenze più gravi, sono stati documentati problemi di fragilità ossea con conseguente rinvenimento di animali con arti fratturati.
Il report conclude (come per i visoni), che i tradizionali sistemi di allevamento in gabbie sollevate da terra non consentono il soddisfacimento di fattori essenziali per il benessere di questi animali, quali correre e scavare.
Il Comitato Scientifico elabora poi una serie di indicazioni che, ad oggi dopo oltre dieci anni, non hanno trovato riscontro né a livello legislativo né a livello produttivo e che tengano conto della biologia, del benessere e delle caratteristiche specie-specifiche, rivolte all'adeguata formazione degli allevatori e di tutto il personale addetto alla gestione degli animali. Segnala inoltre che occorrono maggiori sforzi nella progettazione di sistemi di allevamento che possano soddisfare le necessità etologiche di ogni specie animale e, espressamente per volpi e visoni, raccomanda che gli allevamenti ed i metodi di gestione devono essere ampiamente migliorati al fine di mantenere gli animali in un ambiente «complesso», arricchito anche con oggetti che stimolino il comportamento naturale come il gioco e l'esplorazione.
Nonostante siano trascorsi più di 10 anni dallo studio della Commissione Europea, non solo non è mai stato possibile migliorare le condizioni di allevamento degli animali da pelliccia, ma addirittura gli animali sono stabulati ancora con gli stessi metodi. Le recenti e sempre più frequenti immagini realizzate da associazioni animaliste e divulgate tramite internet, denunciano inequivocabilmente le condizioni in cui versano gli animali da pelliccia negli allevamenti, e confermano quanto il Comitato Scientifico ha documentato già nel 2001.
Oltre alle condizioni di allevamento, particolarmente cruenti sono i metodi previsti per l'abbattimento di questi animali: strumenti a funzionamento meccanico con penetrazione nel cervello; iniezione della dose letale di una sostanza avente proprietà anestetiche; elettrocuzione anale seguita da arresto cardiaco; esposizione al monossido di carbonio; esposizione al cloroformio; esposizione al biossido di carbonio.
Per quanto concerne il fattore inquinamento e consumo energetico, la letteratura scientifica (nazionale ed internazionale) fornisce numerosi dati circa l'incompatibilità delle fasi industriali di ottenimento e lavorazione delle pellicce ed il rispetto dell'ambiente.
La filiera dell'industria della pellicceria è causa di immissioni di inquinanti atmosferici, eutrofizzazione delle acque, consumo energetico e di impiego di sostanze tossiche e cancerogene come la formaldeide, il cromo e altre sostanze chimiche.
L'associazione LAV--Lega Anti Vivisezione nel 2011 ha pubblicato un dettagliato studio di Analisi del Ciclo di Vita (Life Cycle Assessment) commissionato alla società di ricerca olandese CeDelft ed intitolato «The environmental impact of the fur production» che quantifica l'impatto ambientale nelle varie fasi di produzione di pelliccia di visone, oltre a comparare i risultati con l'impatto causato da altri prodotti normalmente utilizzati nell'industria dell'abbigliamento come il cotone, l'acrilico, il poliestere e la lana. I risultati dimostrano che rispetto alla produzione di un chilo di questi altri prodotti tessili, la produzione di un chilo di pelliccia di visone determina un maggiore impatto per 17 su 18 effetti ambientali, tra cui: cambiamento climatico, impoverimento dello strato di ozono, formazione di particolato, tossicità per l'uomo, eco-tossicità, acidificazione, eutrofizzazione del suolo e dell'acqua; oltre a consumo di acqua ed occupazione del suolo. La pelliccia è risultata decisamente peggiore dei tessuti, con impatti da 2 a 28 volte più elevati. Circa l'effetto «cambiamento climatico», l'impatto di 1kg di pelliccia di visone è 4,7 volte superiore a quello della lana (il tessuto con punteggio maggiore), a causa sia dell'alimentazione per i visoni sia alle emissioni di N2O e NH3 delle deiezioni dei visoni.
La fase di alimentazione dei visoni risulta inoltre essere un fattore dominante in 14 effetti ambientali dei 18 presi in esame: lo studio LCA ha rilevato che sono necessarie 11,4 pelli di visone per produrre 1kg di pelliccia e considerato che un singolo visone necessita di circa 50kg di cibo durante la sua breve vita, occorrono ben 563kg di cibo per la produzione di un solo chilo di pelliccia. Il mangime dei visoni, composto da frattaglie ed altri scarti dell'industria del pollame e del pesce, oltre a farine, viene congelato in lastre e così mantenuto sino alla somministrazione agli animali, comportando inoltre un inevitabile ingente consumo di energia.
Secondo le conclusioni cui è giunto lo studio LCA, la produzione di pelliccia sintetica (generalmente composta dal 72 per cento di fibre acriliche e dal 28 per cento di cotone), o di abiti in cotone, acrilico, poliestere, ma anche lana ha un impatto ambientale decisamente inferiore alla produzione di un analogo quantitativo di pelliccia animale.
Con riferimento alle istanze provenienti dalla società, è utile evidenziare che il «Rapporto Italia 2011» di Eurispes sulle opinioni che gli italiani hanno verso gli animali e le attività connesse con lo sfruttamento degli animali, rileva che l'87,2 per cento della popolazione nutre un sentimento positivo nei confronti degli animali e che l'uccisione di animali per la produzione di pellicce è una pratica che l'83 per cento degli italiani disapprova.
Mentre un secondo sondaggio di IpsosMori del luglio 2011, realizzato a distanza di un anno dall'entrata in vigore del divieto comunitario al commercio di prodotti di foca (pellicce, carne, grasso, ..), rileva che il 72 per cento degli europei è favorevole a questo provvedimento. Del resto è utile sottolineare il fatto che, probabilmente, nessun cittadino europeo si sia mai trovato in difficoltà nel non trovare più in commercio prodotti di foca.
Una posizione ormai consolidata e frutto dell'evoluzione culturale della nostra società che guarda ad una sempre più rispettosa relazione con il mondo animale al punto che, secondo le analisi economiche del settore elaborate annualmente dalla società Pambianco s.r.l. ( Società di Consulenza che assiste le Aziende della Moda, del Lusso e del Design), dal 2006 al 2012 il consumo di pelliccia ha registrato un trend negativo in termine di fatturato rimanendo al di sotto del 3 per cento del complessivo consumo di abbigliamento in Italia; significativo il crollo delle vendite presso il canale distributivo rappresentato dagli «specialisti di pellicceria».
Con riferimento alle politiche adottate dalle istituzioni nazionali e comunitarie negli ultimi dieci anni si è assistito ad una notevole innovazione normativa in adeguamento ai cambiamenti culturali e sociali.
Se fino a pochi anni fa il maltrattamento degli animali giuridicamente poteva essere considerato un reato minore, in quanto sanzionato unicamente con una contravvenzione rubricata nel Capo II Delle contravvenzioni concernenti la polizia amministrativa sociale Sezione I «Delle contravvenzioni concernenti la polizia dei costumi» tra reati contravvenzionali, dal 2004 con la legge n. 189 «Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate» il quadro normativo di riferimento cambia radicalmente. Vengono infatti introdotte nuove norme a tutela degli animali, nel secondo libro del codice penale con il capo IX-bis Dei delitti contro il sentimento per gli animali che introduce quattro fattispecie penalmente rilevanti tra cui il delitto di uccisione e maltrattamento non necessitati.
In particolare, di rilevante importanza ai fini della presente proposta di legge è la decisione del Legislatore di sanzionare penalmente in forma di delitto, peraltro con aggravio di pena con la legge n. 201 del 2010 che ha innalzato i termini per la reclusione, l'uccisione di animali qualora venga meno il requisito della necessità; l'articolo 544-bis del codice penale come novellato dalla legge n. 201 del 2010 «Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, fatta a Strasburgo il 13 novembre 1987, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno» recita infatti: «Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni».
Assunto che la nozione di necessità non deve intendersi ad usi e pratiche generalmente accettate in passato, considerata appunto l'evoluzione dei costumi sociali e del comune sentire nei confronti degli animali (bene giuridico tutelato penalmente) di cui il legislatore non può non tenere conto, ma alla valutazione comparativa degli interessi umani e animali coinvolti di volta in volta, come confermato a più riprese dalla Suprema Corte di Cassazione e, prendendo atto che il progresso tecnologico e scientifico odierni consentono la realizzazione di capi d'abbigliamento con tessuti di proprietà analoghe a quelle dei capi di origine animale (e anche, come dimostrato, con un impatto ambientale inferiore) si evince che l'uccisione di animali al fine di produrre capi d'abbigliamento in pelliccia è da considerarsi priva del requisito della necessità.
Considerato inoltre che l'articolo 2 della legge 20 luglio 2004 n. 189, già dispone il «Divieto di utilizzo a fini commerciali di pelli e pellicce di cani e gatti e disposizioni sanzionatorie sul commercio dei prodotti derivati dalla foca», anche in base alle modifiche apportate dal decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 47 e dalla legge 4 giugno 2010, n. 96 (Legge Comunitaria 2009), coerentemente con l'impianto normativo citato, il divieto generale di allevare animali allo scopo di produrre pellicce di cui all'articolo 3 della presente proposta di legge è finalizzato all'estensione della tutela ivi apprestata a tutte le altre specie animali, in quanto dotate di pari dignità.
Inoltre, ai sensi dell'articolo 10, comma 2 della Direttiva 98/58/CE riguardante la «Protezione degli animali negli allevamenti», ci si richiama al fatto che gli Stati membri possono applicare nel loro territorio disposizioni più severe di quelle previste dalla Direttiva stessa.
In ambito comunitario si rammenta che il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1º dicembre 2009, ha rafforzato quanto previsto nel precedente Protocollo allegato al Trattato di Amsterdam, riconoscendo gli animali come esseri senzienti e imponendo al legislatore comunitario di tenere in considerazione tale status giuridico nel processo di formazione delle norme comunitarie. E non a caso, proprio recentemente il legislatore comunitario ha adottato un nuovo Regolamento in materia di «Denominazione dei prodotti tessili e relativa etichettatura» che per la prima volta introduce un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti non tessili di origine animale presenti nei capi di abbigliamento, quali pellicce, piume, pelle. Finalità di tale disposizione è stata quella di assicurare una maggiore trasparenza e consentire ai consumatori di compiere scelte informate ed evitare di acquistare erroneamente prodotti che probabilmente preferirebbero non comprare.
Sulla base di tale assunto, ossia che gli animali sono esseri senzienti il Legislatore comunitario, anche a seguito di forti istanze provenienti dalla società civile e da alcuni paesi membri tra cui l'Italia, ha emanato ben due Regolamenti che hanno messo al bando altrettanti settori che vedevano nello sfruttamento di cani, gatti e foche la loro ragione economica. Tali Regolamenti (Reg. CE 1523/07 sul divieto di uso di pellicce di cani e gatti, e Reg. CE 1007/09 sul divieto del commercio di pellicce e altri prodotti derivati dalla caccia commerciale delle foche) costituiscono il primo caso in cui l'Unione Europea ha superato i vincoli imposti dalle regole dettate dal mercato internazionale, facendo di scelte etiche nei confronti degli animali ed a tutela dei consumatori, un motivo necessario e sufficiente a bandire un intero commercio.
In ultimo, va ricordato che già dal 1999 la Raccomandazione del Consiglio d'Europa di Strasburgo del 22 giugno 1999 relativa alla protezione degli animali allevati per la produzione di pellicce, individua e descrive le reali esigenze etologiche del visone (specie allevata in Italia) e che teoricamente dovrebbero essere soddisfatte all'interno degli allevamenti al fine di assicurare un adeguato benessere degli animali. Il visone viene qui descritto come un animale che in condizioni naturali vive a stretto contatto con ambienti acquatici come fiumi e laghi; trascorre molto tempo nell'acqua per cacciare, mentre quando è sulla terraferma è solito camminare, scavare, arrampicarsi su rocce e alberi. Il suo habitat si estende per circa 2kmq, è un animale solitario e molto territoriale, e anche queste caratteristiche lo rendono inidoneo alle condizioni di vita tipiche di un allevamento intensivo.
Nella vigente legislazione nazionale che regolamenta l'attività di allevamento, il decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 146 (Attuazione della direttiva 98/58/CE relativa alla protezione degli animali negli allevamenti) indica il 31 dicembre 2010 come ultima scadenza per l'adeguamento delle gabbie dei visoni a parametri minimi dimensionali (da 1600 a 2550 cmq), consentendo quindi l'allevamento in gabbia per i visoni. Tale disposizione è palesemente in contrasto rispetto alle modalità di detenzione di altre specie animali (esempio conigli, cincillà) che possono essere allevati con lo stesso unico e principale scopo di produrre pellicce ma che la stessa norma dispone siano allevati a terra in recinzioni con arricchimenti ambientali. La norma in questione originariamente disponeva medesime modalità di allevamento anche per i visoni (a terra in recinti opportunamente costruiti e arricchiti; disponibilità di piccole vasche per consentire un minimo di attività in acqua); tuttavia, numerose sono state le modifiche intercorse prima che le prescrizioni diventassero efficaci e di fatto, oggi, resta discrezione del singolo allevatore decidere se tenere i visoni in gabbia o adeguarsi all'allevamento a terra.
Nella realtà dei fatti, i visoni allevati in Italia continuano a stare richiusi in allevamenti intensivi e dentro gabbie delle dimensioni di 2.550 cmq, ossia di circa 35 cm x 70 cm.
A fronte di una evoluzione normativa in materia di etichettatura e commercio sempre più orientata verso la tutela degli animali e dei consumatori, in tema di «allevamento» il benessere degli animali è decisamente trascurato, nonostante le palesi evidenze di quanto la vita in un allevamento intensivo non sia assolutamente idonea ad assicurare il soddisfacimento delle basilari condizioni etologiche per gli animali.
In conclusione, quello degli animali da pelliccia è il sistema di allevamento maggiormente controverso, anche perché ha indirizzato il mondo produttivo verso la sola valutazione della performance economica a scapito degli animali e delle loro caratteristiche etologiche.
Lo sfruttamento degli animali per la produzione di pellicce ha fatto nascere una forte opposizione nei cittadini e in particolare nelle giovani generazioni con un conseguente inevitabile crollo di questo mercato.
Oggi sempre più aziende del settore dell'abbigliamento e della moda stanno inserendo tra gli elementi di Responsabilità Sociale d'Impresa che contraddistingue le loro politiche aziendali, anche la questione del trattamento degli animali; sempre più aziende si pubblicizzano per non commercializzare pellicce animali e sempre più cittadini chiedono di vietare l'allevamento di animali per l'unico e principale scopo di produrre pellicce.
L'Italia in questi ultimi anni è stata il Paese guida nella Comunità Europea per la messa al bando di pratiche come il commercio di pellicce di cani e di gatti e come il commercio di prodotti derivati dalla caccia commerciale delle foche; oggi già alcuni Stati membri hanno espressamente vietato la pratica dell'allevamento di animali per la produzione di pellicce, nonostante tale attività avesse avuto una rilevanza economica nettamente maggiore rispetto a quanto ne abbia mai avuta in Italia.
è pertanto auspicabile che l'Italia confermi la volontà di proseguire nella costruzione di una società maggiormente attenta alle problematiche di sfruttamento dell'ambiente e degli animali ed è necessario che le Istituzioni rappresentative si facciano interpreti dei valori e delle istanze rivendicate dalla cittadinanza.
In armonia con la legislazione nazionale in materia di divieto di maltrattamento degli animali e anche alla luce della facoltà di adottare disposizioni nazionali più severe di quelle previste dalla Direttiva 98/58/CE in materia di «Protezione degli animali negli allevamenti», il presente progetto di legge ha dunque l'obiettivo di delineare un processo di dismissione dell'attività di allevamento di animali finalizzata alla principale produzione di pellicce.
DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.
(Finalità)
1. Lo Stato promuove e orienta lo sviluppo di attività economiche e di consumi alternativi a quelli che vertono sull'utilizzo di esseri senzienti in qualità di mezzi e risorse; condanna pertanto la pratica dell'allevamento, della cattura e dell'uccisione di animali allo scopo di utilizzare la loro pelliccia.
Art. 2.
(Definizioni)
1. Ai fini della presente legge, si intende per:
a) «Pelliccia»: una o più spoglie di animali sottoposte ad un trattamento di concia o impregnate in modo tale da conservare inalterata la struttura naturale delle fibre, o articoli con esse fabbricati.
b) «Pelle»: prodotti senza pelo ottenuti dalla lavorazione di spoglie di animali sottoposte a trattamenti di concia o impregnate in modo tale da conservare inalterata la struttura naturale delle fibre, nonché agli articoli con esse fabbricati; compresi cuoio e altri nomi derivati o sinonimi.
c) «Animale da pelliccia»: Cane procione (Nyctereutes procyonoides), Capra della Mongolia (Ovis Steatopyga), Castorino (detto Nutria. -- Myocastor coypus), Castoro (Castor canadensis), Cincillà (Chinchilla laniger), Coniglio (detto Lapin. -- Oryctolagus cuniculus), Coyote (Canis latrans), Donnola (Mustela nivalis), Ermellino (Mustela erminea), Foca (Phocidae), Gatto leopardo (Prionailurus bengalensis), Karakul (detto Astrakhan o Agnello Persiano. -- Ovis aries platyura), Lince (Lynx), Lontra (Lutra canadensis), Marmotta (Marmota marmota), Martora (Martes martes), Moffetta (o Skunk), Ocelot (Felis pardalis), Ondatra (detto Topo Muschiato. -- Ondatra zybethica), Opossum (Didelphis marsupialis), Procione (Procyon lotor), Puzzola (Mustela putorius), Scoiattolo (Sciurus carolinensis), Tasso (Meles meles), Visone (Mustela vison), Volpe (Vulpes vulpes), Zibellino (Martes zibellina).
Con lo stesso termine s'intendono anche: Coccodrillo (Crocodylia), Pitone (Python), Varano (Varanus).
d) «Allevamento di animali da pelliccia»: qualsiasi attività, professionale ovvero amatoriale, individuale ovvero collettiva volta alla generazione di animali con la principale finalità di utilizzare la loro pelle o pelliccia.
e) «Principale finalità»: si intende l'attività che apporta maggiore guadagno o profitto, determinata in base al criterio di redditività economica, ed ove non vi sia finalità di lucro, in base al criterio di utilità.
Art. 3.
(Divieti)
1. Sono vietati l'allevamento, la cattura e l'uccisione di animali da pelliccia di cui all'articolo 2, ovvero di animali appartenenti a qualsiasi altra specie per la principale finalità di ottenere pelle o pellicce.
2. è vietato produrre, esportare, sfruttare economicamente, trasportare, cedere o ricevere a qualunque titolo pelli o pellicce, di cui al comma precedente, ricavate da animali appositamente allevati, catturati o uccisi in Italia.
Art. 4.
(Regime transitorio)
1. Chiunque, all'entrata in vigore del divieto di cui all'articolo 3 comma 1, detenga a qualunque titolo uno o più animali per la principale finalità di produrre pelli o pellicce, avrà tempo fino al 31 marzo 2015 per la dismissione dell'allevamento e, comunque, per l'alienazione degli animali detenuti, purchè ciò non ne comporti la soppressione.
2. A decorrere dall'entrata in vigore della presente legge è vietato avviare nuove attività di cui all'articolo 2 comma 1 lettera d).
3. Gli animali presenti negli allevamenti in fase di dismissione, possono essere ceduti ad associazioni o enti individuate con decreto di cui all'articolo 3 della legge 20 luglio 2004, n. 189.
4. Gli animali di cui al comma 1 possono essere reintrodotti in ambienti naturali nell'ambito di progetti concordati di concerto fra il Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare ed il Ministero della salute, anche a seguito della proposta di associazioni o enti di cui al comma 3.
5. Nell'ambito delle attività connesse all'applicazione della presente legge, restano salvi gli obblighi per i proprietari, detentori e custodi di cui all'articolo 2 del deecreto legislativo n. 146 del 2001.
Art. 5.
(Abrogazioni)
1. A decorrere dalla data di applicazione del divieto di cui all'articolo 3 sono abrogati l'articolo 3 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 146 ed il punto 22 dell'Allegato di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 146 del 2001.
2. A partire dal 1º gennaio 2016, il codice attività Istat 01252 «Allevamento di animali da pelliccia» è soppresso.
Art. 6.
(Sanzioni e modifiche alla legge n. 189del 2004)
1. L'inosservanza delle disposizioni di cui all'articolo 3 della presente legge è punita ai sensi del comma 2 del presente articolo.
2. All'articolo 2 della legge 20 luglio 2004 n. 189 sono aggiunti i seguenti commi:
«2-ter. Chiunque alleva animali per la principale finalità di produrre pelle o pellicce è punito con la reclusione da mesi tre a mesi diciotto e con la multa da euro 1.000 a euro 5.000 per ciascun animale.
2-quater. Chiunque produce, esporta, commercializza, trasporta, detiene, cede o riceve a qualunque titolo pelli o pellicce, di cui al comma 2-ter, ricavate da animali appositamente allevati, catturati o uccisi in Italia, è punito con la reclusione da mesi quattro ad anni due e con la multa da euro 1.000 a euro 5.000 per ciascun animale.»).
3. Al comma 3 dell'articolo 2 della legge 20 luglio 2004 n. 189 le parole «consegue in ogni caso la confisca e la distruzione del materiale di cui ai commi 1 e 2-bis» sono sostituite con le parole «consegue in ogni caso la confisca e la distruzione del materiale di cui ai commi 1, 2-bis, 2-ter, 2-quater»).
4. Al comma 3-bis dell'articolo 2 della legge 20 luglio 2004 n. 189 le parole «per i reati previsti dai commi 1 e 2-bis» sono sostituite con le parole «per i reati previsti dai commi 1, 2-bis, 2-ter e 2-quater»).
Art. 7.
(Clausola di invarianza finanziaria)
1. Dall'attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri, né minori entrate, a carico della finanza pubblica.
2. Le amministrazioni interessate svolgono le attività previste dalla presente legge con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
Art. 8.
(Entrata in vigore e applicabilità)
1. La presente legge entra in vigore il quindicesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
2. I divieti di cui all'articolo 3 si applicano a decorrere dal 31 dicembre 2014.