SENATO DELLA REPUBBLICA
-------------------- XVII LEGISLATURA --------------------


12a Commissione permanente
(IGIENE E SANITA')




420ª seduta: giovedì 9 febbraio 2017, ore 8,45


ORDINE DEL GIORNO
IN SEDE CONSULTIVA

I. Seguito dell'esame dell'atto:
Le priorità dell'Unione europea per il 2017 (Programma di lavoro della Commissione europea per il 2017 e Relazione programmatica per il 2017 sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea) - Relatori alla Commissione FLORIS e ROMANO
(Parere alla 14a Commissione)
(n. 915)
II. Seguito dell'esame dell'atto comunitario:
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2004/37/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un'esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro - Relatore alla Commissione AIELLO
(Osservazioni alla 11ª Commissione)
(n. COM (2017) 11 definitivo)

PROCEDURE INFORMATIVE

Interrogazioni
Svolte

INTERROGAZIONI ALL'ORDINE DEL GIORNO

SERRA, GAETTI, TAVERNA, SANTANGELO, PUGLIA, BERTOROTTA, MORONESE, MARTELLI, DONNO, GIARRUSSO - Al Ministro della salute. -

Premesso che:

i melanomi cutanei che annualmente si rilevano in vari Paesi del mondo interessano, in una percentuale di circa l'85 per cento, le popolazioni di Nord-America, Europa e Oceania. Si tratta di uno dei principali tumori che insorge in giovane età e attualmente in Italia costituisce il terzo tumore più frequente in entrambi i sessi al di sotto dei 49 anni; oltre il 50 per cento dei casi di melanoma viene diagnosticato entro i 59 anni;

in Italia si stima che siano stati diagnosticati circa 11.000 nuovi casi di melanoma nell'anno 2015, tuttavia non esistono stime certe in virtù del fatto che sono molteplici i casi di melanoma che vengono asportati e non analizzati dal punto di vista istopatologico, ovvero non vengono inseriti nel registro tumori. I fattori che incidono nella formazione dei tumori sono compositi; il fattore ereditario incide solo in via residuale, tanto che solo nell'1-2 per cento delle persone affette da questa neoplasia si è riscontrata un'origine genetica della patologia;

il fattore di rischio che incide in maniera preponderante nella formazione della patologia è dato dall'esposizione ai raggi solari su cui incidono altri fattori, quali: l'età e il tipo di esposizione. La non corretta esposizione al sole, dunque, assume effetti esiziali sulla salute e nella formazione del melanoma. Evidenze scientifiche mettono in luce il nesso eziologico che intercorre tra l'esposizione al sole e lo sviluppo della patologia neoplasica, evidenziando che i raggi UVB possono provocare delle scottature e attraverso queste anche il melanoma. Allo stesso modo, i raggi UVA assumono rilievo nella formazione del melanoma;

la prevenzione e la diagnosi precoce, pur non essendo una panacea, contribuiscono fortemente nella lotta a questa patologia oncologica, anche grazie al fatto che la cute è un organo facile da ispezionare. Di recente, la ricerca ha migliorato e approfondito le conoscenze molecolari alla base del melanoma e ha sviluppato nuove terapie, le cosiddette targeted therapy, ovvero terapie mirate, in alternativa alla chemioterapia tradizionale. Si tratta di cure che interferiscono con la crescita e lo sviluppo della neoplasia, contrastando le cellule ed il microambiente tumorale. L'impiego di queste terapie parrebbe dare dei risultati più efficaci sia nella cura della patologia che nella salvaguardia della qualità della vita del paziente, in quanto vengono selezionate le molecole tumorali preservando le altre cellule dell'organismo. In buona sostanza, la terapia ha effetti antitumorali con il vantaggio dell'assenza degli esiti pregiudizievoli che derivano dalla tossicità dei farmaci chemioterapici;

considerato che:

recenti studi dimostrano che il Nivolumab, anticorpo monoclonale anti-PD -1 (Programmed Death 1), garantisce una migliore risposta rispetto ai farmaci chemioterapici standard nei pazienti con melanoma in fase avanzata che abbiano presentato progressione di malattia dopo trattamento con Ipilimumab/Yervoy (anticorpo monoclonale per il trattamento del melanoma avanzato, metastatico o inoperabile), il primo immunoterapico utilizzato nella terapia oncologica;

allo stato, la ricerca farmacologica sta sviluppando altri farmaci immunoterapici diretti contro il recettore dell'immune checkpoint PD - 1 (recettore immuno inibitore espresso dai linfociti attivati) e PD-L1 (Programmed cell Death Ligand 1, molecola della superficie cellulare che assume rilievo nella soppressione delle risposte immunitarie, soprattutto nel legame con il ricettore PD -1, sui linfociti T. PD - L 1);

il Nivolumab è un farmaco immuno-oncologico appartenente alla classe dei checkpoint inhibitor che agiscono rimuovendo un "freno" opposto al sistema immunitario dallo stesso tumore. In tal guisa, il farmaco rinforza la risposta immunitaria antitumorale e agevola la riduzione della massa tumorale;

tali evidenze rafforzano le prove in ordine al fatto che l'inibizione del recettore PD-1 si sta rivelando una parte fondamentale della strategia terapeutica contro il melanoma, in grado di surclassare la chemioterapia. Il Nivolumab parrebbe, infatti, più efficace e meno tossico. Occorre rilevare, inoltre, che il blocco del recettore PD-1 permette di dare una risposta apprezzabile anche in presenza di malattia in fase avanzata e di una grande massa tumorale. Il blocco del recettore PD-1 da parte del Nivolumab permette l'attivazione delle cellule T, la proliferazione e l'infiltrazione linfocitaria nei tumori da cui deriva la regressione del tumore;

l'impiego di tale farmaco dimostra miglioramenti nel trattamento di pazienti oncologici innalzando la percentuale di sopravvivenza rispetto alle cure chemioterapiche, riducendo il rischio di morte, nei casi di tumore del polmone, del 41 per cento e evidenziando un tasso di sopravvivenza a un anno del 42 per cento, come dimostrato nello studio di fase III CheckMate - 017, uno dei due studi su quali si è basata l'approvazione in Europa del Nivolumab nel trattamento del tumore del polmone in fase avanzata;

considerato inoltre che:

recentemente la Food and drug administration (FDA), agenzia per gli alimenti e i medicinali statunitense, ha approvato, con procedura accelerata, il Nivolumab in combinazione con Ipilimumab per il trattamento di pazienti con melanoma BRAF V600 wild-type, non resecabile o metastatico. È il primo caso di combinazione di farmaci immuno-oncologici approvata dall'agenzia statunitense. Tale procedura è stata determinata dall'efficacia del farmaco, in particolare dal tasso di risposta tumorale e alla durata."È la prima volta che un anticorpo inibitore del checkpoint immunitario PD-1 ha mostrato un tasso di risposta del 32% in uno studio clinico randomizzato di fase III in pazienti con melanoma non operabile o metastatico, in cui la malattia è progredita dopo la terapia di prima linea"; così ha commentato Jeffrey S. Weber, direttore del Donald A. Adam Comprehensive Melanoma Research Center al Moffitt Cancer Center, come riportato da "quotidianosanita" il 9 gennaio 2015;

il Nivolumab non è stato ancora approvato in Italia per il trattamento del melanoma, tuttavia il 22 settembre 2015 l'Agenzia italiana del farmaco, di concerto con il Ministero della salute, ha inserito il farmaco nella lista prevista dal decreto-legge 21 ottobre 1996, n. 536, convertito, con modificazioni, dalla legge del 23 dicembre 1996, n. 648, in ordine al trattamento del carcinoma polmonare squamoso non a piccole cellule,

si chiede di sapere:

se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza delle potenzialità terapeutiche nella cura delle neoplasie del farmaco immuno-oncologico Nivolumab rispetto alle tradizionali cure chemioterapiche e quali prospettive ritenga che sussistano in ordine al suo impiego in Italia;

quali siano le previsioni operabili allo stato attuale, in ordine all'impiego futuro del Nivolumab su pazienti con melanoma e quali siano le strategie che intenda promuovere nella cura, ma soprattutto nella prevenzione, dei tumori in generale e in particolare delle neoplasie cutanee.

(3-02654)


BIANCONI, ANITORI, AIELLO - Al Ministro della salute. -

Premesso che:

l'idrosadenite suppurativa (HS) è una malattia infiammatoria cronica dell'epitelio follicolare, sistemica, a decorso recidivante e debilitante;

insorge dopo la pubertà, generalmente tra i 21 e i 23 anni. Può manifestarsi a qualsiasi età, con maggiore probabilità nelle donne. Si presenta con lesioni dolorose a differente carattere, localizzate in regioni cutanee tipiche, ricche di ghiandole sudoripare apocrine;

non è ancora inserita nell'elenco delle possibili malattie rare perché non esistono studi certi sulla prevalenza. Infatti si stima che la prevalenza dell'HS in Italia sia intorno all'1 per cento. Si ritiene tuttavia che tale dato sia sottostimato: da una parte, perché il complesso quadro clinico richiede un'attenta e scrupolosa diagnosi differenziale in grado di escludere patologie con manifestazioni simili; dall'altra, perché molte persone non si rivolgono tempestivamente allo specialista dermatologo, spesso per imbarazzo o disagio;

la scala di Hurley classifica l'HS in 3 stadi clinici, fase I, II e III, in base alla sua gravità;

la gravità, l'entità, la frequenza e la ricorrenza sono variabili: da un'attività costante diffusa a episodi occasionali;

in molti casi, l'eziologia non è nota, anche se probabilmente è multifattoriale. Fattori di rischio sono la suscettibilità genetica, il tabagismo, l'obesità, le lesioni da taglio, la disregolazione della risposta immunitaria e i difetti ormonali;

contrariamente a un diffuso luogo comune, non è una malattia contagiosa, non è causata da infezioni e non è dovuta ad una scarsa igiene personale;

i trattamenti sono stati sviluppati empiricamente. A seconda dello stadio, sono disponibili diversi approcci. Ai pazienti si consiglia di perdere peso e smettere di fumare;

l'escissione radicale di tutte le fistole e degli ascessi sottocutanei è il trattamento più efficace per una cura a lungo termine. La guarigione secondaria (con le ferite chirurgiche aperte) potrebbe a volte garantire migliori possibilità di cura;

l'HS ha un forte impatto negativo sulla qualità della vita (fisico, mentale, professionale e privato, anche nella forma lieve), a causa delle lesioni episodiche maleodoranti e spesso molto dolorose, e dei sintomi generali sgradevoli alla vista;

emergono quindi le difficoltà dei pazienti legate alla gestione della patologia cronica che impedisce alle persone di svolgere normalmente anche le più comuni e semplici attività quotidiane e lavorative. Ad oggi la patologia non è ancora riconosciuta come cronica e soprattutto non è considerata invalidante;

considerato che:

oltre la metà dei malati, nel nostro Paese, attende più di un anno prima di rivolgersi a un medico, in aggiunta non esiste una rete di medici specializzati che condividono approccio terapeutico, psicologico, chirurgico e assistenziale, e pochissimi sono i centri di riferimento;

ciò, unito alla difficoltà per molti medici di medicina generale e dermatologi di diagnosticare tempestivamente la patologia e all'incertezza di guarire, provoca nel paziente uno stato di frustrazione e di solitudine;

dal primo contatto con il mondo sanitario alla diagnosi e terapia possono passare anni, manca una reale presa in carico del paziente e di interventi multidisciplinari rivolti in diversi ambiti come quello psicofisico, sociale e delle eventuali disabilità. In sostanza manca un percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale (PDTA) che risponda a requisiti ben definiti per permettere un confronto oggettivo tra aziende, presidi e società scientifiche che trattano l'HS,

si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo intenda prevedere l'istituzione di un tavolo tecnico ministeriale con gli stakeholder per un confronto costruttivo che possa portare alla definizione di un PDTA con valenza a livello regionale e nazionale.


(3-02808, già 4-05250)

RIZZOTTI- Al Ministro della salute. -

Premesso che:

il decreto ministeriale 19 novembre 2003, in materia di attività di preparazione del radiofarmaco (cosiddetto decreto Sirchia), ha consentito la preparazione e l'utilizzo del radiofarmaco [18F]FDG "presso centri di medicina nucleare delle strutture sanitarie pubbliche e private accreditate che risultano dotati di tomografo PET, di ciclotrone con annesso ambiente adibito all'allestimento di preparazioni radiofarmaceutiche, di servizio di farmacia e di personale in possesso dei titoli di specializzazione" in un momento storico in cui non erano disponibili radiofarmaci [18F]FDG provvisti di autorizzazione all'immissione in commercio (AIC), tali da coprire il fabbisogno di tutto il territorio nazionale;

a distanza di 13 anni dalla promulgazione del decreto, il contesto nazionale appare notevolmente mutato. Sul territorio risulta infatti consolidata la disponibilità del radiofarmaco [18F]FDG per diagnostica PET, dotato di autorizzazione all'immissione in commercio, ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 219 del 2006;

in base al citato articolo 6, "nessun medicinale può essere immesso in commercio sul territorio nazionale senza aver ottenuto un'autorizzazione dell'AIFA o un'autorizzazione comunitaria a norma del regolamento (CE) n. 726/2004 in combinato disposto con il regolamento (CE) n. 1394/2007";

l'AIC è richiesta, in particolare, anche per i generatori di radionuclidi, i kit e i radiofarmaci precursori di radionuclidi, nonché per i radiofarmaci preparati industrialmente, fatta eccezione per i radiofarmaci preparati al momento dell'uso, secondo le istruzioni del produttore, da persone o stabilimenti autorizzati ad usare tali medicinali, in uno dei centri di cura autorizzati e purché il radiofarmaco sia preparato a partire da generatori, kit o radiofarmaci precursori, per i quali sia stata rilasciata l'AIC;

inoltre, sono esclusi dall'applicazione della normativa in materia di AIC i medicinali preparati industrialmente su richiesta del medico, il quale si impegna ad utilizzare i suddetti medicinali su un determinato paziente proprio o della struttura, in cui opera, sotto la sua diretta e personale responsabilità; a tale ipotesi si applicano, ai fini della prescrizione, le disposizioni previste per le preparazioni magistrali dall'articolo 5 del decreto-legge n. 23 del 1998, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 94 del 1998;

nonostante l'obbligo generale imposto dall'art. 6 del decreto legislativo n. 219 del 2006, persistono situazioni di produzione e distribuzione a terzi del farmaco radioattivo [18F]FDG, prodotto come galenico da ospedali e strutture sanitarie, in applicazione del citato decreto 19 novembre 2003, sebbene siano venute meno nel tempo le esigenze che hanno motivato l'adozione del provvedimento;

considerato, inoltre, che:

i farmaci dotati di AIC possiedono i più elevati requisiti di qualità, sicurezza ed efficacia a fronte di un'accurata valutazione da parte dell'AIFA, sulla base degli stringenti obblighi posti dall'art. 8 del decreto legislativo n. 219 del 2006;

quanto rappresentato ha indotto, già nel 2012, il direttore generale di AIFA, professor Luca Pani, con una lettera inviata al Ministero in indirizzo, ad esprimere forti perplessità rispetto all'opportunità di mantenere in vigore il decreto ministeriale 19 novembre 2003, evidenziando che la commercializzazione di un medicinale ad uso umano, e quindi anche del [18F]FDG, debba avvenire nel rispetto dei requisiti di qualità, sicurezza ed efficacia garantiti dall'autorità regolatoria, a seguito della valutazione del dossier preparato dall'azienda;

le medesime criticità sono state manifestate al Ministro in indirizzo dal presidente dell'Associazione farmaceutici industria (AFI), dottor Alessandro Rigamonti, con lettera del 18 dicembre 2015, ove è stato evidenziato che "il radiofarmaco prodotto presso i presidi ospedalieri è preparato esclusivamente secondo i criteri di qualità stabiliti dalla Farmacopea (es. Farmacopea Europea), che ne definisce solo profilo analitico e metodiche di controllo atte a determinarlo, senza fornire specifiche indicazioni sulle modalità del processo produttivo";

la distribuzione di [18F]FDG, privo di AIC, consente, dunque, secondo il presidente dell'AFI, l'instaurarsi di un diverso livello di garanzia di sicurezza per il paziente, a seconda che questi riceva un preparato galenico o un prodotto munito di autorizzazione all'immissione in commercio, in conformità con le norme europee vigenti in materia e garantita dall'Autorità competente nazionale;

rilevato, infine, che:

nella nota del 5 aprile 2016 l'AIFA ha ribadito, inoltre, che la normativa vigente consente l'utilizzo di medicinali sprovvisti di AIC solo in condizioni eccezionali stabilite dalla legge e che la mancanza di un'accurata valutazione dei requisiti di qualità, sicurezza ed efficacia del farmaco, assicurata dal rilascio dell'AIC, espone i pazienti a potenziali rischi per la salute;

l'assenza delle garanzie di controllo e qualità, previste nell'ambito dei procedimenti di autorizzazione all'immissione in commercio, di cui al decreto legislativo n. 219 del 2006, comporta anche dei rischi per la salute degli operatori sanitari coinvolti nel processo di produzione di tali farmaci;

l'esistenza di una rete di officine farmaceutiche autorizzate da AIFA alla produzione di [18F]FDG e capace di garantire la copertura del fabbisogno nazionale annulla di fatto le ragioni per le quali era stato emanato il citato decreto Sirchia,

si chiede di sapere per quale ragione non siano ancora state valutate dal Ministro in indirizzo le ripetute segnalazioni ricevute in merito al decreto ministeriale 19 novembre 2003 e quali siano le motivazioni che ostano all'abrogazione dello stesso, nonostante queste risultino coerenti con l'azione del Governo finalizzata alla semplificazione e alla regolarizzazione normativa.

(3-03192)