MARCUCCI, MALPEZZI, MIRABELLI, STEFANO, VALENTE, FERRARI, COLLINA, BINI, CIRINNA', ALFIERI, ASTORRE, BELLANOVA, BITI, BOLDRINI, BONIFAZI, COMINCINI, CUCCA, D'ALFONSO, D'ARIENZO, FARAONE, FEDELI, FERRAZZI, GARAVINI, GIACOBBE, GINETTI, GRIMANI, IORI, LAUS, MAGORNO, MANCA, MARGIOTTA, MARINO, MESSINA Assuntela, MISIANI, NANNICINI, PARENTE, PARRINI, PATRIARCA, PINOTTI, PITTELLA, RAMPI, RENZI, RICHETTI, ROJC, ROSSOMANDO, SBROLLINI, SUDANO, TARICCO, VATTUONE, VERDUCCI - Il Senato,
premesso che:
nel contratto di governo si legge testualmente che: "Con riguardo alla Linea ad Alta Velocità Torino-Lione, ci impegniamo a ridiscuterne integralmente il progetto nell'applicazione dell'accordo tra Italia e Francia";
l'analisi del rapporto tra costi e benefici sulle grandi opere infrastrutturali, tra cui la Tav Torino-Lione, è stata annunciata dal Governo sin dalla scorsa estate. Il 24 luglio 2018, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha dichiarato che qualsiasi azione volta alla prosecuzione dei cantieri si sarebbe configurata come un "atto ostile" nei confronti del Governo, fintanto che l'Esecutivo non avesse sciolto i dubbi e concluso la nuova analisi;
la pubblicazione dei risultati dell'analisi erano stati annunciati dapprima entro l'estate, successivamente entro novembre, poi entro la fine dell'anno, poi ancora per il mese di gennaio fino ad arrivare al 12 febbraio 2019, quando è stata pubblicata sul sito del Ministero;
il Ministro ha inoltrato i risultati, prima ancora della pubblicazione sul sito ministeriale, al Governo francese e alla Commissione europea, ignorando il Parlamento italiano che a più riprese aveva chiesto di essere tempestivamente informato sugli esiti;
il Ministro ha altresì impedito alle competenti Commissioni parlamentari di procedere all'audizione del professor Ponti prima della pubblicazione dei risultati adducendo come motivazione il fatto che il Governo si era impegnato a condividere le conclusioni dell'analisi prima con gli interlocutori internazionali direttamente interessati;
considerato che:
le denunce di accesso agli organi competenti da parte di parlamentari del Gruppo PD hanno fatto emergere il ritardo e le contestazioni della Corte dei conti sulle procedure di nomina della struttura di missione chiamata a predisporre l'analisi del rapporto tra costi e benefici. La stessa modalità di composizione della struttura tecnica di missione che ha redatto la suddetta analisi palesava sin dall'inizio non solo un evidente orientamento contrario nei confronti dell'opera ma anche conflitti di interesse;
uno dei componenti, il professor Pierluigi Coppola, non ha firmato il documento conclusivo contestandone il metodo di lavoro e le conclusioni: una spaccatura che ha da subito messo in discussione la stessa terzietà delle conclusioni;
il documento stabilisce che il "VANE" (valore attuale netto, saldo tra i costi dell'opera, lavori e gestione, i costi esterni, i minori benefici per utenti e operatori, e dall'altra parte i benefici economici diretti e indiretti) è pari a 6.995 milioni di euro nello scenario "realistico" di previsioni di traffico (25,2 milioni di tonnellate di merci nel 2059) e pari a 7.805 milioni nello scenario "ottimistico" (previsioni dell'osservatorio 2011, 51,8 milioni di tonnellate);
uno dei principali paradossi dell'analisi è stata addirittura quella di annoverare tra le "negatività" dell'opera persino il mancato introito derivante dalle accise sul carburante usato dai tir a fronte di un miglioramento in termini ambientali;
tali cifre sono state immediatamente contestate da numerosissimi esperti, centri di ricerche e organismi imparziali;
dal documento redatto dal gruppo del professor Ponti emergono con forza le incongruenze circa le dichiarazioni che hanno accompagnato in questi mesi il lavoro del ministro Toninelli a partire dalla negazione che gli scavi del tunnel non fossero iniziati, salvo poi ammettere, come riporta lo stesso sito, che sono stati già scavati diversi chilometri del tunnel di base oltre ai 25 chilometri di gallerie di servizio;
preso atto che:
in data 1° marzo 2019, secondo quanto riportato da numerosi organi di stampa, il Presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, ha espresso un parere positivo sull'ipotesi di realizzazione della "mini Tav" proposta dalla Lega come soluzione alternativa al progetto originario della Tav Torino-Lione. In data 3 marzo il Vice Presidente del Consiglio dei ministri, Luigi Di Maio, ha nettamente respinto ogni ipotesi di realizzazione della "mini Tav", evidenziando una grave divergenza di opinioni all'interno della compagine di Governo;
il Presidente del Consiglio dei ministri ha altresì evidenziato come l'analisi fosse veramente inaffidabile, al punto da portarlo a richiedere, in considerazione anche della necessità di restituire credibilità al Paese, un'integrazione del documento pubblicato il 12 febbraio. Tale integrazione ha portato ad una forte riduzione delle perdite previste nel documento originario, lasciando tuttavia ancora vivi dubbi e criticità sul metodo di analisi adottato;
la proposta di realizzazione della "mini Tav" appare del tutto irrealistica, in quanto il progetto comporterebbe l'avvio di nuove procedure burocratiche, l'attuazione di interventi di ripristino di lavori già fatti, la perdita di ingenti finanziamenti, il pagamento di pesanti penali, la messa in crisi delle imprese coinvolte e la perdita di numerosi posti di lavoro. Essa si configura, quindi, soltanto come una maldestra exit strategy dalla situazione politica che si è venuta a creare nella maggioranza di Governo;
rilevato che:
i bandi di gara della Telt (società italo-francese che coordina la costruzione dell'opera) per l'avvio dei lavori della TAV Torino-Lione risultano essere bloccati dal mese di settembre 2018. Di fatto, sono stati persi ben sei mesi che avrebbero consentito al nostro Paese di proseguire i lavori di realizzazione dell'infrastruttura;
in questi giorni, grazie all'utilizzo di escamotage lessicali, su vari organi di informazione sono state diffuse notizie confuse sulla gestione dei bandi di gara della Telt che in realtà nascondono un vero e proprio via libera del Governo ai medesimi per scongiurare il rischio della perdita di 300 milioni di euro di finanziamenti da parte dell'Unione europea;
le risorse economiche stanziate per la realizzazione della Tav hanno una grandissima valenza anche in chiave occupazionale considerando che sono a rischio complessivamente 50.000 posti di lavoro;
l'unica vera analisi del rapporto tra costi e benefici è stata già effettuata nella XVII Legislatura e riportata nell'ambito dell'allegato al DEF 2017 "Connettere l'Italia: fabbisogni e progetti di infrastrutture" e specificata nell'allegato al DEF 2018 "Connettere l'Italia: lo stato di attuazione dei programmi per le infrastrutture di trasporto e logistica";
una delle più importanti azioni di project review ha interessato proprio la tratta in questione ed in particolare la prima fase della tratta italiana di adduzione al tunnel di base del collegamento che ha fatto registrare un risparmio pari a quasi 2 miliardi e mezzo di euro, passando da 4 miliardi e 393 milioni di euro a un miliardo e 910 milioni di euro. Tale revisione è stata recepita con delibera Cipe 22 dicembre 2017;
osservato che:
la vicenda della Tav Torino-Lione è indicativa di come il Ministro stia affrontando l'intera materia delle infrastrutture nel nostro Paese;
nel corso dell'esame della legge di bilancio per il 2019 è stata posta in essere, con l'avallo del Ministro delle infrastrutture e trasporti, una serie di definanziamenti e tagli ai danni di Anas e Ferrovie che rischiano di compromettere numerosi investimenti nel Paese. Il fondo investimenti Anas, come denunciato anche dall'ANCE, è stato definanziato per un miliardo e 827 milioni. Ferrovie dello Stato ha subito un taglio di oltre un miliardo e 200 milioni di euro sulle disponibilità del prossimo triennio;
dall'evoluzione della vicenda Tav Torino-Lione, emerge che il Ministro avrebbe mentito al Parlamento e al Paese nonché al Governo francese e all'Unione europea, sottoponendo all'attenzione di tutti un'analisi del rapporto tra costi e benefici palesemente infondata e ora oggetto di "aggiustamenti" da parte del Presidente del Consiglio dei ministri;
il suddetto comportamento appare del tutto incompatibile con il ruolo ricoperto;
visto l'articolo 94 della Costituzione;
visto l'articolo 161 del Regolamento del Senato della Repubblica,
esprime la propria sfiducia al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Danilo Toninelli, e lo impegna a rassegnare immediatamente le proprie dimissioni.
(1-00091) (5 marzo 2019)
BERNINI, MALAN, GALLIANI, GALLONE, GIAMMANCO, LONARDO, MALLEGNI, MANGIALAVORI, MOLES, RIZZOTTI, RONZULLI, PICHETTO FRATIN, VITALI, AIMI, ALDERISI, BARACHINI, BARBONI, BATTISTONI, BERARDI, BERUTTI, BIASOTTI, BINETTI, CALIENDO, CANGINI, CARBONE, CAUSIN, CESARO, CONZATTI, CRAXI, DAL MAS, DAMIANI, DE POLI, DE SIANO, FANTETTI, FAZZONE, FERRO, FLORIS, GASPARRI, GHEDINI, GIRO, MASINI, MESSINA Alfredo, MINUTO, MODENA, PAGANO, PAPATHEU, PAROLI, PEROSINO, ROMANI, ROSSI, SACCONE, SCHIFANI, SCIASCIA, SERAFINI, SICLARI, STABILE, TESTOR, TIRABOSCHI, TOFFANIN - Il Senato,
negli ultimi mesi si sono susseguite, a mezzo stampa, dichiarazioni da parte del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Danilo Toninelli, in relazione al futuro di infrastrutture e grandi opere, molte delle quali già avviate;
l'eventuale ritrattazione degli accordi già assunti da parte del Governo su opere strategiche comporterebbero costi ulteriori a carico di cittadini e imprese;
questa superficiale gestione da parte del Ministro, che si lega ad una convulsa attività di comunicazione per dimostrare l'operatività del suo dicastero, si scontra con la realtà dei fatti che dimostrano come a distanza di quasi dieci mesi dal suo insediamento, il Ministro si sia distinto solo per infortuni, dichiarazioni avventate e gaffe, tra le quali si ricordano quelle relative: al tunnel del Brennero; alle promesse di ricostruzione in pochi mesi del cosiddetto ponte Morandi; alla nomina e subito dopo alla revoca nonché alle dimissioni di alcuni componenti della commissione ispettiva sul crollo; ai numerosi post pubblicati sui social network anche a seguito di eventi drammatici, che denotano l'assoluta sfrontatezza e superficialità nello svolgimento delle prerogative istituzionali a lui attribuite;
in riferimento all'alta velocità Torino-Lione, si è assistito in queste ultime settimane ad una gestione irresponsabile non solo dei rapporti diplomatici con la vicina Francia, in relazione al futuro di questa grande opera, ma anche ad una ritrattazione frequente delle analisi del rapporto tra costi e benefici, riscontrando da parte del Ministro più un "pregiudizio di parte" nella realizzazione dell'opera che la volontà di confrontarsi costruttivamente, con numeri alla mano, per sbloccare un'impasse che rischia di comportare gravi ripercussioni economiche al nostro Paese;
mentre i tecnici erano impegnati nella stesura dell'analisi, il Ministro, in un'intervista, esprimeva la propria opinione sull'alta velocità Torino-Lione, affermando che "la Tav è un enorme spreco di denaro pubblico, non avallato da effettiva necessità";
il Parlamento è in attesa della nuova analisi del rapporto tra costi e benefici (ACB), del gruppo di esperti presieduto dal professor Ponti, promossa dal Ministro (le cui linee seguono quelle della ACB iniziale) relativa all'ultimazione dell'opera, con un saldo completamente diverso e ora molto meno negativo, conseguente all'ipotesi di una "mini TAV". Tutto ciò farebbe pensare alla falsità della precedente ACB;
tali comportamenti del Ministro stanno bloccando le grandi opere e riducendo la nostra credibilità;
a giudizio dei firmatari del presente atto, è evidente, tra l'altro, come un'attenta analisi delle iniziative poste in essere fino ad oggi dal ministro Toninelli, non risultino in alcun modo in grado di incidere sulle criticità del nostro Paese contribuendo, al contrario, all'indebolimento delle opere infrastrutturali in un contesto di crisi devastante, che determina livelli di arretratezza totalmente insostenibili;
lo stesso Ministro, che come gli altri dovrebbe rappresentare una figura chiave della compagine governativa ed è chiamato ad essere e ad apparire trasparente rispetto ai propri impegni ed ai propri comportamenti, è venuto meno, ad avviso dei proponenti, ai suoi doveri essenziali;
si continua, inoltre, ad assistere ad una forte contrapposizione tra le due forze di maggioranza in relazione al futuro delle grandi opere che denota che la permanenza in carica dell'Esecutivo non consente di affrontare e risolvere alcuno dei gravi problemi del nostro Paese;
prima di assumere le funzioni di Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il sen. Danino Toninelli, il 1° giugno 2018, ha prestato giuramento dinnanzi al Presidente della Repubblica, secondo la formula rituale indicata dall'art. 1, comma 3, della legge n. 400 del 1988: "Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della nazione";
il giuramento rappresenta l'espressione del dovere di fedeltà che incombe, in modo particolare, su coloro che svolgono funzioni pubbliche fondamentali, in base all'art. 54 della Costituzione, e pertanto, il Ministro ha assunto le proprie responsabilità sin dal giuramento;
il programma presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri a nome del Governo prevede la ridiscussione della Tav, e comunque il suo completamento. Il presidente Conte nella sua illustrazione al Senato ha testualmente detto: "Con le nostre scelte politiche ci adopereremo per anticipare i processi - peraltro già in atto - di decarbonizzazione del nostro sistema produttivo" ed inoltre: "Ci impegniamo a governare questi processi aperti all'innovazione tecnologica nel segno dello sviluppo al servizio dell'uomo. Vogliamo rivendicare, anche in questo campo, un ruolo alto della politica, che sia capace di orientare e governare i cambiamenti della realtà sociale, economica e culturale. Non siamo disponibili a sacrificare l'ambiente e il progetto di una blue economy per scopi altri". Ed ha proseguito: "Dobbiamo ridare slancio agli appalti pubblici, che sono e possono diventare una leva fondamentale della politica economica del Paese" ed inoltre " Dobbiamo assicurare il rispetto rigoroso dei tempi di consegna delle opere, ma anche la qualità dei lavori e delle forniture e l'efficienza dei servizi";
quindi le decisioni assunte, e soprattutto quelle non assunte, dal ministro Toninelli risultano in evidente contrasto con lo stesso programma di Governo presentato al Senato dal Presidente del Consiglio dei ministri Conte e soprattutto contro l'interesse della nazione, che sta segnando, anche a causa del blocco delle principali opere pubbliche, una recessione economica già registrata negli ultimi due trimestri del 2018;
visto l'articolo 94 della Costituzione e visto l'articolo 161 del Regolamento del Senato della Repubblica,
MALPEZZI, BOLDRINI, MARCUCCI, MIRABELLI, STEFANO, VALENTE, FERRARI, COLLINA, BINI, CIRINNA', IORI, RAMPI, VERDUCCI - Al Ministro della salute - Premesso che a quanto risulta agli interroganti:
in data 18 marzo 2019 è stata inviata alle Università una circolare con cui il Ministero dell'istruzione, dell'Università e della ricerca dà il via, con le modalità tradizionali, ai tirocini professionalizzanti per i laureati in Medicina, necessari per poter essere ammessi all'esame di Stato per l'abilitazione alla professione medico-chirurgica. Le modalità di questo esame di Stato sono state riformate dal decreto ministeriale n. 58 del 2018, ma, come si legge nella circolare: "Si rammenta che, ai sensi dell'articolo 7, comma 2, del decreto ministeriale 9 maggio 2018, n. 58, in regime transitorio e per due anni dall'entrata in vigore del predetto decreto, si continuano ad applicare le modalità di svolgimento del tirocinio professionalizzante "fuori" dal corso di studio, così come previsto all'articolo 2 del decreto ministeriale 19 ottobre 2001, n. 445";
"Di conseguenza, prosegue il Ministero, nelle more dell'adozione dell'ordinanza ministeriale con la quale saranno fissate le date di svolgimento delle prove dell'esame di Stato per l'anno 2019 ed indicate le modalità di svolgimento della prova stessa, si invitano codesti Atenei a porre in essere, con la massima urgenza, tutti gli adempimenti necessari a consentire l'avvio dei tirocini trimestrali obbligatori di cui all'articolo 2 del decreto ministeriale 19 ottobre 2001, n. 445";
"La data di inizio dei predetti tirocini, si precisa, per la prima sessione utile, è fissata al 10 aprile 2019. La domanda di ammissione ai suddetti tirocini deve essere presentata entro e non oltre il 29 marzo 2019. Al tirocinio trimestrale organizzato dall'Ateneo potranno essere ammessi solo coloro i quali siano in possesso del titolo di studio conseguito presso il medesimo Ateneo";
se tale circolare ha rassicurato i neo-laureati in Medicina dell'anno accademico 2017/18, e la cui ultima sessione di laurea è in corso di svolgimento, i quali erano finora nella totale incertezza sul futuro che li attendeva per poter sostenere l'esame di Stato (l'esito positivo è necessario anche per partecipare al concorso di ammissione alle scuole di specializzazione medica), ha invece lasciato nel dubbio gli studenti che si laureeranno nell'anno accademico 2018/19, cioè tra giugno 2019 e marzo 2020. Essi, infatti, non hanno ancora saputo se svolgeranno un tirocinio professionalizzante post-laurea dedicato, o saranno inseriti nello stesso percorso di tirocinio pre-laurea che sarà organizzato per gli studenti che frequenteranno l'ultimo anno di corso nel 2019/20;
in questo caso, si creerà una situazione di sovraffollamento, di difficile valutazione dello studente/laureato e di vero e proprio imbuto formativo; inoltre, non è ancora stato chiarito se tali studenti svolgeranno l'esame di Stato in base alle modalità previgenti o quelle derivanti dal decreto ministeriale n. 58 del 2018 e ciò determina un ulteriore rischio di penalizzazione proprio degli studenti migliori che pianificano i loro tempi e metodi di studio;
l'esame di ammissione alle scuole di specializzazione per l'anno accademico 2017/18 si è svolto nel mese di luglio 2018, quindi con più di otto mesi di ritardo rispetto all'inizio dell'anno accademico;
non si conosce ancora la data di svolgimento di quello relativo all'anno accademico 2018/19, ma comunque, considerati i tempi del tirocinio professionalizzante appena stabiliti, il ritardo non potrà che rimanere uguale o aumentare ancora;
l'"imbuto" formativo rischia di aggravare gli effetti del ritardo, incrementando il numero di giovani medici laureati e abilitati in attesa di entrare in una scuola di specializzazione, passo importante dal punto di vista formativo e assolutamente necessario per la maggior parte degli impieghi medici, sia nel settore pubblico, che in quello privato della sanità;
questo numero è già adesso molto alto, perché si sono aumentati i posti nei corsi di laurea in Medicina, senza contestualmente aumentare di pari passo le borse per le scuole di specializzazione e rischia di crescere ancora;
per l'anno 2017/18, a fronte di 16.046 candidati laureati e abilitati, il numero totale di contratti di specializzazione messi a bando è stato pari a 6.934 (6.200 statali, 640 regionali, 94 finanziati da enti pubblici e privati): ben 9.112 giovani medici non hanno potuto quindi proseguire il loro percorso formativo;
non si tratta certamente, come è sembrato di capire da una dichiarazione del Ministro in indirizzo, di trasformare la formazione specialistica in formazione-lavoro, perché ciò è già realtà da molti anni e sugli specializzandi si basa molta dell'attività assistenziale svolta dagli ospedali pubblici, dove gravitano facoltà universitarie di Medicina, quanto piuttosto di investire di più incrementando il numero dei contratti disponibili per i posti di specializzazione e di recuperare i ritardi,
si chiede di sapere quali iniziative il Ministro in indirizzo intenda adottare, al fine di evitare un ulteriore aggravamento della situazione dovuto ai ritardi e agli "imbuti" formativi, facendo fronte al ben noto problema strutturale di allarmante carenza di medici specialisti.
BRIZIARELLI - Al Ministro della salute - Premesso che:
la "golden hour", secondo tutta la letteratura scientifica, è considerata un lasso di tempo fondamentale che condiziona in maniera determinante l'esito dell'intervento di soccorso dei mezzi impegnati nel servizio dell'emergenza-urgenza;
nell'ambito della riorganizzazione della rete ospedaliera e dell'emergenza-urgenza in atto nella Regione Umbria, con delibera n. 227 del 22 febbraio 2017 del direttore generale dell'azienda sanitaria locale Umbria n. 1, mai notificata ai Comuni interessati, si disponeva, a partire dal 1° marzo 2017, la chiusura di tutte le attività a carattere ospedaliero (attività di ricovero di Medicina e chirurgia, "Stroke Unit", pronto soccorso) svolte presso il presidio di Città della Pieve, che fornisce un ampio bacino di utenza della regione in un'area peraltro disagiata;
il 24 aprile 2017 il Comune di Montegabbione (Terni), i cui cittadini fruivano dei servizi soppressi in ragione della vicinanza territoriale, ricorreva al TAR Umbria (ricorso r.g. n. 199-2017), contro l'azienda unità sanitaria locale Umbria n. 1 (resistente) e contro la Regione Umbria (controinteressato), per l'annullamento, previa sospensiva, della citata delibera;
il 7 febbraio 2018 il TAR, con sentenza n. 98/2018, accoglieva il ricorso, in particolare relativamente alla contestata chiusura del pronto soccorso, riconoscendo il supremo interesse al diritto alla salute, e ordinandone la riapertura;
il 22 febbraio 2018 l'azienda sanitaria locale Umbria n. 1 ricorreva in appello presso il Consiglio di Stato (Sez. III, n. R.G. 1684/2018) per l'annullamento della sentenza del TAR Umbria n. 98/2018;
il 15 marzo 2018 anche la Regione Umbria si univa al ricorso proposto dalla AUSL n. 1;
il 19 settembre 2018 il Consiglio di Stato, con sentenza n. 05459/2018, accoglieva il ricorso di AUSL n. 1, sostenendo che il tempo di intervento delle ambulanze debba essere calcolato non dal momento della partenza del mezzo dal pronto soccorso, ma da quello di arrivo sul luogo dell'intervento richiesto;
considerato che la sentenza del Consiglio di Stato potrebbe divenire un precedente tale da condizionare sull'intero territorio nazionale il calcolo della "golden hour" e quindi legittimare a livello nazionale un ulteriore taglio a strutture ospedaliere e a servizi di emergenza-urgenza,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo non ritenga opportuno fornire un chiarimento interpretativo delle norme vigenti riguardo alla "golden hour", in modo da chiarire in via definitiva le modalità relative agli interventi di emergenza-urgenza del servizio del 118.
CASTELLONE, PISANI Giuseppe, ROMAGNOLI, MAUTONE, MARINELLO, ENDRIZZI, DI MARZIO, SILERI - Al Ministro della salute - Premesso che:
il comma 514 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio per il 2019), ha stabilito che per l'anno 2019, il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard, cui concorre lo Stato, è determinato in 114.439 milioni di euro. Tale livello è incrementato di 2.000 milioni di euro per l'anno 2020 e di ulteriori 1.500 milioni di euro per l'anno 2021;
per gli anni 2020 e 2021, l'accesso delle Regioni all'incremento del livello del finanziamento rispetto al valore stabilito per l'anno 2019 è subordinato alla stipula, entro il 31 marzo 2019, di una specifica intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano per il Patto per la salute 2019-2021, che contempli misure di programmazione e di miglioramento della qualità delle cure e dei servizi erogati e di efficientamento dei costi (articolo 1, comma 515);
le Regioni hanno elaborato un documento programmatico sui temi principali che dovrebbero caratterizzare il futuro Patto per la salute 2019-2021. Tale testo, approvato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome il 13 febbraio 2019, impegna il Governo a definire gli obiettivi di salute da perseguire e le modalità attuative, a partire dalle misure previste al comma 516 dell'art. 1 della legge di bilancio per il 2019;
in particolare, le Regioni chiedono in via preliminare che il Governo concordi sui seguenti punti:
prevedere una revisione dei meccanismi di controllo dei processi e dei costi, individuando significativi e sintetici indicatori di risultato sullo stato di "salute" del singolo Servizio sanitario regionale, alla luce dell'evidenza che la garanzia dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) sia irrinunciabile, ma che allo stato attuale questo trend non sia più sostenibile e ponga a rischio la sopravvivenza del Servizio sanitario nazionale stesso;
affrontare il tema della governance del Servizio sanitario nazionale, dei ruoli e dei rapporti tra gli attori istituzionali coinvolti: il Governo centrale, le Regioni, le agenzie nazionali Aifa e Agenas, l'Istituto Superiore di Sanità;
rimettere al centro dell'azione la formazione e la valorizzazione del "capitale umano", prevedendo nuove metodologie di definizione dei fabbisogni organizzativi e formativi coerenti agli obiettivi della programmazione sanitaria nazionale e regionale;
considerato, inoltre, che:
il Servizio sanitario nazionale rappresenta una pietra miliare nello sviluppo e nella coesione sociale del Paese ed è quindi necessario che la Sanità sia messa al centro delle azioni e dell'agenda del Governo per fornire ai cittadini servizi sanitari efficaci, innovativi e qualitativamente adeguati, perseguendo la sostenibilità del sistema attraverso l'efficienza dei propri processi programmatori, organizzativi e di produzione;
la Sanità è il comparto del settore pubblico che ha visto costantemente scendere il suo livello di finanziamento in proporzione al PIL, scontando anche la volontà dei vari Governi di trasferire in capo alle Regioni le difficoltà di sostenere le politiche pubbliche in periodi di crisi finanziaria, nonostante numerosi studi abbiano indicato, al contrario, come, in fasi critiche del ciclo economico, l'investimento nel settore salute sia stato in grado di produrre effetti a breve termine e contribuire significativamente alla ripresa economica,
si chiede di sapere:
quali azioni il Ministro in indirizzo intenda adottare, per implementare il nuovo Patto per la salute 2019 - 2021, in vista della scadenza del 31 marzo prevista dalla legge di bilancio per il 2019;
come intenda intervenire anche nel nuovo Patto per la salute, affinché venga garantito il principio dell'uguaglianza dei cittadini nell'accesso alle cure e si riducano le diseguaglianze in tema di assistenza sanitaria tra il nord ed il sud del Paese.
CIRIANI, DE BERTOLDI - Al Ministro dell'economia e delle finanze - Premesso che:
nelle ultime settimane si è riacceso il dibattito politico sulla riduzione delle tasse attraverso la "flat tax", la cosiddetta tassa piatta;
secondo quanto risulta dal programma di Governo sottoscritto dai due partiti di maggioranza, all'inizio della XVIII Legislatura, era prevista l'introduzione di due aliquote fisse al 15 per cento e al 20 per cento per persone fisiche, partite IVA, imprese e famiglie;
la legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio per il 2019), ha introdotto, in forma limitata, l'estensione del regime forfettario della cosiddetta flat tax al 15 per cento, soltanto per i lavoratori autonomi con ricavi fino a 65.000 euro e, dal 2020 in maniera altrettanto forfettaria, un'imposta sostitutiva del 20 per cento sulla quota eccedente fino a 100.000 euro;
tali misure interessano una platea di destinatari molto ridotta, considerato che coinvolgerebbero soltanto 320.000 partite IVA, su un totale complessivo di circa 4 milioni, escludendo il 92 per cento delle imprese;
le recenti dichiarazioni del Governo e dei partiti di maggioranza sulle modalità relative alle prossime misure da introdurre, nell'ambito dell'estensione della flat tax anche ai lavoratori dipendenti e alle famiglie, appaiono a giudizio degli interroganti anche in questa occasione ondivaghe e contraddittorie, considerato che la Lega sembrerebbe intenzionata ad applicare l'aliquota unica dell'imposta sui redditi del 15 per cento soltanto ai nuclei familiari (con redditi complessivi fino a 50.000 euro), mentre il Movimento Cinque Stelle ha annunciato alla stampa un imprecisato progetto per l'abbassamento delle aliquote e il coefficiente familiare;
diversi quotidiani hanno riportato dati e stime, attribuite al Ministro in indirizzo, sugli oneri necessari per introdurre tale misura fiscale, tuttavia in parte smentiti dallo stesso;
Fratelli d'Italia ha presentato, fin dal 31 luglio 2018, una proposta legislativa (prima nel suo genere) volta all'introduzione di una flat tax ad aliquota unica al 15 per cento estesa all'intera platea dei contribuenti, sia lavoratori dipendenti che autonomi, da applicarsi soltanto sul reddito incrementale, ovvero sulla parte aggiuntiva di reddito prodotto rispetto all'anno precedente;
la proposta di Fratelli d'Italia, riferendosi ai redditi incrementali, avrebbe bisogno di una modesta (e, a parere dei proponenti, neanche necessaria) copertura e consentirebbe l'emersione di una ingente base imponibile, stimolando al contempo la crescita della domanda interna e la produttività del sistema-Paese, scoraggiando pertanto ogni tentativo di evasione fiscale,
si chiede di sapere quali siano le valutazioni del Ministro in indirizzo sulla "flat tax" introdotta nella legge di bilancio per il 2019 e sulle proposte della Lega per il 2020 e se non ritenga che la proposta di Fratelli d'Italia, volta all'introduzione di un'aliquota unica da applicare ai redditi incrementali di tutti i contribuenti, possa invece rappresentare una misura fiscale efficace e concreta, in grado di far ripartire l'auspicata crescita e lo sviluppo dell'Italia.
BERNINI, MALAN, PEROSINO, MALLEGNI, PICHETTO FRATIN, DAMIANI, FANTETTI, FERRO, SACCONE, SCIASCIA, CONZATTI, ROSSI - Al Ministro dell'economia e delle finanze - Premesso che:
il programma di Forza Italia, presentato in occasione delle elezioni politiche del 2018, al primo punto reca l'introduzione della "flat tax", un'aliquota unica per tutti, famiglie e imprese, al 23 per cento, con conseguente innalzamento della no tax area a 12.000 euro;
quando si parla di un sistema fiscale di tipo "flat", si intende un sistema che adotta un'aliquota unica, uguale per tutti, che riconosce tuttavia ai contribuenti una deduzione personale tale da rendere il sistema progressivo, secondo il dettato della Costituzione;
un ambiente economico caratterizzato da un sistema fiscale "leggero" è foriero di crescita ed investimenti a lungo termine e, quindi, di maggiori risorse fiscali. L'elevata tassazione, soprattutto sugli scaglioni più elevati, comporta effetti distorsivi nelle scelte allocative del lavoro e del capitale (elusione ed evasione);
tale misura restituirebbe potere d'acquisto alle famiglie, per cui aumenterebbero i consumi, e liquidità alle imprese, per cui aumenterebbero gli investimenti;
Forza Italia ha stimato il costo, a regime, in 50 miliardi di euro, affermando più volte di coprire l'intero costo mediante la razionalizzazione, la semplificazione e l'alleggerimento di tutti gli "sconti fiscali", che ammontano complessivamente a oltre 175 miliardi di euro, oltre che mediante la riduzione della "cattiva" spesa pubblica e del debito pubblico, nonché con l'ampliamento della base imponibile e il recupero dell'evasione fiscale;
da sempre, la flat tax è uno dei punti principali del programma del centrodestra che ha permesso a quest'ultimo di diventare la prima coalizione alle ultime elezioni politiche;
su tale argomento, si sta assistendo in questi ultimi giorni ad uno scontro all'interno del Governo tra le due forze politiche di maggioranza. Il Ministro per il Sud, Barbara Lezzi, ospite del programma "24 Mattino - Morgana e Merlino" su "Radio 24", ha affermato che "La flat tax costa 60 miliardi di euro e il nostro Paese non se li può permettere, dunque è una promessa che non si può mantenere";
non è ancora chiaro il sistema di flat tax che il Governo intende adottare e tanto meno il costo stimato. Si parla di una "fase 1", cioè di una flat tax al 15 per cento per i redditi fino a 50.000 euro lordi, con un sistema di detrazioni per familiari a carico fino ai 35.000 euro, e di una "fase 2", cioè l'applicazione di una flat tax al 15 per cento fino a 80.000 euro annui e del 20 per cento sopra tale soglia;
secondo un documento attribuito al Ministero dell'economia e delle finanze, l'attuazione della misura ipotizzata dal partito del ministro Salvini necessiterebbe di una copertura pari a 60 miliardi di euro, sebbene tale dato sia stato smentito e criticato da quest'ultimo;
sembrerebbe, a parere degli interroganti, che la strada per la realizzazione di questa importante misura sia tutta in salita, per due semplici motivi: il primo riguarda le continue tensioni e discordanze tra i due partiti di maggioranza; il secondo, più importante, è legato alla mancanza di risorse finanziarie, visto che nel 2020 il Governo dovrà reperire 23 miliardi di euro per neutralizzare le cosiddette clausole di salvaguardia sull'IVA, a fronte di una spesa di 16 miliardi stanziati per "quota 100" e reddito di cittadinanza oltre a dover compensare il calo del gettito fiscale dovuto ad un aumento del PIL assai inferiore rispetto a quello programmato;
perché fosse realizzabile, l'introduzione della flat tax uguale per tutti, come immaginata dai partititi di centrodestra durante la campagna elettorale per le ultime elezioni politiche, avrebbe dovuto essere la prima misura economica di questo Governo, senza disperdere risorse per misure, come il reddito di cittadinanza, recessive e pericolose per la stabilità dei conti pubblici e senza scoraggiare le imprese con misure come la fattura elettronica o l'irrigidimento del mercato del lavoro a seguito del "decreto dignità" (di cui al decreto-legge n. 87 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 96 del 2018) che gravano di ulteriori oneri, vincoli, rischio di contenziosi e conseguenze di carattere giudiziario,
se e in che termini il Governo intenda adottare la cosiddetta flat tax e a quanto ammonterebbe l'effettivo costo;
come il Ministro in indirizzo intenda reperire le risorse in modo da conciliare parallelamente la necessità di "sterilizzare" l'aumento dell'Iva.
DE BONIS - Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo - Premesso che:
uno dei prodotti italiani a denominazione tra i più famosi nel mondo è il Pecorino romano Dop, la cui zona di produzione comprende il territorio del Lazio e quello della Sardegna;
il comparto ovicaprino nazionale conta 50.000 aziende nel solo settore zootecnico e oltre 7 milioni di capi. Nella regione Sardegna esiste la maggiore concentrazione di attività, con oltre 15.000 aziende, un'occupazione tra diretta ed indotto superiore ai 40.000 addetti, un patrimonio di circa 3 milioni di capi e una produzione di circa 380.000 quintali di prodotti caseari, la gran parte utilizzati per la produzione del Pecorino romano Dop, il cui volume di affari è pari a 180 milioni di euro l'anno;
secondo il piano di produzione del Consorzio di tutela del Pecorino romano Dop il limite di produzione è di 270.000 quintali di Pecorino Dop, mentre nel 2018 ne sono stati prodotti 341.000 quintali, parzialmente dovuti a vecchie giacenze, nonostante la quantità di latte prodotto in Sardegna sia sostanzialmente stabile negli ultimi anni e pari a 300 milioni di litri;
conseguentemente alla sovra produzione, si sono avuti risvolti sui prezzi di acquisto, applicati non solo dalle imprese ma anche dalle cooperative di trasformazione degli stessi allevatori e il prezzo del latte ovino, che a inizio 2018 era pari ad 85 centesimi al litro è sceso dall'ottobre 2018 a 60 centesimi al litro, una misura che, come ha certificato l'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA), non copre i costi di produzione. Conseguentemente, il prezzo del formaggio Pecorino all'ingrosso e? sceso tra il 2017 e il 2018 da 7,7 euro al chilogrammo a 5,2 euro al chilogrammo;
l'Italia, nei primi 10 mesi del 2018, ha esportato in Nord America il 46 per cento in meno di Pecorino romano. Si è registrato un export in caduta anche verso l'Asia (meno 25 per cento) e una flessione in Europa (meno 5 per cento). Tuttavia, in questi mercati i consumi non sono diminuiti, ma sono cambiate le fonti di approvvigionamento, sono infatti contestualmente aumentate le esportazioni di prodotti similari del Pecorino da Paesi dell'est Europa, quali Romania e Bulgaria. Questa situazione va avanti già dal 2010, quando le associazioni nazionali degli agricoltori avevano denunciato la società rumena Lactitalia, addirittura partecipata dalla Simest, per aver posto sul mercato internazionale prodotti derivati da latte ovicaprino locale;
il nostro Paese importa oltre un milione di tonnellate di latte straniero, che non potendo più finire sulle tavole grazie all'etichetta di origine, introdotta circa un anno fa, viene utilizzato nell'industria casearia;
tra le industrie casearie più note vi è quella dei "Fratelli Pinna". Tale azienda ha avuto un contenzioso giudiziario nel 2010. L'associazione degli allevatori aveva diramato un comunicato contro i formaggi prodotti dall'azienda in Romania che, con nomi e bandiera italiana sulla confezione, potevano trarre in inganno i consumatori e danneggiare il mercato nazionale. Non solo, si denunciava che nella compagine di Lactitalia compariva anche la Simest, controllata dal Ministero dello sviluppo economico; uno Stato, insomma, che faceva concorrenza ai suoi produttori e pastori;
in particolare, con sentenza n. 533/2013, in data 2 aprile 2013, il Tribunale di Sassari rigettava le domande proposte da F.lli Pinna Industria Casearia SpA e Roinvest Srl nei confronti di Confederazione Nazionale Coldiretti e di R.T.I. SpA e condannava le società attrici alla rifusione delle spese di lite;
esponeva il Tribunale che dette società avevano agito, lamentando che la Coldiretti avesse diffuso in data 13 settembre 2010 un comunicato stampa con il quale la società di diritto romeno Lactitalia di proprietà per il 29,5 per cento della Simest (controllata dal Ministero dello sviluppo economico) e per il 70,5 per cento della Roinvest (riconducibile per il 70 per cento alla famiglia Pinna di Thiesi ed alla F.lli Pinna SpA) era falsamente accusata di commercializzare i suoi prodotti con marchi richiamanti il made in Italy e di «procedere, anche con soldi pubblici a fare concorrenza sleale alle produzioni italiane»;
il Tribunale rigettava le domanda e argomentava osservando che i rilievi concernenti Lactitalia, la partecipazione ad essa del Ministero dello sviluppo economico, l'impiego di marchi fuorvianti come Toscanella, Dolce Vita e Pecorino erano veritieri; che del pari rispondente a verità era che «i marchi impiegati nella produzione rumena richiamino il made in Italy, essendo innegabile che detti prodotti integrino delle tipiche specialità italiane prodotte da una società che, pur essendo rumena, ha una denominazione che fortemente ricorda l'Italia e un logo che reca la bandiera italiana;
avverso detta sentenza i F.lli Pinna Industria Casearia SpA e Roinvest Srl proponevano appello, rigettato "dovendosi in toto condividere le osservazioni e le argomentazioni del primo giudice in ordine all'assenza di ogni carattere diffamatorio";
tutto questo accadeva tra il 2010 e il 2013, ma agli inizi di giugno 2016, la Polstrada di Pistoia intercettava 3.640 forme di formaggio prodotto con latte ovino che dalla Romania viaggiava verso la Sardegna, e più precisamente a Thiesi, verso lo stabilimento dei Fratelli Pinna. Insomma, in un momento in cui pastori e allevatori fanno i salti mortali per sopravvivere, a causa del prezzo molto basso del latte perché c'è sovrapproduzione, questo viene importato dalla Romania e stagionato in Sardegna per diventare, secondo le norme del codice doganale (Regolamento CEE n. 2913/92: Codice Doganale Comunitario, Regolamento CEE n. 2454/93: Disposizioni di Applicazione del Codice doganale comunitario), prodotto italiano;
infatti, secondo il criterio definito dall'articolo 24 del Codice doganale comunitario, una merce lavorata o trasformata in più Paesi è da considerarsi originaria di quel Paese in cui ha subito: "l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un'impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione";
tenuto conto che a quanto risulta all'interrogante:
il 14 febbraio 2019 l'Antitrust ha aperto un'inchiesta sul prezzo del latte sardo di pecora destinato alla produzione di Pecorino romano Dop. Il procedimento e? stato avviato nei confronti del Consorzio per la tutela del formaggio Pecorino romano e di 32 imprese di trasformazione che vi aderiscono, tutte con sede in Sardegna. L'obiettivo sarebbe verificare se tali soggetti abbiano imposto agli allevatori un prezzo di cessione del latte al di sotto dei costi medi di produzione;
e? di questi giorni la notizia che il Governo avrebbe offerto 44 milioni di euro per il ritiro di 67.000 quintali di formaggio in eccedenza sul mercato, ripartiti tra il Ministero dell'interno (14 milioni di euro), il Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo (10 milioni di euro), la Regione Sardegna (altri 10 milioni di euro) e i restanti 10 milioni arriverebbero dal Banco di Sardegna. L'aumento proposto del prezzo del latte sarebbe di 70 centesimi al litro, con l'auspicio che con il ritiro delle forme di Pecorino in eccedenza entro tre-quattro mesi si alzi a 1 euro. Ma la delegazione dei pastori sardi non sembra soddisfatta, anche perché i 44 milioni di euro arriverebbero con i tempi lunghi della burocrazia e, nel frattempo, l'industria non può pagare i pastori,
se il Ministro in indirizzo non ritenga di:
valutare se l'assegnazione di risorse a caseifici che hanno provocato delle eccedenze sia compatibile con le regole della concorrenza dell'Unione europea e non configuri aiuto di Stato;
attivarsi presso l'Autorità garante della concorrenza e del mercato affinché accerti, nell'ambito dei propri poteri indipendenti, se sia vero che nel periodo intercorrente tra il mese di marzo e aprile 2016 tutti i caseifici abbiano deciso un abbassamento del prezzo in maniera allineata comunicandolo agli allevatori;
valutare l'opportunità di apportare modifiche al codice doganale per evitare che la fase di stagionatura di un pecorino straniero completata in Italia consenta di attribuire l'italianità al formaggio;
approvare i disciplinari sanzionatori previsti per coloro che violino le regole sulla produzione del Pecorino romano e di qualunque altro prodotto causando il deprezzamento della materia prima;
attivarsi affinché la disposizione citata del Codice doganale comunitario venga soppressa.