SENATO DELLA REPUBBLICA
—— XVIII LEGISLATURA ——




Giovedì 30 maggio 2019


alle ore 12


116a Seduta Pubblica
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ORDINE DEL GIORNO



I. Seguito della discussione del disegno di legge:

II. Interrogazioni a risposta immediata ai sensi dell'articolo 151-bis del Regolamento (testi allegati) (alle ore 15)
INTERROGAZIONE SULLE DISPOSIZIONI DEL MINISTERO DELL'INTERNO APPLICATIVE DEL DIVIETO DI CIRCOLAZIONE CON VEICOLI IMMATRICOLATI ALL'ESTERO PER I RESIDENTI IN ITALIA


(3-00865) (29 maggio 2019)

UNTERBERGER, STEGER, DURNWALDER, LANIECE - Al Ministro dell'interno - Premesso che:

salvo limitate eccezioni, il nuovo comma 1-bis dell'articolo 93 del codice della strada (di cui al decreto legislativo n. 285 del 1992), come novellato dall'articolo 29-bis del decreto-legge n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 132 del 2018, ha introdotto il divieto di circolazione per i veicoli immatricolati all'estero e in disponibilità di soggetti che abbiano stabilito la propria residenza in Italia da più di 60 giorni: la residenza anagrafica del conducente, quale risulta dai documenti di identità, è quindi il presupposto per l'applicazione del divieto;

per i cittadini europei, in alternativa alla residenza anagrafica, la circolare n. 245/2019 del Ministero dell'interno ha inspiegabilmente previsto che si possa tenere conto anche della "residenza normale", ai sensi dell'articolo 118-bis del codice della strada, laddove per "residenza normale" in Italia si intende "il luogo, sul territorio nazionale, in cui una persona dimora abitualmente, vale a dire per almeno centottantacinque giorni all'anno, per interessi personali o professionali" e altresì "il luogo, sul territorio nazionale, in cui una persona, che ha interessi professionali in un altro Stato comunitario o dello Spazio economico europeo, ha i propri interessi personali, a condizione che vi ritorni regolarmente";

peraltro, la definizione di "residenza normale", che è il presupposto utilizzato con riferimento alla sanzionabilità dei lavoratori stagionali, inserita nel codice della strada dall'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo n. 59 del 2001, in attuazione della direttiva 2006/126/CE, dovrebbe applicarsi, in senso favorevole e allo scopo del riconoscimento reciproco tra Stati membri UE, unicamente ai fini del rilascio di una patente di guida, essendo la circolare n. 245/2019 che estende il presupposto previsto dalla direttiva all'applicazione del divieto di cui all'articolo 93, comma 1-bis, del codice della strada, indicandolo pure come discrezionale;

per i casi di violazione, oltre ad una sanzione pecuniaria da 712 a 2.848 euro, è prevista altresì la sanzione accessoria del fermo amministrativo del veicolo, nonché, in caso di mancata immatricolazione in Italia entro 180 giorni o di mancata richiesta del foglio di via per condurre il veicolo oltre i transiti di confine, la confisca amministrativa dello stesso;

le autorità competenti, in attuazione della suddetta circolare e, in particolare, dell'interpretazione del concetto di "residenza normale" come luogo di dimora abituale per interessi personali o professionali, considerano ricompresi nel divieto e, quindi, sanzionabili anche i lavoratori stranieri "stagionali" (quelli, ad esempio, del settore alberghiero) che abbiano contratti di lavoro con aziende o società italiane di durata superiore a 60 giorni, i quali ad avviso degli interroganti e secondo il dettato della norma, non dovrebbero essere ricompresi nel divieto, in quanto non residenti in Italia;

per forza di cose, l'introduzione del divieto interessa, in particolare, le regioni situate nelle zone di confine, tra cui la regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, dove il rischio di incorrere in sanzioni è più diffuso e dove, quindi, gli effetti negativi connessi all'applicazione della norma sono maggiormente avvertiti dai cittadini, specie con riferimento al mercato del lavoro, posto che le imprese aventi sede in questi territori lamentano difficoltà nel reperire personale da destinare alle attività stagionali che, da sempre, interessano in particolare i lavoratori transfrontalieri;

sebbene l'intento del legislatore fosse quello di contrastare una pratica largamente diffusa, quella cioè della "esterovestizione dei veicoli" a fini evasivi, per effetto dell'entrata in vigore del citato comma 1-bis (salvo limitate eccezioni, alcune delle quali costituiscono al contrario i casi più diffusi di evasione) attualmente risultano incomprensibilmente ricompresi nell'ambito di applicazione del divieto, oltre ai lavoratori stagionali, anche altri soggetti e fattispecie del tutto estranei alle condotte ritenute lesive dal legislatore, quali ad esempio la guida del veicolo di proprietà di un parente o di un amico residente all'estero e che si trovi occasionalmente in vacanza in Italia o anche, come viene segnalato dalla "Croce Bianca" di Bolzano, la guida da parte di dipendenti di associazioni territoriali di soccorso per il rimpatrio di veicoli esteri appartenenti a soci stranieri infortunati o affetti da gravi malattie o, infine, la guida di veicoli con targa estera da parte degli addetti ai parcheggi degli alberghi fino alle aree destinate alla sosta riservata ai veicoli di proprietà dei clienti;

considerato altresì che da diverso tempo ormai gli interroganti sono impegnati nell'attività di raccolta delle segnalazioni provenienti dai territori e, già in diverse occasioni, hanno provveduto a sottoporre agli uffici competenti, in sede di incontri informali anche presso lo stesso Ministero dell'interno, le problematiche sollevate e lamentate da cittadini e lavoratori e per le quali si auspica una soluzione adeguata e tempestiva,

si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo, considerate le evidenti criticità connesse all'applicazione del divieto di circolazione dei veicoli immatricolati all'estero e derivanti anche dalla portata assai più ampia delle indicazioni operative contenute nella circolare n. 245/2019, non ritenga che sia necessario e improcrastinabile, innanzitutto, un intervento correttivo da parte del Ministero, finalizzato ad escludere l'applicazione del concetto di "residenza normale" ai lavoratori stranieri con contratto di lavoro a tempo determinato in Italia e, quindi, a far sì che i lavoratori stagionali non rientrino nell'ambito di applicazione del divieto, e se non ritenga altresì opportuno un intervento legislativo ad hoc, all'interno del primo provvedimento utile, affinché siano definitivamente esclusi anche tutti i soggetti e le categorie attualmente e inspiegabilmente coinvolti, ma soprattutto ingiustamente sanzionati, i quali nulla hanno a che vedere con i reali destinatari della norma, cioè i "furbi" intenzionati ad eludere gli obblighi assicurativi e fiscali in Italia.


INTERROGAZIONE SULL'ISTITUZIONE DELLA COMMISSIONE UNICA NAZIONALE PER I PREZZI DEL GRANO CON SEDE A FOGGIA


(3-00863) (29 maggio 2019)

DE BONIS - Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo - Premesso che:

le Commissioni uniche nazionali (CUN) sono state introdotte dall'articolo 6-bis del decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2015, n. 91, al fine di consentire ai produttori di collocare il proprio prodotto ad un prezzo congruo e di garantire la trasparenza nelle relazioni contrattuali tra gli operatori di mercato e nella formazione di prezzi;

l'assessore per le politiche agroalimentari della Regione Puglia, Leonardo di Gioia, il 28 aprile 2018, durante l'inaugurazione della 69a edizione della Fiera internazionale dell'agricoltura e della zootecnia di Foggia, ha ribadito la necessità di costituire la Commissione unica nazionale per la quotazione del grano duro a Foggia, riaffermando l'urgenza, oltre che l'esigenza, di gestire nel cuore della cerealicoltura italiana dedicata al frumento pastificabile le sempre possibili crisi di prezzo;

il ministro Luigi Di Maio il 12 maggio si è recato a Foggia e insieme a Luigi L'Abbate hanno annunciato l'avvio "sperimentale" della CUN, dimenticando che la Commissione è ben collaudata da una legge e da un decreto attuativo, che non prevedono alcuna sperimentazione;

considerato che:

la costituzione di una CUN a Foggia per il prezzo del grano duro è in discussione dal luglio 2016 e fa parte del piano del Ministro pro tempore Maurizio Martina per il rilancio del grano italiano, il quale, tra l'altro, in un tavolo ministeriale ebbe modo di affermare che, dai dati ISMEA sull'andamento dei prezzi per il grano duro, non c'era nessuna correlazione tra mercato internazionale e nazionale, con ciò lasciando ipotizzare la presenza in Italia di fenomeni distorsivi dei prezzi e della concorrenza;

l'esigenza di stabilire nel capoluogo della Capitanata la Commissione è data dal fatto che i prezzi del grano duro fino pastificabile, sia all'ingrosso che all'origine, continuano a non essere remunerativi. Infatti, nel mese di maggio 2018, dall'Osservatorio prezzi della Camera di commercio di Foggia arriva l'ulteriore conferma che la fase calante dei prezzi è ancora in corso: il cereale pastificabile, alle condizioni di "franco partenza luogo di stoccaggio", è passato di mano ad un prezzo minimo di 209 euro alla tonnellata ed a 214 euro di prezzo massimo. Il che significa una perdita secca di 4 euro a tonnellata sui valori stabiliti il 28 marzo 2018 sulla stessa piazza, seduta che chiuse una fase di stabilità durata oltre un mese, con quotazioni sui valori minimi di 214 euro e di 219 sui massimi;

con i prezzi registrati il 27 maggio 2018, la perdita di valore all'ingrosso sui 240 euro per tonnellata sui massimi, raggiunti lo scorso 30 agosto, svetta a 26 euro, pari a un calo del 10,84 per cento. Mentre secondo ISMEA il prezzo all'origine è di nuovo in calo (2,35 per cento in meno), con un valore medio di 207,5 euro alla tonnellata, registrato il 25 aprile e in discesa rispetto all'11 aprile, quando l'istituto rilevava un prezzo medio all'origine (alle condizioni di "franco magazzino - partenza") di 212,50 euro alla tonnellata;

anche gli agricoltori del Belice e dell'associazione "GranoSalus" hanno protestato per il grano pagato solo 17 centesimi. Gli agricoltori denunciano le politiche comunitarie che svantaggiano il grano siciliano, pugliese, lucano, molisano e abruzzese costringendoli, così ad abbandonare i propri terreni, visto che sempre più i costi superano i guadagni. In Sicilia hanno sfilato con i loro trattori lungo la statale Palermo-Sciacca, chiedendo un prezzo di almeno 40 centesimi al chilo;

pare evidente, dunque, l'opportunità dell'individuazione della sede foggiana per la CUN grano duro, senza alcuno indugio verso sperimentazioni. Si tratterebbe, infatti, di un'assegnazione giusta e dovuta, non solo per la vocazione produttiva di grano duro che ha il Mezzogiorno, ma anche perché coronerebbe il lavoro svolto dalla Camera di commercio nella tutela e controllo dei prezzi. Con la Commissione unica a Foggia si avrebbe una gestione più equilibrata dell'emergenza prezzi, attenuando fenomeni distorsivi e anticoncorrenziali;

tenuto conto che:

nonostante la citata legge istitutiva della CUN, il decreto attuativo, l'approvazione in Conferenza Stato-Regioni e la risoluzione della Camera dei deputati 8-00202, approvata dal Governo il 28 settembre 2016, non si è potuto ancora istituire la CUN a Foggia, anche a causa di ostacoli frapposti da alcune organizzazioni di categoria, che insistono nel mantenere in vita un meccanismo anticoncorrenziale;

l'associazione GranoSalus (fondata da produttori di grano duro e che persegue diversi obiettivi, tra questi il controllo su pasta e semole per verificarne gli standard di qualità, a partire dalla materia prima, quale il grano) ha intrapreso giudizi presso il Tar Puglia ed il Consiglio di Stato;

il Tar Puglia ha accolto il ricorso dell'associazione GranoSalus contro la Camera di commercio di Foggia che aveva negato il diritto di accedere agli atti del procedimento di formazione dei listini prezzi di grano duro e sfarinati pubblicati sul sito dell'ente camerale;

con una sentenza ricca di precisazioni, il giudice amministrativo ha riconosciuto il ruolo di GranoSalus come riferimento a tutela degli operatori del settore cerealicolo. Si è ora in attesa del pronunciamento del Tar Puglia in ordine all'annullamento dei listini della borsa merci di Foggia;

considerato, inoltre, che:

questo ingiustificato grave ritardo sull'attuazione della CUN a Foggia penalizza il processo di trasparenza nel mercato italiano e aggrava le condizioni sia delle imprese cerealicole del Mezzogiorno che quelle dei consumatori, a vantaggio esclusivo di commercianti e industriali. Non è un caso che, grazie ad alcune elaborazioni statistiche condotte dall'associazione, sia emersa una chiara correlazione tra il prezzo di un grano tossico (canadese di terza categoria linea blu) ed il grano duro (linea rossa) quotato al borsino di Altamura (Bari). Il prezzo del grano di Foggia, peraltro, è un prezzo allo stoccaggio e non all'origine, mentre il borsino di Altamura è un'associazione di privati AMC che fissa i prezzi sul libero mercato;

il mondo agricolo e quello dei consumatori stanno aspettando l'unica conferenza stampa utile al Paese, quella in cui si sancisce il rispetto della legge nei meccanismi di formazione dei prezzi all'origine (le borse merci sono strumenti desueti) e si dia avvio all'unico protocollo sensato e cioè l'istituzione della Commissione unica nazionale (CUN Grano) con sede unica a Foggia ed il recepimento di una griglia di valutazione tossicologica della qualità anche a tutela dei consumatori. Altri gruppi di lavoro o ipotesi sperimentali, a parere dell'interrogante, sono inutili. L'Italia ha davanti a sé una grande occasione, da non perdere, per diventare punto di riferimento mondiale nella quotazione del grano duro di alta qualità,

si chiede di sapere:

quali urgenti iniziative il Ministro in indirizzo intenda assumere al fine di superare il desueto meccanismo di rilevazione del prezzo della Commissione camerale di Foggia e Altamura e transitare velocemente verso l'istituzione della CUN;

se non ritenga, al fine di evitare speculazioni, frodi e volatilità dei prezzi, di effettuare le segnalazioni di propria competenza, anche alla luce della normativa antitrust, per arginare i fenomeni distorsivi dei prezzi e della concorrenza e verificare, quindi, il rispetto delle regole nazionali ed europee in materia.


INTERROGAZIONE SULL'EVENTUALE REVISIONE DEL TRATTATO COMMERCIALE CETA CON IL CANADA IN AMBITO AGRICOLO


(3-00869) (29 maggio 2019)

TARICCO, MARCUCCI, MAGORNO, BITI, SBROLLINI, STEFANO - Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo - Premesso che:

l'accordo economico e commerciale globale CETA (Comprehensive economic and trade agreement) tra UE e Canada è un accordo di libero scambio, che, in ambito agricolo, abolisce i dazi doganali, per il 99 per cento, aprendo di fatto il mercato canadese ai prodotti alimentari e bevande europei;

il CETA risulta in applicazione provvisoria, dal 21 settembre 2017, solamente per quanto riguarda le materie che rientrano nelle competenze degli Stati membri relativamente alla protezione degli investimenti e all'accesso al mercato per gli investimenti di portafoglio, mentre per quanto riguarda il settore agroalimentare l'accordo risulta pienamente operativo;

il Ministro in indirizzo ha dichiarato già un anno fa "è nostra intenzione ridiscutere il CETA. Lo abbiamo detto tranquillamente senza problemi al ministro canadese. Aspetteremo un anno e vedremo quali sono i risultati del CETA, che in questo momento vige a livello provvisorio";

sempre il ministro Centinaio a luglio 2018 aveva dichiarato l'intenzione di "capire, dati alla mano, se l'accordo di libero scambio con il Canada possa considerarsi vantaggioso per il nostro Paese";

considerato che:

il CETA, in ambito agricolo, riconosce e tutela 143 prodotti tipici di specifiche zone geografiche dell'Unione europea, di cui 41 italiane;

il trattato prevede che nuove denominazioni possano essere aggiunte alla lista delle Dop e Igp tramite un negoziato tra le parti, cioè Unione europea e Canada. Un primo esempio a riguardo è quello relativo all'italiano prosciutto di Carpegna, che ha ottenuto la protezione in Canada in virtù dell'accordo CETA;

l'applicazione in via definitiva del CETA, per quanto riguarda i capitoli "Servizi, Investimenti e Appalti pubblici", avverrà solo dopo la ratifica, non ancora avvenuta in Italia, da parte dei Parlamenti nazionali dei Paesi UE;

nel primo anno di applicazione dell'accordo CETA l'export italiano in Canada è complessivamente aumentato del 3,8 per cento, mentre l'interscambio ha registrato un aumento del 2,3 per cento;

nello stesso periodo di riferimento, il settore agroalimentare italiano ha visto un aumento del 5,9 per cento, il comparto dei vini in particolare del 2,8 per cento, il settore calzature del 4,3 per cento, quello degli gli articoli in pelle del 1,3 per cento. In particolare, le vendite di prosciutto San Daniele sono salite in un anno del 35 per cento;

il settore agroalimentare, che risulta avere dazi superiori al 16 per cento, è tra quelli che può maggiormente beneficiare dell'accordo grazie a un'abolizione immediata dei dazi sull'85 per cento delle linee tariffarie;

dai dati elaborati dall'amministrazione doganale canadese, riportate in una nota dell'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane del 25 aprile 2018, risulta che le esportazioni di grano duro canadese verso l'Italia si sono ridotte del 90 per cento nei primi cinque mesi di applicazione dell'accordo CETA (ottobre 2017-febbraio 2018). Quelle di grano tenero del 47 per cento;

tenuto conto che dopo quasi un anno dalle dichiarazioni del Ministro non si hanno ancora notizie in merito alle intenzioni del Governo sulla reale volontà di ridiscutere l'accordo CETA,

si chiede di sapere:

a fronte delle ripetute dichiarazioni pubbliche, menzionate in premessa, quali siano i tempi e le reali intenzioni da parte del Governo in merito all'accordo di libero scambio con il Canada;

quali siano le modalità con le quali si pensa di revisionare l'attuale impostazione del CETA.


INTERROGAZIONE SULLA TUTELA DELLA DIETA MEDITERRANEA RISPETTO AL PROGRAMMA PROPOSTO DALLA COMMISSIONE INTERNAZIONALE "EAT-LANCET"


(3-00866) (29 maggio 2019) (Già 4-01515) (2 aprile 2019)

VALLARDI, BERGESIO, SBRANA, RIPAMONTI - Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo - Premesso che, per quanto risulta agli interroganti:

il 19 gennaio 2019 è stata presentata ad Oslo la "commissione EAT-Lancet su alimentazione, pianeta e salute", che si propone di "trasformare il sistema globale della nutrizione". Tale commissione dispone di straordinarie risorse economiche grazie alla partnership con il "Wellcome trust fund" che, con i suoi 30 miliardi di dollari, costituisce la seconda fondazione più ricca del mondo, e grazie al sostegno di 7 grandi compagnie farmaceutiche, 20 multinazionali del settore alimentare e 14 colossi del settore chimico;

con il pretesto di garantire la sostenibilità del pianeta e una maggiore salubrità nella dieta delle persone, essa intende imporre comportamenti alimentari lontanissimi dal modello della dieta mediterranea, e potenzialmente devastanti per l'intera filiera agroalimentare del nostro Paese;

la dieta suggerita è sostenuta solo da studi epidemiologici, notoriamente ai livelli più bassi della piramide dell'evidenza scientifica, senza che gli autori menzionino un singolo trial clinico che ne certifichi l'efficacia o la salubrità;

diversi studiosi hanno già rilevato le notevoli carenze nutrizionali della dieta proposta dalla commissione EAT Lancet, in particolare per quanto riguarda l'apporto di retinolo, vitamina D, vitamina B12, sodio, ferro, calcio, potassio e proteine;

la commissione non intende solo proporre un certo tipo di dieta, ma ha l'intento di arrivare all'approvazione di una "convenzione quadro internazionale sui sistemi alimentari" ispirata a quella stipulata nel 2003 da tutti i Paesi dell'Onu sul controllo del tabacco, che prevede misure durissime verso i produttori e pesanti costi per i consumatori;

i passaggi attraverso cui la commissione vorrebbe realizzare i propri piani sono gravemente lesivi della libertà di scelta del consumatore, al punto da prevedere prima una "guida delle scelte attraverso incentivi", poi una "guida delle scelte attraverso disincentivi", poi la "restrizione delle scelte" tramite l'esclusione dal mercato di determinati prodotti, per arrivare fino alla "eliminazione della scelta" dei consumatori, che verrebbero indirizzati dallo Stato verso "scelte salutari";

secondo la commissione le aziende che producono alimenti "inappropriati", ovvero prodotti di origine animale, ricchi di sale, zucchero o grassi saturi e ritenuti non sostenibili sul piano ambientale, dovrebbero ritirarsi dal mercato o diversificare il proprio business;

la Commissione si serve inappropriatamente di organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, l'Organizzazione mondiale della sanità, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, per tenere i propri eventi di lancio;

nel corso della presentazione del Global nutrition report 2018 al World food program, sono state rese dichiarazioni secondo le quali i prodotti confezionati non sono allineati a diete salutari e per questo motivo si dovrebbero adottare strumenti volti a ridurne il consumo ovvero la riformulazione dei prodotti (volontaria o obbligatoria), l'applicazione di tasse, l'adozione di un sistema di etichettatura a semaforo e restrizioni al marketing delle aziende. Strumenti che sarebbero in contrasto con il contenuto di un ordine del giorno approvato all'unanimità, a dicembre 2018, dal Parlamento italiano, con il quale si impegna il Governo a tutelare, in tutte le sedi internazionali, in particolare nell'ambito dell'Onu e delle sue principali agenzie, le nostre tradizioni alimentari, il settore agroalimentare e la dieta mediterranea,

si chiede di sapere:

se il Ministro in indirizzo sia al corrente dei fatti esposti e come intenda agire, nelle opportune sedi, a tutela della filiera agroalimentare del nostro Paese nei confronti di un modello contrario alle abitudini e alle tradizioni alimentari della stragrande maggioranza degli italiani e alla dieta mediterranea;

se intenda promuovere una campagna di informazione che consenta ai cittadini di valutare in modo obiettivo le proposte della commissione EAT-Lancet, al fine evitare che i consumatori possano mettere in atto comportamenti alimentari potenzialmente nocivi per la salute;

se si sia già attivato al fine di contestare l'usurpazione di sedi e programmi di organismi internazionali da parte della commissione EAT-Lancet, senza alcuna autorizzazione da parte degli Stati membri.


INTERROGAZIONE SUL TEMA SCELTO PER LA SFILATA MILITARE DEL 2 GIUGNO 2019


(3-00867) (29 maggio 2019)

RAUTI, LA RUSSA, CIRIANI - Al Ministro della difesa - Premesso che:

"l'inclusione" è il tema scelto nel 2019 per la tradizionale sfilata militare ai Fori Imperiali in occasione del 73° anniversario della proclamazione della Repubblica;

fonti stesse del Ministero della difesa hanno sottolineato a mezzo stampa come il tema dell'inclusione voglia evidenziare la volontà di non lasciare indietro nessuno, di combattere contro le emarginazioni sociali: un segno di attenzione agli ultimi per un evento che ha di per sé un carattere inclusivo proprio perché si svolge in occasione della festa della Repubblica, ricorrenza che unisce tutti gli italiani;

considerato che:

tra i compiti delle forze armate vi sono quello di assicurare la sicurezza e la sovranità nazionale, di protezione dei confini della patria, di costruzione e mantenimento della pace nelle missioni internazionali, di impiego a garanzia dell'ordine pubblico e di intervento in casi di calamità naturali;

le forze armate non sono organizzazioni non governative né associazioni di volontariato, non è loro compito istituzionale combattere l'emarginazione sociale;

atteso che:

la sfilata del 2 giugno dovrebbe essere occasione per celebrare ed onorare l'impegno dei militari, volta a dimostrare le capacità belliche dello Stato e a rafforzare il senso di appartenenza nazionale;

la specificità di un'organizzazione come quella delle forze armate andrebbe rispettata e onorata come componente strategica di uno Stato democratico, ricordando sempre che i militari sono servitori dello Stato e ambasciatori dell'Italia nelle missioni all'estero,

si chiede di sapere se l'aver dedicato la parata del 2 giugno al tema dell'inclusione non rappresenti un mancato riconoscimento della vocazione principale delle forze armate nonché, pur se nella necessaria e condivisibile ottica "dual use", se il tema scelto non privilegi gli aspetti di impiego civile con una deminutio dei valori militari, che sono proprio quelli che una parata delle forze armate deve celebrare.


INTERROGAZIONE SUL PROGRAMMA DI ACQUISTO DEGLI AEREI F-35


(3-00864) (29 maggio 2019)

BERNINI, MALAN, CAUSIN, BERARDI, GASPARRI, MINUTO, VITALI - Al Ministro della difesa - Premesso che:

l'Italia è fra i Paesi NATO che investe di meno per la difesa, l'1,15 per cento del Pil, mentre l'obiettivo prefissato dall'Alleanza atlantica è il 2 per cento;

i commi 797 e 798 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio per il 2019), dispongono, rispettivamente, riduzioni delle spese miliari per 60 milioni di euro dall'anno 2019 e di ulteriori 531 milioni di euro nel periodo 2019-2031;

nei giorni scorsi, il capo di Stato maggiore dell'Aeronautica militare, generale Alberto Rosso, ha manifestato tutte le sue perplessità e "forte preoccupazione" per i tagli sulla sua forza armata ed in particolare sulle forniture degli aerei sostenendo che "è giusto e doveroso" che le forze armate ricevano "le giuste risorse", considerando anche che "c'è una soglia sotto la quale bisogna ricordare che le capacità potrebbero essere intaccate";

da autorevoli fonti di stampa si apprende che il ministro Trenta, ad un anno dal suo insediamento, intende effettuare una valutazione costi-benefici sul programma di acquisto degli F-35;

l'F-35 è un aereo militare caccia di nuova generazione, caratterizzato dalla capacità di raccogliere, elaborare e distribuire informazioni operative a tutte le forze impegnate in operazioni;

durante la trasmissione televisiva "Otto e mezzo" del 1° febbraio 2019, il Ministro in indirizzo, rispondendo ad alcune domande della giornalista Lilli Gruber sugli investimenti del Governo nel comparto aeronautica, ha dichiarato: "sugli F-35 stiamo ancora valutando, e il programma sarà sicuramente rivisto";

promuovere una "valutazione tecnica" del programma F-35 alimenta preoccupazioni nel comparto industriale, che potrebbe assistere ad una riduzione degli ordini, già ridotti da 131 a 90 unità nel 2012;

il 31 gennaio 2019, il ministro Di Maio, durante una conferenza stampa in cui ha presentato i risultati ottenuti dal Movimento 5 Stelle nei primi mesi di Governo, ha dichiarato: "sugli F-35 non abbiamo ancora preso alcuna decisione, ma come M5S crediamo che sia una spesa inutile";

di contro, il ministro Matteo Salvini, in diverse occasioni pubbliche, ha dichiarato testualmente: "nessun passo indietro può essere fatto sugli F-35. Lo riterrei un danno";

è quindi necessario chiarire quali valutazioni il Governo stia facendo sul programma F-35 e soprattutto sulle problematiche afferenti al medesimo programma, in modo che possano essere conosciute le reali intenzioni dell'Esecutivo, soprattutto riguardo alle possibili ricadute sull'industria e sull'occupazione del nostro Paese;

le ingenti riduzioni riguardanti il settore della difesa, corroborate dalle dichiarazioni del Governo, destano evidenti preoccupazioni, anche in considerazione della rinnovata minaccia terroristica, che non permette di abbassare il livello di sicurezza e difesa,

si chiede di sapere:

quale sia lo stato dei pagamenti delle unità già consegnate;

quali siano le effettive intenzioni del Governo in merito alla continuazione del programma di acquisto degli F-35, in modo da poter conoscere in tempi certi gli esiti delle valutazioni che il Ministro in indirizzo ha dichiarato di voler fare;

se non ritenga assolutamente necessario e indispensabile continuare la produzione di F-35 che rappresentano uno strumento militare di indubbia eccellenza e che rafforzano il sistema difesa-industria, tanto importante nel nostro Paese per lo sviluppo economico e occupazionale.


INTERROGAZIONE SULLA TUTELA DEI MILITARI COLPITI DA PATOLOGIE CONTRATTE NEL CORSO DELLE MISSIONI NEI BALCANI


(3-00868) (29 maggio 2019)

MAIORINO - Al Ministro della difesa - Premesso che:

nel 2001 scoppia il caso "Sindrome dei Balcani", con l'emergere dei primi episodi di militari italiani ammalatisi o deceduti al rientro dalle missioni in Bosnia Erzegovina e Kosovo, due Paesi dove la NATO, nel 1995 e nel 1999, ha fatto uso di proiettili all'uranio impoverito (DU);

secondo i dati dell'Osservatorio militare ad oggi si contano nel nostro Paese almeno 4.000 reduci colpiti da patologie asbesto-correlate e 359 decessi;

ad oggi, viene confermato dalla ricerca scientifica che questi proiettili sono pericolosi, sia per la radioattività emanata, sia per le nano-polveri tossiche che rilasciano nell'ambiente;

continuano a verificarsi toccanti vicende umane legate a patologie contratte a causa di agenti patogeni, alle quali occorre dare costante attenzione e assicurare una doverosa ricerca della verità;

da ultimo, nei giorni scorsi è apparsa, su alcuni organi di stampa, la notizia di un militare che si è tolto la vita, perché colpito da una patologia connessa all'esposizione all'uranio impoverito nel corso di alcune missioni all'estero, era stato costretto ad affrontare un lungo quanto penoso contenzioso con il Ministero della difesa;

il Ministro in indirizzo ha avuto il coraggio di rompere il muro di silenzio sulle responsabilità della Difesa, annunciando la creazione di un tavolo tecnico e provvedimenti legislativi a tutela dei nostri militari,

si chiede di sapere quali siano i provvedimenti concreti che il Ministro in indirizzo voglia intraprendere per affrontare una problematica che tanta sofferenza ha provocato e continua a provocare nel personale militare, che ha messo a rischio la propria incolumità fisica per servire lo Stato e che lo Stato ha il dovere di tutelare.